Era un po’ di tempo che volevo visitare il sito di cittadinanzattiva, alla ricerca di qualche informazione per me e per voi, lettori. Così qualche giorno fa ho visionato quanto pubblicato ultimamente relativamente alla sanità, ed ho trovato alcune utili informazioni, su VI Osservatorio civico sul federalismo in sanità, 2017 cui riflettere.  Pertanto ve le propongo come oggetto di dibattito. (Cfr. VI Osservatorio civico sul federalismo in sanità 2017 (salute), in: https://sostieni.cittadinanzattiva.it/scarica-i-materiali/rapporti-annuali.html). 
Sul ‘Rapporto’ si possono leggere dati interessanti, che commenterò in nero corsivo in riferimento al Fvg. I titoletti in grassetto rosso sono miei o ripresi dal testo.

Finanziamento.

«Il finanziamento del SSN per gli anni 2018 e 2019 è pari rispettivamente a 113.396 MLD di euro e 114.396 MLD di euro. Per il 2018 la riduzione rispetto al finanziamento programmato con Legge di Bilancio 2017 e pari a 600 mln di euro, rispetto invece al finanziamento programmato con Legge di stabilità 2016 la riduzione e pari a circa 1,5 MLD di euro.
Queste riduzioni sono alla base della parziale attuazione dei nuovi LEA, che come sappiamo avevano come condizione, riportata nella relativa Intesa tra lo Stato e le Regioni, un livello di finanziamento del SSN per il 2018 pari a 115 MLD di euro.
Per quanto riguarda il 2019 la riduzione rispetto al finanziamento programmato con legge di Bilancio 2017 è pari a circa 600 MLN di euro, come effetto del mancato contributo alla finanza pubblica da parte delle Regioni a Statuto Speciale. (…)». (Cfr. VI Osservatorio civico sul federalismo, op. cit., pp. 6-7).

La Regione Fvg è a Statuto Speciale, per cui se non ha versato contributi allo Stato non si sa se riceverà finanziamenti. Ma siamo in grado di far da soli?

Sulla spesa sanitaria.

«Per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica la sua incidenza sul PIL passa dal 7,1% del 2010 al 6,5% del 2018, sino ad attestarsi al 6,3% del 2020. Un trend che ci preoccupa molto. Guardando alla spesa sanitaria pubblica pro capite, in termini reali, nel 2016, si è attestata a 1.734,5 euro con una variazione nel periodo 2010/2016 pari a -8,8%. (…). La spesa sanitaria pubblica regionale pro capite 2017 oscilla tra valori decisamente inferiori come quelli della Campania (1.770), della Calabria (1.808) e quelli più elevati di Emilia-Romagna (2.120), Liguria (2.124), Molise (2.142), PA Bolzano (2.430), PA Trento (2.329) solo per fare alcuni esempi.
Una difformità che certamente concorre, insieme ad altre cause, ad alimentare le disuguaglianze che sono presenti nel nostro Servizio Sanitario Pubblico.». (Ivi, p. 7 e p. 9).
Nel 2016 le Regioni a Statuto Ordinario che hanno allocato risorse aggiuntive dai bilanci regionali per la copertura degli extra Lea, sono: Liguria, Umbria, Marche e Basilicata. In generale nel periodo 2012/2016 questo tipo di risorse delle Regioni a Statuto Ordinario hanno subito una contrazione pari a – 96,65%. Le Regioni a Statuto speciale che hanno allocato questa tipologia di risorse sono Valle D’Aosta, PA Bolzano, PA Trento e Sardegna. Il totale delle risorse aggiuntive da bilancio regionale a copertura extra LEA (RSO e RSS) si è ridotto nel periodo 2012/2016 di -8,10% […]. (Ivi, p. 10).

Il Fvg, pur essendo regione a Statuto speciale, non ha allocato risorse aggiuntive in sanità.

Spesa Privata e Ticket.

«La spesa sanitaria media a carico delle famiglie si attesta a circa 114 euro mensili. Profonde le differenze da Regione a Regione: 128 euro in Umbria, 118 euro in Emilia Romagna, 127 euro in Veneto, 159 euro in Lombardia, contro i 64 euro della Campania e i 74 euro della Calabria. Questi dati sono l’evidenza che non vi è automatismo tra performance dei servizi sanitari regionali e livello di spesa sanitaria privata. La spesa sanitaria privata delle famiglie rappresenta il 4,5% della spesa sanitaria complessiva. In Italia nel 2016 la spesa sanitaria privata rappresentava il 25% della spesa sanitaria totale (Fig.8), meno della Spagna (29,4%), del Portogallo (31%) e della Grecia (41,7%). Inferiori all’Italia invece i valori della Francia (21,2%) e della Germania (15,4%). Nel 2008 il rapporto tra spesa sanitaria privata e spesa sanitaria totale dell’Italia era pari al 22,3%». (Ivi, pp. 11-12).

«Per quanto riguarda invece la spesa sanitaria privata versata al SSN attraverso ticket e intramoenia il valore complessivo è pari a circa 4 MLD di euro l’anno. Anche qui le differenze regionali sono molto evidenti e dimostrano ancora una volta che non vi è automatismo tra performance dei servizi sanitari regionali e livello di questa spesa privata: 45,8 euro pro capite in Calabria contro gli 81,9 euro pro capite dell’Emilia Romagna». (Ivi, p. 13).

Io credo che: se teniamo conto del fatto che la Regione Fvg ha copiato, con la giunta Serracchiani, il modello Emilia Romagna è prevedibile, penso, che la spesa in sanità privata sia alta anche qui, il che potrebbe essere indicatore del fallimento del ssn stesso.

 Verso il privato per le visite specialistiche ambulatoriali?

«Guardando specificatamente ai ticket sanitari (farmaci e prestazioni sanitarie), tra il 2016 e il 2017 si riscontra un livello di entrate per lo Stato pressoché uguale: 2,888 MLD nel 2016, 2,889 MLD nel 2017. Invece è costante la contrazione del gettito per lo Stato derivante in particolare dai ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale, sul pronto Soccorso e su altre prestazioni ad esclusione di quelle farmaceutiche. Il gettito annuo per lo Stato passa infatti da oltre 1,548 MLD di euro del 2012 a poco più di 1,336 MLD del 2017, cioe 212 milioni di euro in meno. Nel periodo 2012-2017 la compartecipazione alla spesa in valori assoluti e diminuita del 14% circa. Tra il 2016 e il 2017 il gettito si è ridotto dello 0,9%. In particolare è il ticket sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale a subire la maggiore contrazione negli anni: solo nel 2017 sono entrate nelle casse dello Stato 14 milioni di euro in meno rispetto al 2016. (…). La legge di bilancio per il 2018 ha previsto lo stanziamento di 60 milioni per la parziale riduzione dei ticket sulla specialistica ambulatoriale (il fondo è stato istituito dall’art.1, comma 804 e 805, della legge 205/2017).». (Ivi, pp. 14-15).

Lea e dintorni.

«Nel corso degli anni 2006-2016 il disavanzo economico in sanità delle Regioni si e decisamente ridotto passando dai 6 MLD di euro del 2006 ai 976 MLN di euro del 2016. Siamo di fronte ad un evidente risanamento finanziario. (…). Dai dati provvisori del monitoraggio LEA 2016 del Ministero della Salute, contenuti nel Rapporto di Coordinamento di Finanza Pubblica 2018 della Corte dei Conti (i dati definitivi saranno pubblicati dal Ministero della Salute) sembra che la situazione, almeno sulla carta, stia migliorando […]. La proposta del Ministero della Salute di rivedere i criteri di riparto del Fondo Sanitario Nazionale tra le Regioni va nella giusta direzione ma non è sufficiente. È necessario rafforzare il sistema di monitoraggio dei LEA, a partire dalla sua capacità di fornire dati più attuali. Nel 2018 sono accessibili ai cittadini i dati provvisori del 2016. (…). Nel 2017 è stato predisposto il Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei LEA attraverso lo schema di decreto interministeriale che è stato sottoposto alle valutazioni del Comitato LEA. Lo schema di decreto e stato infine approvato dal Comitato il 15 dicembre 2017. Per essere adottato il Decreto deve essere condiviso dal MEF e deve essere acquisita l’intesa in Conferenza Stato-Regioni». (Ivi, pp. 20-23).

Pure in questo caso non sono stati pubblicati i dati per i Fvg.

Differenze negli investimenti in sanità.

 «Anche rispetto agli investimenti in sanità (art. 20 L. 67/1988), sono molte le differenze tra le Regioni nella capacità di utilizzare i fondi allocati dallo Stato. A fronte di Regioni come ad esempio Veneto, Emilia Romagna, Toscana che hanno sottoscritto il 100% delle risorse destinate, ve ne sono altre che hanno percentuali di molto inferiori come Campania (31,1%), Molise (21,5%), Abruzzo (36,5%), Calabria (57,5%). Complessivamente le risorse residue per Accordi di programma da sottoscrivere sono pari a 4,102 MLD di euro». (Ivi, p. 29).

Tempi di attesa e trasporti.

«Il dato Istat pubblicato a fine ottobre 2017, in occasione del rapporto sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea, riporta dati interessanti sulle motivazioni più frequenti che portano i cittadini a rinunciare o a rimandare le cure. Sembrerebbe che le liste d’attesa, i disagi causati dal trasporto e la crisi economica siano le maggiori cause di rinuncia alle cure per gli italiani. Sono più di 11 milioni i cittadini che addebitano a tempi di attesa troppo lunghi la loro rinuncia a una prestazione o il ritardo nell’effettuazione. Sono invece 3,6 milioni quelli che accusano la mancanza di trasporti adeguati verso il luogo di cura e 6,2 milioni quelli che dichiarano di aver rinunciato a una prestazione per motivi economici. (…). La carenza di mezzi di trasporto, anche se la percentuale di chi dichiara di aver effettuato in ritardo o non effettuato prestazioni sanitarie per questa ragione e tre volte inferiore a quella delle liste d’attesa (5%), rappresenta comunque un fenomeno da tenere sotto controllo. É il Centro a mostrare dati peggiori dai 15 anni in su, con il 7,3% di difficoltà (2,6% nel Nord Est), mentre per la fascia oltre 65 anni è il Sud, con 12,4%, ad avere più problemi (Nord Est 3,3%)». (Ivi, pp. 76-77).

«[…] dati evidenti che non possono essere trascurati […] invitano a considerare il ruolo, ormai sproporzionato, che sta assumendo l’intramoenia rispetto al canale pubblico nella capacità di rispondere con tempestività alle necessità di cura.  (…). Sbalordiscono i dati della Campania, che registra tempi d’accesso per una visita oculistica oltre i 100 giorni quando nel canale intramurario la stessa prestazione è erogata entro 5 giorni; oppure per una colonscopia nel Lazio si attendono 175 giorni, mentre in intramoenia diventano circa 6; in Lombardia si attendono 98 giorni per un ecodoppler venoso nel settore pubblico e 4 giorni in intramoenia; in Veneto si attendono 95 giorni per un ecocardiografia quando in intramoenia serve appena una settimana» (Ivi, p. 91). «[…] relativamente alla determinazione dei volumi di attività libero-professionale si confermano i valori piuttosto esigui, con sole 4 Regioni/Province autonome adempienti (Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta, PA Trento)». (Ivi, p. 96).

La Regione Fvg dovrebbe valutare bene il problema dei trasporti come indicatore di rinuncia a visite e cure, ed anche le distanze tra residenza e luogo di visita e cura.

Tempi di ospedalizzazione.

 «È interessante innanzitutto analizzare il dato relativo ai giorni medi di degenza preoperatoria, considerato un indicatore di efficienza, nelle singole Regioni, per un ricovero per acuti in regime ordinario. Dal dato nazionale si deduce che in media si ricovera il paziente 1,7 giorni prima di un intervento; le medie di alcune regioni – Molise (2,37), Liguria (2,36), Campania (2,21) – si discostano notevolmente da questo dato […]. Prendendo ad esempio la Regione Liguria, e volendo incrociare i dati di degenza media e degenza media preoperatoria, vediamo che entrambi i valori sono nettamente oltre la media nazionale; si ricovera complessivamente per più giorni. Complice e forse l’età della popolazione, notoriamente elevata, che può condizionare la durata dei ricoveri per possibili complicanze legate all’età. […] nel Mezzogiorno si ricovera e si dimette prima rispetto ad altre regioni». (Ivi, pp. 86-87).

Assistenza territoriale.

 «Nel luglio 2017 il monitoraggio dei servizi territoriali sottolineava la difficoltà a descrivere in modo univoco un modello di offerta territoriale da parte delle Regioni, mentre il ‘Rapporto PIT Salute’, pur registrando per quest’area dell’assistenza qualche miglioramento rispetto all’anno precedente, confermava come in molte occasioni questa fosse ancora incapace di fornire alle persone le risposte attese o di cui avessero bisogno.
Le informazioni raccolte attraverso i contributi dei cittadini, dati istituzionali e parte della letteratura grigia, orientano verso un’interpretazione condivisa da molti: per i cittadini, ricorrere ai servizi sul territorio significa individuare in modo chiaro e univoco la struttura e i professionisti deputati a farsi carico dei bisogni di salute ma, per fare questo, e necessario il rilancio delle cure primarie». (Ivi, p. 110).

«Le fonti informative, disponibili per comprendere se si stia andando nella direzione dello sviluppo di due uniche forme aggregative sul territorio (AFT e UCCP), offrono un quadro in continuo mutamento; al momento della stesura di questo testo, sono diverse le Regioni che stanno procedendo alla riorganizzazione dei servizi territoriali e non e possibile affermare, in modo chiaro, quanto e se i nuovi assetti organizzativi abbiano davvero portato benefici pratici ai cittadini.
Nel sistema persistono punti deboli: l’assistenza primaria di base nel biennio 2015-2016 registra un calo di segnalazioni (30,5% contro il 36,9%), cosi come uno sfumato miglioramento si osserva per assistenza residenziale (-0,6%) e Salute mentale (-1,8%); riabilitazione, assistenza domiciliare e assistenza protesica integrativa peggiorano». (Ivi, p. 115).

Riconversione o è eliminazione dei piccoli ospedali?

[…] l’attenzione alla carenza di strutture sul territorio aiuta ad introdurre il tema della riconversione, poiché da troppi anni i cittadini vedono trascurato tale impegno, con la conseguenza di subire attese interminabili, di essere obbligati ad organizzarsi in modo autonomo, di dover spostarsi, in molti casi, con il proprio mezzo per la visita e/o l’assistenza del proprio famigliare. In Italia la costruzione di una rete di strutture intermedie avrebbe dovuto fruire di un impulso decisivo con l’emanazione del D.M. 70/15 ovvero il regolamento con la “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi sull’assistenza ospedaliera”. (…).

Il D.M. 70/15 prevedeva l’adozione di altri provvedimenti strettamente coordinati tra loro che avrebbero dovuto garantire il funzionale riequilibrio dei ruoli tra “ospedale e territorio”, oltre all’effettiva integrazione delle due reti, sanando la frattura esistente. Al punto 10 “Continuità ospedale-territorio” si invitavano le Regioni a procedere, contestualmente alla riorganizzazione della rete ospedaliera, al riassetto dell’assistenza primaria e all’organizzazione in rete delle strutture territoriali a garanzia di una risposta certa sul territorio e di un utilizzo appropriato dell’ospedale. Il regolamento fissava inoltre un punto di svolta rispetto ai precedenti riferimenti sul processo di chiusura e di riconversione dei piccoli ospedali, alla riduzione e razionalizzazione dei posti letto di ricovero, alla deospedalizzazione e potenziamento dell’assistenza sul territorio già contenuti nella Legge n°135/2012 – art. 15 comma 13 – Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica – Spending Review.

Nel 2017 non era ancora così raro leggere sulla stampa di settore frasi come “Al via la nuova impostazione della rete dell’assistenza territoriale…”, segno che in qualche Regione le indicazioni del DM 70/15 iniziavano ad essere recepite, senza dubbio, con un importante ritardo. Le ragioni del ritardo sono sinteticamente rintracciabili nell’assenza di delibere regionali ad hoc, nei vecchi Piani Sanitari Regionali (PSR) non ancora allineati alle indicazioni nazionali, nelle difficoltà economiche di alcune Regioni in piano di rientro e in qualche territorio, anche nelle resistenze di cittadini (organizzati in comitati o altre forme) che intravedevano nella chiusura dei “piccoli ospedali” più ragioni economiche che di reale intenzione a modificare l’offerta assistenziale». (Ivi, pp. 127-128).

