Questa intervista fa parte del gruppo di interviste fatte assieme a mio marito negli anni ’70 – ’80, a carnici con vite ed esperienze diverse. Amedeo parla in ‘carnico di Rigolato’ ma ho tradotto in italiano le sue parole per i molti che non capiscono il friulano e per la mia difficoltà a scriverlo. Egli ci parla della sua vita, di socialismo, di comunismo, di cooperative, di resistenza, del 2 maggio ad Ovaro.

Adelchi Puschiasis mi racconta che Amedeo Candido era un personaggio molto rispettato per la sua integrità ed onestà. Ed aggiunge: «Ricordo che con lui e Brunello Alfarè, a cui era legato da sincera amicizia, da giovani abbiamo fatto un giro, fermandoci all’andata anche all’osteria di Chiassis, dove venne calorosamente riconosciuto dalla proprietaria. Era risaputo che durante il fascismo subiva spesso arresti preventivi, specie in occasione di manifestazioni, ecc., e che di mestiere faceva il carradore. Negli anni ’70, mi chiese in prestito la Storia della rivoluzione francese di Salvemini, che lesse e mi restituì. Era conosciuto come ‘Madeo di Mondo‘, abitava in una casetta che dava sul rio Gramulins, sulla strada che da Rigolato sale a Ramontan e Casadorno…».

Per il casellario politico centrale, Amedelo (forse erroneamente, ma è la stessa persona, ndr.) Candido, nato a Rigolato nel 1900 e residente a Rigolato, era invece solamente un comunista ammonito. (Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, Amedelo Candido – busta 997 – estremi cronologici 1926-1942).  Ma vediamo cosa ci ha raccontato ‘Madeo di Mondo’, in quel lontano 1978.

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INTERVISTA AD AMEDEO PELLEGRINA DI ALIDO CANDIDO E LAURA MATELDA PUPPINI.  

Laura, dopo le presentazioni ed i saluti, domanda informazioni sulle prime cooperative.

Amedeo: «Le prime cooperative che si sono formate in Carnia sono state create da emigranti. Emigrando, i lavoratori hanno ascoltato idee socialiste, hanno conosciuto il movimento socialista, e lo hanno vissuto, non come ora che, in particolare in questo paese, non si sente più parlare nessuno delle idee e degli ideali socialisti. E io credo che la colpa sia da attribuirsi al fatto che la gente legge poco. In particolare in questa zona si legge meno che nel resto d’Italia.
Una prima piccola cooperativa di generi alimentari è sorta a Ludaria, e poi i soci l’hanno traferita a Rigolato. Poi da Rigolato, l’hanno portata a Villa Santina, anche se una succursale è rimasta sempre qui, almeno io ricordo così.  E Villa Santina riforniva tutta la Val Degano e non solo. E dopo l’han portata a Tolmezzo. Tolmezzo, allora, riforniva tutta la Carnia, ed aveva oltre sessanta succursali. Dopo è venuto il fascismo, e i fascisti hanno dato l’assalto al gruppo cooperativo, e hanno preso il potere, e direttore è diventato Rinaldo Colledan (1), originario di Mione o Luincis, se non sbaglio.

Prima c’era Vittorio Cella, un socialista, un brav’uomo. Ma dopo, con l ‘avvento del fascismo, hanno espulso dal consiglio di amministrazione tutti i vecchi socialisti, hanno cambiato tutto all’ interno dell’organizzazione, ed i fascisti sono andati, anche lì, al potere. Comunque non è andata male per noi neppure con loro, perché Colledan era più dalla parte dei proletari che dei signorotti.

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Per quanto mi riguarda, io avevo nove anni quando mio padre è morto. Ed eravamo in sei fratelli. Ed allora, vedendo tutti i sacrifici che dovevano fare le donne, in particolare mia madre, perché, morto mio padre, non aveva entrate ed allora non c’erano assicurazioni di nessun genere, né cassa malattia, né assegni familiari, né niente, mi sono formato al socialismo un po’ da solo, e poi sotto la naja.
Sotto la naja mi ricordo che non stavo mai fermo, mi alzavo la notte e, con un carboncino, scrivevo “W Lenin” lungo le scale e scarabocchiavo dappertutto. L’indomani: “adunata”.  Ma non veniva mai fuori chi era stato, nessuno lo diceva. Anche se mi avevano visto, nessuno tradiva.

