Senza distrarre gli astanti dall’imminente, ricco buffet, Diana Bracco inaugurò il suo stabilimento dicendo: «A Torviscosa si respira una buona aria di chimica!» Fu allora che gli operai morti inalando l’ossido di mercurio si rivoltarono nella tomba.

Dopo che il padre era stato ucciso per avvelenamento, Mitridate IV si convinse che la madre volesse riservagli la stessa sorte e decise di prendere le dovute contromisure. L’attuale stato delle cose e i veleni, non solo mediatici, cui siamo sottoposti avrebbero dovuto indurci a seguirne l’esempio e, invece, siamo più vulnerabili che mai.

Basta ricordare la recente fanfaronata divulgata a piene mani in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto cloro-soda a Torviscosa. Ebbene, “udite udite” lo scorso 14 luglio hanno inaugurato in pompa magna e con tanto di nastro tricolore tagliato dalla solita governatrice eternamente sorridente, uno stabilimento che non è in attività, o per meglio dire, qualcosa che sta ancora sulla carta: nei ‘rendering’, o come dicono a Trieste nei ‘pupoli’! Unici a bearsene, forse, gli industriali, ed il sindaco di Torviscosa, ormai immemore di essere stato eletto grazie alla rivolta di noi, ambientalisti veri, che, mandando a gambe all’aria il famigerato cementificio Grigolin, abbiamo provocato la sconfitta dell’allora presidente della Regione Illy e dell’allora sindaco Duz.

Ebbene, davanti ad una folla di sette persone, in quella farsa che non si sa chi altro avrebbe avuto il coraggio di inscenare, le uniche cose vere sono state il nastro, le forbici e alcuni provvidenziali caschetti gialli, indossati, forse, per scongiurare le possibili scariche dei piccioni sopravvissuti alle nubi tossiche. Insomma una scena memorabile, immortalata sulle pagine patinate della rivista confindustriale da Giampiero Bellucci, noto per la militanza a sostegno della TERNA e promosso a capo ufficio stampa di un elettrizzato PD regionale.

Cosicché, affidata a quelle imparziali mani, la governatrice ha potuto dar fondo al nulla: «Torviscosa oggi rappresenta il riscatto non solo del polo chimico ma di tutto il Friuli Venezia Giulia», non senza sottolineare che: «Siamo di fronte alla dimostrazione che il Paese può ancora fare chimica sostenibile e che l’industria può essere praticata pensando al lavoro, alla salute, al benessere e all’ambiente».

Ormai tutto è diventato “sostenibile”: basta che il padrone dei media “lo sostenga” e quella parola insignificante diventa immediatamente il magico passe – partout per ogni nefandezza.

Sebbene relegato fra il “folto” pubblico, anche Sergio Bolzonello ha ricevuto il permesso di esternare alcune banalità. Ma il culmine dell’orgasmo è stato raggiunto con la immancabile dichiarazione rilasciata dall’assessore Vito, che per competenza e sagacia il mondo intero ci invidia e già preme per una sua candidatura al Nobel: «Una soddisfazione -ha detto, indossando il fatidico casco protettivo- che deriva dal percorso più difficile che si poteva ipotizzare, intriso di sfide ambientali che hanno comportato investimenti complessi». Perché, secondo Vito «abbiamo vinto la sfida della sostenibilità giungendo al risanamento di aree che altrimenti sarebbero rimaste nell’oblio e abbiamo dato una risposta che apre prospettive importanti per il futuro».

Per dirla con le parole del compianto Troisi: «Non ci resta che piangere».

Ed in effetti siamo ancora esterrefatti davanti alle vicende che in un primo momento avevano portato tutti i territori antistanti la laguna di Grado e Marano ad essere inseriti in un gigantesco SIN (Sito Inquinato Nazionale), per lucrare sui disinquinamenti veri o falsi che fossero. Ma ancora più allibiti siamo rimasti il giorno in cui con un colpo di spugna e senza un motivato supporto conoscitivo ne è stata poi cancellata buona parte dal novero di quelli inquinati.

Intanto, una perizia inappellabile aveva decretato l’esistenza di uno spaventoso inquinamento da mercurio inalato per decenni dagli operai della Caffaro senza protezione alcuna e altresì finito a tonnellate nelle acque di falda.
Ne era seguita una blanda condanna dei responsabili aziendali: ridicola rispetto ai danni provocati: una condanna “libera tutti”, tant’è che il mercurio è ancora lì e tutti fanno finta di nulla, persino il NOE, l’Arpa e i progettisti dei dragaggi che giurano di non averlo rinvenuto, anche laddove l’incidente probatorio ne aveva provato l’esistenza.

Siamo alla follia, tant’è che, sebbene limitato artatamente all’area dello stabilimento Caffaro, cioè a due milioni di metri quadri, il risanamento ambientale è fermo, nonostante le fole di chi oggi afferma di aver vinto “la sfida della sostenibilità”.