In Fvg, come nel Molise, molti cittadini pensano ancora che la chiusura dei piccoli ospedali, che li priva di fatto di servizi reali, sia da addebitarsi, unicamente, al conternimento delle spese ed al far cassa.

Assistenza domiciliare.

 «Negli ultimi anni, vale la pena ricordare come l’intervento del privato sia divenuto sempre meno marginale nell’erogazione dell’assistenza domiciliare; le informazioni raccolte specificavano che soltanto il 45% tra gli 82 distretti monitorati erogava il Servizio di cure Domiciliari senza prevedere l’intervento del privato, mentre per un 51% era previsto un “sistema misto” (in parte ASL/Distretto e in parte altri). Il restante 4% era rappresentato da casi di erogazione delegati a strutture/enti extra aziendali e da mancate risposte ai quesiti posti.
Merita attenzione anche il 4,1% dei casi (+3% rispetto al 2015) sul tema della mancanza di figure professionali atte ad erogare la prestazione specifica di cui si avrebbe bisogno. Da un lato si tratta di cittadini che richiedono a domicilio personale qualificato per precise esigenze di cura, dall’altro non si esclude che tali segnalazioni nascondano la necessita di veder accolti nuovi e sempre più specifici bisogni di cura, impossibili da definire in assenza di una puntuale analisi dei bisogni». (Ivi, pp. 138-139).

Assistenza protesica, integrativa, e dispositivi medici.

 «L’assistenza protesica e integrativa riguarda cittadini che hanno bisogno di presidi, protesi, ausili, apparecchiature sanitarie per la cura o il controllo della propria condizione di salute. La richiesta e in capo ai servizi territoriali e a volte può essere complicata nelle sue procedure. Può capitare inoltre che il servizio pubblico non eroghi quanto richiesto o copra solo in parte le spese, con la conseguenza che il cittadino provveda di tasca propria. Tra le difficolta maggiormente segnalate rientrano lungaggini burocratiche, insufficienza dei materiali, difficoltà nella sostituzione di protesi usurate, complessità dei meccanismi di richiesta, di verifica, approvvigionamento e consegna (eventualmente anche installazione e test), senza che i cittadini possano opporvisi in maniera tempestiva e risolutiva.

Il peso delle varie problematiche interessa l’assistenza protesica (con il 53,8% nel 2016) e l’assistenza integrativa (nel 46,2% delle situazioni); nel primo caso si assiste a un calo delle segnalazioni rispetto al 2015, nel secondo, l’incremento registrato e di oltre 10 punti percentuali (+11,2%)». (Ivi, p.146).
«Nel 2016 le segnalazioni, per entrambe le tipologie di assistenza, riguardavano tre principali ordini di questioni: i tempi di attesa (46%), le forniture insufficienti e i costi da sostenere (39,7%), la scarsa qualità dei prodotti (14,3%). I dati del PIT Salute possono ulteriormente essere incrociati con le dettagliate informazioni del monitoraggio dei servizi che ha interessato i cittadini in cure domiciliari». (Ivi, p. 147).
«Le forniture insufficienti e i conseguenti costi che i cittadini devono sostenere riguardano una serie di casi specifici tra i quali la scarsa o nulla possibilità di richiedere ausili e protesi che siano all’avanguardia tecnologica nonostante le novità in campo scientifico ne giustificherebbero l’acquisto; l’assenza di contributi economici anche parziali, da parte della ASL, spesso perché quanto richiesto non è incluso nel nomenclatore». (Ivi, p. 149).

Salute mentale.

 «Si stima che nel nostro Paese, tra il 2015 e il 2017, siano 2,8 milioni coloro che hanno manifestato sintomi di depressione. I disturbi ansioso-depressivi si associano a condizioni di svantaggio sociale ed economico: rispetto ai coetanei più istruiti, raddoppiano negli adulti con basso livello di istruzione e triplicano (16,6% rispetto a 6,3%) tra gli anziani, fra i quali risultano però meno evidenti, i differenziali rispetto al reddito. (…). All’interno del tema sulle cure territoriali, la salute mentale e l’area più delicata da trattare, per la complessità del fenomeno in se e per il modo in cui chiama in causa i servizi sanitari che spesso intervengono alla comparsa del sintomo, ma in misura molto minore per realizzare attività di prevenzione dei disturbi mentali e/o di promozione della salute mentale. (…).

Nel 12% delle situazioni, dopo i ricoveri motivati dal trattamento sanitario obbligatorio (TSO), si segnalano pazienti “abbandonati” dai servizi territoriali e con buona probabilità che su di loro gravino le precedenti situazioni causa di ricovero coatto; altri casi riguardano l’applicazione impropria della misura del trattamento sanitario obbligatorio. Quando manca una rete di protezione socio-sanitaria, i cittadini segnalano l’insostenibile situazione in famiglia (21,7%); quest’ultima si fa carico della condizione di disagio del proprio familiare in completa “solitudine” e quindi nella più totale assenza di tutela. Non entusiasma nemmeno il dato (17,4%) di quando invece si accede al DSM/CSM la scarsa qualità delle cure erogate dalle strutture territoriali riguarda l’insieme dei servizi offerti, ivi compreso il rapporto umano con l’utenza, il tempo messo a disposizione dei pazienti, la frequenza delle visite di controllo e la qualità degli stimoli o delle proposte di terapia effettuate dai centri. Anche quest’area dell’assistenza presenta varie problematiche (10,9%), relative alla mancanza di personale medico e infermieristico, spesso aggravata dal numero di utenti sempre più elevato.

Molto contenuto, ma degno di particolare attenzione, e il dato sugli effetti della cura farmacologica (3,3%) in cui la terapia è percepita come pesante e non adatta alla propria condizione; diversi studi hanno mostrato che molti pazienti presentano un significativo miglioramento clinico o raggiungono un livello accettabile di benessere psicologico se la terapia farmacologica viene associata a sedute di psicoterapia o ad altri trattamenti psicosociali; sarebbe interessante conoscere quali e quanti CSM/DSM offrano sistematicamente una terapia indicata nella più recente letteratura e quanti si limitano, attraverso il farmaco, a sopprimere alcuni sintomi (come le allucinazioni) senza “lavorare” su quelli che continuano a impedire al soggetto, nonostante il farmaco, di ricominciare a partecipare alla vita normale quotidiana. Nel 3,3% rientrano infine anche casi in cui terapie alternative o complementari per aumentare il benessere del paziente, non sono contemplate e di conseguenza non vengono erogate poiché le ASL non hanno fondi o personale a disposizione».  (Ivi, pp. 150- 153).

Piano Nazionale delle cronicità: problematiche emergenti.

 «In base ai dati riportati nel Rapporto ISTAT del 2017, la popolazione residente in Italia al 1 gennaio 2018 è di 60.494.000 persone, raggiungendo un nuovo minimo storico nelle nascite, con un saldo negativo di 100 mila persone in meno sull’anno precedente.
Non si rilevano, invece, variazioni significative sulla speranza di vita alla nascita: 80,6 anni per gli uomini e 84,9 anni per le donne, ma siamo anche il secondo Paese più vecchio al mondo con un’età media superiore ai 45 anni. Nonostante ci siano segnali di crescita economica, la ripresa è debole e la produttività continua a diminuire. La disoccupazione diminuisce, ma rimane ancora molto elevata rispetto gli altri Paesi Europei. L’Italia, poi, e il Paese europeo in cui vivono più poveri. In particolare, cresce la quota di persone in povertà assoluta, quella che quindi non dispongono, o dispongono con grande difficolta o a intermittenza, delle primarie risorse per il sostentamento umano, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione, passando dal 7,9% del 2016 ad 8,3% del 2017.  (…). 

Aumenta la percentuale di chi assume farmaci (dal 40,7% del 2014 al 41% del 2015). La patologia cronica piu diffusa tra quelle prese in esame rimane sempre l’ipertensione (17,1%) seguita da artrosi/artrite (15,6%) e da malattie allergiche (10,1%). (…). La Regione con il maggior numero di persone affette da una o più patologie croniche è l’Umbria (43,6% e 25,3%), quella con il minor numero e il Trentino Alto Adige (32,6% e 14,3%) seguita dalla Campania (34% e 19,2%). C’e da notare però che, mentre il 57,9% di persone con patologia cronica in Trentino- Alto Adige e in buona salute, in Campania la percentuale crolla al 38,4%. La maglia nera, in questo caso, ce l’ha la Sardegna dove solo il 35,7% delle persone con patologia cronica dichiara di essere in buona salute.» (Ivi, pp. 157-159).

