Sono stata in Alto Adige, e mi pare importante fare alcune considerazioni nel merito della Carnia e dei suoi politici, ora spesso di idee berlusconiane, cioè da padronato imprenditoriale che vive però grazie alle finanze pubbliche ed al posto di potere politico occupato.

Ho visto in Alto Adige, il cui territorio non è mai stato trasformato in un novello parco dei divertimenti in sfregio all’ambiente, un mare di turisti nonostante i prezzi non direi popolari, ho visto i prati mantenuti ed il bosco a distanza, ho visto cura per il territorio e rispetto delle regole, e non ho visto la montagna trasformata in un autodromo per veicoli a due o quattro ruote, rombanti e con o senza targa, e non ho visto progetti di nuove strade larghe tanto da ipotizzare il transito per pullman e tir verso i rifugi montani, né ipotesi di asfalto a gogò sui sentieri, con una scusa o l’altra.  E stranamente anche gli italiani di altre regioni parevano gradire quello che a casa loro sembrava magari un divieto da infrangere.
Forse dovremmo metterci a parlare tedesco anche noi, penso fra me e me. Perché non a caso in Grecia, oltre 10 anni fa, invece di scrivere un divieto di accesso in greco od altra lingua scrivevano ‘Verboten’, a lettere cubitali.

Brunico. Paesaggio visibile dalla zona del castello. Si notano i prati verdi sullo sfondo. Foto di Laura Matelda Puppini, luglio 2021.

«Il problema della Carnia è quello che manca il maso chiuso» – mi diceva Romano Marchetti, ma ora come ora nessuno vieta al singolo di mantenere la sua piccola proprietà ed alla regione di prendere in affitto i tanti piccoli terreni o boschi per darli da lavorare a ditte serie ed innovative, invece di sposare o la fantasia degli assessori di turno o la tecnica di giungere sempre e comunque a situazioni di emergenza per mancata manutenzione e progettazione, che, diventando perenne, emergenza più non è. In fin dei conti se è riuscito ad acquistare ettari ed ettari di bosco in Carnia dai privati Emil Eberhard, industriale austriaco, grazie alla mediazione del paluzzano Matteo De Cecco (1), perché la regione, senza pagare terzi ma grazie al personale presente nei suoi uffici, non potrebbe affittare, con clausole varie, terreno privato, per produrre lavoro in loco e mantenere il territorio?

Perché questo ho anche imparato dai miei due viaggi in Alto Adige: l’ambiente naturale è una ricchezza, ma, perché resti tale, bisogna sposare politiche di tutela e di arricchimento dello stesso razionali, progettuali, non di rapina, e che guardino al futuro ed alla cura di quel pezzetto di creato che Dio ci ha dato.

Quello che meraviglia in Alto Adige sono i prati di un verde smeraldino, curati e fonte di foraggio per gli animali, quello che meraviglia in Alto Adige è come rii e ruscelli vengano tenuti in grande considerazione, quello che meraviglia in Alto Adige è come il traffico motoristico non abbia niente a che fare con quello che stupra i sentieri che si vede qui, e come si possa camminare a piedi o andare in bicicletta sulle piste ciclabili senza che nessuno le scambi per autodromi. E le piste ciclabili mi pare proprio non salgano sui monti, non vadano da una cima all’altra, come si vorrebbe in Carnia (vedi l’assurdità- oscenità della ipotetica ciclabile Val Pesarina – Sappada, che vorrei poi sapere come verrà mantenuta e per chi costruita – (2)) ma seguono il corso dei fiumi e gli abitati. In sintesi non si sposa il bici- alpinismo, che ben pochi si possono permettere anche dal punto di vista della salute, ma lo spostarsi, compatibilmente con la propria età e con le proprie forze, a piedi o con la bicicletta.

Paesaggio sulla via per Burg Taufers. Foto di Laura Matelda Puppini. Dicembre 2017.

Inoltre, sognando solo denaro e finanza nel contesto di un impossibile progresso neoliberista, in Carnia si sono buttate alle ortiche le tecniche dei nostri avi per la cura ed il taglio del bosco, e gli opifici collegati.

