Sono andata ad ascoltare …

Sono andata ad ascoltare l’incontro intitolato: “Il valore e la cura del patrimonio naturale carnico: percorsi efficaci per un futuro sostenibile” tenutosi ad Ovaro, 3 luglio 2021, per apprendere per imparare, per ascoltare, per parlare. Il fulcro dell’incontro era rappresentato da una proposta: trasformare la Carnia in un grande parco sovracomunale, sotto un’unica regia, che tuteli e favorisca la biodiversità, che custodisca, mantenga, valorizzi il patrimonio naturale e paesaggistico, che Lucia Piani (1) ha sottolineato essere non più vergine ma frutto di antropizzazione e quindi condizionato dall’economia e dalla storia.

E Stefano Santi (2) ci ha detto che nel parlare di parco ora non bisogna intenderlo come trent’anni fa, anche se le norme principali che regolano la materia risalgono agli anni ’90 e sono racchiuse nella legge quadro sulle aree protette n. 394 (3). Poi però è accaduto che alla legge nazionali si sommassero quelle regionali, tanto che spesso, secondo un altro relatore al Convegno, Antonio Andrich, che di gestione parchi se ne intende (4), si possono vedere modelli diversi di parco in regioni diverse della penisola.
Tre concetti, però, devono sottendere oggi all’idea di parco: il progettare guardando al futuro, in un’ottica a lungo raggio, in una situazione in cui i mutamenti climatici sono evidenti; la sostenibilità ambientale; la salvezza e promozione della biodiversità.

Relativamente a quest’ultimo concetto, il dott. Pier Paolo Zanchetta, del servizio biodiversità del Friuli Venezia Giulia, ha illustrato l’importanza di mantenere varia la sfera vegetale nel mondo, mostrando la piramide alimentare che, con la perdita di specie, si assottiglia sempre più, rendendo tutta la piramide più instabile, fino all’inevitabile crollo. Quindi la biodiversità risulta essere un aspetto importante perché sorregge l’antroposfera. Più chiaro di così.

Ma spesso in Carnia non si vuole sentire o far tesoro di quanto insegnato dagli anziani.

Ma spesso in Carnia non si vuole sentire, ma spesso in Carnia non si vuole sapere, ma spesso in Carnia non si vuole vedere, e grazie a politici attuali e pregressi, sembra che la nostra montagna debba andare lentamente ed inesorabilmente verso il suo declino, dato da un’ottica progettuale che non vede più in là del suo naso. Ma tranquilli, ora va di moda la teoria che si può fare qualsiasi attività motoristica sul territorio perché porterà progresso, e che una canoa vale una moto. Peccato che non sia così per gli abitanti, e che, mentre la regione costruisce strade in montagna perché ci passi si fa per dire un autotreno, così le moto scorrazzanti potranno andare dovunque, le canoe, grazie a centrali e centraline, si allontanano sempre più come la pesca, distanziando l’uso del territorio da quello tradizionale e dalla sua storia e mettendo in serio pericolo la sostenibilità ambientale. Ed è giunta l’ora di dimenticare il “fin che la barca va lasciala andare” perché i danni ambientali sono duraturi.

Come coniugare ambiente ed economia ce lo hanno insegnato gli anziani: basta leggere cosa ha narrato a me ed Alido, relativamente al taglio del bosco comunale, Noè D’Agaro, poi riportato su www.nonsolocarnia.info nell’articolo intitolato: “Boschi, segherie, aste boschive, ed altri aspetti legati allo sfruttamento del legname”, basta dare un’occhiata ai prodotti tradizionali come i succhi di frutta, i biscotti, lo sligoviz, il miele, il prosciutto ed il salame oltre i formaggi; basta pensare alla frutticoltura terrazzata, che sosteneva anche, a Tolmezzo, pra’Castello, ai piccoli frutti, alle malghe, alle stalle, alla raccolta di erbe medicinali.  E l’allevamento era importante e permetteva di sfalciare non lasciando avanzare bosco. Perché la sparizione dei prati non è problema di poco conto, perché essi sono un importante centro di biodiversità vegetale. Ed un tempo il rispetto per fiumi e rii era importantissimo, mentre ora qui privati prelevano l’acqua ovunque, trasformando fiumi, torrenti, ruscelli in greti senza vita e ricchi di veleni perché se vi è poca acqua, il risultato degli scarichi non viene dilavato ma si concentra. Con questo non voglio però sostenere che “tornare all’antico sarà un progresso”, perché siamo nel 2021 e sarebbe anacronistico, ma è bene non dimenticarci alcuni aspetti del nostro passato.