Poi, ritornato a casa, ho incominciato a leggere molto, e, un po’ alla volta, ho conosciuto le idee, e sono entrato come simpatizzante, nel Partito Socialista, perché non esisteva ancora il Partito Comunista, che è sorto dopo la scissione di Livorno, il 21 gennaio del 1921. Poi mi hanno parlato del Partito Comunista, che era, allora, appena nato, ed era un partito piccolo, che aveva forse 13 deputati inizialmente, e così ho simpatizzato per il Partito Comunista, ed ho formato, nel 1925, la sezione di Rigolato.

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A casa mia, nel 1923- ’24, c’erano sempre visite di carabinieri e controlli, e mi ribaltavano fuori la casa, e tutto quanto. Il primo maggio del 1924, poi, sono venuti qui niente po’ po’ di meno che quindici carabinieri! Ma non venivano solo da me. Quel giorno ‘Giuanut di Mas’, (Giuseppe Giovanni Pavona, pittore comunista, nato nel 1897, iscritto alla rubrica di frontiera e radiato ndr) non si trovava in casa, ed era tutto chiuso. I carabinieri hanno messo una scala e sono entrati da una finestra. Giuanut era un compagno, ed erano compagni quelli di ‘Butaciòn’ (secondo Brunello Alfarè i Buttazzoni di Baus di Ovaro ndr.), ma in quel periodo erano già emigrati e non hanno mai voluto ritornare. Infatti se fossero ritornati sarebbero finiti in galera.
Comunque non mi hanno mai picchiato perché ero comunista. Dopo che qualcuno ha fatto la spia che avevamo formato a Rigolato la sezione comunista, ci hanno chiamato alla sezione provinciale di Udine per il confino. E hanno convocato me e Fabian di Prato (Osvaldo Fabian di Pieria di Prato Carnico ndr).  E dopo una decina di giorni ci è giunto il verbale di condanna. Io ho preso due anni di ammonizione, mentre Fabian non ha avuto nessuna condanna.

Ma io sono stato condannato anche perché me la sono voluta. Tra le domande che mi fecero, vi era anche questa: «Lei, dalle informazioni che abbiamo, ci risulta essere un comunista».  E io non ho detto di no, perché non riuscirò mai a rinnegare la mia personalità. Poi ero allora abbonato a L’Unità, che era un giornale, come quello fascista, legale, ed anche noi comunisti avevamo i nostri rappresentanti in Parlamento. Ed il delitto Matteotti è stato nel giugno 1924, di preciso il 10 giugno. E poi mi hanno anche chiesto se mi risultava che si raccoglievano fondi per il ‘Soccorso Rosso’. «È un dovere aiutare i compagni» – risposi. E tutte le domande che mi fecero, inerenti al Partito, io le confermai. Perché si dovrebbe rinnegare se stessi? Perché giungere sino a quel punto? Allora cosa siamo? Non siamo nulla, allora. Dopo i due anni di ammonizione, ho lavorato un anno come prima, e hanno visto che non molestavo, non facevo del male, non facevo nulla, e mi hanno condonato il secondo.
Ma ogni volta che veniva il Re o il Principe o Mussolini in regione, ci venivano a prendere e ci portavano a Tolmezzo, in carcere, e, finché non erano rientrati a Roma, non ci lasciavano andare.

In precedenza anche in Carnia, come in tutta Italia, avevano occupato i Municipi per un giorno o due, ma non è successo niente.  L’occupazione dei Municipi fu nazionale.

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Io facevo di mestiere il ‘carador’, il carrettiere. Avevo un paio di cavalli. Li aveva acquistati mio fratello prima del 1917, ma poi siamo andati profughi, ed anche lui è venuto con noi. Un cavallo è morto allora, e così siamo rientrati a Rigolato con una bestia sola, ma poi ne abbiamo acquistata un’altra. Ma poi, nel 1921, anche mio fratello è morto ed io ho dovuto rilevare la sua attività. Vi erano, dopo di me, altre due bambine da sfamare, ed una delle mie sorelle aveva due anni e l’altra sei, e si viveva tutti in casa. Tre fratelli, invece, avevano superato i 15 anni. Ma poi la famiglia ha avuto la disgrazia. Mio fratello, mentre stava demolendo una casa, a San Candido, è caduto, e si è sfracellato. Lo hanno portato all’ospedale, ma lui, invece di stare lì, è scappato ed è venuto a piedi a casa. Così non abbiamo potuto, come famiglia, prendere nulla nemmeno da lui. Ed è morto nel 1921, per complicazioni a seguito di quell’incidente. Mio padre era già morto, mia madre si arrangiava con la campagna, e teneva due mucche. E prendeva in affitto quasi tutti i terreni per lavorarli. Ma una cosa era l’affitto, una cosa la mezzadria. E qui lavoravano anche per un terzo: due terzi al padrone e uno a loro, ma mia madre non ha mai lavorato in quelle condizioni. Qui c’erano quei tre o quattro magnati … e il fascio più grande di fieno doveva andare nella loro stalla, il più piccolo restava a chi lavorava … e vi erano anche imbrogli da ogni parte.