Se raggiungete il Trentino Alto Adige da Forni di Sopra e passo della Mauria, appena giunti in Cadore potrete notare la presenza di segherie, che qui sono sparite tutte nel secondo dopoguerra , quasi fossero state un segno di regresso, e, con le segherie, sono spariti i treni, il taglio ragionato del bosco, una ‘industria’ targata territorio, i terrazzamenti, i frutteti, le ‘mille’ varietà dei semi di cui la nostra terra era ricca, l’allevamento ed il latte considerati come risorse. Ed ora forse importiamo anche per noi stessi quello che un tempo producevamo pure per gli altri, e le latterie sono diventate un monumento storico, per ben che vada, tranne rare eccezioni. Non così nel borgo di Santa Caterina di Brunico, ove gli animali, anche da far pascolare all’aria aperta come in tutto il Trentino Alto Adige, sono una realtà produttiva.

E questo non significa che lassù, ove tutti vorremmo stare almeno un mese in vacanza, non si siano introdotti metodi innovativi nel lavoro della terra: invero non si vedono più vecchiette con falce, ‘codar’ e rastrello, ma mezzi meccanici moderni guidati da giovani e meno giovani, che si muovono tra i prati ed imballatrici per il fieno. Ma mi si dice che la regione e la provincia di Bolzano non hanno lesinato aiuti economici a chi investiva in agricoltura ed allevamento.

Non solo: almeno a Bressanone, la bella, non esiste porta a porta per la raccolta dei rifiuti, ma ci sono i cassonetti differenziati dove nessuno credo si sogni di buttare un rifiuto non pertinente. Perché certi usi civili e civici non possono essere scavalcati da goliardate o da fenomeni del ‘chi se ne frega’ che cancellano tutto il lavoro altrui e di una comunità, ma non solo: i camion che passano a raccogliere i rifiuti differenziati sono muniti di macchinari che sollevano e imballano subito.  

Zona di Dobbiaco. Dietro il corso d’ acqua chiamato Rio San Silvestro, che confluisce poi nel Rienza, si nota la pista ciclabile che passa davanti all’ edificio sullo sfondo. Foto di Laura Matelda Puppini. Luglio 2021.

Scrive don Di Piazza sul Messaggero Veneto del l’1°agosto 2021 (3), che vi è chi fa esperienze solo funzionali all’ «utilitarismo emotivo e vantaggioso per il proprio ego», ed ad «una sorta di consumo per se stessi o per piccoli gruppi». Anche qui quello che manca ormai è il senso di essere comunità, il non essere solo singoli assemblati su di un territorio ed abitanti in uno spazio dormitorio. Per questo non mi è piaciuto il passaggio dalla ‘Comunità Carnica’ poi montana all’ ‘Unione territoriale dei Comuni della Carnia’, perché l’unione dei territori non crea comunità, ma toglie le persone per sostituirle con l’aspetto produttivo dell’ambiente, per poi cercare, semmai, di ricreare una comunità fittizia, calata dall’alto.

Prima di creare la Comunità Carnica, il Cln inviò Romano Marchetti a studiare lo Statuto della Comunità di Pieve di Cadore, quindi, una volta creata la Comunità Carnica, la stessa, nel 1952, inviò il dott. Giacomo Filaferro, forestale di Udine e massone, il dott. Geremia Puppini (mio padre) per la scuola, il signor Alessandro Tarlao per gli albergatori ed addetti al settore turistico, e Romano Marchetti per il settore agricolo in Svizzera, a studiare come in quella Confederazione erano stati risolti i problemi dell’ insegnamento professionale, dello sfruttamento ragionato del bosco, dell’agricoltura montana, della proposta turistico-alberghiera, della conflittualità paesana.