Parchi, aree protette, riserve naturali e biotipi in Fvg.

La nostra Regione, ci ha detto Zanchetta, ha due parchi: quello delle Dolomiti friulane e quello delle Prealpi Giulie, creati sulla base della legge regionale 30 settembre 1996 n. 42, che così recita all’articolo 1 comma 1: «La Regione Friuli-Venezia Giulia, in attuazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione, anche in collaborazione con gli enti locali e coordinandone gli interventi, al fine di conservare, difendere e ripristinare il paesaggio e l’ambiente, di assicurare alla collettività il corretto uso del territorio per scopi ricreativi, culturali, sociali, didattici e scientifici e per la qualificazione e valorizzazione delle economie locali, istituisce parchi naturali regionali e riserve naturali regionali e sostiene l’istituzione di parchi comunali e intercomunali, nonché individua aree di rilevante interesse ambientale, biotopi naturali e aree di reperimento». (4).

Così ora a questi due parchi si aggiungono una serie di riserve naturali regionali e di biotipi, per lo più torbiere, il cui elenco è reperibile in: “Aree naturali protette del Friuli Venezia Giulia” a cura della nostra Regione, approntato ai tempi in cui Maria Grazia Santoro era assessore pure alla pianificazione territoriale. (5). Ed i biotipi sono piccole aree che ospitano habitat e specie rare e a rischio di distruzione e scomparsa e che quindi necessitano di una tutela accurata e di una gestione diretta che viene garantita dalla Regione o dai Comuni. Ed in Fvg ce ne sono 30. Quindi ci sono 2 riserve naturali statali: quella del Monte Cucco e del rio Bianco, oltre l’area marina protetta del parco di Miramare a Trieste.

Queste realtà sono comprese poi, con molte altre in regione, nella rete Natura 2000, che protegge siti di importanza europea in quanto habitat di specie animali e vegetali, detti SIC; zone speciali perché habitat di specie animali e vegetali, dette ZSC; zone di protezione speciale rivolte alla tutela degli uccelli e dei loro habitat, dette ZPS. (5).

Inoltre sempre su “Aree naturali protette del Friuli Venezia Giulia” si trovano pure note specifiche sui due parchi, sui loro centri visita, sulle riserve naturali, per esempio quelle della forra del Cellina, della Val Alba, del lago di Cornino con i suoi grifoni, della foce dell’Isonzo, delle bellissime falesie di Duino, che ben si possono vedere percorrendo il sentiero Rilke, della Val Rosandra di cui alcuni improvvidi hanno fatto scempio anni fa, ed altre, per lo più, però, collocate nella Venezia Giulia. E sono ben descritte anche le due riserve naturali statali Cucco e Rio Bianco.

L’importanza del piano urbanistico regionale del 1976 e dei concetti soggiacenti. 

Ma già nel piano urbanistico regionale FVG dell’aprile 1976, si trovava il concetto che l’urbanistica non riguarda solo “lo sviluppo della città”, ma la programmazione dell’intero territorio regionale, in sintesi riguarda l’ambiente e l’utilizzo del suolo in senso ampio. Data questa premessa, l’estensore del piano aveva posto come obiettivi dello stesso: la difesa del suolo e dell’ambiente; la formazione di grandi sistemi di verde; la riqualificazione delle fasce costiere marine, lacunali, fluviali; la salvaguardia, il potenziamento e la qualificazione di tutti i suoli non urbani e non necessari per la rete urbana, intesi come supporti integrati per le attività umane complementari; la valorizzazione e difesa particolare della montagna in quanto svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda gli equilibri naturali ed idrogeologici. Infine il documento poneva, fra le finalità della regione, anche la conservazione del patrimonio culturale, paesaggistico e storico – ambientale, e lo sviluppo di attività produttive specifiche quali l’agricoltura, l’artigianato, il turismo, oltre l’integrazione dei servizi ed il loro potenziamento. E detto piano prevedeva pure il comprensorio come momento intermedio fra comuni e regione, e l’introduzione, nella metodologia e nei piani urbanistici, del concetto di “limite delle risorse economico – finanziarie”, che implicava l’integrazione tra l’elaborazione concettuale – programmatoria e l’aspetto economico per farvi fronte. (6). Poi però vennero i catastrofici terremoti del maggio e novembre 1976, e la regione si trovò ad affrontare ben altri problemi anche dal punto di vista urbanistico, e questo testo programmatorio regionale finì nel cassetto.

