Introduzione.

Riporto qui, per il giorno del ricordo, un articolo non mio ma di Eric Gobetti (1) sulle “Linee guida per la didattica della frontiera adriatica”, un modo forse ora ‘trendy’ per dire “Linee guida per la didattica del confine orientale”, inviate ai docenti dal Miur e siglate pure dalle varie associazioni di parte e private, formate da figli e nipoti di esuli e profughi, fra le cui fila pare ci siano anche esponenti politici di chiara fama come Roberto Menia, dai trascorsi nel Fronte della Gioventù e nel Fuan (2), a cui potrebbe pure venir affidata, anche se non obbligatoriamente, la divulgazione della storia ai giovani. Un secondo articolo, non dello stesso autore ma sullo stesso argomento verrà da me riportato in un successivo spazio.

E dico subito che io non sono favorevole a che fatti storici vengano narrati agli studenti da esponenti politici di partiti, come la Donazzan di FdI, dai trascorsi, pure lei, nel Fronte della Gioventù, e da associazioni di categoria, siano esse la potentissima Anvgd, (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), la Federesuli,  o l’Anpi. Perché io penso che la storia debba esser studiata e narrata dagli storici, anche se pure gli storici possono essere influenzabili e politicamente e partiticamente connotati.

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Non ho letto le “Linee guida…”, di ben 90 pagine, e non le leggerò per ora, perchè ho ben altro da fare, affidandomi al giudizio altrui, tanto non devo insegnare; ma mi pare che su questa storia del confine orientale, politicamente connotata e definita ingiustamente ‘delle foibe’, tanto per livellare la complessità di quel periodo storico ed emotivamente connotarlo, si sia speso tanto di quell’inchiostro da far paura, dimenticando l’Ozak, cosa fecero all’Italia ed agli italiani, alla penisola jugoslava ed ai suoi abitanti, venti anni di regime fascista e la seconda guerra mondiale, e pure, per quanto ci riguarda, le guerre coloniali. Sapete, quando si narra di storia bisogna farlo con un certo rispetto per chi visse alcuni avvenimenti, sia che si sia di destra sia che si sia di sinistra, ma non si può esulare dai contesti reali in cui gli avvenimenti accaddero.  Ma forse ormai è tempo perso, e la politica si è sostituita alla scienza.

E poi magari, come seconda fase politico-partitica, dopo “Le linee guida…” emanate con il placet delle associazioni  dei figli e nipoti degli esuli e profughi, ci sarà il via alla legge sul negazionismo delle foibe, che potremmo anche chiamare legge per Kersevan, neanche fosse una terrorista invece che una madre di famiglia che non ha mai sparato a nessuno, (ma a cui, magari, visti certi toni, qualcuno avrebbe voluto sparare) che non ha mai scritto insulti gratuiti, che io sappia, ma solo ipotesi, che però alla destra totalitaria, per non scrivere filofascista, non andavano e vanno bene. Ma ormai con l’americanizzazione della società, che punta pure al vittimismo individuale che tutti accomuna, (3),  si è giunti anche in Italia alle versioni di stato della storia, come accadde ai tempi di Ottaviano Augusto imperatore, ma anche del più noto Benito Mussolini. E nessuno poteva allora contestare quanto approvato dal potere assoluto, come accadeva pure in Spagna sotto Francisco Franco, e le versioni di stato cancellarono allora e cancellano ora ogni ricerca e possibilità di confronto fra studi diversi, incastrando in logiche ‘perverse’ pure scuole e università.

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Anche Raoul Pupo, che tanto si è dato da fare per il  Vademecum per il giorno del ricordo – Priročnik o Dnevu Spomina, reperibile sul sito dell’ Irsml, prendendosi le accuse di negazionismo dall’associazione degli esuli e non so se anche dalla politicamente potentissima Angvd che ha ricevuto e credo riceva ancora palate di soldi dalla Regione FVG, ha deciso di partecipare alla stesura di queste “Linee guida…”, non si sa perché, e forse in tal modo ha recuperato, agli occhi delle Associazioni dei figli e nipoti dei profughi, una ‘nuova verginità’, che non credo, però, fosse il suo obiettivo. Ma non ci si può nascondere che Raoul Pupo fu anche un noto esponente della Democrazia Cristiana ed è stato un fautore della pacificazione e della memoria condivisa, che io sappia, oltre che essere, con Roberto Spazzali, l’autore del volume ‘Foibe’ che contiene anche qualche affermazione molto discutibile come, per l’appunto, il definire ‘foibe’ una serie di fenomeni complessi accaduti al Confine orientale d’Italia, e plaudere, allora, all’introduzione del  negazionismo.