«Dopo anni di battaglie e di richieste alle Istituzioni il 2016 finalmente ha visto la luce il Piano nazionale della Cronicità (PNC) alla cui stesura ha partecipato attivamente il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva ed alcune delle Associazioni in esso presenti per la parte riguardante le singole classi di patologie.  (…). Dopo l’approvazione in Conferenza Stato Regioni, il 15 settembre 2016, il Piano nazionale delle Cronicità ha iniziato il suo lento e travagliato percorso di applicazione nelle singole regioni.
Ad oggi, a distanza di due anni, sono ancora cinque le regioni che lo hanno approvato: Emilia Romagna, Lazio, Marche, Puglia ed Umbria. (…) Il 24 gennaio 2108 dopo il decreto di nomina del Ministero della Salute si insedia la Cabina di Regia prevista dal Piano. Ne fanno parte, per il lato Istituzionale: il Ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanita, Agenas, l’Istituto nazionale di statistica e la Conferenza delle Regioni. Per le società scientifiche partecipano Fism (Federazione delle Societa Medico-Scientifiche Italiane), Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) e Fnopi (Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche-ex Ipasvi), dopo l’approvazione del Ddl Lorenzin.
Per le Associazioni per la tutela dei malati partecipa il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva. Il suo compito sarà quello di coordinare a livello centrale l’implementazione del Piano e monitorarne l’applicazione e l’efficacia». (Ivi, pp. 162, 164 e 183).

«Quella che per la quasi totalità degli intervistati (95,3%) rappresenta la prima priorità su cui intervenire è l’integrazione fra assistenza primaria e specialistica, che non è presente se non in alcune Regioni, soprattutto del Centro- Nord (figura n.15) o per alcune categorie di pazienti subito seguita, come diretta conseguenza, dalla continuità assistenziale nel passaggio dall’ospedale alle cure territoriali (65,1%). Non è più accettabile che si continui a parlare di multiprofessionalità, approccio di cure integrato, fascicolo elettronico condiviso, ecc. e poi il tramite fra lo specialista ed il medico di medicina generale sia sempre e solo il paziente, perché i professionisti non si parlano, e nemmeno i sistemi, (…) e una persona può ritenersi fortunata se non è costretta a ricorrere al Pronto Soccorso con attese interminabili per un posto letto che non c’è. (Ivi, p. 215). Altro aspetto ritenuto fondamentale […] per modificare veramente la gestione della cronicità è il coinvolgimento del paziente nel piano di cura (53,4%), […] non realizzato nella realtà». (Ivi, p. 216).

Problemi dei malati cronici e loro familiari.

«Ancora a risultare problematico è il rapporto umano con il personale sociosanitario, nella mancanza di ascolto (50%) e nella scarsa attenzione verso il dolore (42,5%), se non addirittura in fenomeni di aggressività da parte dello stesso personale (10%).». (Ivi, p. 227).

«Quando si parla di appropriatezza nell’uso delle terapie ed aderenza, sembra che questa sia sempre una “responsabilità” della persona, che utilizza male i servizi o le terapie, sprecando risorse e causando quindi un danno nei confronti delle finanze pubbliche. Non ci si ferma mai a ragionare sul fatto che l’inappropriatezza possa essere qualcosa che la persona con una patologia subisce. A generare, infatti, un accesso inappropriato alle cure sono proprio i comportamenti di chi ha in cura la persona, tramite la sottovalutazione dei sintomi ed il conseguente ritardo nelle cure, secondo il 75,7% delle Associazioni, o ancora, l’esecuzione di esami inutili perché non adatti alla diagnosi (33,3%) o perché ripetuti più volte (27,2%). Sempre la stessa percentuale di Associazioni ha poi riscontrato la presenza di ricoveri evitabili, perché le stesse prestazioni potevano essere erogate in altri ambiti». (Ivi, p. 232).

«Questa doppia visione dell’umanizzazione, rivolta non solo al paziente, ma anche al personale sanitario, e quanto mai condivisa dalle Associazioni che, per prima cosa, per rendere “più umane” le cure, chiedono maggiore ascolto da parte del personale sanitario, 80,5%, personale spesso costretto a turni massacranti, impegnato in attività burocratiche che non hanno niente a che fare con la pratica medica e alle volte controllato con strumenti come il minutaggio. Il secondo aspetto che rende le cure piu faticose sono le lunghe liste d’attesa (75,6%), seguito dal fatto che le famiglie si sentono abbandonate nella gestione della persona con disabilita (70,7%) e sopraffatte dalla burocrazia inutile e dannosa (68,2%). Renderebbe più semplice la vita di chi ha una patologia cronica, poi, avere più orientamento e informazione nell’accesso ai servizi (51,2%) e una maggiore attenzione verso la sofferenza, sia di tipo fisico che psicologico (48,7%). Sempre la stessa percentuale, poi, vorrebbe dei luoghi di cura più accessibili e il 43,9% desidera potersi rivolgere sempre allo stesso specialista, anziché ricominciare d’accapo ogni volta, spesso anche con orientamenti diversi del tipo: ma chi le ha prescritto questo esame o questa terapia?» (Ivi, p. 235).

Farmaci: accesso all’innovazione farmaceutica.

 «L’assistenza farmaceutica rappresenta ancora una delle maggiori criticità del Servizio sanitario nazionale (SSN). I cittadini si confrontano con costi elevati, indisponibilità dei farmaci sul territorio e in ospedale, tempi di accesso e di erogazione del medicinale spesso troppo lunghi, in particolare per le terapie innovative “ad alto costo”, a causa di limiti di budget a livello aziendale e regionale. Le difficoltà legate alla prescrizione ed erogazione di alcuni farmaci, come ad esempio quelli per il trattamento dell’epatite C o di patologie oncologiche (per lo piu si tratta di farmaci innovativi), possono determinare ostacoli all’accesso alle cure e alla piena e corretta adesione del paziente al percorso terapeutico, dal trattamento farmacologico ai corretti stili di vita e alle abitudini alimentari.

Quest’anno si è avvertita ancor di più la necessità di affrontare tali temi, sia per l’immissione in commercio di ulteriori nuovi farmaci, cui è stato attribuito il carattere dell’innovatività, sia per l’introduzione, con la recente Determina dell’AIFA n. 1535 del 2017, dei nuovi criteri di valutazione dell’innovatività». (Ivi, pp. 242-243). Rispetto al 2015 (5,8%) v’è stato un lieve calo delle segnalazioni. La prima voce di segnalazione è rappresentata dalle nuove terapie per l’epatite C, con un 44,4% che attesta il permanere di una difficolta nell’accesso a tali cure innovative. (…). La spesa per l’acquisto dei farmaci risulta ancora una delle tre maggiori difficoltà. Il dato, per quanto in diminuzione, rimane significativo, perché quasi una persona su cinque continua a segnalare il problema di costi e di sovraccarico economico, dovuto anche al più generale impoverimento della popolazione (18,3%).

Sono soprattutto i farmaci in classe A e H quelli per i quali si segnalano maggiori difficoltà nell accesso a causa dei costi da sostenere in compartecipazione, per la differenza di prezzo tra il farmaco “branded” e il generico, per i frequenti problemi legati alla carenza del medicinale nei canali di distribuzione e, non ultimo, per questioni di prescrivibilità.  (…). La Neurologia, con il 12,7%, continua ad essere un’area particolarmente critica: rientrano in questa voce i farmaci per la cura di patologie degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson. Seguono, con valori rilevanti le aree di Oculistica (11%), Oncologia (8,9%), Cardiologia (7,1%); Urologia (4,9%) e, subito dopo, le altre aree specialistiche […]. (…).
L’indisponibilità dei farmaci e uno dei fattori che può ostacolare l’accesso alle terapie ed incidere anche sulla piena e/o corretta adesione al percorso di cura. […] principali fattori che possono determinare la non disponibilità: il 50% delle persone segnala l’assenza del medicinale in farmacia; il 26,7% riferisce ritardi nella erogazione dei medicinali ospedalieri. I cittadini si confrontano anche con un problema di irreperibilità di alcuni farmaci perché ritirati dal mercato (13%); o perché non vengono commercializzati in Italia (10%). A determinare la non disponibilità sono motivi burocratici o amministrativi e organizzativi a vario livello nazionale, regionale, aziendale». (Ivi, p. 244-248).