Quale progetto per il futuro della Carnia?

E la Carnia? Ma lì vanno solo moto rombanti e auto da rally, che inquinano. Inoltre qui, in Carnia e non solo, siamo stati spesso privi di una visione che non fosse più che retrograda e per nulla strutturale dell’uso del nostro territorio, e concessioni edilizie sono state date, pur in buona fede e pensando che in questo modo si potesse fare il bene della zona, senza “guardare al futuro”. E, nel lontano 2012, scrivevo una lettera al Messaggero Veneto, pubblicata dal noto quotidiano il 10 maggio, contro la possibile costruzione di due enormi villaggi turistici in regione: la “Zamparini city” a Grado ed il complesso turistico alberghiero, composto da 31 chalet, tre alberghi, un cento polifunzionale, che avrebbe dovuto sorgere, in quota, sullo Zoncolan, e che prevedeva pure garage interrati, laghetti artificiali, un inceneritore per i rifiuti. In essa precisavo, per quanto riguarda il progetto Zoncolan, che pare mancassero: uno studio geologico, uno di impatto ambientale, sulle comunità di paese ed il turismo esistenti, un’analisi della ricaduta di un tale complesso edilizio sul paesaggio anche austriaco. Ed aggiungevo che, per costruire, si andava ad alterare un ecosistema unico ed irripetibile, con ricaduta sugli altri. Non da ultimo, a parte che non era chiaro dove si sarebbe trovata l’acqua per laghetti e via dicendo, i cantieri aperti per costruire il mega villaggio turistico avrebbero potuto allontanare anche il turismo già presente, e chi avesse trovato buon stare da altra parte non sarebbe più ritornato. Ed ancora: chi poteva garantire che non ci si sarebbe ritrovati, prima o poi, davanti a cattedrali nel deserto con danni inenarrabili?

Ma vi era chi riteneva, allora, che i benefici per l’occupazione e lo sviluppo sarebbero stati eccezionali, ed io mi chiedevo: «Ma chi lo ha detto e su che base?» Infatti, come anche precisato dai relatori nel convegno di cui tratta questo articolo, «la richiesta, ora, in ambito turistico è di ambienti il più possibile incontaminati ed il futuro, nel turismo, passa attraverso un recupero intelligente dell’esistente, albergo diffuso, alberghi, piste sciistiche e casoni». (7).

Ed io credo, ora come nel 2012, che in Fvg la scelta principale riguardi quale futuro si progetta, se realmente ecosostenibile o meno, se si riesce a guardare più in là del mero sfruttamento del territorio, “hic et nunc”, che incide pure sul paesaggio e viene dettato pare solo dal ‘becjùt’ contingente, senza saper vedere il valore reale della nostra terra di Carnia. Ed è importante determinare prima quali scelte economiche fare: se ecosostenibili o meno. (8) E nel merito consiglio la lettura dei miei: “Per la Carnia, guardando alla montagna come risorsa e ambiente da tutelare”, su www.nonsolocarnia. info, e del mio: ‘Cooperare per vivere. Vittorio Cella e le cooperative carniche (1906-1938), scritto nel 1988, che è un testo di economia e progettualità per la Carnia in primo luogo, nel contesto di allora, guardando al futuro. E mi sembra importante relativamente al paesaggio ed alla Carnia, leggere le linee di ‘sviluppo’ scelte dalla popolazione nel 2017, e sempre disattese, riportate nella mia sintesi intitolata: “Piano paesaggistico regionale e richieste della popolazione carnica”, pubblicata sempre su www.nonsolocarnia.info. E certe scelte generali, quasi scontate per il futuro, non pensando solo al 2030, se si vuole vivere e sopravvivere, devono essere fatte subito.

Per un futuro europeo e sostenibile.

Anche nel corso dell’interessante convegno di Ovaro, a cui mi riferisco qui, i relatori hanno sottolineato come il turismo del futuro guardi alla natura ed al silenzio, a trovare un po’di pace e se stessi, e non è possibile più porsi nell’ottica del periodo dell’industrializzazione forzata e diffusa e del cosiddetto turismo di massa, che può fare, come accaduto nel caso del lago di Braies, anche disastri (9), allontanando i villeggianti presenti da lungo tempo e poco amanti delle folle.

Quindi bisogna incominciare subito, dato che non lo si è fatto prima, a pensare a come mantenere e valorizzare il patrimonio naturale, storico e culturale del nostro territorio, ponendo in primo luogo gli obiettivi generali per raggiungere i quali si deve studiare pure mezzi e strumenti di pianificazione e realizzazione. La creazione del Parco della Carnia potrebbe essere il fine principale.

E se la Carnia aderisse all’unica progettualità che le permetterebbe ancora di non finire in un baratro, andrebbe, fra l’altro, nel senso voluto dalle disposizioni dell’Unione Europea, che ha impostato, per l’Europa, una “Strategia per la biodiversità” 2030, che altro non è che un piano dettagliato per salvaguardare gli ambienti naturali, contrastare il degrado degli ecosistemi, bloccare i cambiamenti climatici in atto. (10). Detto piano prevede, come ci ha detto Stefano Santi, di raggiungere, entro il 2030, la tutela del 30% degli ambienti marini, mentre ora si è ben lontani da questa percentuale; una drastica riduzione nell’uso dei pesticidi; tre milioni di nuovi alberi piantati.

Questi obiettivi potrebbero venire raggiunti in Carnia trasformandola in un parco, e già un tempo si era pensato alla salvaguardia di alcune zone della Regione, tanto che esisteva un libretto che prevedeva la creazione di ben 14 parchi regionali, ci ha raccontato sempre Stefano Santi, di cui però solo due sono stati realizzati. In compenso sono state create tutta una serie di aree naturali protette, di cui ci parla anche lo studio intitolato: “Aree naturali protette nel Friuli Venezia Giulia”, pubblicato per la terza volta nel 2007 dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Nella presentazione, a cura di Enzo Marsilio, si legge che il Piano Urbanistico Regionale del 1976, il primo in Italia, aveva messo in luce proprio l’elevato valore naturalistico della regione, dato dalla varietà degli ambienti e dalla sua posizione biogeografica. E, si leggeva pure che, nonostante fossero trascorsi 30 anni dal Purg, restava ancora valido il suggerimento di promuovere un rapporto corretto fra istituzioni e governo del territorio, e l’individuazione, con il coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, dei luoghi da sottoporre a particolare tutela. (11). Ma il problema è pure quello che ora, in una regione aziendalizzata, mancano dialogo e confronto e si tende a far decidere tutto ad un manager/assessore, come succede, pare, in sanità, da quel che si legge.

Passa un giorno passa l’altro, ci siamo incontrati ancora una volta nel 2021 per parlare delle stesse cose.

Beh, passa un giorno, passa l’altro, nel 2021 ci siamo incontrati il 3 luglio 2021 ad Ovaro per parlare ancora una volta di questi temi, per affrontare le stesse problematiche di allora, ma in un territorio fortemente segnato da politiche direi colonialiste, che hanno pure regalato alla Regione quell’obbrobrio totale che è l’elettrodotto della Terna che deturpa il goriziano, senza nemmeno che fossero tolti i tralicci di infrastrutture precedenti, e con una giunta regionale che progetta di ‘asfaltarci futuro e sogni’ e di perdere il treno per il domani.
Eppure, la nostra regione Friuli Venezia Giulia appare unica «per la sua capacità di compensare, in poche decine di chilometri, paesaggi e panorami così diversi e così significativi, ricchi di una biodiversità singolare e che molti ci invidiano». (12).

Ma oltre il paesaggio ci vuole la capacità di prendere la via corretta per il futuro dei nostri figli e nipoti, per la ecosostenibilità, per l’acqua fonte di vita, per il pianeta, e di non guardare solo al soldo per poi buttarlo via in scelte che non portano a niente di innovativo nel senso in cui va anche l’Europa. Ma c’è chi teme questa nuova visione pure economica, dimenticando che le aree protette – come ha sottolineato Santi- non per nulla ora vengono definite agenzie per lo sviluppo sostenibile. E non si deve dimenticare, come ha precisato Zanchetta, che le aree protette sono funzionali alla conservazione di tutto il territorio regionale.

Riflessioni dall’intervento di Marko Pretner sul parco dell’Alta valle dell’Isonzo, su Trenta e Soča.

C’ è modo e modo di far fruttare i talenti che Dio ci ha dato. Dovevate sentire al convegno l’intervento dello sloveno Marko Pretner, che ha illustrato come una valle strettissima, la valle dell’Alto Isonzo, piena di boschi ed in antico dedita all’allevamento di pecore e capre, sia stata trasformata, con l’aiuto dei suoi abitanti, in un’area naturale protetta di tutto rispetto, facente parte del Triglav National Park, e sia stata dotata di servizi che prima mancavano, mentre io vedo che qui in Carnia ci stanno togliendo tutto, basta osservare come va la sanità dal 2014 in poi, e leggere che il servizio di guardia medica rischia in Alto Friuli di trovarsi senza medici (13), mentre le grandi banche chiudono le loro agenzie montane sposando una nuova ristrutturazione (14), e notare come si sponsorizzi e finanzi un turismo mordi e fuggi legato prevalentemente a manifestazioni sportive che durano al massimo un paio di giorni. E in Slovenia hanno costruito una Dom, quella di Trenta, per rispondere a molteplici esigenze anche della popolazione, in Carnia leggiamo la morte annunciata pezzo per pezzo sul quotidiano locale.

Altri spunti interessanti sono quelli che hanno riguardato le camminate, i tragitti nei parchi e nelle aree protette anche con guide preparate ma pure, sulla Sila, come ci ha narrato Noemi Guzzo, con pastori- guida, che raccontano ai turisti aspetti di vita e cultura locale. Il parco delle Prealpi Giulie, poi, offre piccoli rifugi ove pernottare, da raggiungere a piedi e che nulla hanno a che fare con gli hotel, e propone percorsi di educazione ambientale per le scuole oltre ad attività mirate per ragazzi. Inoltre è stato sottolineato da Andrich come studio e ricerca debbano essere presenti per poter rendere il parco non una nuova Disneyland, ma un luogo ove la biodiversità, sia per quanto riguarda la flora che la fauna, venga mantenuta e sviluppata.

Per ora mi fermo qui.

Per ora mi fermo qui, anche se l’incontro è durato più di tre ore ed avrei voluto proporvelo integro, ma, miei lettori, mi avreste mandato al diavolo. E so che ci sarà chi, senza magari leggermi, ma guardando un titolo, dirà: «Ce tantas monadas! Cussì a no si va indenant!», ma invece sarà la via del futuro per poter reggere, sopravvivere, tutelare e sviluppare secondo parametri nuovi le risorse del nostro territorio, della nostra Carnia, seguendo la via che Dio e gli avi ci hanno indicato.

Spiace la scarsa pubblicità fatta al convegno, ed io stessa non ho trovato un pieghevole da porre sul sito, ma mi hanno detto che avrei dovuto chiederlo solo che non sapevo a chi; ringrazio Marco Lepre e Chiara Anzolini, che mi hanno fatto presente l’iniziativa, ma avrei voluto vedere qualche volto fra i presenti che mi è mancato, e ringrazio Agata Gridel che lo ha promosso, oltre i relatori. E so che ci sarà una prossima volta per i temi trattati e la loro realizzazione pratica perché un progetto non si può arenare in un incontro, perché non vogliamo che ci ammanettino il futuro a logiche retrò ed insostenibili, od alla Carnia dei motori. E tristemente rifletto sui miei tentativi per far organizzare, anni fa, a Tolmezzo, una serata sulla “Laudato si’’. Per discutere questo testo ci sarà una possibilità o parleremo ancora, ossessivamente, solo della banda larga?

Laura Matelda Puppini

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Note.

(1) Lucia Piani, ricercatrice presso l’Università di Udine.

(2) Operativo dal 1999 presso il Parco Naturale delle Prealpi Giulie di cui è stato direttore dal 2004 al 2019, poi sostituito da Antonio Andrich. (Per il periodo in cui è stato direttore, cfr. http://www.comune.buja.ud.it/fileadmin/user_buja/Amministrazione_trasparente/Organizzazione/Curriculum_Stefano_Santi.pdf). Attualmente è co- presidente della Task-force Aree protette transfrontaliere di Europarc.

(3). Antonio Andrich, veneto, ha lavorato prima presso la Direzione per le foreste e l’economia montana della regione Veneto e successivamente presso l’Arpav, l’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione ambientale del Veneto). Quindi, dal 2014 al 2019, ha ricoperto la carica di direttore del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi ed ora è direttore del Parco Naturale delle Prealpi Giulie.  

(4) Cfr. Legge regionale 30 settembre 1996, n. 42, in: https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/ambiente-territorio/tutela-ambiente-gestione-risorse-naturali/FOGLIA41/allegati/AREE_naturali_protette_FVG_ITA.pdf.

(5). In “Aree naturali protette del Friuli Venezia Giulia” (https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/ambiente-territorio/tutela-ambiente-gestione-risorse-naturali/FOGLIA41/allegati/AREE_naturali_protette_FVG_ITA.pdf) si trova pure l’elenco delle quindici riserve, trenta biotopi, sessantatré siti Natura 2000 presenti in regione. Alcune slides presentate al convegno, pare siano state prese da questo lavoro.  

(6) Questa parte è presa da una lettera da me, Laura Matelda Puppini, spedita al Messaggero Veneto e pubblicata il 29/3/2012 con titolo: “Principi validi ma scomparsi”.

(7) Laura Matelda Puppini, lettera al Messaggero Veneto, pubblicata il 10/5/2012 con titolo: “Il futuro del turismo”. 

(8) Cfr. anche Laura Matelda Puppini, Per la Carnia, guardando alla montagna come risorsa e ambiente da tutelare”, su www.nonsolocarnia. info.

(9) Uno dei relatori Pierpaolo Zanchetta, del Servizio tutela del paesaggio e biodiversià presso la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha narrato che, nel corso degli ultimi anni, anche grazie alla pubblicità dovuta alla serie televisiva ‘Un passo dal cielo’, il Lago di Braies è diventato uno dei luoghi più visitati del Trentino Alto Adige. L’enorme affluenza ha addirittura indotto alcuni esponenti politici locali ad immaginare delle soluzioni volte alla riduzione del numero delle presenze sotto un certo standard, compatibile con le caratteristiche del luogo. (Per questo cfr. anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Lago_di_Braies).

(10). Cfr. https://ec.europa.eu/environment/strategy/biodiversity-strategy-2030_en, in: https://ec.europa.eu/environment/strategy_en.

(11) Aree naturali protette nel Friuli Venezia Giulia, a cura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, terza edizione, 2007, Enzo Marsilio, Assessore regionale alle risorse agricole, naturali, forestali e montagna, Presentazione, in: Aree naturali protette nel Friuli Venezia Giulia, a cura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, terza edizione, 2007, pagina non numerata.

(12) Augusto Viola, direttore centrale dell’Assessorato regionale alle risorse agricole, naturali, forestali e montagna, in: Aree naturali protette, op. cit., pagina non numerata.

(13) Elisa Micchelut, A Udine e provincia mancano dottori e in diversi comuni resta scoperta la guardia medica, in Messaggero Veneto, 28/6/2021.

(14) Intesa chiude due filiali. I sindaci si ribellano: inaccettabile, così si penalizza la Carnia, in Messaggero Veneto 5/7/2021. Nell’articolo si legge che chiuderanno la filiale di Ampezzo e di Villa Santina di Intesa San Paolo, creando difficoltà alla montagna tutta ed alle attività produttive presenti o che volessero insediarsi in loco. Inoltre per anziani che non riescono talvolta neppure ad usare il bancomat ed abitano in piccole frazioni senza una connessione ad internet sicura, proporre l’home banking è praticamente impossibile.

L’immagine che accompagna l’articolo è stata da me, Laura Matelda Puppini, scattata nel 2017 in zona Ligosullo Valdaier. Lmp.

 

 

 

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