Comunque io ho lavorato con i miei cavalli fino circa al 1927 o ‘28. Poi li ho venduti e sono andato con D’Agaro. Lui trasportava con il camion, e io nelle strade più difficili con i cavalli, che erano suoi ed io ero dipendente.
Trasportavamo anche la roba che veniva dalla Cooperativa Carnica di Tolmezzo. E fino a Rigolato arrivava il camion, ma poi, per raggiungere Collina o Givigliana, intervenivo io. Ma trasportavamo anche sabbia, tronchi, e lavoravamo per le ditte, per esempio per Umberto De Antoni, ma anche per altri. Non facevamo però il trasporto di persone, ma solo di merci. Le persone utilizzavano la corriera, che era, fra l’altro, più veloce. A noi, per raggiungere Tolmezzo, poteva servire anche una giornata intera. Infatti i camion erano residuati bellici della prima guerra mondiale, e non erano usciti quei camion grandi che si vedono anche ora, e allora c’era lavoro per tutti. Ma poi, dopo la seconda guerra mondiale, sono usciti quei mastodonti che potevano venire sino a Rigolato con il rimorchio. Mentre un tempo i camion salivano solo fino a Comegliàns.

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Per quanto riguarda il Partito Comunista, è sempre stato in contatto con tutti, anche con il Partito Socialista. Ed ogni sezione aveva le sue attività, la sezione di Rigolato aveva le sue attività e quella della Val Pesarina le sue. E c’era una sezione del Partito Comunista ed una Partito Socialista in ogni comune della Carnia. E nelle sezioni si faceva attività. Per esempio quando ero del Partito Socialista, un obiettivo era la conquista dei comuni, perché volevamo dirigere le sorti del paese, dopo la prima guerra mondiale. Ma poi, nel 1926, è giunta la dittatura fascista. Nel periodo fascista siamo stati perseguitati, ed anche stare in contatto fra di noi era difficile. I fascisti avevano le spie, che stavano attente a tutto quello che facevamo noi, perseguitati. Però devo dire che durante il fascismo non ho avuto problemi per lavorare. Per la verità hanno cercato di farmi perdere il lavoro perché ero comunista, ma non ci sono riusciti perché lavoravo con privati, non lavoravo per lo Stato o per un Ente Pubblico.

Ero allora con D’ Agaro, e trasportavo merci a Sappada, a Forni Avoltri, ecc.. Ho lavorato per D’ Agaro dal 1927-’28 in poi».

Amedeo Candido. Immagine gentilmente fornita da Sabrina Zanier, nipote.

Alido chiede ad Amedeo informazioni sull’ attività della sezione del P.C.I.  di Rigolato.

Amedeo: «Io distribuivo l’Unità e poi avevamo anche altri giornali che diffondevamo, per esempio ‘don Basilio’ (giornale periodico satirico, contro le parrocchie di ogni colore ed anticlericale, uscito dal 1946 al 1950, molto popolare. Crf. http://www.galantara.it/Ricerche/argomenti/Unsecolodistampasatirica_Pellegrino.pdf. Ndr.).  Ma non sotto il fascismo. Sotto il fascismo ci trovavamo nei boschi. Ci davamo appuntamento nei pressi di Sostas, (Sostasio ndr.) e giungevano anche i compagni di Canàl, della Val Pesarina, e di Ravascletto e veniva agli incontri anche un rappresentante della Federazione di Udine per parlare con noi, della Val Degano, della Val Pesarina, della Val Calda.

Io, poi, con il mio carro, portavo anche viveri ai partigiani. I viveri li portavamo sempre su noi, ma poi la situazione ha iniziato a farsi seria perché eravamo pedinati, a causa delle spie. Mi ricordo una volta che abbiamo caricato, a Chiassis, 30 quintali di grano, e 15 ne abbiamo portati a Margò (località vicino a Povolaro di Comeglians ndr), e 15 a Rigolato. E l’indomani siamo ritornati a Villa Santina con un carico di tavole, e abbiamo saputo che a Chiassis i cosacchi avevano svaligiato l’intera casa dove avevamo caricato il grano. A quel povero diavolo i cosacchi avevano rubato tutto, persino il fieno per le mucche». 

