Dopo aver letto l’articolo del Messaggero Veneto sui bilanci della sanità del Fvg di Elena Del Giudice, “Sanità, bilanci in rosso: non incassano i premi due manager su otto”, in Messaggero Veneto, 26 marzo 2018 (riferibile alla situazione 2016) in cui si cita anche l’Ass3 , e Diego D’ Amelio, “Rosso” da 20 milioni nella sanità del Fvg, in: Il Piccolo, 26 maggio 2018, sono stata presa dalla curiosità di dare una occhiata, da inesperta, al bilancio consuntivo del 2017 dell’ Aas3, per capire di più sia sulla situazione attuale sia sulla politica dell’azienda.

Essendo una profana nel leggere bilanci, ho chiesto un aiuto a chi se ne intende, e spero di aver compreso bene ciò che mi ha detto, e con questi importanti suggerimenti mi perito di scrivere qualche considerazione sull’Aas3 ed il suo bilancio consuntivo 2017.

Fvg. Aas3. un bilancio che si chiude, per il 2017, in attivo, ma di ben poco.

4 dati devono esser presi in considerazione per capire se una azienda stia abbastanza bene: il totale dell’attivo circolante, riportato nella parte relativa allo stato patrimoniale, che nel bilancio aas3 è pari a € 120.574.373, 00 (120 milioni e mezzo), la voce relativa al patrimonio netto, – finanziamenti-  in relazione con i debiti: che, in questo caso, vedono € 114.252.982 di finanziamenti, contro € 94.425.419 di debiti. 

 Ma che il bilancio consuntivo 2017 dell’AAS3 si chiuda in attivo, lo si può leggere anche alla fine del bilancio, ove il risultato della gestione complessiva 2017, riportato, è un utile pari € 1.821,00 che si propone di destinare ad investimenti in attrezzature sanitarie, contro un passivo precedente di 8.723.816 euro, ma in presenza di maggiori entrate. Altri dati che fanno propendere per una situazione buona per l’Aas3 sono rappresentati dalle disponibilità liquide, più alte che in precedenza, e dalla cassa, che è pari a quasi 66 milioni di euro. Infine la differenza tra il valore ed i costi di produzione risulta pari a € 5.859.954.

Quindi analizzando il bilancio, si notano, rispetto all’ esercizio 2016, una lieve minor spesa nelle immobilizzazioni immateriali che sono costituite da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo, ma manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi, e una lieve diminuzione del valore delle immobilizzazioni materiali, cioè di terreni, fabbricati e macchinari, che passa da 101.950.603 euro a 97.699.297 euro, pare per deprezzamento di mobili, arredi e automezzi.

Non si può infine non vedere che esiste un credito verso lo stato di 54.095.550 euro, contro i 48.080.782 dell’esercizio precedente, con un aumento nelle entrate pari al 12,51%, forse erogato a causa del costo della rivaccinazione di bambini implicati nella nota vicenda dell’assistente sanitaria P.E., in servizio a Codroipo, che viene accusata di aver gettato via le dosi invece di iniettarle.

Ma in ogni caso, si sa che un dato oggettivo relativo al sistema sanitario nazionale, che trova conferma non solo nei lavori dei principali Istituti di Ricerca ma nelle valutazioni della stessa Ragioneria Generale dello Stato, è che il sistema sanitario italiano è sotto-finanziato. «La realtà sotto gli occhi di tutti è che il Fondo Sanitario Nazionale ha una dotazione insufficiente a fronteggiare il fabbisogno di salute degli italiani in continua espansione per effetto delle nuove terapie salvavita, dei farmaci innovativi, delle nuove tecnologie e dell’invecchiamento generale della popolazione. Campanilismi, sprechi e malaffare creano inoltre gravi sacche di inefficienza e ampi buchi nella rete che riducono ulteriormente le risorse a disposizione. (http://www.intermediachannel.it/voci-dalla-rete-quale-futuro-per-il-sistema-sanitario-del-nostro-paese/).

Ma se i finanziamenti sono pochi e il territorio vasto e composito, come nel caso dell’Aas3, siamo sicuri che non ne vada della qualità del servizio? Infatti, da che mondo è mondo, i cerchi non si quadrano. Il 19 giugno 2018, il Messaggero Veneto riportava una affermazione del dott. Benetollo relativamente alla chiusura in attivo del bilancio consuntivo 2017, reso possibile anche da una maggior finanziamento regionale intorno ai 4 milioni di euro: «Siamo l’azienda che spende meno in farmaci, e abbiamo il minor tasso di ospedalizzazione». (Piero Cargnelutti, Assemblea dei sindaci dell’Aas3. Borghi riconfermato al vertice, in Messaggero Veneto, 19 giugno 2018).
Ma siamo sicuri che questo sia stato un bene per l’utenza? Per esempio a una grande anziana è stata diagnosticata una polmonite nel febbraio 2018 dal pronto soccorso, ma poi è stata dimessa e rimandata alla Casa di riposo dove attualmente vive, avvertendo i parenti che avrebbe potuto anche morire. Il medico di base ha provveduto a curarla come poteva, avendo molti pazienti e non essendo una casa di riposo struttura ospedaliera, tra una recidiva e l’altra, con ulteriori accessi al pronto soccorso per un motivo o l’altro, sino alla negazione di una infezione, poi nuovamente riconosciuta. Finalmente nel giugno 2018, è stata finalmente ricoverata in medicina, ed in pochi giorni la polmonite pare si sia risolta. Non valeva la pena di ricoverarla subito? – mi chiedo. Ma pare che non ci fossero mai posti a medicina interna, che fornisce i posti letto per le più svariate patologie, da quelle oncologiche a quelle infettive, a quelle virali, a quelle cardiache, e via dicendo. Ma esiste una medicina interna anche a San Daniele. Ed allora perché non chiedere almeno se avessero posti letto disponibili? Ed è possibile continuare ad andare avanti così?

