Scrivevo nel 2011 al Messaggero Veneto, che pubblicava l’ 8 agosto, una lettera che avevo intitolato, polemicamente,: Aspettando Robin Hood, che qui riporto parzialmente, relativa all’ aumento dell’ IVA, più marcato sui generi di prima necessità.
«Leggo sul Messaggero Veneto del 26 luglio 2011 l’articolo “Mazzata su pane, pasta, salvi i beni di lusso” e vengo presa dal “solito” sconforto. Nulla di nuovo sotto il sole, a quanto pare, nessuna ipotesi alternativa a livello di progettualità economica se non una manovra fiscale che agisce sui più poveri e sulle necessità vitali che sono alimentazione e salute.
La novità è che, con questa manovra economica, si ipotecherà il futuro, perché le mancate agevolazioni fiscali partiranno dal 2013, quando l’attuale governo sarà, probabilmente, in pensione e le cosiddette sinistre avranno la maggioranza di governo. A loro, quindi, spetterà il tagliare “responsabilmente” pan e gaban a chi ha come obiettivo la sopravvivenza e donare ai ricchi pellicce, automobili di lusso e quant’ altro.

Non ci sono alternative possibili e tutto si asciugherà con il solito “ i sacrifici li facciamo tutti e sono per il bene del paese”? Quante volte, noi sessantenni, abbiamo sentito ripetere queste frase? E dopo esserci imposti sacrifici cosa vediamo ora?

I problemi della popolazione, devono venir affrontati, secondo me, in un’ottica globale che ponga il welfare comune come obiettivo economico fondamentale. Per fare questo, a mio avviso, bisogna nuovamente introdurre un calmiere sui prezzi dei generi di prima necessità, sui prezzi dei trasporti che pubblici più non sono ma sono sovvenzionati con soldi pubblici, sulle spese per lavori “pubblici” spesso non indispensabili, dando priorità alla necessaria manutenzione e tagliando gli sprechi. Una oculata stesura dei bilanci di previsione annuali di regioni, comuni e quant’altro, un taglio degli enti realmente inutili e di alcuni privilegi, la sovvenzione prima delle opere necessarie poi di tutto il resto, potrebbe portare ad un risanamento della situazione economica in Friuli Venezia Giulia come altrove.

Ma se le scelte economiche statali e regionali non avranno “come fondamento il bene comune” e come riferimento, le “generazioni future” a cui consegneremo il nostro territorio e la nostra economia, quali condizioni di vita prevediamo per i nostri figli e nipoti? Ma ora intorno a me non vedo proposte concrete, non vedo una progettualità sostenibile, vedo un andare avanti con il mettere pezze ora qui ora là, senza cercare di modificare qualcosa in un sistema che mostra tutte le sue falle».

Incontro Emma,  che vive in Grecia da una vita. Mi dice che ora anche per le classi meno povere la vita si è fatta difficile, mi parla di tasse insostenibili, di prezzi che salgono, di debiti europei che non si possono coprire. E non c’era ancora il governoTsipras, che forse ha avuto anche nella classe media più di un elettore. E penso a quanto simile alla situazione greca sia quella italiana, segnata dalla precarietà del lavoro e dalla mancanza di qualsiasi certezza.

Poi sfogliando distrattamente il Messaggero Veneto leggo i dati sulla povertà che avanza in Friuli, e lo sconforto sale. Come siamo diventati così “terzo mondisti”? Eppure quando ero giovane (anni ‘60) l’Italia aveva industrie ferrovie, si guardava con fiducia al futuro… mio padre mi insegnava ad essere orgogliosa di questa Nazione, anche se vi era anche allora qualche neo… ma poi… e penso ai diamanti padani ed alle feste romane, agli scandali che non indignano neppure più, alla CoopCa carnicissima anche nel consiglio di amministrazione, ed a tante altre situazioni, ai soldi pubblici passati a finanziare privati, attraverso mille rivoli. Non mi sento più neppure di leggere Il Fatto Quotidiano o certi articoli del Messaggero Veneto, come quello che riporta i dati della C.I.S.L. sulla povertà regionale che si teme possa raggiungere le 100.000 persone. Sono tante, sono tantissime. (Michela Zanutto, L’ allarme della Cisl: centomila le persone a rischio povertà, in: Messaggero Veneto 22 gennaio 2015).
E mi torna improvvisamente alla mente l’immagine di alcune anziane signore di Trieste, che andavano a prendere i resti della verdura al mercato, il sabato sera, per poter mangiare, tanti anni fa.
Vorrei credere al domani, per i miei figli, per mio nipote, ma sto diventando nichilista a quasi 64 anni.

