Riporto qui le due parole che ho letto stamane all’incontro promosso da Fridays For Future – Carnia, per far riflettere su vissuti, non solo su teorie o su quello che accade chissà dove.

«Mi chiamo Laura Matelda Puppini ed ho 69 anni ed ho una convinzione: è ora di finirla di parlare di ambientalisti e non ambientalisti, perché tutti dobbiamo pensare al nostro ambiente di vita e dobbiamo avere cura della madre terra, in generale e nel nostro piccolo.
E oggi qui voglio parlarvi di quanto ho visto mutare nel tempo, nel tempo della mia vita intorno a me, perché non serve dire molto sul clima, basta osservare, registrare, leggere.

Se uno è vecchio come me, ricorda inverni freddi e pieni di neve: nel 1978 quasi un metro a Tolmezzo, che impensierì coloro che vivevano in prefabbricato, che erano i più, a causa dei tetti piatti che si potevano sfondare con il peso, e rese felici i bambini che pregustavano palle di neve e discese con gli slittini.
Ora a Tolmezzo ed in Carnia non nevica quasi più.

Quando ero bambina le stagioni si alternavano regolarmente, e, all’inizio della primavera, mia madre riponeva nell’armadio i nostri cappottini, i pantaloni pesanti (che faceva indossare anche a me bimba sotto il grembiule di scuola perché non avessi freddo), e tirava fuori gli abiti per la primavera estate.
Così mi ricordo che, per la festa dell’ulivo, andavo a messa a Santa Caterina di Tolmezzo con una gonnellina, i calzini, le scarpine di vernice, una camicetta ed un golfino. E gli abiti invernali restavano riposti fino all’ autunno.
Poi il clima incominciò a cambiare, e mi trovai costretta, verso gli anni Ottanta forse, a lasciare a portata di mano il giaccone invernale fino a giugno. E so che mi chiesi perché questo stesse accadendo. Prima pensai che fosse un caso, che fosse accaduto qualcosa solo quell’anno, e che non si sarebbe ripresentato più, ma non era vero.

Mi ricordo pure che, un giorno di agosto, mia cognata Mina mi portò all’esterno della sua casa a Rigolato e mi disse di guardare il bosco bandito di Gracco. Le forti piogge prima, la siccità poi, avevano portato il bosco a prendere i colori dell’autunno prima del tempo, e gli alberi si presentavano parzialmente spogli.
“Guarda – mi disse. Ma cos’è successo? Non ho mai visto gli alberi in agosto così!” Le risposi che il tempo era cambiato, che il clima non era più quello di una volta.

E con il variare del clima e delle caratteristiche stagionali, abbiamo perso pure acqua, cultura, ritmi di vita, certezze.
A giugno le spighe del grano sono mature, diceva la mia maestra Pia Copetti, e ce lo faceva imparare a memoria. Ma ora non siamo più neppure sicuri di questo: non nevica d’inverno, le mezze stagioni non esistono più, sbalzi termici giornalieri creano problemi al nostro fisico. E non si vedono più, nei cieli di Tolmezzo, le rondini giungere in primavera ed andarsene in autunno. Aspettavamo sulla terrazza di casa Plozzer quei passaggi di gruppi infiniti di uccelli, e parallelamente mio nonno o mio zio ci dicevano che le rondini ritornavano dall’ Africa o ci andavano, ed a noi pareva che facessero un viaggio infinito, quasi impossibile. E per chi non ha la mia età forse quello che racconto pare una favola.

Un tempo le valanghe si presentavano preferibilmente in primavera, con il disgelo, la montana dei Santi era una ricorrenza che metteva i brividi quando si trasformava in alluvione, le piogge si presentavano dopo ferragosto ed alle stesse seguivano le giornate fresche dei primi di settembre, che lasciavano il posto al grigiore autunnale ed al freddo ed alla neve. E poesie, motti, detti, scritti attività economiche facevano riferimento alle stagioni con le loro variazioni climatiche e con il loro ripetersi. Per esempio: “La pioggia d’agosto rinfresca il bosco” non era solo un modo di dire.

Pensate alla canzone di Giorgio Ferigo intitolata “Il timp”, e come essa ricordi questo trascorrere codificato: Il tîmp a l’ere il tîmp dai barâcs …. Il tîmp a l’ere il tîmp dai sclopons … Il tîmp a l’ere il tîmp dal mujârt … Il tîmp a l’ere il tîmp das radîš … Il tîmp a l’ere il tîmp da giuligna … (Ed era il tempo dei pruni, ed era il tempo dei fiori, ed era il tempo dell’ultimo fieno, ed era il tempo delle radici, ed era il tempo della brina …).

Inoltre non si era mai vista in Carnia una invasione di zecche tutto il tempo dell’anno. Anzi quando ero bambina non si vedevano neppure le zecche, se non forse qualcuna sul pelo di un cane, ma il cane aveva facilmente pulci non zecche.
Il clima è cambiato scriveva Giorgio Ferigo su un giornaletto parrocchiale, e le zecche ci sono un po’ dovunque perché il gradiente geotermico è aumentato di un grado, e esse sopravvivono a lungo, più a lungo di prima e si moltiplicano più facilmente.

E l’acqua dolce tende a diminuire non solo per l’insipienza umana, ma anche perché il clima sempre più caldo ne fa evaporare troppa. E meno acqua c’è più problemi ha ed avrà l’umanità, compreso quello che i corsi d’acqua, ridotti a rigagnoli che scendono a tratti nel loro alveo grazie a centrali e centraline, non permettono l’umidificazione dei suoli, non lavano possibili veleni concentrati, non ‘sciacquano’ la terra, non lasciano vivere i pesci, nel loro ecosistema alterato.

Dobbiamo fermare questa catastrofe naturale, ma non è semplice, perché disastri e desertificazioni sono stati effettuati dall’uomo, con le sue monoculture, con le sue dighe, con le sue emissioni di co2. Per questo è importante che giovani e meno giovani possano aiutare la terra a vivere, per il loro domani e il loro futuro.

Grazie a tutti coloro che si trovano in questa piazza, e grazie a Greta Thunberg.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna il testo è un particolare di una tratta da: https://www.friulioggi.it/carnia/fridays-for-future-carnia-interviste-esperti-clima-15-luglio-2020/. LMP.

 

 

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