Vi era poi anche l’Ors di Pani che aiutava i partigiani. Egli era un contadino che stava dietro l’abitato di Muina, o meglio fra Muina, Raveo ed Enemonzo. I partigiani si incontravano lì e lui dava loro animali per mangiare, che venivano pagati, ed è stato davvero buono. E ci tengo a precisare che i partigiani non hanno rubato, ma hanno pagato.
Qui c’erano molti garibaldini mentre a Forni Avoltri c’era un gruppo della Osoppo comandato da un prete. (Era il battaglione Fedeltà, guidato da Pasquale Specogna, ‘Beppino’ e da don Ascanio De Luca ‘Aurelio’. Ndr.). Qui i partigiani erano tutti giovani, ma non erano tanto ben comandati. E forse per questo non sono riusciti a lavorare tanto bene.  E la gente, finché distribuivano burro li applaudiva, ma quando hanno iniziato a toccare i loro interessi, non lo ha fatto più. E dicevano che mentre la gente aveva fame, loro mangiassero pastasciutta condita tre volte quel che serviva, e che rosicchiassero. (Queste però paiono più dicerie paesane del dopoguerra antipartigiano. Ndr).

Io comunque portavo generi alimentari da Villa Santina e Chiassis a Rigolato, e poi venivano a ritirarli i partigiani qui. Ed il grano proveniva da paesi oltre il Mont da Rest, e veniva trasportato attraverso Mont da Rest e Dauda. I partigiani scendevano la sera a prelevare ciò che era per loro, e lo portavano nei loro nascondigli. Noi lo scaricavamo nelle cantine del Municipio, che era un po’ fuori mano, e loro lo ritiravano lì. Allora era il tempo della Zona Libera, e qui era stata eletta una amministrazione socialista, anzi social – comunista. Ma poi sono arrivati i Cosacchi, ed allora abbiamo ripreso a far tutto clandestinamente. Comunque abbiamo continuato ad aiutare i partigiani: li abbiamo sempre aiutati in ogni modo.

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Poi, nel 1944, c’è stata la spedizione germanica. Sono giunti dalla parte di Fleòns. E prima di tutto hanno fatto razzia a Forni Avoltri, ne hanno catturati 20 lassù, (hanno preso lì 20 ostaggi ndr), poi sono scesi qui, a Rigolato, ed hanno dormito nella scuola, ed hanno catturato anche qui una ventina di persone. E poi hanno formato una carovana e si sono allontanati per Valpicetto, Calgaretto, e sono andati a finire a Prato Carnico.
Ma, lungo il tragitto per Calgaretto, disgraziatamente, hanno visto tre partigiani in una stalla, sotto la strada. Così i tedeschi sono andati giù e prima hanno preso il padrone della stalla, poi i partigiani. Ed erano tre, e li hanno interrogati, e poi li hanno messi contro il muro, legati, assieme al padrone della stalla, e li hanno ammazzati tutti quattro. I tre partigiani erano originari di Fusea, e li abbiamo sepolti qui, a Rigolato. E solo in un secondo tempo i parenti sono venuti a prendere i loro corpi.
E la colonna di fornesi e rigoladotti catturati dai tedeschi ha poi proseguito per Meduno, ed è stata più volte attaccata dai partigiani lungo la strada, ma i tedeschi non hanno avuto grosse perdite, forse un morto o due in tutto, fra tedeschi e partigiani».

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Alido e Laura domandano che politica faceva Umberto De Antoni ai tempi del fascismo.

«De Antoni prima era con i fascisti, come tutti, ma poi sia egli che altri industriali hanno capito che si dovevano aiutare i partigiani, perché la guerra stava andando verso la fine ed i tedeschi avevano ormai perso. E così hanno concordato con Comitato del Cln di versare un tot per cento per ogni metro cubo di legname, come forma di aiuto alla resistenza».