E mi scuso subito con il noto docente, che conobbi all’Università, ma sono rimasta davvero male a vederlo partecipe di questa operazione che si potrebbe inserire, temo, in una di quelle di ‘possibile negazionismo della verità storica’, come tutte quelle che risultano solo unicamente politicamente connotate.  Ma cosa volete, ormai, in Italia come nella UE, la versione dei fatti deve essere quella desiderata dai potenti, politici e danarosi, e dalla finanza, e coloro che dissentono e vorrebbero studiare a fondo la realtà degli eventi sono magari tutti ‘putiniani’, essendo ormai il termine ‘titini’, passato di moda. E se sbaglio correggetemi, ma così almeno apriremo un dibattito su questi aspetti e su che cosa passa anche la rete ai nostri ragazzi per vederli trasformati, in certi casi in alcolizzati, in altri in ‘perdenti prima di aver cercato di vivere’, o in bulletti pure di baby gangs o in bullizzati.

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Ma poi mi chiedo anche: perché io ho letto tanto, essendo una storica, per cercare di comprendere, di capire a fondo fatti e contesti, quando pare basti essere soci di un’associazione di parte per dire l’ultima verità sui fatti storicamente complessi agli allievi, e ‘vonde monadis’?

Comunque non avendo intenzione ancora di scrivere e leggere di ‘foibe rosse’, senza neppure, pare, collegamento alcuno alle stragi nere e della svastica nazista ed alla seconda guerra mondiale, riporto qui questo articolo, e quindi uno successivo, come elementi di riflessione su cosa sta accadendo in Italia relativamente alla interpretazione e didattica della storia del Confine Orientale, inviata come “Linee guida … “ai docenti, che risultano per lo meno discutibili stando a quanto scritto da chi le ha lette.

E senza tema di smentita dico anche che, se si avvalla politicamente una chiave di lettura di un aspetto specifico e marginale della storia della seconda guerra mondiale, la chiave di lettura di quel fatto plasmerà la interpretazione di altri fatti, di tutta la storia europea dei primi Novecento e della seconda guerra mondiale, che lo si voglia o meno.  Vorrà dire che, magari, quanto ho studiato andrà a finire che lo dovrò raccontare ai miei nipoti in una cantina, stando attenta che nessuno ascolti, per poi sentirmi dire, “Nonna, ma a scuola non hanno detto così”. E scusatemi pure per l’amarezza di queste parole. Inoltre la corsa a questa operazione di codificazione politica di fatti storici accaduti nel 1943 dopo la caduta di Mussolini e nel 1945 a fine guerra, quando persone dello spessore di Federico Tenca Montini hanno iniziato a leggere archivi sloveni e slavi conoscendo le lingue specifiche, dà un po’ a pensare.  Ma forse, piuttosto che confrontarsi e leggere, è meglio puntare ad un ipse dixit, e chiudere il conto. E lo ripeto ancora: se erro correggetemi. 

Laura Matelda Puppini.

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Ritornando però al dunque, riporto qui di seguito il primo articolo promesso, che è di Eric Gobetti che ringrazio per avermi inviato il testo e concesso la pubblicazione. L’originale lo potete reperire in:  https://www.editorialedomani.it/idee/cultura/foibe-linee-guida-ministro-bianchi-yejgiyvi)

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Eric Gobetti. Foibe a scuola: come (non) insegnarle.

«Poche settimane dopo l’inizio dell’anno scolastico, esattamente il giorno prima dell’insediamento del nuovo governo, il Ministero dell’Istruzione ha emesso un documento per le scuole di ogni ordine e grado denominato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si tratta di una lunga circolare, di circa 90 pagine, realizzata da un’equipe di quattro storici e sottoscritta dalla maggior parte delle associazioni degli esuli. Lo scopo sarebbe quello di fornire ai docenti gli strumenti educativi per affrontare il tema delle foibe, dell’esodo “e della più complessa vicenda del confine orientale”, nei termini della legge n. 92 del 2004.

Il fatto ha suscitato immediate polemiche e il timore di un ennesimo tentativo di ingerenza della politica sul mondo della scuola. La prefazione, a firma del ministro dimissionario Patrizio Bianchi e dal suo capo dipartimento Stefano Versari, pare però animata dalle migliori intenzioni: lo scopo è quello di offrire ai docenti uno strumento formativo storicamente ineccepibile, inclusivo dei diversi punti di vista e delle memorie conflittuali, che operi nella prospettiva di un’integrazione europea: “L’obiettivo è che la storia della frontiera orientale generi incontro, collaborazione, speranza”, scrive il ministro a p. 7.

Anche l’introduzione storica sembra in linea con tali principi: si sottolinea la complessità etno-nazionale del territorio, la lunga compresenza di identità linguistiche differenti, la sovrapposizione, in quel territorio di frontiera, di tre mondi culturali: slavo, latino e germanico.

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Proseguendo però nella lettura della ricostruzione storica, dei consigli metodologici e degli elenchi di materiali messi a disposizione dei docenti, l’approccio cambia. I riferimenti al “riconoscimento delle memorie altrui” (p. 61), si perdono per strada e al centro del quadro appare esclusivamente l’italianità adriatica, la bimillenaria cultura latina, senza nessun tentativo di “superare le angustie delle storiografie nazionaliste” (p. 7), come auspicato dal ministro nella prefazione.

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È chiaro che queste Linee Guida sono il frutto di un difficile compromesso fra una visione storica complessa (promossa da alcuni degli autori) e la volontà di assecondare la prospettiva nazionalista rappresentata dalle associazioni degli esuli. A questo proposito vale la pena notare come alcuni di questi enti abbiamo in passato assunto posizioni radicalmente aggressive, boicottando ad esempio la visita di Stato congiunta italo-slovena a Basovizza e accusando di “negazionismo” chiunque si azzardasse a contestualizzare storicamente la vicenda.

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Ne esce dunque un testo confuso e ambiguo, dove si possono trovare giuste critiche ai pessimi film prodotti dalla Rai e spesso proposti nelle scuole (non “adatti alla visione dei giovani, facilmente e acriticamente colpiti dagli aspetti più emozionali delle pellicole“, p. 21), ma anche la criminalizzazione della Resistenza (che sarebbe responsabile delle repressioni fasciste) e perfino un quadro agiografico di Vincenzo Serrentino, il caso più vergognoso di onorificenza concessa a un “martire delle foibe” condannato per crimini di guerra.

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Non tutto è da buttare, ma i tentativi di contestualizzazione storica passano in secondo piano rispetto alla volontà politica di affermare la centralità di una vicenda che è solo il punto di arrivo di un lungo processo storico. La questione viene chiarita a p. 17: se in classe “la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia, questa non va considerata come corretta contestualizzazione, bensì quale mera elusione”.

Nonostante l’invito a rivolgersi alle associazioni degli esuli per la formazione e le “attività laboratoriali e di seminario” (p. 49), le evidenti contraddizioni del testo lasciano comunque ampio spazio di manovra, sia per i docenti che intendono contestualizzare o analizzare la “pluralità di memorie” (p. 44) di quella contrastata vicenda, sia per chi predilige una visione unilaterale e nazionalista. È però evidente l’importanza di questa operazione da un punto di vista politico.

Essa rappresenta una sorta di colpo di coda del governo “delle grandi intese”, prima del passaggio di consegne a chi ha molto più apertamente strumentalizzato questa vicenda storica. Il ministro dimissionario ha voluto così togliere al nuovo governo la possibilità di influire pesantemente sull’insegnamento di questa pagina di storia.

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Intendiamoci, nulla è perduto per i nuovi governanti, ci saranno ancora pressioni sul mondo della scuola, e il 10 febbraio possiamo aspettarci una circolare ministeriale ancora più insensata e antistorica di quella del 2022; ma per qualche anno la strada potrebbe essere segnata da queste Linee Guida. Si tratta di una fragile barriera, che consente un certo margine di autonomia ai docenti, ma anche di un’ulteriore occasione mancata.

Il testo infatti ribadisce una versione ufficiale totalmente italiana, con uno sguardo unilaterale e vittimista, pur rammentando tutti i passaggi della vicenda, anche quelli meno gloriosi per l’Italia. Nella logica appunto delle “grandi intese” si è voluto accontentare l’associazionismo più estremista, confinando i riferimenti “al dialogo e al rispetto dello sguardo dell’altro” (prefazione del capo dipartimento Stefano Versari) alle roboanti dichiarazioni di principio. Possiamo solo sperare che qualcuno faccia buon uso di tali dichiarazioni, che esse non vengano del tutto disattese nell’applicazione pratica di queste Linee Guida.

Eric Gobetti.

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(1) Eric Gobetti, torinese, è nato nel 1973. Egli si è laureato ed ha portato a termine due dottorati, uno a Torino con Marco Buttino e l’altro con Luciano Canfora, presso la Scuola superiore di studi storici di San Marino. Negli anni seguenti ha condotto ricerche in particolare sull’attentato di Sarajevo, sul movimento nazionalista croato degli ustascia negli anni 1930, sulle stragi nazifasciste in Piemonte, sulle raccolte audiovisive a tema resistenziale in Piemonte, sui crimini di guerra italiani nei Balcani e sulla presenza italiana in Jugoslavia nella seconda guerra mondiale. Ha scritto per testate nazionali, è stato relatore in numerosi convegni nazionali e internazionali, ed ha partecipato e partecipa a programmi televisivi di ambito storico.

(2) Cfr. in: www.nonsolocarnia.info: La lettura della storia al confine orientale d’Italia è caduta in mano filofascista? Chiediamocelo, in: www.nonsolocarnia.info. 

(3) Cfr. “Il ruolo del vittimismo nella politica americana”, https://formazionecontinuainpsicologia.it/ruolo-vittimismo-politica-americana/.

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L’immagine che accompagna l’articolo è la copertina del volume ‘Foibe’ di Raoul Pupo e Roberto Spazzali, ultima edizione, Il Giornale. L. M. P.

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