Inoltre pare che il buco nei conti delle Aziende di Trieste e Udine sia dovuto al nuovo metodo di finanziamento basato sui costi standard, introdotto dallo Stato. (Diego D’ Amelio, Rosso” da 20 milioni nella sanità del Fvg, in Il Piccolo, 26 maggio 2018). Inciderà anche sulla nostra Aas3, in futuro?

Analisi di alcune voci del conto economico consolidato.

Per quanto riguarda il conto economico consolidato, si nota come vi siano stati: un aumento nei contributi da parte della Regione, che passano da 283.917.218 a 287.025.023 euro, con un aumento dello 0,9 %per cento rispetto all’anno precedente; un netto aumento di entrate da ‘altri soggetti pubblici’, probabilmente da comuni, aggregazioni di comuni ed Uti, cifra che passa da 3 milioni di euro (3.007.151) a quasi 18 milioni, (17.965.666) con un aumento del 497, 43%. Per quanto riguarda i costi, come prevedibile le voci importanti risultano l’acquisto di servizi sanitari e il costo per il personale (Tot. 161.499.329 + 101.458.775 = 262.958.104 euro), che sommate risultano pari a 263 milioni di euro arrotondando. M a mio avviso il costo del personale non è alto, e fa ipotizzare una scarsità di operatori.

Si viene a sapere poi, che l’Aas3 ha speso anche 33 milioni in acquisto beni non sanitari, con un aumento di 2 milioni di euro circa rispetto all’anno precedente, e mi piacerebbe sapere in cosa siano stati spesi. Ma temo che i trasporti, bene non sanitari, giochino un ruolo.

Bilancio sanità.

Attivo.

 Per quanto riguarda la sanità, nello specifico, il conto economico della sanità si chiude con un attivo pari a 335.153.296 euro, con un – 0,16%  rispetto all’anno precedente, e con un passivo pari a 329.660.610 euro, anch’esso in diminuzione dell’ 1,62%, il che potrebbe significare una politica di ricerca di pareggio, come probabilmente è stato, senza introdurre novità o miglioramento alcuno, e cercando di mantenere uno status quo ed appianare il debito dell’anno precedente, operazione riuscita.  La differenza tra valore e costi di produzione risulta in netta ascesa, e passa da € 608.056 a 5.492.686, con un aumento dell’803, 42%. Ma un dato del genere, che potrebbe far felice un ragioniere, sarebbe da mettere in discussione da parte dell’utenza, perché potrebbe rappresentare un risparmio sui servizi erogati.

Vi è una minore entrata, di circa il 5% alla voce: ‘ricavi per prestazioni sanitarie, sociosanitarie, a rilevanza sanitaria’, il che significa che l’aas3 è poco attrattiva forse anche per chi l’ha come riferimento; vi è una diminuzione nelle spese di acquisto di servizi sanitari del 7,81%; vi è un aumento di spesa per i servizi non sanitari, pari a 16 milioni di euro, con una cifra irrisoria per la formazione ma pur sempre più alta che in precedenza; ed un incremento pure per la spesa per il personale, che si attesta su 96.965.130 euro, contro i  95.536.170 precedenti. Ma cala quella per i medici dell’1,58%, attestandosi sui 30.616.39 3 euro. 41 milioni vengono spesi per personale del comparto ruolo sanitario, in sintesi per gli infermieri, le ostetriche, i tecnici di riabilitazione e di laboratorio, mentre ben 20 milioni e mezzo di euro, circa, vanno a pagare ‘personale comparto altri ruoli’ il che parrebbe un dato importante per sottolineare come ormai gli amministrativi ed i burocrati pesino molto sui bilanci, e detta spesa risulta in aumento. 6 milioni di euro sono stati spesi per la manutenzione, più di 9 milioni di euro per ‘acquisto prestazioni Socio-Sanitarie a rilevanza sanitaria’ voce che non so cosa significhi, ma la cifra non è da poco e sta crescendo. Infine il conto economico della sanità si chiude con un attivo pari a € 5.492.686, poi ridotto da tassazioni e oneri vari a € 1821. E se aumentassero le tasse, anche solo l’Iva, che accadrebbe? 

La ricerca sia corrente che finalizzata pare che, se ho ben compreso, non abbiano ricevuto un ‘penny’ da alcuno, quando senza ricerca almeno sociologica collegata alla possibilità di attivazione territoriale di servizi ma anche sulla adeguatezza del servizio rispetto all’utenza, credo siamo lontani dal poter guardare al futuro, ma si è ancora nella logica, nazionale e regionale del “Fin che la barca va …

 Debiti dallo stato patrimoniale consolidato e dal conto economico.

Diminuiscono i debiti verso la regione e così anche verso i comuni, in questo ultimo caso con un 71, 65% in meno rispetto all’anno precedente, a fronte di un aumento dei contributi dai comuni per attività socio-assistenziale delegata del 160,33%.

 Questi dati, oltre l’aumento di finanziamenti da ‘soggetti pubblici’ farebbero pensare che il settore socio – assistenziale stia fuggendo totalmente di mano ai comuni accentrandosi nell’azienda socio-sanitaria, il che non credo francamente sia un bene. Infatti se un ruolo positivo avevano i comuni per la cittadinanza, esso era quello per esempio di conoscere le situazioni di povertà ove i servizi potevano essere dati gratuitamente, e di conoscere possibili fonti di disagio socio – economico su cui intervenire nel contesto e substrato sociale, senza tanta burocrazia, senza sanitarizzazione dei problemi sociali, con un concetto di comunità paesana ben presente. Insomma un tempo si poteva agire sull’ambiente di vita per migliorarne le condizioni, ora è tutto lontano, freddo, maggiormente legato alla farmacologia, spersonalizzante. Infatti l’approccio ai problemi sociali in ambito sanitario ritengo sia diverso da quello di un servizio sociale comunale. Mancano inoltre psicologi, che potrebbero aiutare, e l’idea di accorpare i Sert di Tolmezzo e Gemona mi sembra invero balzana, perché proprio i Sert sono nati come servizi su e per il territorio e perché mancano mezzi pubblici che colleghino bene le due cittadine, limitandosi a un paio di corriere per studenti, che vengono soppresse nel periodo estivo, e un quattro, si fa per dire, nell’arco della giornata che permangono tutto l’anno, collocate al mattino ed alla sera. E se si centralizza non ci si può non occupare dei trasporti, e di come attuare la sanità ‘on the road’, tanto che la diretta Tolmezzo – Udine via autostrada era stata pensata, a livello regionale, pure per favorire l’accesso all’ospedale di Udine, sempre visto come ‘caput mundi’.  Per quanto riguarda le spese sanitarie, invero alte risultano le uscite verso aziende sanitarie pubbliche pari a: 34.214.085 euro, cifra inferiore a quella di a 38.865.847 dell’anno precedente, ma non di poco conto. Dobbiamo ben 34 milioni di euro a terzi! Piacerebbe sapere a chi e perché. Ma guardando il bilancio della sanità si nota come ben € 32.513.903 son stati investiti per questo settore, contro i 35.018.948 dell’anno precedente.

Relativamente alla sanità, aumentano le spese per acquisto di servizi e beni non sanitari, mentre non cresce la spesa per i farmaci, che scende lievemente, ma vi è sicuramente un brevetto scaduto che potrebbe averla contenuta, aumenta la spesa per i servizi sanitari ospedalieri, aumentano le spese per l’acquisto prestazioni Socio-Sanitarie a rilevanza sanitaria.

Altro aspetto interessante che si evince dallo stato patrimoniale aziendale, è relativo alla spesa verso istituti previdenziali e per la sicurezza sociale, che ammonta a 5.691.125euro, contro i 708.169 euro pregressi, con un aumento pari al 703,64% ed al dato riguardante i debiti tributari, che salgono a ben 4.972.268 contro 881.104 del 2016, con un aumento di 4.091.164 di euro pari al 464, 32%. Ma forse si è pagata qualche cifra rimanente dall’anno precedente.

Vi è infine, una voce generica: “debiti verso altri”, pari a 25. 331. 444 con una lievissima diminuzione 0,04% rispetto al 2016, e vorremmo sapere chi siano questi ‘ altri’.

Ancora una volta non si può non rilevare che vi è una frattura fra quanto prevede la legge e la realtà finanziaria a copertura, cioè chi legifera lo fa, anche a livello regionale, senza tener conto della copertura economica. E mi sono già soffermata su questo piccolo particolare nel mio ‘Fvg. ospedali marginali, fra “polvere di stelle” e macete per quanto riguarda il dgr 2365/2015, di teleschiana memoria, che non so se si possa più cancellare.

Bisogna poi notare, dal conto economico della sanità, come le prestazioni mediche private svolte all’interno dell’AAS3 indichino ancora un attivo, ma minori entrate all’azienda, e bisognerà vedere se questo attivo verrà contenuto ulteriormente il prossimo anno, con l’andata in quiescenza di alcuni professionisti trainanti. Aumenta quindi il ricavo da prestazioni ospedaliere intramoenia (Prestazioni sanitarie erogate in regime di intramoenia, p. 48 dello schema dettagliato), mentre il maggior creditore dell’Aas3 risulta sempre Udine. Paiono a me profana, pure alti i costi per mobilità sanitaria infraregionale, in sintesi quello che l’Aas3 paga per visite svolte presso ambulatori di altre aziende, ed in particolare per ricoveri presso altre aziende; (Acquisti di servizi, in: Acquisti di servizi p. 50 dello schema dettagliato), in particolare verso l’ Azienda universitaria sanitaria integrata di Udine). In sintesi pare che dipendiamo da Udine, ma pagandolo.    

Per quanto riguarda il personale impiegato nel settore sanitario, (dati ricavabili dallo schema: ‘Dati sull’occupazione al 31 dicembre 2017’ – dati però al dicembre 2016, non essendo state fornite dal Ministero le tabelle 2017), mi pare eccessivo il numero di dirigenti in veterinaria, ben 295 contro i 34 dell’area sanitaria, ma probabilmente tutti i veterinari sono pagati come dirigenti; vi sono 42 Ds, cioè collaboratori professionali esperti, 159 amministrativi a tempo pieno, sommando tutte le categorie, e 28 a tempo parziale, pur essendo esternalizzati alcuni servizi come il cup, il che fa supporre che si stia investendo troppo in farraginosa burocrazia ed affini, e, mentre la riforma puntava tutto sulla medicina di base, i numeri dei MMG diminuiscono passando da 132 a 127. 

Il costo di trasporto con privati aumenta rispetto lo scorso anno, il che potrebbe significare un maggiore uso della C.R.I. per trasporti o altro. (Nota integrativa. Bilancio sanitario, p. 52). Inoltre è chiaro che paghiamo le prestazioni di laboratorio se, a p. 52, si legge che Vi è stata una «riduzione dell’addebito prestazioni Laboratorio Unico Interaziendale per mobilità e richiesta nota di accredito per prestazioni ambulatoriali fatturate da Asui Ud» (Ivi, p. 53), il che significa che, al di là di ciò che uno poteva dire o pensare, paghiamo tutto, e ci conveniva mantenere il laboratorio analisi per tutti e con personale nostro.