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«Mi chiedete sul 2 maggio ad Ovaro. Qui ormai tutti i comuni erano occupati dai ‘mongoli’ (in friulano mongoi, termine con cui in Carnia si indicavano i cosacchi ndr.). E laggiù, ad Ovaro, prima i partigiani (osovani, btg. Canin ndr.) hanno fatto saltare la caserma dei Cosacchi a Chialina, e lì sono morti 8 o 10 di loro, che sono stati sepolti a La Patussera dove c’era a quei tempi il cimitero. Allora gli altri mongoli si sono chiusi, rinserrati, nel Municipio. E i partigiani credevano che si sarebbero arresi, invece hanno tenuto duro finché è arrivato il grosso dei cosacchi che salivano, ritirandosi, da Villa Santina e andando verso l’Austria, perché la guerra era finita. E questi cosacchi hanno circondato Ovaro. Una parte è salita per il tragitto della tranvia, e dalla tranvia è scesa giù, verso la chiesa, e hanno bloccato un gruppo di giorgiani che era passato con i partigiani. E un altro gruppo di cosacchi ha raggiunto Muina, passando per Cella, ed ha circondato tutto il Comune. E se non ci fossero stati i giorgiani sul ponte con la mitragliatrice a sparare all’impazzata, chissà quanti ovaresi sarebbero morti! E quei poveri giorgiani sono morti tutti 8 sulla mitraglia, e sono stati sepolti nel cimitero di Forni Avoltri.

Ed infine i mongoli si sono ritirati senza che nessuno li toccasse. Poi, da che so, i cosacchi hanno attaccato gli Inglesi, che hanno fatto intervenire la loro aviazione, e l’aviazione li ha scompaginati sino a Mauthen, ed i cosacchi hanno dovuto arrendersi. E gli Inglesi (come da accordi internazionali ndr.) avevano l’ordine di consegnare i cosacchi ai russi, prima ed in particolare i grandi Ufficiali, e Krasnov è stato impiccato sulla piazza rossa di Mosca, ed era egli che comandava l’armata, ed aveva posto la sua sede a Verzegnis. (Nella realtà era Domanov che comandava ndr)».

Laura chiede se i partigiani dell’ultima ora, fra cui De Antoni, potessero aver desiderato attaccare ad Ovaro i cosacchi senza rendersi conto dei problemi reali, e solo per mettersi in mostra, come alcuni narravano, ma Amedeo risponde che non lo sa. «Io non ero presente – afferma –  e non posso dire se ciò sia vero o meno, proprio non lo so». 

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Laura chiede come si siano trovati poi, a Rigolato, dopo la guerra, e che problemi avessero in paese.

Amedeo: «Dopo la guerra si sono fermati tutti i lavori. Ormai le segherie non vendevano, perché prima fornivano gli eserciti germanici, ma poi… e così gli operai si sono trovati quasi tutti disoccupati. E hanno dovuto varcar la frontiera ed andare in Francia a trovare lavoro. Ma se avessero avuto lavoro qui, non ci sarebbe stato bisogno di emigrare, perché meglio che a casa propria non si sta bene in nessun posto.

Certamente nei lavori pubblici era più facile che trovasse lavoro un democristiano che un socialista o un comunista, ma questo accadeva per i lavori che dipendevano dal Governo, e questo accadeva anche sotto il fascismo. Nella cartiera di Tolmezzo, poi, ci vogliono ancora, al giorno d’oggi, raccomandazioni per entrare, mentre invece ad Ovaro erano quasi tutti di Ovaro e qualcuno era di Prato, e non c’entrava la politica nelle assunzioni.  A Tolmezzo era una situazione diversa, contava più la politica.

A Rigolato, poi, i padroni prendevano chi comodava a loro, e non aveva potere alcuno neppure il prete, nelle assunzioni. Prendevano gli operai che erano più bravi e che rendevano di più, non andavano a guardare l’appartenenza politica. A loro interessava la produzione. Comunque pochissimi, nel secondo dopoguerra, lavoravano qui, a Rigolato.

Poi hanno costruito, a Valpicetto, il canale della Cartiera di Tolmezzo, e qualcuno in più ha trovato occupazione, ma molti hanno dovuto andare all’estero. Poi, nel 1952, hanno iniziato ad allargare la strada da Comeglians fino a Forni Avoltri, perché prima era larga solo un metro, un metro e cinquanta – due in certi posti, e molta gente ha trovato lavoro per fare questo. Ma per il resto, non c’erano lavori di sorta, qui, nella Val Degano! E nelle altre valli della Carnia era la stessa cosa.