 E, con buona pace di tutti, il Commissario Straordinario Caffaro in otto anni non ha combinato un bel nulla: né ha disinquinato, né ha venduta alcuna delle aree a lui affidate. Dal dicembre del 2016, poi, si è continuato a far credere di avere a disposizione 40 milioni di euro (35 a carico dello Stato e 5 a carico degli ignari effevugini) e di regalarli ad una azienda quando è del tutto evidente che non si possono assegnare soldi pubblici ad una impresa privata. Ciò nonostante si emettono comunicati trionfalistici, si tagliano nastri e adesso che è a fine mandato, la governatrice pensa già di passare la patata bollente allo Stato, oppure di ridurre senza un briciolo di giustificazione scientifica le aree da doversi bonificare. Perché basterebbe far dire al direttore dell’Arpa e all’assessora all’ambiente che le aree non sono più inquinate e il gioco è bel e fatto. Poco importa se i veleni continuano a diffondersi, basta non dirlo: basta invitare nelle audizioni chi di dovere, sentire gli ambientalisti di regime e non chi non ha paura di dire la verità; basta che la Goletta Verde non passi da quelle parti e che Sara Vito festeggi la Giornata della Terra e rivolga ai bambini delle elementari un discorsino mieloso e autocelebrativo che i giornali non tarderanno a divulgare a piene mani.

Resta il fatto che a fronte di una procedura d’infrazione avviata nel 2011, la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 2 dicembre 2014 ha condannato l’Italia per le inadempienze in materia di discariche e, guarda caso, anche per una di queste che si trova proprio a carico della Amministrazione Straordinaria Caffaro, in località Valletta. Da quella data non si è mosso nulla. Sembrano fatti di “ordinaria follia”: in realtà sono il frutto di un mix di interessi delittuosi, di complicità inenarrabili, di disarmanti incompetenze. Il trucco c’è: basta volerlo guardare perché altrimenti si assume la duplice funzione di vittime e di complici. Ma si sa che i friulani sono di bocca buona e si limitano al mugugno.

Lo si vide dopo la nube tossica del 12 settembre 1976 e ancor più dopo la imponente fuoruscita di anidride solforosa avvenuta a partire dalla notte del 29 aprile 1980. Ebbene, la gente fu convinta di essere di fronte ad un evento normale, e nessuno ne parlò alla celebrazione del Primo Maggio, e nella successiva seduta parlamentare, gli unici che presentarono un’interrogazione nel merito furono un uomo di Almirante e i radicali di Pannella. Dai parlamentari friulani nemmeno un sospiro!

Dobbiamo ammettere che non è cambiato nulla, perché, mentre il gaudio dei tagliatori di nastri veniva immortalato dai media, sul retro della Caffaro continuava ad uscire un fiumiciattolo nero e maleodorante che, quatto quatto, scorre in un fosso dove non c’è nutria, ranocchia o insetto che possa sopravvivere; un fossato che poi si interra per fuoruscire nascostamente con i suoi veleni in un affluente della tanto decantata laguna di Grado e Marano, con buona pace dell’Arpa e del NOE.

Informato da un agricoltore che la cosa era di dominio pubblico, mio malgrado, ho potuto accertare che non si trattava di un evento sporadico e che nessuno aveva voluto sanzionarlo. Allora ho pensato a Marinotti che ha fondato Torviscosa con ben altri propositi e, ricordando come la madre immerse Achille nello Stige nell’intento di proteggerlo dalla infausta sorte, ho sognato di sommergere qualche responsabile di quell’inquinamento in quel fetido fiumiciattolo: non certo per la sua, bensì per la nostra sopravvivenza.

Aldevis Tibaldi.

Ho pubblicato questo articolo per l’importanza dell’argomento trattato, non certo per offendere alcuno. L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da http://www.legambientetrieste.it/RassegnaStampa2013LugDic.htm. Laura Matelda Puppini

Chi è Aldevis Tibaldi.

Papà friulano e mamma slovena, da piccolo ha vissuto a Trieste, fino agli anni universitari. Quindi è entrato giovanissimo nella società privata Studio Geotecnico Italiano con sede a Milano e per molti anni ha girato l’Italia e il mondo, seguendo progetti ingegneristici o studiando o anche da turista, dal Sud Corea al Salvador, dagli Usa alla Turchia, dall’Iran all’Iraq. Quindi, come dirigente dell’IRI, ha vissuto a Roma per 25 anni, dal 1985 al 2000. Amante della storia del brigantaggio, ha aperto un museo ad esso dedicato, vicino a Sonnino, in provincia di Latina. Vi erano esposti libri, iconografie, e tutto quello che riguarda la letteratura sul ribellismo popolare, e organizzava ogni anno “la festa del brigante”. Ma poi ha dovuto chiudere il Museo per problemi di sicurezza delle opere. Ritornato a Porpetto per motivi familiari, ha fondato il Comitato per la vita del Friuli rurale, che si è occupato e si occupa di vari problemi ambientali: dall’elettrodotto alla Tav, dalle speculazioni sulle cave al Rigassificatore dell’Ausa Corno, al problema delle fontane.  Ritiene che il modo migliore per esser ascoltati sia parlare con la gente. (Scheda tratta da: Porpetto. Intervista ad Aldevis Tibaldi”, in: http://bassaparola.it/?p=598). Laura Matelda Puppini

 

 

 

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