«La povertà, d’altra parte, può essere relativa o assoluta. – leggo su Demos – Non avere soldi per comprare cibo è sicuramente una condizione di indigenza assoluta. Nella società contemporanea, però, anche non potersi garantire le condizioni necessarie per stare all’interno della comunità può costituire una forma di povertà. Secondo gli ultimi dati Istat, nel Nord le famiglie in stato di povertà assoluta sono il 5.5% mentre quella relativa tocca il 6.2%. Guardando più specificatamente dentro alla povertà relativa, vediamo che questa condizione riguarda circa il 6% delle famiglie del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia e il 4% di quelle della provincia di Trento.

Fin qui i dati dell’Istat. Oltre a questi, però, è centrale comprendere quale sia la percezione che le famiglie hanno di loro stesse. Secondo quanto rilevato da Demos, nel Nord Est è il 4% degli intervistati a dichiarare di vivere agiatamente, mentre il 41% definisce il proprio stile di vita tranquillo. Alcune difficoltà vengono percepite dal 37%, mentre il 15% arriva a fine mese con molti problemi. Poco più del 2%, infine, si dichiara povero. (Natascia Porcellato, Povertà: dal nord est tanti segnali di difficoltà, in:www.demos.it/a00932.php).

Ma già in gennaio l’immagine che si aveva della popolazione italiana non era delle migliori. Infatti, secondo dati recenti, rispetto all’ Europa, l’«Italia è sempre più povera: la crisi economica sta opprimendo sempre più i cittadini del nostro paese, con Meridione e Isole ad avere il triste primato delle difficoltà ad arrivare a fine mese. Una ricerca condotta dal Centro Studi della Cna mostra dati allarmanti: 17,3 milioni di italiani si trovano in condizioni di disagio economico e a rischio povertà (i dati fanno riferimento alla fine del 2013), con il 28,4% della popolazione a rischio (…). Una condizione che fa dell’Italia uno dei peggiori paesi europei: messi peggio di noi nell’Ue c’è solo la Grecia con il 35,7% di persone a rischio povertà. In una condizione simile alla nostra c’è la Spagna con una percentuale del 27,3%, mentre Regno Unito, Germania e Francia vantano numeri decisamente migliori (rispettivamente 24,8%, 20,3% e 18,1%).
Analizzando i dati durante tutto il periodo della crisi economica, si nota come è aumentato di 2,23 milioni il numero di italiani con un tenore di vita al di sotto della soglia di povertà (reddito inferiore al 60% di quello medio)». (Redazione giornalistica, Crisi, Italia sempre più povera: 17 milioni a rischio povertà, in: www.impiego.eu/).

Ora si spera su quel reddito minimo garantito, per garantire la sopravvivenza. E calmierare i prezzi dei generi di prima necessità, e la spesa farmaceutico – sanitaria e dei trasporti e servizi, spesso privatizzati e quindi fuori controllo? Ma questa è altra storia. Quando ero piccola erano calmierati… Non sappiamo mai imparare dal passato?
Laura Matelda Puppini

Laura Matelda PuppiniECONOMIA, SERVIZI, SANITÀSenza categoriaScrivevo nel 2011 al Messaggero Veneto, che pubblicava l’ 8 agosto, una lettera che avevo intitolato, polemicamente,: Aspettando Robin Hood, che qui riporto parzialmente, relativa all’ aumento dell’ IVA, più marcato sui generi di prima necessità. «Leggo sul Messaggero Veneto del 26 luglio 2011 l’articolo “Mazzata su pane, pasta,...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI