Nel lontano 1980, come ho già scritto presentando l’intervista a Marino Ambrosio, alcuni lavoratori della Cartiera di Tolmezzo, con gran coraggio per i tempi, mi concessero un’intervista sulla vita in fabbrica, per l’articolo scritto insieme a mio fratello Marco, intitolato: “Movimento operaio e sottosviluppo alla Cartiera di Tolmezzo”, in Qualestoria n.1, febbraio 1981, dedicato a Fabio Cinausero, deceduto poco dopo averci narrato la sua storia lavorativa in cartiera.  Questo è quanto mi hanno narrato il Signor Carlo Capiaghi e la sua signora, Susanna Vidoni, che hanno dato, pure, un’importante testimonianza sul lavoro femminile nella fabbrica tolmezzina.

Carlo Capiaghi e sua moglie Susanna abitavano a Chiaulis di Verzegnis, ed è lì che mi hanno ricevuto per parlarmi del loro lavoro e della loro fabbrica. Ed ho iniziato questa interessante intervista, dopo qualche minuto rompi ghiaccio, di presentazione e per metterci a nostro agio, chiedendo alla signora Susanna qualche informazione sul lavoro femminile in cartiera, argomento poco noto. 

Lei diceva, signora, che c’erano 60 donne che lavoravano alla Cartiera di Tolmezzo …

Signora Capiaghi: «Eh, sì. Nel 1954 lavoravano in Cartiera sessanta o settanta donne e tante ragazze. (1). Lavoravano sul piazzale, all’aperto, nella cernita dei rifili. E ci saranno state 40 ragazze di 14 anni, ed altrettanti ragazzi di quell’età. Poi, con il passare del tempo, quel tipo di lavoro venne fatto con le macchine, e, gradatamente, dopo selezione, le donne furono passate al settore ‘allestimento’ (2), e ne saranno rimaste una ventina di sessanta o settanta che erano prima sul piazzale.
Le donne, però, non lavoravano in tutti i reparti, ma solo in quello ‘carta’ (3) all’imballaggio dei rotoli, ma alcune sono state impiegate anche al reparto uno, quello dove c’erano le trance. Lavoravano anche sulle trance, le donne. E portavano anche trafili, non come adesso che ci sono i nastri trasportatori.
Nelle cartiere oggi hanno dei macchinari che hanno portato ad eliminare molto personale. Anche il lavoro si è modernizzato».

Come era organizzato il lavoro verso la fine degli anni cinquanta?

Carlo: «I reperti erano quelli che sono oggi, solo che vi era carenza di personale. Inoltre avevamo anche una macchina in meno: non c’era la terza macchina, ma mancava anche manodopera.

Io sono entrato in cartiera nel 1958. Allora eravamo in 500 a lavorare lì, invece ora (4), in cartiera, ci saranno 220 – 230 persone in più a lavorare, benché sia stata messa la terza macchina. Infatti il timore era che, dotandosi la cartiera di questo nuovo macchinario, eliminassero ancora operai, senza tener conto che più macchine ci sono più operai ci vogliono. E così si è verificato con la terza macchina, e 200 famiglie hanno potuto avere una persona al lavoro.

I turni erano come adesso per gli operai della fabbrica, tranne che per quelli della manutenzione. Gli operai lavoravano sei giorni alla settimana, ed i turni erano. Dalle 6 alle 2 del pomeriggio, dalle 2 del pomeriggio alle 10 di sera, dalle 10 di sera alle 6 del mattino. Insomma si lavorava su tre turni. E si faceva una settimana al mattino, una al pomeriggio ed una di notte. Poi, però, quando per gli operai sono state ottenute le 40 ore di lavoro settimanali, hanno dovuto mettere un turno in più, per coprire le esigenze della fabbrica. E ora gli operai fanno due giorni al mattino, due al pomeriggio e due di notte.

Ogni reparto aveva un suo caporeparto, ed all’allestimento c’era una donna capa- reparto. E nel reparto ‘carta’, c’erano i capo-reparto legname, che svolgevano una funzione di assistenti, e lavoravano anche loro a turni».

Si lavorava a cottimo od a premio di produzione? Che tipologia di lavoro c’era alla Cartiera di Tolmezzo?

Carlo: quando sono entrato io a lavorare il cottimo non esisteva.

Signora Capiaghi: È stato inserito nel 1958, quando ho iniziato a lavorare io. Ed è stato tolto quando mi hanno spostato dall’’allestimento’ ai rotoli, per castigo. Ed ho fatto lì due anni. Mi hanno spostato perché io ero contraria al cottimo. E allora, visto che dicevano che avevo una capacità di convincere altre persone a fare come me, mi hanno allontanato da quel reparto, e mi hanno messo al reparto rotoli, dove il lavoro era davvero più pesante.

Ora hanno le macchine anche lì, ma prima c’erano donne, tra cui io, che facevano anche i carichi sulle macchine. Sa come facevamo? Caricavamo un rotolo sulla carriola, passavamo alla pesa e poi al montacarico, e quindi si portava alla macchina. Certe volte ci aiutavano gli uomini, ma tante volte facevamo noi donne quel lavoro da sole.
Però noi donne lavoravamo a giornata. Adesso anche le operaie fanno i turni, ma lavorano dalle 6 alle 2 del pomeriggio o dalle 2 del pomeriggio alle 10 di sera. E le donne non hanno mai lavorato di notte».

Laura chiede se fosse previsto il premio di produzione. Carlo: «Mi pare che fosse previsto per chi lavorava sulle macchine».

Era stato inserito in cartiera anche il sistema ‘tempi e metodi’ cioè il cronometraggio dei tempi di produzione, definiti sulla base di tabelle standard?

Carlo: «Sinceramente, c’erano i cronometristi che cronometravano quanta carta poteva fare un operaio. Ma questa, per me, è una cosa assurda, sbagliata, perché se funziona bene la macchina si produce carta, ma se non funziona bene, non si fa carta».

Laura dice che questo sistema era già stato criticato, fin dal suo sorgere, all’estero, in Inghilterra. Lì gli operai erano scesi in sciopero contro l’introduzione di questo metodo, perché dicevano che non tutti i giorni sono uguali, e che se un giorno si riusciva a fare quanto richiesto nei tempi definiti, un altro giorno ciò diventava difficile e non si riusciva a fare il previsto, anche per motivi fisici legati alla persona. (5). Inoltre, continua Laura, nel lavoro a catena, uno che interviene nel montaggio, può rallentare i tempi di un altro, che interviene dopo di lui. «Ma, – dice sempre Laura rivolgendosi al signor Carlo – pur con questi limiti, mi conferma che il sistema ‘tempi e metodi’ veniva usato in cartiera a Tolmezzo»?

Carlo: «Sì, lo usavano. E venivano i cronometristi per la maggior parte da Milano, perché allora c’era la ‘Pirelli’ e li mandavano loro direttamente. Però non erano presenti in ogni settore di lavoro: non c’erano sul piazzale, ma invece c’erano sui rotoli e nel reparto ‘allestimento’. In ‘allestimento’, nel reparto donne, dove facevano la cernita della carta e preparavano le risme, controllavano in particolare il conteggio dei fogli.
Ma per la verità vi è stato un periodo in cui il controllo con cronometro è stato presente anche nel reparto macchine ‘continue’. (6). Ma ciò è durato poco, perché hanno capito che non valeva la pena di fare questo».

Laura chiede se gli operai non si fossero mai opposti all’ introduzione del ‘tempi e metodi’.

Signora Capiaghi: «Io le dico che ero contraria questo modo di lavorare, perché venivo sempre cronometrata».
Carlo: «Gli operai se ne fregavano un po’, perché dicevano che tanto era sempre la macchina a lavorare, e “tanto la macchina va, tanto si produce”».
A questo punto interviene la signora Susanna che dice che, finché si trattava di lavorare sulle macchine si poteva pensare così, ma per chi lavorava in altri settori era diverso.

«Ma – continua Carlo – se capitava un guasto alla macchina, l’operaio addetto perdeva un quantitativo di carta in produzione, e si accorgevano. Perché la carta veniva pesata tutta. Però non gli trattenevano sullo stipendio la minor produzione».
Susanna: «Se uno produceva di più, davano di più a fine mese (7), ma non hanno mai tolto dallo stipendio».

Carlo: «Bisogna considerare però che la fabbrica teneva conto anche della rottura di una macchina, intendiamoci. Perché il cronometrista, se vedeva che la macchina era ferma, si interessava, chiedeva cosa era successo. E magari era da cambiare una presa od un pezzo, e allora il cronometrista calcolava anche i tempi, le ore per aggiustare o sostituire un pezzo o una presa.
Per esempio i cronometristi calcolavano anche il tempo per cambiare un feltro (8), e questo l’ho visto io. A parte il fatto che i cronometristi cercavano di non farsi vedere troppo. Stavano in parte con il cronometro e calcolavano quanto tempo ci voleva per mettere su un feltro. Ma anche in questo caso non è tutto prevedibile. Perché se tutto va bene un feltro si cambia in un’ora, faccio per dire, ma quando va male … E poi, quando si cambia un feltro, c’è anche il lavoro di manutenzione. (9). In genere c’è molto lavoro di manutenzione sia nel cambio del feltro sia nel cambio della tela: c’è sempre qualche cosa da sistemare».

Laura chiede se in genere erano più duri con le donne che con gli uomini.  

Carlo e Susanna confermano.  «L’ ‘allestimento’ – dice Susanna – è stato certamente il reparto più duro e più controllato. Era una cosa insopportabile. Perché non era un giorno, non era una settimana, erano mesi e mesi di controllo. Lì c’era sempre un cronometrista». 

Laura chiede quante pause avessero nelle otto ore di lavoro.
Carlo: «Guardi però che io no ho mai lavorato a turno. Io faccio il meccanico in manutenzione».

Lavorando a giornata, erano previste delle pause, per una sigaretta, per esempio?

 Susanna: «No erano 8 ore di lavoro continue. E quelli che erano sulle macchine dovevano mangiare lì».

Carlo: «No, no, non vi erano pause, e ti davano solo il tempo per andare a mangiare, da mezzogiorno all’una, mezz’ora a testa. E anche adesso quelli che lavorano sulle tre macchine, mangiano lì. Ed ora hanno messo anche i tavolini per il pranzo. E ci sono tre macchine a ciclo continuo, e uno va a prendere il mangiare per gli altri. Perché questi operai non possono andare in mensa a mangiare, salvo che non ci sia una fermata della macchina, perché magari devono cambiare qualche pressa proprio nel momento del pranzo, dalle 11 all’1 del pomeriggio. E nel 1958 era vietato dappertutto in cartiera fumare, mentre adesso hanno messo i posti fumo».

Susanna: «In ‘allestimento’ non si poteva neppure parlare.  Le donne, sul lavoro, dovevano stare in silenzio, altrimenti fioccavano le multe».

Carlo: «Ma quello che parlava non stava mica delle ore a parlare. Perché se stava troppo a parlare, e lo vedeva un capoguardia, uno rischiava anche il licenziamento. Ma se uno si fermava a parlare magari per motivi di lavoro, mica gli mettevano un lucchetto in bocca! Invece si poteva sempre andare ai servizi».

Susanna: «Noi donne avevamo solo due gabinetti per noi, e dunque ci si arrangiava».
Carlo: «In quegli anni c’era carenza di servizi igienici, mentre adesso hanno fatto pure le docce, e ci sono più gabinetti di allora. Ed ora c’è anche l’acqua calda, che allora non c’era, e ci sono i lavabi, e ci sono gli specchi, oltre che le docce. E ogni reparto ha i suoi servizi, i suoi bagni, e ci sono ovviamente più gabinetti e servizi per gli uomini che per le donne».
Susanna: «Però una volta i gabinetti per gli uomini erano all’esterno. Poi, nel 1958, hanno incominciato i lavori per montare la macchina 2, la seconda macchina. E in quell’occasione hanno fatto gli spogliatoi nuovi, hanno costruito i gabinetti interni, ma prima del 1958, queste cose non c’erano».

Laura chiede a Carlo la sua esperienza come membro della commissione interna della cartiera.

Carlo e Susanna: «Allora erano tempi che, se si era con il sindacato, non si poteva mica tanto parlare, non ci si poteva mica tanto far vedere. Perché se uno era di idee contrarie, se non veniva magari licenziato, però era malvisto». Carlo: «E si facevano di  quegli scioperi dove metà operai restavano fuori, metà entravano a lavorare. In quegli anni era così, forse anche per non farsi vedere».  Susanna: «Avevano paura di essere licenziati. Quelli erano momenti in cui … Adesso se ne fregano».
Carlo: «Adesso anche troppo. Allora c’era sempre quello che aveva paura di perdere il posto. Io sono entrato a far parte della Commissione interna nel 64’- ‘65, ma non mi ricordo l’anno di preciso, ed ero della Cgil. Prima erano commissioni interne per modo di dire.  Perché c’era anche quello che era della commissione interna, ma non faceva sciopero ed entrava a lavorare.

Non vi erano donne in commissione interna, che c’erano solo uomini. In seguito, però, ma non mi ricordo di preciso l’anno, hanno cominciato ad includere in commissione anche qualche donna. Qualche donna, però, prendeva parte agli scioperi.
Laura chiede se vi fossero anche persone che lavoravano nello stesso reparto,  che andavano a riportare alla direzione quando dicevano gli operai.
Carlo: «Quelli ci sono sempre stati, e sempre ci saranno, e non si potranno mai eliminare»

Quindi Carlo continua: «La nostra commissione interna, quella di cui ho fatto parte, è stata un po’ il fulcro in cartiera, perché prima c’era una commissione interna per modo di dire. Ma ai miei tempi c’era già un direttore con cui si poteva discutere di tante cose. Quando io sono entrato in cartiera era direttore Poma, poi, quando Poma è andato via, è subentrato come direttore il dott. Isola, con cui si poteva parlare, si poteva trattare come commissione interna. Veniva dalla Toscana, ed era una brava persona. Sotto di lui, noi operai abbiamo incominciato ad ottenere tanto, ed anche il lavoro andava molto bene, meglio di prima. Però il dott. Isola dava, ma anche pretendeva. Ma ci ha dato la maggiorazione, con passaggio di categoria ed aumento di paga. Perché allora c’erano diverse categorie, fino alla settima o ottava, però poi, piano piano, le abbiamo fatte sparire».

La signora dice che in precedenza, quando lei lavorava in cartiera, si giungeva solo fino alla terza categoria, e così era difficile superare un tot di stipendio, però le donne venivano pagate meno degli uomini, come viene confermato anche da suo marito.
Carlo: «Neppure ora le donne vengono pagate come gli uomini, anche se ci sono le parità di diritti».

Susanna: «La diversità di paga c’è sempre fra uomo e donna, perché dipende anche dal tipo di lavoro svolto. Io il secondo anno che ho lavorato in cartiera, sono passata alla prima categoria, mentre prima avevo la seconda. Perché in allestimento erano contemplate solo queste due categorie. Invece sui rotoli, e per altre mansioni, c’era anche la terza categoria. Ma la paga, se a lavorare era una donna, era inferiore a quella di un maschio. E si poteva, come donne, diventare caporeparto. Ma si poteva anche passare da operaia ad intermedia e quindi ad impiegata. So che è successo in due o tre casi, senza però che avessero un titolo di studio adeguato alla mansione».

Carlo: «È stata dura i primi tempi in commissione interna, anche perché si aveva a che fare con la gente carnica, che aveva una mentalità molto diversa dalla nostra della Lombardia (10), perché io sono comasco. Ed all’inizio abbiamo fatto fatica come commissione interna e nell’azione sindacale. Ma poi piano, piano, abbiamo incominciato a raggiungere maggiore credibilità, ed abbiamo ottenuto anche l’aumento delle categorie. E sia noi di Tolmezzo che quelli della cartiera di Moggio abbiamo iniziato anche ad informarci fuori dal nostro mero luogo di lavoro,e siamo stati in parecchie fabbriche come la nostra a vedere la situazione, e Santellani è andato fino a Bologna. E sulla base di tutte le informazioni ricevute, sono stati proposti anche contratti migliori.
Infatti un miglioramento nella condizione lavorativa degli operai è avvenuto sia attraverso i contratti sia attraverso l’introduzione di macchinari moderni, perché all’inizio, ai primi tempi della cartiera, non c’erano macchinari moderni. Insomma più miglioravano i contratti, più si modernizzavano i macchinari, più miglioravano anche le condizioni di vita degli operai».

Comunque la commissione interna aveva il compito di cercare di conoscere tutti gli aspetti della vita lavorativa in ogni reparto, e, ai tempi in cui ero io nella stessa,  si è cercato di porre al suo interno uno per reparto. Praticamente per la manutenzione ero io, per l’allestimento era Santellani, etc. etc. Questa scelta permetteva di avere maggior controllo su cosa succedeva all’interno della fabbrica e di poter parlare con gli operai. Perché noi della manutenzione, come vuole che andassimo a chiedere ad un conduttore di macchine, come andavano le cose … Invece chi lavorava nelle macchine a ciclo continuo poteva parlare facilmente dei problemi del reparto con gli altri, con cui formava una specie di gruppo. E quando ci trovavamo insieme, allora si discuteva dei vari aspetti della vita in fabbrica per proporre miglioramenti.

Avete trattato mai, come commissione interna, il problema della salute in fabbrica?

Carlo: «Uno dei reparti più a rischio per la salute era quello dell’ipoclorito, perché lì hanno delle sostanze che sono nocive. Lì lavorano con il cloro, con il bisolfito, e per la salute …. Poi, però, questo reparto è stato dotato di aspiratori … Il reparto elettronici, che non so se Lei abbia mai sentito nominare, dove hanno lavorato anche parecchi di Cavazzo Carnico, era invece quello per cui abbiamo lottato di più. Ed era forse il 1968- 1969 – 1970, ed abbiamo ottenuto delle modifiche che sono state realizzate.
Il reparto è stato arieggiato di più, sono state messe delle tubazioni e delle valvole più sicure, perché prima questo reparto lasciava un po’ a desiderare.

Però in 22 anni che lavoro in Cartiera, gli incidenti sul lavoro diciamo così, gravi, sono stati pochissimi, ma c’è nelle fabbriche sempre qualcuno che si prende dentro un braccio, per esempio … Sul lavoro succede.
E un ambiente di lavoro può essere pericoloso, ma si deve pure stare attenti, anche se un incidente può capitare comunque, anche se si pone attenzione. Per esempio uno mi pare di Somplago ha perso la gamba quando si è rotta la bobina, ed è stato uno degli incidenti più gravi di cui abbia sentito».
Susanna: «Ci sono stati diversi incidenti, da che raccontavano, ma non nel reparto ‘allestimento’. Anche se in quei tempi in ‘allestimento’ non c’erano macchine, per esempio taglierine per le risme, insomma non c’erano tutte quelle macchine elettroniche che ci sono adesso».

Carlo: «Quando sono entrato io in cartiera, il reparto manutenzione aveva 32 operai, e adesso, con tutto “quel po’ po’ di roba che hanno fatto” siamo sempre in 32. La manutenzione non ha proprio perso posti di lavoro». 

Orari di lavoro e ferie per chi lavorava nel settore manutenzione, e alcuni aspetti di vita femminile.

Carlo: «Da quando mi ricordo io, nel periodo delle ferie degli altri, noi della manutenzione abbiamo sempre lavorato. È quello il periodo in cui noi dobbiamo sgobbare di più. E noi della manutenzione prendevamo e prendiamo anche adesso ‘ferie spezzettate’. Certamente quando uno ha bisogno di qualche giorno di ferie le prende, ma non nel mese di agosto se è della manutenzione, e ora può prendere anche il mese intero per andare al mare, per esempio. Ma anche un tempo chi era in ferie era in ferie. Certamente poteva succedere che, se sapevano che uno era a casa in ferie ed avevano bisogno di lui, gli chiedessero se poteva venire a fare un lavoro di manutenzione, ma era difficile. Invece in quegli anni, noi della manutenzione ci chiamavano spesso di notte, perché c’era poco personale e non avevano un meccanico manutentore di notte, mentre adesso anche in manutenzione ci sono 4 persone che ruotano, e quindi uno è in servizio anche nel periodo notturno.
Possono chiamare più persone solo se avviene un guasto molto grosso.  Perché se sono piccolezze, un manutentore meccanico  può risolvere il problema da solo, ma se succede qualcosa che implichi tanto lavoro, uno da solo non ce la fa».

Laura domanda alla Signora Susanna se prima di assumere una donna, in cartiera, come in altri luoghi di lavoro, le chiedessero se una era sposata o se era incinta. La signora Susanna dice di no, e che se una donna era incinta, aveva poi il diritto di stare a casa e rientrare seguendo le norme del tempo. E se una, agli ultimi mesi di gravidanza, diceva che certi lavori non riusciva a farli, la spostavano a mansioni meno pesanti. Ma anche se eri a terzo mese, e non potevi per esempio lavorare più ai rotoli ti spostavano.  «E io – continua Susanna – ero incinta mentre lavoravo in cartiera del primo figlio, e ero ai rotoli, ma mi hanno spostato all’ ‘allestimento’ solo poco prima di rimanere a casa per il periodo consentito dalla legge. E quando ero io in cartiera, cercavano gioventù».

Susanna racconta di quando l’hanno licenziata …

È successo così. Io avevo chiesto un mese, perché avevamo con noi mia suocera che era ammalata, che doveva restare a letto per oltre un mese. E qualcuno doveva accudirla. Così ho chiesto di restare a casa per vedere di lei un mese, e me lo hanno rifiutato. In un primo momento ho presentato domanda di ferie, ma mi sono state rifiutate perché era il mese di maggio, e mi hanno detto che le ferie andavano da giugno a giugno. Ma questo non era vero, perché io le ferie le avevo sempre fatte a scaglioni, perché, in quegli anni, la cartiera non chiudeva i reparti nel mese di agosto e così le ferie si facevano quando uno aveva bisogno.

E così mi hanno rifiutato le ferie. Allora ho chiesto un permesso di un mese, ma me l’hanno rifiutato. Ma io non sapevo come fare e sono rimasta a casa ugualmente, e dopo un mese mi è giunta la lettera di licenziamento. Allora mi sono presentata all’ ufficio competente, quello del personale, ed ho rifiutato di firmare il licenziamento dato dalla fabbrica per assenza dal posto di lavoro.

Poi sono andata con Carlo dai sindacati, ed ho spiegato l’accaduto. Così è andato a finire che mi sono licenziata io, perché una cosa è essere licenziati dalla ditta, una cosa licenziarsi. Perché se la fabbrica ti licenzia, lo fa per demerito tuo, e ti dà il benservito. Però devo dire che, dopo che mi sono licenziata, mi hanno pagato tutto il dovuto. E, grazie al sindacato, mi hanno dato anche qualcosa in più». 

Quali rapporti fra Cgil e Cisl all’ interno della fabbrica?