Andavano emigranti anche passando le montagne. Noi siamo espatriati da soli, siamo andati in Jugoslavia nel 1949, perché là c’era lavoro quanto ne si voleva!  E io avevo trovato lavoro come muratore, e lavoravo con Nadda. All’inizio eravamo in tre del comune di Rigolato, poi sono venuti altri tre. Eravamo in sei ad esser andati in Jugoslavia, e ci siamo trovati là. Ma c’erano uomini da ogni parte della Carnia accorsi per il lavoro. Ce n’erano da Piano d’Arta, da Paluzza, ce n’ erano che venivano da ogni parte! E là non strozzavano la gente come qui, ma non si poteva mandare i soldi a casa, perchè eravamo espatriati illegalmente, e quello sarebbe stato importante, ma non si poteva spedire nulla. Solo quelli che erano andati in Jugoslavia attraverso i Sindacati Unici di Trieste (2), che collaboravano con quelli della Jugoslavia, potevano farlo. Noi siamo invece espatriati così, perché ormai avevano chiuso la possibilità di andar a lavorare là. Ma noi abbiamo provato comunque ad andare in Jugoslavia, perché per andare in Francia bisognava raggiungere il Piemonte per varcar la frontiera, ed il viaggio era lungo. Invece qui abbiamo attraversato la frontiera su Mangart, e poi ci siamo recati alla polizia jugoslava, che ci ha permesso di cercare lavoro. Ce ne erano tanti che espatriavano per lavorare in Jugoslavia, allora! Mentre in Austria erano mal messi, come noi. L’ unica via era la Francia. In America, se richiedevano mano d’opera potevi andare, altrimenti no.

In Jugoslavia sono stato un anno. Ma quando siamo ritornati ci hanno presi a Gorizia e messi dentro in collegio (modo per definire la prigione. Ndr.).  E lì abbiamo fatto 10 giorni, e ci hanno fatto molte domande e poi ci hanno mandati a Gadl (?) con un foglio di via, ma noi non lo abbiamo usato. Avevamo soldi da soli. Ma poi ci hanno chiamato a processo a Pontebba per espatrio clandestino, e ci hanno condannato, ma ci hanno dato la condizionale, senza l’iscrizione al casellario giudiziario. Avevamo un avvocato, “un ca l’ere un cjochela”, che ci ha domandato 200 lire per ciascuno! Sicchè anche quello si è preso i nostri soldi.

Poi ho lavorato sempre qui. Un po’ ho lavorato nel bosco, perchè il commercio del legname, delle tavole di legno, era un po’ ripreso. E quel po’ di lavoro è durato sempre, ma poco, ed io, poi, nel 1955, sono andato in Svizzera, dove ho fatto sei stagioni, fino al 1960. Poi sono andato in pensione. E poi sono ritornato a lavorare nel bosco, e mi sono fatto male al ginocchio. E si lavorava per privati perché i comuni non avevano soldi e non sapevano neppure dove andarli a prendere, e ne avevano abbastanza solo per riuscire a pagare le spese amministrative. Ed erano ben pochi i lavori che un comune poteva assumere.

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Per quanto riguarda la Cooperativa Carnica, nel secondo dopoguerra è diventata socialdemocratica. E di ciò hanno risentito le filiali perché al giorno d’oggi (1993 ndr), ci sono negozi che vendono alcuni generi quasi più a buon mercato della cooperativa. Ma guai che non ci fosse la Cooperativa!

Laura chiede cosa è accaduto nel 1949 alla Cooperativa, quando viene chiesto l’aumento delle quote sociali. Si forma in quell’occasione un comitato, di cui fa parte anche Fermo Solari, che sostiene che in questo modo si cerca di estromettere la base povera dalla Cooperativa, che non aveva, nel dopoguerra, la cifra per pagare l’aumento della quota sociale, visto che ogni azione sarebbe passata da 100 a quattrocento lire.

Amedeo: «Queste sono tutte bugie. Perché poi il tribunale, anziché duecento lire per azione, l’ha portata a 5000 lire, e molti di loro non hanno pagato quella cifra non perché non li avessero, ma perché non capivano perché avrebbero dovuto pagare tutti quei soldi. Era una questione di interesse, perché davano il 5% mi pare. Però quelli che non erano soci comperavano la merce allo stesso prezzo dei soci, e non valeva certo la pena ai soci di spendere di più in azioni. Comunque è il tribunale che ha deciso di portare a 5000 ogni azione, ma non so perché».

Laura chiede se sa di una assemblea della Cooperativa, tenutasi nel 1948 o ’49, dove si dice che per non far votare i socialisti ed i comunisti della Val Degano e della Val Pesarina, che non sostenevano certo Sylva Marchetti, Cleva ecc, non si siano fatte passare le corriere sul But, e non hanno permesso che raggiungessero Tolmezzo.