«Quando un farmaco non è, o non e ancora, distribuito in Italia (segnalazioni raddoppiate rispetto al 2015), le difficolta che incontra il cittadino riguardano l’avvio della procedura per l’importazione dall’estero e i tempi lunghi per il rilascio delle autorizzazioni all’immissione in commercio in Italia. La spesa per farmaci (18,3% delle segnalazioni) e uno dei principali ostacoli nell’accesso alle terapie e può indurre la persona a interrompere o a non intraprendere la cura, col rischio di compromettere la terapia. Ciò incide anche sulla sostenibilità economica. In questo ambito […] rientrano segnalazioni relative al costo dei farmaci non erogati dal Servizio sanitario nazionale in regime di rimborsabilità (54,2%), come nel caso di farmaci in fascia C, parafarmaci e integratori». (Ivi, p. 249).

«La compartecipazione del cittadino per ticket e per differenze di prezzo all’acquisto del farmaco “branded”, quando e disponibile un prodotto equivalente, rimane abbastanza invariata con 1.549 milioni di euro, corrispondente a circa 25,60 euro pro capite. Il Rapporto OsMed 2017 (luglio 2018) registra una diminuzione della spesa farmaceutica territoriale totale (pubblica e privata) che risulta di 21,7 miliardi (–1,4% rispetto al 2016) e della spesa territoriale pubblica (convenzionata e distribuzione per conto di farmaci di classe A) che ammonta a 12,9 miliardi, ovvero il 59,4% della spesa farmaceutica territoriale, con una riduzione del 6,5%. Tale decremento e dovuto principalmente alla diminuzione della spesa per i farmaci in distribuzione diretta (-13,7%); e stato inoltre registrato un decremento della spesa farmaceutica convenzionata netta (con un -1,7% rispetto al 2016)». (Ivi, pp. 255-256).

Dal Rapporto OsMed2017 è emerso anche un aumento della spesa per vaccini di 487 milioni di euro (+36% rispetto all’anno 2016), corrispondente al 2,2 % della spesa del SSN dovuto probabilmente all’entrata in vigore del “Decreto Vaccini” (L. 119/2017) che ha ampliato il numero di vaccinazioni obbligatorie, introdotto il rispetto degli obblighi vaccinali come requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole dell’infanzia.
Guardando alla spesa per classi terapeutiche, al primo posto risultano i farmaci antineoplastici e immunomodulatori (5.064 milioni di euro), seguiti da quelli dell’apparato cardiovascolare (3.548 milioni di euro); si consumano maggiormente i farmaci dell’apparato cardiovascolare (484,2 dosi ogni 1000 abitanti al giorno, di seguito DDD/1000 ab die), seguiti da quelli dell’apparato gastrointestinale e metabolismo (183 DDD/1000 ab die) e dai farmaci del sangue e degli organi emopoietici (125,4 DDD/1000 ab die)». (Ivi, pp. 256-257).

«Anche il ritardo con il quale e stato pubblicato il decreto 16 febbraio 2018 (G.U. 7/4/2018), che ha stabilito i criteri di riparto delle risorse stanziate per i farmaci innovativi e oncologici innovativi, potrebbe aver prodotto nelle Regioni un’incertezza nel corso del 2017 e aver influito sul non utilizzo di tutti i Fondi a loro disposizione». (Ivi, p. 271). «Le Regioni Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Sardegna e le Province autonome di Bolzano e Trento non aderiscono al Fondo per farmaci innovativi, la Sicilia solo in parte (50%)». (Ivi, p. 272).

Perché il Fvg non aderisce al Fondo per farmaci innovativi?

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Analisi civica della Determina AIFA sui nuovi criteri di innovatività.

 «Nel 2017 sono stati definiti dall’Agenzia Italiana del Farmaco i nuovi criteri per la valutazione e il riconoscimento del carattere di innovatività di un farmaco. L’attribuzione dell’innovatività consente di accedere ai Fondi per l’approvvigionamento dei farmaci innovativi, istituiti con la Legge di Bilancio 2017». (Ivi, p. 280).

Un farmaco che ottiene il riconoscimento dell’innovatività, fino a un periodo massimo di 36 mesi, accede alle risorse stanziate nei Fondi; deve essere messo nell’immediata disponibilità delle persone e viene erogato al cittadino in regime di rimborsabilità, ovvero a carico del Servizio Sanitario Nazionale. La cosiddetta innovatività potenziale o condizionata, attribuita a un medicinale (18 mesi), esclude invece alle regioni di poter accedere ai Fondi, fermo restando che anche tali prodotti che devono essere messi nella immediata disponibilità delle persone, anche senza il formale inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri regionali. (…). L’Analisi civica della Determina AIFA sui Farmaci Innovativi, attraverso una riflessione critica del nuovo modello di riconoscimento di innovatività, ha proposto il coinvolgimento di tutti gli stakeholder, Istituzioni, AIFA, Aziende produttrici, Associazioni civiche e di pazienti, nel contribuire nel processo di valutazione di innovatività, attraverso una scelta responsabile soprattutto per la vita delle persone e dei loro bisogni (di cura, di miglioramento della qualità di vita etc.), ma anche per la sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale, attraverso l’utilizzo delle risorse stanziate nei Fondi.». (Ivi, pp. 280-281).

Farmaci innovativi: alcuni dati epidemiologici e il tema dei centri prescrittori.

«In Italia, si stima che siano oltre un milione le persone con infezione da HCV, tra queste circa 300.000 risulterebbero diagnosticate; altre stime rimandano a numeri che si aggirerebbero tra 250.000 e 600.000. Secondo una recente Indagine curata dall’Associazione EpaCOnlus, il numero delle persone in Italia con diagnosi nota di epatite C e in attesa di essere curate sarebbe piu basso […]. . Inoltre, sempre secondo le stime offerte da EpaC, sono ancora circa 200.000 i pazienti da indirizzare verso una cura definitiva. C’e poi da tenere in considerazione anche quel numero di persone che non è a conoscenza della infezione da HCV; pertanto il dato conosciuto potrebbe risultare del tutto sottostimato. L’Italia risulta il Paese europeo con il maggior numero di persone positive al virus dell’epatite C; circa il 2% della popolazione italiana è entrata in contatto con l’HCV e il 55% dei soggetti con HCV e infettata dal genotipo 1. La prevalenza dell’infezione da HCV risulta più elevata al Sud d’Italia e le isole con una maggiore concentrazione nella popolazione ultrasessantacinquenne: in Campania, in Puglia e in Calabria, per esempio, nella popolazione ultrasettantenne la prevalenza dell’HCV supera il 20%.

(…). Va riconosciuto l’impegno dell’Agenzia Italiana del Farmaco sul tema dell’accesso alle terapie, attraverso l’attuazione di un Piano triennale di eradicazione dell’epatite C che dovrebbe coinvolgere circa 240 mila pazienti con HCV (80 mila all’anno); l’ampliamento dei criteri di accesso alle terapie includendo anche chi ha una doppia infezione (ad esempio HIV e HCV) e l’eliminazione della gravita/urgenza della condizione». (Ivi, pp. 295-296).

«Rispetto alle terapie oncologiche, il recente Rapporto pubblicato dall’Associazione Italiana di Oncologia medica (AIOM), dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM) e della Fondazione AIOM – “I numeri del cancro in Italia 2017”, offrono alcuni dati epidemiologici dell’incidenza delle patologie oncologiche nel nostro Paese. I nuovi casi di tumore, stimati nel 2017, ammonterebbero a 369.000; si stimano 192.000 casi fra la popolazione maschile e 177.000 casi in quella femminile. Allo stesso tempo, oltre 3 milioni di persone (3.304.648) vivono dopo una diagnosi di tumore – il 24% in piu rispetto al 2010, di cui 1.517.713 (46%) uomini e 1.786.935 (54%) donne; circa 704.000 possono considerarsi guariti. Nell’area oncologica, la ricerca farmacologica ha prodotto risultati importanti negli ultimi anni. Circa 63 farmaci oncologici sono stati lanciati tra il 2013 e il 2017 per la cura di 24 tipi di tumori. Molte di queste terapie (75%) hanno ottenuto indicazioni multiple. Il tumore al polmone, la leucemia e i linfomi risultano essere le forme tumorali per le quali comincia a essere disponibile un maggior numero di nuove terapie, secondo quanto rilevato dal Global oncology trends 2018». (Ivi, p. 301).
«Tuttavia, sono ancora poco considerati tutti quegli aspetti che potrebbero invece migliorare e facilitare la vita delle persone malate, riducendo gli ostacoli o i disagi negli spostamenti (ad esempio, per raggiungere il centro prescrittore più vicino). (Ivi, p. 296).