Quanto osservato e conosciuto fu oggetto di una interessante pubblicazione quasi ormai perduta, dal titolo: “Un viaggio nei cantoni alpini elvetici”, ed. Camera di Commercio, industria ed agricoltura, 1956, e di articoli comparsi su: Alpe Carnica’ (4), oltre che esser stato citato, recentemente, da Romano Marchetti nelle sue memorie (5). Cosa se ne fece poi di quanto appreso Dio solo lo sa, ma probabilmente rimase lettera morta, dato che la politica qui era più interessata ad aspetti nazionali ed all’anticomunismo, che cancellò ogni innovazione favorendo ogni visione retrò, che a far progredire la comunità della Carnia ed il suo territorio. Ed uno dei mali maggiori, secondo Romano Marchetti, fu il centrismo udinese, che cancellò la montagna. E secondo me aveva ragione da vendere.

 Trentino Alto Adige. Zona del castello di Thun. Foto di Laura Matelda Puppini. Fine marzo 2017.

Allora, secondo Romano, vigeva anche in Svizzera il sistema del maso chiuso, veniva attuata una oculata politica per il bestiame, sia bovini che ovini e caprini, in rapporto alle stagioni ed al territorio, le latterie erano private ma efficienti. In campo agricolo, poi, quello che sembrava di eccezionale importanza era il criterio in base al quale veniva concesso il credito di miglioramento ad una azienda. Era la cassa rurale comunale cooperativa, a cui tutti gli agricoltori partecipavano, che esprimeva il proprio parere circa l’accoglimento della domanda e la somma da concedere. Quindi La Federazione Casse Rurali Cantonali, previa ulteriore indagine, decideva autonomamente sul caso. Infine, se il Comune e il Cantone davano il loro placet alla richiesta, la Confederazione era tenuta a corrispondere il contributo.

Le scuole professionali erano improntate alle richieste nel mondo del lavoro e venivano promossi pure corsi di aggiornamento per agricoltori e di economia domestica per le giovanette. Ed attraverso incontri, conferenze, discussioni, si tendeva a limitare la conflittualità paesana e cantonale, a far emergere i dissidi ed a preparare gli abitanti di una comunità ad una lunga convivenza (6).

Non mi soffermo ancora sugli interessantissimi esiti di questo viaggio nella Confederazione Elvetica, a cui dedicherò, probabilmente, un altro articolo, e preciso che se ritengo l’Alto Adige per molti versi un esempio da seguire, non lo ritengo però la perfezione assoluta, ma certamente un modello da approfondire e di base ad una svolta pianificatrice in questa nostra Carnia a due passi dal baratro.

Leggo quindi con grande stupore della proposta fatta dai comuni di Lauco e Resia per invitare famiglie e persone a venire ad abitare nel loro comune, ma non basta avere un alloggio per dignitosamente vivere in un luogo (7). Ed a costo di ripetermi, riscrivo che, per avere popolazione stanziale, si devono avere lavoro e servizi, quel lavoro e quei servizi che, essendo pian piano stati limati, hanno allontanato i residenti verso altri lidi. Non mi dilungo sul fatto che, dopo adeguati corsi di riconversione o preparazione lavorativa, personale potrebbe esser utilizzato per la cura del territorio, per tener puliti boschi e ruscelli, per recuperare i prativi, per allevare bestiame, e si potrebbe portare, come forse già parzialmente presente, ulteriore industria di trasformazione vicino ai luoghi di produzione. Naturalmente ciò può accadere solo se la Regione predispone un progetto adeguato da far attuare a persone capaci e oneste, che non distruggano ma ripristinino, uscendo dalle pastoie partitiche che hanno ingessato, in questa nostra martoriata Regione, storia ed eccellenze anche dal punto di vista economico, come fu il gruppo delle Cooperative Carniche, l’Ente Forze Idrauliche del Friuli (8), l’Ente di Economia Montana, buon senso e vera progettualità imprenditoriale per il territorio, che certamente non è figlia del neoliberismo sfrenato che pochi ingrassa. Eppure, se si parla di beni comuni, ecco comparire lo spettro del comunismo nelle menti fervide di alcuni, addestrati ormai, temo, a non pensare in proprio. Per costoro solo il ‘forest’ che sfrutta senza neppure dirti grazie, in una ottica colonialista, è uno bravo, che sa, mentre menti e menti carniche hanno abbandonato la loro terra. Inoltre abbiamo una classe politica che non sa dire mai di no, ancorata ad una visione che non è neppure vetero- testamentaria, ma fuori di ogni ‘seminato’.