Amedeo: «Mah, non so, ma io credo che non sia vero. Piuttosto gli industriali qui hanno fatto pressione presso gli operai per far votare la lista di socialdemocratici al consiglio di amministrazione, ma non che abbiano fatto altro. Questi socialdemocratici erano legati al mondo industriale, perché Cleva, che era mi pare il Presidente della Social democrazia, era anche un industriale, anche se non tanto grosso. Il più grosso industriale in Carnia era Umberto De Antoni. Ma sia Cleva che De Antoni avevano influenza nel mondo carnico.

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 Alido chiede che rapporto vi era tra padrone ed operaio sotto De Antoni. E parla dell’ incidente sul lavoro avuto da suo padre, e del fatto che, essendosi rifiutati quelli che erano a lavorare con lui, di testimoniare, aveva perso tutto: pensione e riconoscimento di infortunio sul lavoro. 

Amedeo invece dice che, secondo lui: «Questo non può essere vero. Perché il padrone, se l’operaio ha un infortunio, non ha nulla da perdere. Una quota della cassa viene pagata da noi lavoratori, una quota dal padrone, sicché è l’assicurazione che paga, non l’industriale. Altrimenti, se vi è un infortunio, cosa stanno a fare le assicurazioni? E negli anni cinquanta c’erano». Alido però ribadisce che a suo padre è accaduto così, anche se Amedeo pare non credere proprio al racconto fatto, ma forse i boscaioli stavano lavorando ‘in nero’ o senza le dovute sicurezze, ed un motivo per non voler dichiarare l’infortunio ci doveva essere, anche perché poi la madre di Alido non ha avuto pensione alcuna e l’incidente non è stato riconosciuto neppure dalla cassa malati. Comunque Amedeo dice che negli anni cinquanta c’erano le assicurazioni anche se «Sulle marchette ci tradivano. Perché tanti operai non sapevano, ed andavano a lavorare ma i padroni non mettevano le marchette per la pensione».

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Laura chiede cosa pensi della Comunità Carnica, e del perché il suo compito di portare un certo benessere in Carnia sia fallito. E chiede cosa abbia fatto la Comunità Carnica per il comune di Rigolato.

Amedeo: «La Comunità Carnica, organizzata così, non ha fatto niente. Aveva organizzato più comuni ma ha dimostrato di non aver fatto niente».

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Laura chiede come mai in Carnia vi fossero tanti comunisti e socialisti, che avevano anche combattuto durante la resistenza per un mondo migliore, e poi si sia finiti così. Poi, dopo la Liberazione, ci sono state diverse amministrazioni rosse. Ma poi tante di queste amministrazioni non sono riuscite ad avere un vero e proprio potere, e quindi a fine mandato, sono diventate democristiane. E molti socialisti e comunisti sono spariti o sono tornati nell’ombra. Tanto che quelli che ora hanno 27-30 anni, finchè non sono andati all’ Università ed hanno in qualche modo studiato queste cose, neppure si sognavano che in queste zone ci fosse stato tanto fermento. E sia la Comunità Carnica che molti altri enti, quando noi eravamo piccoli e giovani, erano in mano a democristiani, e noi non sapevamo niente di quanto era accaduto, e nei paesi si è perso tutto un dibattito sociale e politico. Ed ormai la gente si perde in beghe e beghette, e in notiziole, mentre un tempo c’era una vitalità diversa. Perché la situazione, in 30 anni di vita mia, è cambiata in questa maniera, tanto che la mia generazione stenta a credere che certe cose siano esistite?

Amedeo: «Ma, intanto, nella Democrazia Cristiana sono i grossi monopoli che comandano, e i monopoli tengono dure le redini, per loro conto, e tutelano i loro interessi. Ed i social – comunisti, poi, un po’ alla volta, mentre prima si erano un po’ invaghiti di far questo e quest’altro, vedendo che non riuscivano ad ottenere niente, si sono persi d’animo, perché tutti li bloccavano. Chi comandava li bloccava. E così i capi socialisti e comunisti si sono ammutoliti, hanno perso l’audacia che avevano prima, e la classe operaia non si interessava di niente, come non si interessa neanche adesso. Perché adesso, secondo Lei, si interessano di qualcosa? Adesso si interessano di football, sport e basta, non del loro avvenire. E le montagne vengono spogliate tutte quante, per mancanza di lavoro, mentre gli abitanti vanno verso le industrie, dove lavorano d’estate e di inverno, nei grossi centri. E ora, anche se vanno all’ estero, vanno a lavorare sempre, non stagionalmente. E non hanno bisogno di andare e tornare con la valigia come una volta, come facevano, un tempo, i nostri padri e zii. Ora la gente va e non torna più. Per esempio a Givigliana, di tre o quattrocento persone che erano, ora sono ridotte in cinquanta, Ed anche a Ludaria hanno fatto lo spaccio della Cooperativa e via avanti, ma se dovessero farlo oggi, non lo farebbero».