Uno dei nodi più critici che costituiscono ostacolo all’accesso alle cure e la mancanza di identificazione dei centri prescrittori, abilitati alla prescrizione ed erogazione di un farmaco. Accade spesso, all’indomani della pubblicazione di una Determina da parte dell’AIFA della immissione in commercio di un farmaco, che non tutte le regioni definiscano in tempi congrui i centri di riferimento».  (Ivi, p. 298). Possono influire sull’accesso alle terapie il mancato inserimento o il tempo di inserimento dei farmaci nei prontuari regionali o aziendali/ospedalieri. Esiste in generale una eterogeneità nei tempi che variano da regione in regione. Il tempo di valutazione per l’inserimento in Prontuario regionale può dipendere da ragioni organizzative, come ad esempio la frequenza degli incontri/riunioni delle Commissioni regionali di valutazione e le richieste di inserimento. Dal IX Rapporto FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e emerso che i tempi di inserimento si aggirano da un minimo di 31 giorni a un massimo di 293. L’iter che percorre un farmaco da quando l’azienda deposita il dossier di autorizzazione e valutazione presso EMA a quando diviene effettivamente disponibile al paziente necessita di un tempo medio di 806 giorni, ovvero 2,2 anni, passando a 1.074 giorni, circa 3 anni, nella Regione con tempistiche più lunghe. (…) Anche i dati raccolti dal monitoraggio civico delle strutture oncologiche italiane130, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, confermano che il tema dell’inserimento dei farmaci in prontuario e uno degli aspetti che incide nella prescrizione/erogazione delle terapie: nel 42% delle strutture ospedaliere occorrono in media 15 giorni. Ci sono poi strutture sanitarie che impiegano dai 3 ai 4 mesi (7%) e dai 4 ai 6 mesi (9%) per inserire farmaci salvavita. Inoltre, soltanto il 52% delle strutture prevede procedure per il sostegno dei costi dei farmaci non passati dal SSN.». (Ivi, pp. 303- 305).

«Stando ai dati dell’indagine, la mancanza di budget ha inciso sulla somministrazione dei trattamenti terapeutici per quasi il 20% degli intervistati, che hanno dichiarato di aver dovuto rimandare uno o più trattamenti terapeutici all’anno successivo (17%). Un ulteriore questionario rivolto ai chirurghi oncologi ha messo in evidenza che il 60,3% ha dichiarato di essersi trovato in difficoltà rispetto alle scelte da compiere in termini di impiego di tecnologie efficaci a causa del budget a disposizione. Tali difficoltà hanno riguardato in primo luogo l’attesa per l’intervento e le liste d’attesa (53,2%), in secondo luogo l’efficacia dell’atto terapeutico (42,6%) e la sua efficienza/tempestività (36,2%)». (ivi, p. 306).
«Si deve lavorare ancora molto sui servizi e sulla loro organizzazione, sulle liste d’attesa, in particolare per quegli esami necessari alla comprensione di quale terapia prescrivere; ed ancora, sui tempi di accesso alle terapie, rendendo disponibile il farmaco in tutte le regioni e ampliando il numero dei centri prescrittori, garantendo la capillarità sul territorio, l’agevole raggiungibilità (in termini di km, tempi, servizi e infrastrutture), in modo da facilitare la vita della persona malata e della famiglia». (ivi, p. 307).

«Un dato che merita attenzione e che nell’anno 2017, stando al Monitoraggio della spesa farmaceutica dell’AIFA gennaio/dicembre 2017, non sono stati utilizzati complessivamente quasi 450 milioni di euro dei Fondi per i farmaci innovativi non oncologici e oncologici e il Monitoraggio di spesa farmaceutica dei primi quattro mesi del 2018 (gennaio-aprile) evidenziano una spesa di 283 milioni in farmaci innovativi e 177 milioni in oncologici innovativi, con un trend in aumento per questi ultimi rispetto all’anno precedente, che farebbe presumere una proiezione in crescita, anche per i mesi successivi. Sul mancato pieno utilizzo delle risorse per terapie innovative attendiamo risposte chiare. Una delle domande che inevitabilmente ci si pone e se abbiano avuto accesso alle terapie tutti coloro che ne avevano bisogno. È importante che le istituzioni si interroghino: avremmo potuto garantire a qualche persona malata in più il diritto di accesso all’innovazione? Perché i fondi non spesi corrispondono a un paziente che non è stato ancora curato.
Le questioni che possono condizionare questo equilibrio sono diverse: il livello di finanziamento del SSN inadeguato rispetto ai bisogni e agli impegni assunti, i livelli programmati di spesa sanitaria pubblica, il costo delle innovazioni tecnologiche, la capacità di governo delle tecnologie, i grandi numeri della cronicità, le criticità organizzative dei servizi sanitari regionali e le profonde disuguaglianze presenti nel nostro Paese». (Ivi, p. 308).

 

Problemi dei malati di diabete.

 Per quanto riguarda i malati di diabete, «Le visite o gli esami di controllo, nella maggioranza dei casi (47,24%), deve prenotarli autonomamente, tramite cup aziendale o cup regionale (dove esiste) o altrimenti rivolgersi al privato per evitare di arrivare all’appuntamento per il rinnovo del piano terapeutico senza la documentazione necessaria. Deve, poi, ricordare tutte le visite da solo (47,3%) non essendoci un sistema di calendarizzazione degli appuntamenti. Chi fa uso di dispositivi innovativi per la gestione del diabete (40%) lo fa per lo più a proprie spese, essendo la prima voce di spesa privata per la cura della propria malattia (il 49,6%) acquista i sensori per la glicemia privatamente), con lo smacco, per di più, che lo stesso dispositivo risulta essere gratuito in altre Regioni italiane». (Ivi, p. 313). Le differenze regionali non finiscono qui. C’e chi paga un ticket sui farmaci (il 21,8%) e chi no; c’e chi ha una limitazione nella prescrizione di strisce o sensori (76,6% del campione) e chino. In tutto le persone coinvolte nell’indagine spendono in media 867 euro l’anno, ma fra questi c’e chi non spende neanche un euro e chi arriva a spendere oltre 3 mila euro l’anno.

Ciò che accomuna le persone con diabete e una burocrazia spesso asfissiante, per cui, come ci scrive un cittadino, il diabete diventa un” lavoro” usurante. Molti pazienti rinunciano a rinnovare la patente di guida a causa della frequenza del rinnovo, della lunghezza e complessità delle procedure, oltre che per i costi privati da sostenere. Tanti rinunciano a chiedere il riconoscimento di invalidità o handicap perché scoraggiati dal farlo, anche in modi piuttosto bruschi». (Ivi, p. 314). Inoltre possono incontrare difficoltà nell’ottenere ciò che serve per la cura (farmaci, dispositivi, ecc.) a causa della farraginosità della procedura e di orari, ad esempio delle farmacie ASL per il ritiro, non compatibili con il lavoro (forniture che spesso sono in ritardo o vengono perse). Ancora, difficolta per rinnovare il piano terapeutico o per ottenere il numero necessario di striscette o sensori necessari, attese infinite per le visite di controllo necessarie.

Per chi ha un bambino affetto da diabete ai disservizi già citati, si aggiungono difficolta specifiche, soprattutto in ambito scolastico, ma non solo. Il 15% dei piccoli pazienti e curato in un centro per adulti. Per il 62% dei genitori il servizio nella mensa scolastica non è adeguato, il 78% dichiara che il proprio figlio non ha partecipato, nell’ultimo anno, a corsi per la promozione dell’attività fisica, il 64% non ha ricevuto sostegno psicologico. Spesso si sconta, in ambito scolastico e in altri aspetti della vita del bambino come lo sport, una vera e propria forma di discriminazione, dovuta all’ignoranza su una patologia, invece, così diffusa. (Ivi, pp. 314-315).

Diabetici in Fvg.