Infine si nota un deciso taglio a consulenze esterne da privati e per il sociale, tanto che le somme vincolate al sociale si dimezzano passando da 329.000,00 euro a 155.000,000 arrotondando, ed aumentano invece i contributi dai comuni per attività socio-assistenziale delegata, il che porta alle amare considerazioni pregresse sul distacco dei servizi socio – assistenziali dal territorio.

Bilancio delle attività socio-assistenziali in delega.

Il bilancio riporta poi, scisso, il bilancio per i servizi socio- assistenziali, che ha avuto entrate pari a € 32.615. 466, di cui 4 milioni e mezzo di euro sono serviti per pagare il personale, 6 milioni e mezzo circa per acquisto servizi sanitari, 16 milioni e mezzo per acquisto servizi non sanitari, ed il bilancio chiude ancora in attivo, ma con un –  54% circa rispetto all ‘anno precedente, il che significa che stiamo spendendo sempre di più. (Conto economico – Attività in delega).

Dalla relazione finale del Bilancio socio assistenziale, si evidenziano alcune voci, come il consolidamento dei servizi innovativi, quali SIRIO, Stazione Arcobaleno, Appartamenti per domiciliarità, che però farebbe pure parte di un discorso non propriamente da Azienda sanitaria, secondo me, il sostegno a strutture diurne e residenziali a gestione diretta e/o indiretta (appalto a Cooperativa e convenzionamento con privato Sociale), presidi per l’assistenza e lavori nella comunità di Esemon, e quindi attivazione di protocolli per una partecipazione attiva, che dovrebbe pesare però anche sullo Stato, spostamento di una sede, il tutto con connotazione di “nuove offerte” collocandosi nella rete dei servizi a favore delle persone con disabilità.

Il proseguire poi sulla strada della delega, ha portato alla stesura di un nuovo protocollo tra comuni e Aas 3, sulla base di nuovi parametri economici. Ma qui mi perdo io perché non so che spazi vada a coprire l’Aas3, che temo andrà a prendersi competenze anche di fondazioni private, come la casa di riposo di Tolmezzo, per fare solo un esempio, che non si sa come sia ambito suo, con un accentramento pauroso di competenze e spazi, che toglie pluralità di idee gestionali e massifica utenza e servizio. Inoltre le case di riposo, non so se quella citata però, spesso vivacchiano, e non credo sia ‘cosa buona’ prendersele in carico.

Così, con una grande utizzazione nelle aziende socio – sanitarie dei servizi socio-assistenziali, il timore mio è che le persone in difficoltà diventino, fra l’altro, sempre più numeri e vengano assistite in un modo che estranea più che inserire nei contesti di comunità, e che allontana, più che avvicinare.

 Pur in presenza di vecchiaia nella popolazione, disagio in aumento, problematiche assistenziali non di poco conto in territorio vastissimo, il servizio minori e handicap di pertinenza, si nota come il personale distaccato per questi servizi non sia poi molto se al 31 dicembre 2017 vi erano: 16 educatori più un animatore,  53 esecutori B, cioè, se ho ben compreso, oss,  42 assistenti sociali per coprire l’ intero servizio pure comunale, 14 amministrativi, in un settore ove la burocrazia dilaga. (Bilancio di esercizio 2017- Nota  Integrativa – attività socio-assistenziali in delega, Dati relativi al personale, p. 5). Inoltre il settore è ben poco finanziato, e qui si hanno crediti verso altre ass, sperando che ciò non significhi che, con scarso personale, stiamo facendo pure lavoro per conto terzi. (Tabella 17, p. 15). Non si sa poi perché abbiamo debiti verso Associazioni di volontariato, che a questo punto sono a pagamento (Tabella 42 – p. 32 – Nota integrativa cit.), o verso assistiti, ma l’incomprensione può essere solo mia (tabella 44, p. 34, – Nota integrativa, cit.).

Ma per tornare al bilancio socio -assistenziale, ben 5 milioni di euro circa vengono dati per ‘Altri servizi, non sanitari da privato’ e oltre 8 milioni per servizi socio- assistenziali da privato (Tabella 62, p. 44 – Nota su bilancio socio- assistenziale), mentre per l’acquisto globale di servizi spendiamo ben 15 milioni e mezzo di euro, di cui 14 per servizi non sanitari, che sono tanti per un bilancio così ristretto, e comprendono voci come mensa, pulizia, lavanderia, riscaldamento.  Ma io sono abituata ai miei bilanci domestici. Inoltre dalla tab. 51 – Informativa contributi in conto esercizio, p. 38 – Nota su bilancio socio – assistenziale, si nota come ben poco vengano finanziati i progetti di riabilitazione per la tossicodipendenza, dopo tanti paroloni sul sociale e sui buoni stili di vita, mentre 504.000 euro vengono dati per l’inclusione al reddito, e cinque milioni e mezzo per i soggetti della 104, la più finanziata. Ed anche in questo settore, per la ricerca non va più un ‘penny’. Non si sa poi perché l’AAS3, quest’anno, abbia dato 10.000 euro alle Associazioni di volontariato contro i 400 euro dell’anno precedente (Tabella 60- Acquisto beni sanitari – p. 43), e si nota un deciso taglio a servizi da privati (Ivi, e tabella p. 62 – Dettaglio acquisti servizi non sanitari – p. 44 – Nota integrativa, cit.).

