Quando ho iniziato a riflettere su cosa significhi realmente “utero in affitto” mi sono chiesta, per prima cosa, chi sia stato a definire l’acquisto di una donna, di una gestazione, di un bimbo appena fuoriuscito dalla pancia della mamma “utero in affitto”.
Oddio, ho pensato, questo è stato sicuramente un maschietto.

Per chi non lo sappia la gravidanza per la madre non è una passeggiata, e comporta cambiamenti fisici non di poco conto, così come il parto. Se poi l’unico fine di detta fatica che dura, volenti o nolenti, 9 mesi, è il guadagno, beh, io non riesco a pensare, in questo caso, positivo.
Posso capire che una donna si trovi in grossa difficoltà economica, e che quindi scelga di perdere dignità ed affetto per denaro, per esempio prostituendosi o prestandosi ad una gravidanza vista come affare economico. Ma ciò mi porta e dovrebbe portare noi tutti a pensare a come risolvere l’antico problema di “pane e lavoro” per tutti, non a ritenere forme di corpo e conseguentemente di dignità in vendita come soluzioni.

Io ve lo dico subito: per me più vendere la vagina e magari qualche altro orifizio per soldi, con la finalità che al maschietto si rizzi e che eiaculi (e scusatemi la franchezza), più vendere il corpo per una gravidanza is the same, è la stessa cosa dal punto di vista morale. Solo che le due possibilità implicano problemi diversi. In particolare la seconda pone anche qualche problema per il nascituro.

Siamo mammiferi, e le madri nel mondo animale in cui viviamo curano i loro cuccioli, li leccano appena nati, li allattano, li difendono, li educano, li stringono a sé. E vi è un legame stretto, anche nel mondo umano, fra madre e figlio, in particolare se figlio voluto: noi donne non siamo fabbriche di embrioni-feti- nati, da vendere. Se proprio una coppia vuole un bimbo può adottarne uno, non sarà biologicamente suo ma potrà accudirlo, crescerlo, amarlo ugualmente.
Ma quello di scegliere la futura madre, come un tempo si sceglieva la giovane schiava, che doveva avere tutto a posto, dall’età alla dentatura al resto, per avere un figlio, per poi passare alla fecondazione ed infine al mantenimento della donna durante la gestazione sino alla nascita dell’acquistato, per poi dimenticarla, beh, questo no. Forse non sono abbastanza neoliberista da sostenere che tutto è asservito al denaro, come lo era ai tempi antichi, e come si sta tentando di fare ora, forse ho una idea della madre che è quella descritta nelle parole della bellissima Ave Maria cantata da Fabrizio De Andrè: «Ave Maria adesso che sei donna/ave alle donne come te Maria/femmine un giorno per un nuovo amore/povero o ricco umile o Messia/Femmine un giorno e poi madri per sempre/ nella stagione che stagioni non sente».
Forse credo ancora ai figli come frutto dell’amore.

Infine ci sono già abbastanza bimbi ed adolescenti che risentono di problemi vari fra i loro genitori o che cercano, adottati, la madre naturale o il padre se non sanno chi sia, non andiamo a cercare di aumentare tale popolazione di angosciati.

E chiudo dicendo che ogni desiderio di chi ha la cifra per soddisfarlo non è un diritto automaticamente, che con “gender” e dintorni non ci si può distaccare dal mondo naturale da cui dipendiamo, e che se due possono esser soddisfatti da un bimbo acquistato e per metà proprio, non so quanto lo possa essere la donna che ha portato in grembo il bimbo sapendolo mai suo, quali vissuti psichiatrici le provochi questo fatto, ma cosa volete che sia: nel mondo neoliberista, che sembra in tutto e per tutto quello dei vecchi oligarchi e tiranni, ci sono solo i problemi di chi può comperare tutto.
Nel pensare così si vede che sono matusa, mi adatto poco al nuovo ed a ciò che fa tendenza? Vi garantisco che non me ne importa nulla. Io penso così.

Scrivo questo oggi, 8 marzo, festa della donna, che ricorda, da un lato le conquiste politiche, sociali ed economiche delle donne, dall’altro le discriminazioni e le violenze da loro subite nella storia.

W le donne, persone amanti madri, mai uteri e vagine e corpo in vendita.  

8 marzo 2016.

Laura Matelda Puppini

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