Carlo: «Nelle manifestazioni e nell’attività sindacale noi e la Cisl (11) siamo sempre stati uniti, e siamo sempre andati d’accordo» (12). «Ma prima – precisa Susanna – vi erano sempre lotte fra gli uni e gli altri. E i sindacalisti che erano dalla parte dei comunisti non entravano nemmeno in fabbrica, che io sappia».

Carlo: «Insomma Guerrino Gabino (della Cgil) non poteva neppure mettere piede in fabbrica, mentre Vinicio Talotti (della Cisl) sì. E Talotti, prima di essere sindacalista aveva anche lavorato in cartiera, ed era, diciamo così, più al corrente della vita della cartiera di Gabino, che non sapeva tante cose perché veniva da Cave del Predil. Non conosceva i macchinari all’interno, mentre Talotti aveva una certa pratica dell’ambiente».ù

Con queste parole termina la registrazione, anche se sono sicura che poi ci siamo fermati ancora un attimo a parlare. Grazie a Carlo e Susanna, per questo spaccato di vita e lavoro in fabbrica.

Laura Matelda Puppini.

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Note.

(1) Anche Lucia Cella, poi partigiana, con il nome di battaglia Mira, lavorava in cartiera, ma nel gennaio 1944, il che significa che la nota fabbrica occupò subito dopo esser sorta, anche personale femminile.  (“Mira” sui monti la libertà, a cura d Ferruccio Tassin, Circolo Ricreativo Sportivo Filodrammatico Versa, 2014, p. 33)

(2) Settore allestimento di una cartiera: quello in cui si svolgono tutte quelle operazioni effettuate sul nastro carta, che lo trasformano in prodotto finito: riavvolgimento, taglio, imballaggio, eccetera. (https://www.ufficio.eu/industria-cartaria-storia).

(3) Non lavoravano nel carico e nello scarico, non lavoravano nel reparto cellulosa, non lavoravano nel reparto chimico.

(4) Nel 1980.

(5). Il sistema ‘tempi e metodi’ a lungo andare sfiniva l’operaio, vissuto solo come una macchina.

(6) Vengono dette ‘macchine continue’, le macchine che producono a ciclo continuo.

(7) È fatto noto, confermato anche dal sindacalista Cgil Guerrino Gabino, che in cartiera si lavorasse a cottimo.

(8) Nel ciclo produttivo della fabbricazione della carta attraverso l’utilizzo di macchine continue, una parte rilevante del ciclo viene svolta da tele di formazione, feltri umidi e tele di seccheria in gergo chiamate “vestizioni”. Le vestizioni sono dei tessuti, e in quanto tali prodotti su telai industriali. (Nicola Bertocchini, Progettazione e produzione di tele e feltri per macchina continua, Scuola Interregionale di tecnologia per tecnici Cartari Istituto Salesiano «San Zeno» – Via Don Minzoni, 50 – 37138 Verona, in: www.sanzeno.org.).

(9) Per cambio di un feltro, cfr. Nicola Giuliani, Vestizione della macchina continua per carte patinate, Scuola Interregionale di tecnologia per tecnici Cartari – Via Don Minzoni, 50 – 37138 Verona, pp. 16-18, in: www.sanzeno.org.

(10) Capiaghi non era originario del Fvg ma era lombardo, se ho ben capito, comasco.

(11) La Cisl fu fondata il 30 aprile 1950 a Roma, dopo la vittoria della Dc alle politiche, e nacque dal progetto di contrapporre un sindacato moderato a quello di sinistra della Cgil.

(12) Qui Carlo Capiaghi si riferisce alla fine degli anni sessanta.

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Per la cartiera di Tolmezzo cfr. anche: “Marino Ambrosio: la mia vita alla cartiera di Tolmezzo. Intervista di Laura Matelda Puppini, 15 aprile 1980”, in: www.nonsolocarnia.info.

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://anpi-lissone.over-blog.com/article-15972146.html, e mostra operai in sciopero. L.M.P. 

 

 

 

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