La relazione finale del Bilancio socio assistenziale, si evidenzia alcune voci, come il consolidamento di servizi innovativi, quali SIRIO, Stazione Arcobaleno, Appartamenti per domiciliarità, che però farebbe pure parte di un discorso non propriamente da delega ad Azienda sanitaria, secondo me, il sostegno a strutture diurne e residenziali a gestione diretta e/o indiretta (appalto a Cooperativa e convenzionamento con privato Sociale), presidi per l’assistenza e lavori nella comunità di Esemon, e quindi attivazione di protocolli per una partecipazione attiva, che dovrebbe pesare però anche sullo Stato.

Al bilancio sono pure allegate tre relazioni sul servizio socio-assistenziale erogato, seguendo la divisione in distretti della grande Aas3: una per il Servizio sociale dei Comuni dell’Unione Territoriale Intercomunale ‘Gemonese’ e dell’Unione Territoriale Intercomunale ‘Canal del Ferro, Val Canale’; una per la Carnia; una per il sandanielese; mentre mi pare proprio manchi quella per il codroipese,  seguendo la divisione in distretti della grande Aas3.

Servizio socio – assistenziale ed educativo nel Gemonese, Canal del ferro – Val canale.

Il servizio sociale è stato demandato dalle Uti e dal Scc all’ Aas3. La popolazione cala, ma non si discosta di molto il numero di coloro che necessitano di aiuto da parte dei comuni.
Le problematiche prevalenti negli adulti nell’anno 2017 sono state relative al contesto familiare, (conflittualità di coppia, difficoltà nella gestione dei compiti di accudimento ed assistenza dei figli, inadeguatezza dei genitori, problematiche conseguenti a separazione e divorzio, ecc. e
all’indisponibilità di un reddito adeguato).
«Minore invece è il numero di persone che si sono rivolte al SSC con problemi di salute, legati principalmente a disabilità e sofferenza mentale, o in condizioni di parziale o totale non autosufficienza. Le problematiche abitative sono state numericamente contenute, ma quando sommate alle difficoltà connesse al reddito ed al lavoro, in grado di determinare situazioni di grave emergenza assistenziale».

 Il 45% di coloro che ricorrono ai servizi sociali presenta problemi di reddito, il 18% familiari, il 12% di salute, il 10% di lavoro, il 2% di dipendenza, il 7% non è autosufficiente.  Ma tra gli anziani il dato della non autosufficienza si fa drammatico e colpisce il 53% mentre una autosufficienza parziale colpisce il 31% degli stessi, ma non è di poco conto neppure che l’8% degli anziani abbia problemi di reddito.

Per quanto riguarda i minori, invece, il 61% di coloro che ricorrono ai servizi sociali ha problemi familiari, il 12% ha problemi scolastici, il 10% di salute, il 5% di socialità e relazione con gli altri. Gli utenti del servizio di assistenza domiciliare e dei centri diurni permangono sopra le 500 persone, quasi 450 utenti usufruiscono del servizio assistenziale domiciliare, 52 frequentano il centro diurno, 13 i centri diurni ed il SAD.

L’utenza del servizio di assistenza domiciliare è stata, nella quasi totalità dei casi, anziana, con una prevalenza di persone con età superiore ai 75 anni, mentre 200 persone usufruiscono del Fondo per l’Autonomia possibile e l’assistenza a lungo termine, e sono in netto aumento. Nell’anno 2017 il sistema dell’offerta dei servizi domiciliari, resi presso le abitazioni degli anziani, presso i centri diurni e altri luoghi sedi di attività socio-ricreative, ha registrato un aumento degli utenti, realizzato tramite il potenziamento di alcune attività ricreative (il “pomeriggio insieme” a Tarvisio e “La Rosade” a Moggio Udinese) e dal mese di ottobre vi è stata l’inclusione del Centro di Aggregazione di Resia nel sistema di gestione associata del Servizio sociale dei Comuni (il Centro era/è frequentato da 12 anziani).

A favore delle persone fragili favore della tutela delle persone fragili è stato potenziato lo Sportello per l’Amministrazione di sostegno, con risvolti positivi, mentre si è cercato, per i minori, di informare e procedere sulla via dell’affidamento familiare piuttosto che dell’inserimento in comunità.
Nel 2017 i Comuni sono stati supportati nella gestione dei minori stranieri non accompagnati, che risultavano 14. Vi è stato poi un proliferare di partecipazioni e promozioni di incontri, previsti da bandi regionali, e la partecipazione al tavolo sugli adolescenti psico-patologici che però dovrebbe interessare anche la scuola e diventare da generico a propositivo.
E propositivi saranno stati certamente gli interventi educativi e formativi per bambini, ragazzi, giovani, ma non tutto si risolve all’interno di un progetto, dove i rapporti sono maggiormente diretti e formali, mentre poi i ragazzi, spesso con il telefonino in mano, si perdono nel loro soggettivismo, senza riuscire a creare rapporti reali con il prossimo in carne ed ossa, e tendono a fuggire in atteggiamenti nichilistici da una realtà che non sanno affrontare.

Per quanto riguarda gli anziani il problema è ancora più complesso, e prevederebbe una analisi completa della gestione reale non amministrativa delle case di riposo presenti sul territorio, siano esse private o meno.

 Infine 178 sono state le persone che hanno usufruito, nel 2017, del fondo di solidarietà regionale, mentre 245 hanno usufruito della misura di inclusione attiva e sostegno al reddito.

La relazione riporta anche il personale coinvolto in questa mole di lavoro, che appare, francamente scarso. Inoltre la gestione totale di sanità e servizi socio assistenziali nonchè educativi in mano a poche persone con una formazione e mentalità sanitaria è riduttivo per approcci diversi, come il dipendere poi l’azione dai fondi regionali e comunali, che rischia di far terminare alcune attività anche di sostegno a popolazione in difficoltà economiche, ma non con problemi sanitari, e pone perplessità rispetto alla pluralità degli interventi e del dibattito, conformandosi come una forma accentratrice, autoritaria, legata alla politica in un abbraccio che potrebbe essere letale per le comunità. Non da ultimo, nulla si sa sull’ospedale gemonese, mentre servirebbe subito almeno riaprire il reparto di medicina interna.

Servizio socio- assistenziale ed educativo in Carnia.

L’inizio della relazione fa pensare che in Carnia dominino l’Uti, il linguaggio burocratico, l’ossessione per l’uso del termine ‘ governance’, che nessuno ormai più capisce cosa significhi nei vari contesti, ma dà più una idea di controllo totale che altro. L’Uti si serve di Itaca/Codess ‘come previsto dal capitolato’.  Il linguaggio discorsivo e burocratico al tempo stesso, insomma quello che fa ora tanto ‘trendy‘ fra ‘berlusconiani’ e ‘renziani’ e tanto azienda, quando il sociale non è aziendale ma così piano piano lo si trasforma, trasforma la società ed il mondo in una grande azienda, e ci indica comunque i servizi al dettaglio ma in un modo più freddo, più lontano dalla vita di ogni giorno, e forse se si fosse usato qualche schema il tutto sarebbe stato più chiaro nell’immediato.

Per quanto riguarda il servizio di assistenza domiciliare data la presenza di situazioni di persone sole, coppie anziane, rete familiare e sociale scarsa, di isolamento, di aggravamento delle condizioni di salute, esso risulta addirittura non riuscire a coprire la domanda, tanto che esiste una lista d’attesa di 13 persone. Quelle seguite dal servizio sono 259 persone, di cui 27 fruiscono pure dei pasti a domicilio.

Si sta inoltre progettando, anche con il comune di Tolmezzo, un centro diurno per l’Alzheimer presso la casa di riposo di Villa Santina, e due centri per persone con demenza medio lieve, uno sempre a Villa Santina, uno a Tolmezzo. Relativamente ai servizi semi residenziali, si è provveduto, come da legge regionale 2015, a stipulare le convenzioni per la gestione di quello per anziani non autosufficienti rispettivamente con il Comune di Tolmezzo e la casa di riposo della cittadina capoluogo della Carnia ed il comune di Forni di Sotto.

Speriamo che resti uno spazio anche per gli autosufficienti, mi dico fra me e me. Ed anche così possibili deficit di bilancio di strutture private potrebbero esser coperti dall’Aas3, che però, non potendo coprire tutte le spese, e seguendo un’ottica aziendalistica, potrebbe massificare i servizi e creare case di riposo che, se non si pongono attenzioni particolari, potrebbero trasformarsi in ghetti. Non da ultimo, si potrebbero configurare come semi- ospedali senza esserlo in modo alcuno e senza garanzia alcuna, in mano a cooperative che si sono aggiudicate il servizio globale sulla base del ribasso, senza clausola alcuna sulla qualità del servizio, e con spersonalizzazione data pure da abiti ‘comunitari’ non personali, come un tempo, e oos e infermieri per nulla affezionati, non certo per colpa loro, al lavoro.

Inoltre si viene a sapere che funzionano solo un centro diurno a Tolmezzo ed uno a Forni di Sotto, che sono stati frequentati rispettivamente da 31 persone il primo, da 17 il secondo, e bisognerebbe vedere come. Il Fondo per l’autonomia possibile ha interessato 203 persone, mentre il Fondo gravi gravissimi è stato utilizzato per 15 soggetti. Inoltre esistono in Carnia 17 centri di aggregazione per anziani, che hanno coinvolto, nel 2017, 250 anziani, infine si sono attivati 3 gruppi di anziani in cammino. Francamente però sarebbe pure utile che gli anziani potessero stare con giovani e bambini. È continuata anche l’offerta dello sportello gestito dall’ANFFAS Alto Friuli in partenariato con ANTEAS FVG, che ha coinvolto 125 persone e sono stati attivati corsi per formare amministratori di sostegno.

Si è attivata con Uti ed altri soggetti la formazione su:  “Rete del paziente anziano cronico”, mentre non ho capito perché la Responsabile del SSC dell’UTI della Carnia, abbia partecipato alla formazione “Il nucleo per l’etica della pratica clinica”. Vi è forse confusione fra Uti e Aas3? –  mi chiedo, fra politico, amministrativo e clinico? 

Al di là degli intendimenti, poi, in Carnia è aumentato il numero dei minori inseriti in comunità, pari a 15, con 3 madri, mentre 45 sono i soggetti presi in carico per fragilità genitoriale (aumento dei nuclei monoparentali, assenza della figura paterna), separazioni conflittuali, precoce adultizzazione dei minori.

Interessante invece è la considerazione che sono in aumento le situazioni di adolescenti con problematiche a forte rischio di emarginazione e devianza, per i quali molto spesso l’equipe multidisciplinare valuta la necessità di una comunità a valenza terapeutica.

In Carnia sono in atto poi vari progetti di sostegno alle famiglie ma, secondo me, esso dovrebbe avvenire attraverso una azione non medica e territoriale, creando comunità in cammino e solidali, non con la sanitarizzazione del sociale. Inoltre i progetti lasciano il tempo che trovano, pur avendo valenza anche positiva.
Invece la spesa nell’area dell’h, in particolare per i minori a scuola, è legato al numero di certificazioni, che ci si augura non contemplino sostegno al disagio, ma l’applicazione rigorosa della 104, mentre a mio avviso resta un problema la vita dei giovani diversamente abili dopo il 18esimo anno di età, in un mondo come quello attuale. E credo sarebbe propositivo riprendere, o sostenere, se si stanno già facendo, una serie di attività all’ interno degli spazi Anfaas, simili a quelle presenti negli anni ’90, e trasformare quelle stanze in luogo di incontro per tutti e di dibattito.

Importantissimo, poi, mi pare il dato che vede, negli ultimi anni, un progressivo aumento delle problematiche relative all’area degli adulti legate alla povertà economica, abitativa, relazionale, con conseguente esclusione sociale. Ma purtroppo in questa nostra società la povertà economica implica esclusione sociale e perdita di alloggio, e si spera che il governo decida qualche forma di reddito di cittadinanza. Invece quando si parla del reddito di inclusione bisogna ricordare che includere implica che vi sia stata un’esclusione e ‘includere’ non implica solo avere un reddito minimo, almeno per pagare l’acqua che Dio ha dato a tutti per vivere, ma che altri hanno a noi sottratto in un clima sempre più torrido, ma anche la presenza di una comunità e di un contesto sociale. Ma questo aspetto è difficile da proporre e gestire solo da parte di una azienda sanitaria, che può sostenere un progetto educativo per un singolo, ma non agire sul contesto globale. Per quanto riguarda gli alloggi, poi, sarebbe interessante sapere che fanno gli Ater. Esistevano risposte alla povertà, un tempo, perché ora si sono perdute o sono sottovalutate?

Comunque, anche per l’anno 2017, gli operatori del settore socio- assistenziale si sono adoperati nello svolgimento delle attività legate all’inclusione attiva MIA regionale e SIA statale. Interessante appare il contenuto del progetto ‘Abitare sociale’ anche qui gestito da una onlus, mentre questi servizi dovrebbero ridiventare comunali e sicuri, limitando la scelta di esternalizzare al privato che già esiste. E vorremmo sapere che compiti restano ai comuni, che mi pare abbiano delegato un po’ troppo, con una visione meramente amministrativa dei problemi.

Sulla via del superamento del disagio scolastico, non ritengo che le lezioni con ragazzi servano molto, ma invece può servire una presa in carico diretta dei problemi da parte degli insegnanti, dei genitori, della presidenza, come comunità educante, e si educa nel contesto e continuativamente, tendendo alla modifica dei comportamenti in loco. In sintesi non credo all’esperto sul bullismo, che comunque dovrebbe essere da altri proposto, ricordando pure che a scuola si va per studiare, imparare, apprendere. E ritengo che le reti di comunità non siano compito dell’Aas3, ma delle comunità stesse, ma l’Uti è solo un organo burocratico e inutile per la popolazione in cammino sul suo territorio, che non riesce mai a confrontarsi con i vertici, chiusi nel palazzo.

Inoltre i gruppi informali possono anche produrre cultura, non solo ‘fare delle cose insieme’, basta vedere cosa fece il preside Di Grazia a Paularo, esperienza da non perdere, e possono parlare dei problemi del territorio e chiedere di essere ascoltati.

Attività socio-assistenziale del distretto di San Daniele.

Per quanto riguarda il distretto di San Daniele, anche qui il sostegno al reddito ha inciso notevolmente sull’attività, oltre che l’impegno nei seguenti settori: prosecuzione delle progettualità connesse al Piano annuale immigrazione, in particolar modo le attività di sportello per gli immigrati gestito in collaborazione con L’Associazione MOVI e l’Associazione Mediatori Culturali; realizzazione del Progetto Invecchiamento Attivo, in collaborazione con l’Associazione Movi e i SSC delle UTI della Carnia, del Gemonese e della Val Canale/canal del Ferro; apertura di un tavolo permanente di co-progettazione con le associazioni familiari del territorio finalizzato alla condivisione delle progettualità connesse al Bando a sostegno degli interventi regionali a favore della famiglia e della genitorialità, nonché alla promozione dell’istituto dell’affidamento familiare;  sottoscrizione, nel marzo 2017, del protocollo operativo con i servizi sanitari, gli istituti Comprensivi di Basiliano e Sedegliano, Buja, Fagagna, Majano e Forgaria nel Friuli, Pagnacco e San Daniele del Friuli per la definizione delle procedure per la collaborazione tra scuola, servizi sanitari e socio assistenziali nelle modalità di segnalazione e presa in carico dei minori.

Quello che mi spaventa, in generale,  è come un servizio socio assistenziale in mano a poche persone tenti di inserirsi in ogni aspetto sociale, condizionandolo, e sostituendosi ad altri soggetti istituzionali. Per esempio la mediazione culturale e l’inserimento di immigrati non dovrebbe essere a carico dell’Aas3, ma del Ministero dell’interno, dell’Istruzione ed altri soggetti statali. E quando pochi cercano di intervenire, con la loro logica, su tutto, va a finire che potrebbero anche non riuscire a terminare nulla in modo adeguato. Insomma per me l’Aas3 dovrebbe limitare i campi di intervento.

 Molti inoltre afferiscono ai servizi sociali alla luce dell’attuale situazione socio economica nazionale e locale che vede presenti: la perdita o la riduzione del lavoro, l’insufficienza del reddito, la maggiore fragilità delle relazioni sociali e la vulnerabilità della coppia, il tasso di invecchiamento della popolazione, l’aumento delle patologie invalidanti. Ma l’Aas3 non può prendersi carico, assieme a qualche onlus non gratuita e con personale non si sa dove e come formato, mentre magari laureati nel settore sono a spasso, di ogni aspetto sociale, semplicemente perché non è il suo compito, e trasforma l’azienda sanitaria in un ente che ha gestione e supervisione su tutto, sottoposto alle fluttuazioni della stessa anche dal punto di vista economico, ed ad un approccio ai problemi sociali magari sanitario. Per esempio quando si legge che: «Si può ipotizzare che l’incremento delle misure a contrasto della povertà e della platea dei possibili beneficiari abbiano fatto emergere un nuovo target di utenza che in precedenza non era nota ai servizi», l’AAS3 come altre, pur meritevoli di lode per il loro impegno, dovrebbero fare la voce grossa perché la politica statale e regionale diano risposte alla povertà, non pensare che le aziende socio sanitarie possano rispondere ad ogni richiesta assistenziale, e chiarendo che a loro questo tipo di assistenza, se non per persone seguite dai csm o per altri motivi sanitari, non compete. E i numeri alla tabella dei ‘giunti ai servizi sociali’ del distretto sandanielese non è di poco conto.

Aumentano anche qui i minori seguiti, 309 contro i 295 del 2016 ed i 81 del 2015, e due aspetti sono da sottolineare: l’aumento di minori coinvolti in percorsi di devianza e l’Incremento della dispersione scolastica, dell’isolamento isolamento sociale e di ritiro, la difficoltà di gestione dei minori da parte delle figure genitoriali, in particolare nell’area preadolescenti e adolescenti. Ma l’educazione genitoriale non dovrebbe essere aspetto che compete alla sanità, se non per quanti afferiscono ai dimenticati consultori familiari, osteggiati a causa della legge per l’interruzione di gravidanza, e ben poco finanziati, che giustamente dovrebbero sostenere singole famiglie in un percorso comune verso l’autosufficienza.

 Alti risultano nel sandanielese gli affidi, ma i numeri per detta voce dipendono, qui come là, da aspetti non misurabili, particolare attenzione è stata data a minori autistici.

Altre voci del bilancio ricalcano quelle dei distretti precedenti e si prestano alle stesse considerazioni sulla pertinenza o meno di alcuni compiti come da svolgersi dall’Aas3, che non si presenta come un ente per risolvere tutti i problemi di carità cristiana, come dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, dare un tetto a chi non ce l’ha, perché rischia di andare in crisi e non avere tra l’altro, soldi e mezzi per far bene ogni cosa. Poco e bene nel rispetto dei compiti mi pare buon suggerimento. Il contrasto alla povertà non è fra i compiti di una Azienda Socio- Sanitaria, e secondo me neppure la gestione di S.IA. e M.I.A.. Lo facciano i comuni con le Uti, a cui deve esser demandato il settore assistenziale oltre che la lotta alla povertà. In sintesi si devono definire in modo preciso i campi di intervento.

L’area dello svantaggio è un’altra fra quelle non di pertinenza di una ass, secondo me, e se esso è scolastico se ne occupi la scuola, se è sociale si trovino soluzioni istituzionali diverse dall’assommare tutto, tranne che per i casi seguiti da Csm o portatori di handicap.

 L’invecchiamento attivo non è compito dell’Aas3, come non è suo compito gestire Rsa, che se sono residenze del post operatorio afferiscono all’ area sanitaria, se sono case di riposo ai comuni o alle fondazioni che le hanno in gestione. Scivolare verso la gestione di case di riposo spesso in perdita, è pericolosissimo, mentre si dovrebbe limitare l’azione del servizio dell’Azienda ad una supervisione sulle condizioni igienico -sanitarie e di vita degli anziani ospiti, che possono presentare pluripatologie, e spesso senza attività all’aperto o possibilità di uscita, su pratiche di invecchiamento attivo al loro interno, sul cibo dato, creando delle tabelle per tutte le case di riposo da seguire scrupolosamente, insomma per quanto afferisce alla sanità e salute, dettando le condizioni e controllando che siano rispettate.

 Relazione del Direttore Generale sulla Gestione – Bilancio d’esercizio 2017

 Rispetto a questo documento finale, ho poco da dire, perché fotografa l’esistente. Ma non so proprio come si possa assommare in sé tutta una mole di competenze e di gestione sanitaria, scrivendo, poi che uno degli obiettivi fondamentali è fare tutto spendendo il meno possibile e con il minor personale possibile.

Infatti così si legge riprendendo dal documento di programmazione aziendale 2016-2018, come obiettivo:

«Realizzare tutte le attività minimizzando il dispendio di risorse (lavoro del personale; tempo dei pazienti; risorse dell’ssr, risorse delle famiglie → semplificare i processi ed eliminare tutto ciò che non produce valore».  Pazienti ed utenti producono valore? mi chiedo polemicamente.

 Ed alla Dirigenza dell ‘Aas3 pongo questa domanda: “Come mai moltissimi utenti di competenza, hanno l’impressione che ormai in Aas3 non funzioni più nulla, che stia andando tutto in sfacelo, il che non è vero, ma in sintesi percepiscono un profondo disagio rispetto al pregresso? Forse perché si vogliono fare troppe cose con poche risorse umane e finanziarie? E con questi dati da sopravvivenza, come ci possiamo immaginare il futuro? 

Con questa frase termino questa mia, scusandomi subito con i dirigenti dell’Aas3 se si sentissero offesi da questo mio lunghissimo articolo, scritto non certo per criticare senza fondamento, chiarendo subito che i problemi dell ‘Aas3 sono comuni alle altre realtà italiane, che io sono profana in bilanci, e chiedendo venia ai lettori di miei possibili errori, e chiedendo semmai di correggermi e di commentare. Parliamo insieme di questa nostra sanità. 

Laura Matelda Puppini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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