Con ciò, però, non è che non ritenga almeno un inizio questa proposta, che nasce dal sindaco di Resia e da quello di Lauco, dalla Cooperativa per lo Sviluppo Sociale ‘Cramars’ e da ‘Carpediem’, società specializzata nello sviluppo di progetti di innovazione e cooperazione territoriale europea, con un finanziamento della Fondazione Friuli (8).

Prato a Valdaier (Ligosullo – Carnia), dove vi è un allevamento di bestiame. Foto di Laura Matelda Puppini. Settembre 2017. 

Però, d’altro canto, quanto siamo  tenuti in considerazione dalla Regione Fvg e dal suo potentissimo assessore alla salute in sede nuova, se si leggono notizie come quella postata sul gruppo facebook: ‘Professionisti dell’emergenza/urgenza, ieri? Essa così recita: «AREA CARNICA sempre più in difficoltà.
Postazioni autoambulanza di Ampezzo, Paluzza, Chiusaforte; ci segnalano la frequente mancanza dell’infermiere a bordo del mezzo della CRI, contrariamente a quanto previsto dalla convenzione con ASUFC. Pare che anche oggi si stia ripetendo la stessa situazione, con le evidenti possibili ripercussioni negative sulla qualità, organizzazione e tempistica della risposta. ASUFC ne è al corrente? ARCS e SORES ne sono al corrente? Se si verificassero problemi la responsabilità di chi sarebbe?». Ce lo chiediamo anche noi. E cosa pensa di fare per ovviare a questo problema l’assessore tuttologo, tenendo in considerazione, pure, le ripercussioni generali di notizie come queste? Forse gli infermieri sono in ferie? E prima nessuno lo poteva pensare? Ma forse la causa di questi forti disservizi è da imputare al fatto che questo sevizio di emergenza urgenza è stato esternalizzato, come qualcuno ipotizza? E si continuerà ad andare avanti così? Ma chi volete che venga ad abitare nei nostri paesi se la situazione a livello sanitario è questa?

Infine un altro aspetto che veramente disturba in Carnia è lo strazio urbanistico del territorio, fra strade, varianti inutili, una Tolmezzo che dir che è orrenda è poco, piste di ogni tipo, zone artigianali ed industriali, una pista addestrativa per motori e più abusive, un poligono di tiro che disturba ogni dì di festa, e chi più ne ha più ne metta. Nulla di tutto questo in Alto Adige, credo, così come in Austria e in Svizzera, tranne forse rarissime eccezioni. Ed anche ora si continua a sponsorizzare moto rombanti e grandi eventi a Fusine, dando rassicurazioni giornalistiche che il manager della band, se ho ben capito, ricostruirà il prato (non di certo recente e sicuramante facente parte di un habitat particolare) offeso da sedie ed altro, e che si pulirà la sozzura rimasta, ed a criticare Legambiente senza argomento alcuno, e temo che ne vedremo ancora delle belle in Carnia e nel tarvisiano, pronti, per avere stanze di alberghi piene per una notte, a fare qualsiasi cosa, senza tener conto dell’ ambiente e dei suoi abitanti. Ma noi dobbiamo riempire forse le tasche degli albergatori a qualsiasi costo e prezzo? E come mai in Trentino Alto Adige riescono a riempire le loro strutture ricettive per lunghi periodi senza ricorrere a moto rombanti e a spettacoli in laghi unici, mentre noi mettiamo in forse anche la sopravvivenza di quello di Cavazzo?

I risultati di questa politica non solo attuale ed anche spendacciona senza risultato positivo concreto e duraturo, a mio avviso si vedono tutti, e sono scritti non nelle stelle ma nel logico exitus di tale dissennatezza.

E con amarezza, e senza voler offendere alcuno, chiudo questo articolo chiedendomi perché siamo andati a finire così, e sottolineando che, se vogliamo vivere qui e far prosperare questa terra, ‘no podin simpri platâ dut’, non possiamo sempre far finta che i problemi non esistano e nasconderli. Perché i problemi celati sono destinati ad aumentare, non ad essere risolti. E la politica, a livello di servizi e di territorio deve essere anche propositiva, e non nel senso in cui lo era negli anni ’50, ma francamente, qui non l’ho vista chiedere nulla per noi, ma solo fare lai.
E ricordo la frase di una canzone di Angelo Branduardi: «Si può fare, si può fare/ Si può crescere, cambiare/», ma solo se si sa prevedere e progettare in modo chiaro e logico.   

Laura Matelda Puppini  

(1) Cfr. L. M. Puppini, Marco Lepre. Eberhard, il padrone di ettari ed ettari di bosco carnico, e l’impianto della Vinadia, in: www.nonsolocarnia.info.

(2) Cfr. https://www.regione.fvg.it/rafvg/export/sites/default/RAFVG/infrastrutture-lavori-pubblici/infrastrutture-logistica-trasporti/ciclovie/allegati/2019_07_02_Numero_2950_decreto_biciplan_Linee_guida.pdf..

(3) don Pierluigi Di Piazza, Crescere come comunità, rifiutando gli esempi di individualismo, in Messaggero Veneto, 1° agosto 2021.  

(4). Nel numero 1° giugno 1952 di Alpe Carnica, periodico della Comunità Carnica, veniva annunciato un viaggio di tecnici in Svizzera, patrocinato dalla Comunità Carnica «per rendersi conto, attraverso un esame comparativo della nostra organizzazione economica con quella esistente in tali zone, delle vie più sicure e dei mezzi più idonei per conseguire un miglioramento della nostra struttura produttiva.». (“Relazione della Giunta sull’attività del viaggio dei tecnici in Svizzera”, in: Alpe Carnica, numero del 1° giugno 1952, in: Alpe Carnica, Carnia Domani, ristampa anastatica curata da Ermes Dorigo, ed. Comunità Montana della Carnia, Tolmezzo 1995). Dal  numero di Alpe Carnica datato 17 ottobre 1952 si viene a sapere che: «La speciale Commissione di Studio che, sotto gli auspici della Comunità Carnica e della Camera di Commercio ha compiuto un viaggio nella Svizzera per esaminare e discutere sopraluogo le soluzioni date, nelle regioni alpine di quel progreditissimo paese (la Svizzera n.d.r.), ai più importanti problemi dell’economia montana, è rientrata, dopo aver visitato, nei cantoni di S. Gallo, Svitto, Lucerna, Unter Walden, Uri e Ticino, secondo un programma accuratamente studiato dall’Ufficio Federale dell’Industria, delle Arti e Mestieri e del Lavoro, installazioni, aziende, opere del più grande interesse».(“Un viaggio di studio nei Cantoni di montagna della Svizzera promosso dalla Comunità Carnica”, in: Alpe Carnica – numero del 17 ottobre  1952, in: Alpe Carnica, Carnia Domani, op. cit.). Esiste anche una pubblicazione degli esiti del viaggio: Giacomo Filaferro, Romano Marchetti Geremia Puppini, (a cura della Camera di Commercio, industria ed agricoltura di Udine), Un viaggio nei cantoni alpini elvetici, ed. Camera di Commercio, industria ed agricoltura, 1956.

(5) Cfr. il capitolo: ‘Viaggiando fra i cantoni svizzeri’, in: Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml- Kappa- Vu ed. 2013, pp. 233-239.

(6) Ivi, pp. 233-236.

(7)  Gli abitanti di Resia e Lauco diventano guide per invitare a trasferirsi nella valle, in: https://www.friulioggi.it/resia/incontro-progetti-sviluppo-aree-interne-29-luglio-2021.

(8) Ibidem.

Tutte le immagini di questo articolo sono state scattate da me con la mia piccola Samsung. La foto che accompagna l’articolo rappresenta la cattedrale di Brunico ripresa dal castello della città.  L.M.P.

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