In Fvg «Vengono curati 81.881 pazienti, di cui 78606 affetti da diabete di tipo due e 3275 affetti da diabete di tipo uno. Non ci sono informazione aggiornate sulla spesa sanitaria, nè sui fondi stanziati. Si sa che quasi la totalità dei pazienti segue un PDTA e che 298 sono i pazienti pediatrici, non si conosce, invece, la distribuzione dei pazienti nei diversi centri, di primo, secondo e terzo livello. Esiste una commissione regionale ed un tavolo tecnico che si riunisce una volta ogni mese o ogni due mesi.

Ancora, esiste un piano attuativo che viene continuamente monitorato, e lo stesso vale per il PDTA regionale. Esistono, ancora, tre PDTA aziendali e una rete assistenziale regionale. È presente un centro di terzo livello altamente specializzato, otto centri di secondo livello ed altrettanti di primo livello, ma entrambi non sono aperti il sabato e la domenica ed oltre le 17.  Tutti i centri sono predisposti per la gestione dell’innovazione e nuove tecnologie. I tempi di attesa per la prima visita seguono i codici di priorità. Viene registrato, inoltre, il coinvolgimento di 875 medici di medicina generale nella gestione integrata dei pazienti. Sono stati realizzati nove campi scuola per promuovere l’educazione terapeutica strutturata. Esiste un registro regionale dei pazienti. E previsto un tetto massimo per strisce e sensori, ma e possibile derogare al limite. La prescrizione e a cura dello specialista, in base ai criteri stabiliti dal decreto regionale, con distribuzione diretta. Non esiste un ticket sui farmaci.

Per quanto riguarda i bambini con diabete, esiste un PDTA specifico e interventi volti alla coniugazione del cibo con ambiente e territorio, agevolazioni fiscali e convenzioni per l’attività sportiva, oltre che percorsi multidisciplinari per il trattamento della ipoglicemia e la somministrazione di farmaci». (Ivi, pp. 319-320).

Conclusione del VI Osservatorio civico sul federalismo in sanità 2017.

«Rispetto alla spesa privata, i dati mostrano che permangono profonde differenze tra le Regioni sulla spesa sanitaria media a carico delle famiglie: 128 euro in Umbria, contro i 64 euro della Campania e i 74 euro della Calabria. Analogo quadro per la quota di ticket pro capite sostenuta dai cittadini: nel 2017 si passa dai 95 euro Valle d’Aosta e 61 euro del Veneto, ai 32,8 della Sardegna, 38,6 della Calabria e 43 euro Campania. La normativa che ha introdotto il superticket ha previsto la possibilità per le Regioni di ricorrere a misure alternative ai 10 euro sulla ricetta ma con effetto finanziario equivalente. Si sono avvalse di questa ultima possibilità 7 Regioni. Le recenti iniziative regionali volte ad eliminare o ridurre il peso del super ticket, se da una parte rappresentano una buona notizia per quelle Regioni, dall’altra riaccendono i riflettori sulle profonde disuguaglianze che caratterizzano il SSN e che rischiano di aumentare in assenza di un provvedimento nazionale di abrogazione di questa vera e propria tassa sulla salute de di utilizzo del fondo di 60 milioni, emanato per “conseguire una maggiore equità e agevolare l’accesso alle prestazioni sanitarie da parte di specifiche categorie di soggetti vulnerabili”. Agire su questo, rapidamente e secondo criteri razionali e concretamente attenti alle vulnerabilità sociali, economiche e sanitarie e fondamentale per scongiurare un Regionalismo differenziato nei diritti dei pazienti e nella loro effettiva esigibilità.

Anche sul fronte degli investimenti in sanita per ammodernare le strutture e i macchinari del SSN e renderli capaci di garantire innovazione, qualità e sicurezza, sono molte le differenze regionali nella capacità di utilizzare i fondi allocati dallo Stato. A fronte di Regioni come ad esempio Veneto, Emilia Romagna, Toscana che hanno sottoscritto il 100% delle risorse destinate, ve ne sono altre che hanno percentuali di molto inferiori come nel caso di Campania, Molise, Abruzzo, Calabria. Le risorse residue per Accordi di programma non ancora spesi sono pari a 4,102 MLD di euro. (…). Leggendo il Rapporto si puo cogliere un fenomeno generatore di disuguaglianze: la mancata traduzione di norme o atti di programmazione importanti in azioni concrete e cambiamenti tangibili della realtà, capaci di produrre quei risultati e quei cambiamenti (annunciati) utili per i cittadini in tutte le realtà del Paese. Si assiste ad un livello di capacità diversificato da parte delle Regioni nell’adeguamento e nell’implementazione dei contenuti e degli impegni previsti in provvedimenti nazionali o in accordi Stato-Regioni. (…).

Accanto all’immobilismo di alcune Regioni od alla mera adempienza formale (come nel caso della emanazione di una delibera di recepimento di questo o quel Piano, Accordo, etc.), vuota e senza gambe, assistiamo ad esempi virtuosi di altre regioni che, in assenza di un governo deciso e forte, avviano in autonomia ed in piena ottemperanza ai bisogni espressi dai cittadini, politiche efficaci, tempestive che diventano delle vere e proprie best practice da copiare, adattare, far proprie tanto al livello nazionale, quanto ai livelli regionali. (…).

Risulta necessario un esercizio diverso dei poteri dello Stato centrale e delle Regioni, nella tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, che abbia il suo baricentro nella capacita di chi meglio interpreta, tutela e garantisce quanto previsto nell’articolo 32 della nostra Costituzione. La strada intrapresa con il Regionalismo differenziato presenta, da questo punto di vista, un margine di incertezza in più, una partita aperta, di estrema attualità per gli impatti che può avere su equità, solidarietà e universalità del SSN e quindi sui cittadini». (Ivi, pp. 345-347).

Il testo del VI Osservatorio Civico sul federalismo in sanità 2017, è frutto di più autori. Il primo articolo:  “Quadro generale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)” è stato scritto da Tonino Aceti; secondo articolo: “Prevenzione: vaccinazioni e screening oncologici organizzati” è di Sabrina Nardi; il terzo, intitolato “Liste d’attesa e prestazioni sanitarie intramoenia”, è di Valeria Fava; il quarto, sull’“ Assistenza Territoriale”, non ha autore specificato, come il quinto intitolato: “ Il Piano nazionale delle cronicità”. Il sesto articolo “Farmaci: accesso all’innovazione farmaceutica” è di Alessia Squillace; il settimo: “Il diabete” è di Maria Teresa Bressi. LE “Conclusioni” non hanno autore.

Altri argomenti dalla presentazione dell’ “Osservatorio” citato.

Per alcuni argomenti trattati nell’ ‘Osservatorio’ non ho direttamente ripreso gli argomenti dal testo dello stesso, perché ho ritenuto sufficiente la sintesi presente in: “Presentazione del VI Osservatorio civico sul federalismo, in: https://www.cittadinanzattiva.it/comunicati/salute/11781-presentato-il-vi-osservatorio-civico-sul-federalismo-in-sanita.html), datata 18 ottobre 2018, come la pubblicazione del testo, presentato sempre alla stessa data. «Su tempi di attesa, gestione delle cronicità, accesso ai farmaci innovativi, coperture vaccinali e screening oncologici si registrano disuguaglianze sempre più nette fra le varie aree del Paese. E non sempre al Nord va meglio che al Sud» – si può leggere ivi.

Vaccini

 Nel 2017 sono stati spesi 487,6 milioni di euro (ben oltre i 100 milioni del fondo stanziato dalla Legge di Bilancio 2016). Si tratta del 2,2% della spesa del SSN, che ha visto un incremento del 36,6% tra il 2016 ed il 2017 (gli aumenti più rilevanti sono per l’acquisto di vaccini meningococcici e pneumococcici). Ad eccezione della Toscana, tutte le Regioni hanno presentato un incremento di spesa tra il 2016 ed il 2017. E se le regioni meridionali arrancano sull’adesione agli screening oncologici, sulle coperture vaccinali sono soprattutto quelle del Centro-Sud ad aver raggiunto la soglia del 95%.  Le Regioni che hanno raggiunto l’immunità di gregge, con una percentuale di adesione superiore al 95% per le vaccinazioni anti-polio, anti-difterica, anti-tetanica, anti-pertosse, anti-epatite B e anti haemofilus influenza B sono: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Sardegna, Umbria, Toscana. Per le vaccinazioni Morbillo, Parotite, Rosolia (MPR) solo il Lazio nel 2017 ha raggiunto la copertura superiore al 95%. Sono molto vicini al 95% Piemonte e Umbria. La copertura più bassa su MPR nel 2017, al di sotto del 90%, si registra nella PA Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sicilia.