Con queste amare considerazioni si chiude l’intervista ad Amedeo Candido, comunista di Rigolato.

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Sono riuscita, un paio di giorni fa, a raggiungere Brunello Alfarè, grande amico di ‘Medeo di Mondo‘, che mi ha confermato l’amore di Amedeo per la lettura, tanto da farsi imprestare volumi universitari e per la discussione sui temi di attualità. Egli descrive Amedeo come una persona schiva, che sapeva ribattere in modo intelligente su questioni politiche e sociali anche al medico, e che aveva custodito, durate la dittatura, gelosamente, i numeri dell’Unità del 1924- 1925, nascosti all’interno di una damigiana posta in un stavolo in montagna sotto il fieno. Egli si ricorda, però, che detti numeri avevano solo l’elenco delle sottoscrizioni e del denaro ricevuto, ma nessun articolo, perché censurati.
Inoltre rammenta che Amedeo gli raccontava che poteva muoversi, forse dopo l’ammonizione, solo per un raggio di 20 chilometri dalla residenza, e che quando passava con i cavalli, portava con sé un ‘sapin’ con cui rompeva, se poteva, le insegne ed i simboli fascisti.   

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Precisazioni di Sabrina Zanier, parente di Amedeo, in data 30 marzo 2018.

Gentile Sig.ra Laura,
mia nonna, Maria Candido, era sorella di Amedeo, ed era l’ultima di  11  figli, alcuni dei quali venuti a mancare molto piccoli.

Mia nonna nacque nel 1907  mentre Amedeo nacque il 30 marzo del 1900. Il padre di Amedeo e di mia nonna si chiamava  Candido Raimondo, da cui il soprannome di “Mondo”, e lavorava coi carri e coi cavalli facendo il trasportatore, strada seguita, poi, da Amedeo. Un giorno del 1909, Mondo, prima di partire per il lavoro, salutò la moglie e la figlia più piccola sull’uscio di casa, baciandola. Da allora, non lo videro più e la mattina seguente lo trovarono morto, non si sa per quale causa, sotto il suo carro, lungo la strada che passa inferiormente all’abitato di Ovaro.

Per la famiglia da allora la vita divenne molto più dura. Mia nonna si sposò dopo i trent’anni a Ludaria con Fiorello Pellegrina mentre suo fratello Amedeo, con cui mantenne sempre un fortissimo legame, continuò ad abitare da solo, con i suoi libri ed i suoi ideali nella casa sul “borc”.

Sabrina Zanier.

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Chiudo questo nuovo ritratto, sottolineando l’importanza di ricordare persone con la loro storia, che hanno narrato la loro vita, che sarebbe stata perduta se non ci fosse stato un registratore a fissarla. Colgo l’occasione per ringraziare oltre Brunello Alfarè, Adelchi Puschiasis, ed in particolare Sabrina Zanier, ma anche AVF Nimis, che ha riportato su CD le mie registrazioni su cassette non certo di eccelsa qualità.

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L’immagine che correda l’articolo è stata scattata dal fotografo Giuseppe di Sopra, detto Bepo di Marc, di Stalis di Rigolato, e rappresenta un particolare di un interno familiare realizzato con autoscatto nella sua casa. Da copia per schedare.

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Note:

(1) Rinaldo Colledan, geometra, fascista della prima ora, fu anche direttore dell’Amministrazione provinciale udinese, carica che ricopriva sicuramente nel 1933,  membro del consiglio provinciale dell’economia, assieme ad Antonio Volpe, e del consiglio di amministrazione della Banca del Friuli. (Andrea Leonarduzzi, Storiografia e fascismo in Friuli. Partito, gruppi dirigenti, società, 36, e Gazzetta Ufficiale del Regno di’ Italia 5 maggio 1933).

(2) Dal maggio 1945 al febbraio 1956 esistettero i Sindacati Unici, poi trasformati nella nuova Camera Confederale del Lavoro. (http://biblioteche.comune.trieste.it/Record.htm?Record=19319026157911372089&idlist=2). Per ulteriori informazioni sulla Nuova Camera Confederale di Trieste, cfr. Istituto Livio Saranza – Trieste. Nicoletta Guidi e Paola Ugolini, Nuova Camera Confederale del Lavoro di Trieste (1945- 1969), 2006).

 

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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