Sul fronte delle vaccinazioni antinfluenzali siamo ben lontani dal conseguimento dell’obiettivo del 75% previsto; la media italiana dell’ultima stagione è stata il 52,7%, circa una persona su due tra quelle che avrebbero potuto beneficiarne. Vaccinano oltre il 60% degli over 65 solo 3 regioni: Umbria, Calabria, Molise. Sfiora il 60% la Puglia.

Test di screening.

Nel 2016 sono stati invitati quasi 6 milioni di cittadini a eseguire il test di screening colorettale. Al Nord gli inviti raggiungono oltre il 95% della popolazione target, al Centro oltre il 90%, al Sud si arriva a poco più del 45%. Variazioni territoriali anche per la percentuale di donne che effettua lo screening cervicale: nel periodo 2015-2016 è più alta al Nord (50,9%, con incremento rispetto al biennio precedente), scende al Centro (37,8%, in diminuzione rispetto al biennio precedente), si riduce ulteriormente al Sud (28%, ma con incremento rispetto al biennio precedente).

Stando agli ultimi dati disponibili, sono 6 le Regioni che non raggiungono il punteggio ritenuto accettabile (9) sugli screening oncologici nel 2016: Calabria e Puglia (2), Campania e Sicilia (3), Sardegna (5), Lazio (7).  Nel 2016 l’80% delle donne di età 50-69 ha ricevuto l’invito ad eseguire l’esame mammografico gratuito (oltre 3.141.894 inviti) ed ha aderito il 56%. L’invito ha raggiunto più di 97 donne su 100 al Nord, poco meno di 93 su 100 al Centro e quasi 51 su 100 al Sud.

Farmaci equivalenti.

Si consumano più farmaci equivalenti nella Provincia Autonoma di Trento, in Lombardia e nella Provincia Autonoma di Bolzano (la spesa sul totale di quella farmaceutica è rispettivamente pari al 39,7%, 37,2% e 32,9%); al contrario la Calabria (15,8%), la Basilicata (16,6% ) e la Campania (17%) hanno mostrato le percentuali di spesa più basse nel 2017.La maggior spesa e consumo per i farmaci innovativi nell’anno 2017 si registra in Lombardia (285,8 milioni di euro), Campania (201,8 milioni di euro) e Lazio (141,3 milioni di euro). Spendono meno Molise con 6,8 milioni di euro, Basilicata con 15 milioni di euro e Umbria con 23,4 milioni di euro. Aggregando i dati, il Nord d’Italia risulta l’area che spende di più (937 milioni di euro), Centro (448 milioni di euro), Sud (841 milioni di euro).

Dai dati del Monitoraggio AIFA sulla spesa farmaceutica nazionale e regionale relativo al periodo gennaio-dicembre 2017, i Fondi per l’acquisto dei farmaci innovativi (oncologici e non oncologici) non sono stati interamente utilizzati. In particolare per i medicinali innovativi non oncologici non sono stati spesi nel 2017 circa 357 milioni, più della metà del Fondo stanziato di 500 milioni; per i farmaci innovativi oncologici, non sono stati spesi circa 91 milioni dei 500 stanziati.
Nel periodo gennaio-aprile 2018, la spesa per i farmaci innovativi non oncologici risulta in lieve diminuzione rispetto allo stesso periodo del 2017, passando da 302 milioni a 283 milioni di euro. In particolare, scende in Lombardia, Campania, Puglia e Piemonte. Cresce invece in Veneto e Emilia Romagna. Cresce invece la spesa per i farmaci innovativi oncologici che passa da 110 milioni di euro a 177 milioni.

Le parole di Tonino Aceti di Cittadinanzattiva sulle proposte di “autonomia differenziata” regionale.

«Si stanno liquidando di fatto i principi di solidarietà, equità e unitarietà del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Le proposte di autonomia differenziata, attualmente in discussione, finiranno per differenziare ancora di più l’esigibilità dei diritti dei pazienti. Ad essere fortemente compresse saranno le funzioni del livello centrale, di indirizzo, coordinamento e controllo delle politiche sanitarie e dell’erogazione dei servizi. L’unica vera forma di controllo che continuerà ad essere nelle mani del livello centrale sarà quella sui conti delle Regioni».

(…). « Per questo esprimiamo tutta la nostra preoccupazione e chiediamo al Ministro della Salute l’immediata costituzione di un tavolo di confronto sulle proposte di autonomia differenziata, prima che il Consiglio dei Ministri le approvi, aperto alle Associazioni di cittadini-pazienti e alle organizzazioni rappresentative dei professionisti della salute. Il tavolo dovrebbe valutare la sostenibilità dal punto di vista dei cittadini della proposta, valutarne gli effetti rispetto ai principi fondanti del SSN e al diritto alla salute delle persone, definire i requisiti che le Regioni devono soddisfare per poter avanzare una proposta di autonomia, individuare i giusti contrappesi in termini di controllo e intervento da parte dello Stato centrale. Servono azioni per contrastare e non per aumentare le disuguaglianze in sanità. Chiediamo che sia approvata la nostra proposta di riforma costituzionale che intende ridurre le disuguaglianze in sanità restituendo centralità alla tutela del diritto alla salute nel rispetto del diritto dell’individuo,  la revisione dei criteri di riparto del Fondo Sanitario Nazionale, la riforma del sistema di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza per garantire veramente un controllo sui servizi e che sia prevista la partecipazione delle Organizzazioni dei cittadini all’interno del Comitato LEA. Urgente è l’approvazione degli standard dell’assistenza sanitaria territoriale come annunciato dal Ministero della salute e l’attuazione uniforme in tutte le Regioni del Piano nazionale cronicità oltre che un piano straordinario sugli screening oncologici organizzati. E sulla prossima Legge di Bilancio servono maggiori risorse per il SSN, oltre al miliardo di aumento già previsto, al fine di garantire l’effettiva attuazione dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza e l’abrogazione del superticket. Tutti impegni assunti dal Governo». (Testi da: https://www.cittadinanzattiva.it/comunicati/salute/11781-presentato-il-vi-osservatorio-civico-sul-federalismo-in-sanita.html).

 

Si ringrazia Cittadinanzattiva per questo ‘Osservatorio’ di grande importanza, anche se le considerazioni ed i dati stanno all’interno della logica di mutamento dell’ intero sistema, voluto in particolare dal governo Renzi, sotto cui vi è stata una svolta epocale, come in Fvg sotto Serracchiani/Telesca ma incominciato prima. Ma questa ‘rivoluzione epocale’ lascia sguarnite le zone periferiche ed i piccoli paesi di una sanità decente, anzi rischia di toglierla del tutto, e la totale  ‘informatizzazione è impossibile per gli anziani, anche per limiti fisici, costi, problemi. Non da ultimo questo testo non parla dell ‘emergenza urgenza e della criticità creatasi con l’introduzione del 112. E rimando ai miei numerosi sul sistema sanitario nazionale e regionale in fvg, su www.nonsolocarnia.info, in particolare all’ultimo mio:

Zac, zac, zac zac, taglia tu che taglio anch’io, il ssn ed il ssr sono quasi collassati? Come fermare la deriva?

Sempre su www.nonsolocarnia.info invito a leggere pure:

Walter Zalukar. Ripensare la sanità regionale.

Comunicato del Coordinamento Italiano Sanità Aree Disagiate e Periferiche.

Gianni Borghi su: “La nuova proposta per la salute in territorio montano”.

 Anziani ed informatizzazione.

L’immagine che correda l’articolo rappresenta la copertina dell ‘Osservatorio civico sul federalismo in sanità’ 2013, ed è tratta da: http://www.cittadinanzattiva.campania.it/osservatorio-civico-federalismo-in-sanita-rapporto-2013/.

Laura Matelda Puppini.

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/10/CITTADINANZATTIVA-sal_osservatorio_civico_sul_federalismo_in_sanita_2013.jpg?fit=235%2C175&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/10/CITTADINANZATTIVA-sal_osservatorio_civico_sul_federalismo_in_sanita_2013.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniECONOMIA, SERVIZI, SANITÀEra un po’ di tempo che volevo visitare il sito di cittadinanzattiva, alla ricerca di qualche informazione per me e per voi, lettori. Così qualche giorno fa ho visionato quanto pubblicato ultimamente relativamente alla sanità, ed ho trovato alcune utili informazioni, su VI Osservatorio civico sul federalismo in sanità,...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI