Ituzaingó ed Ayolas sono su due villaggi sulle rive opposte del Rio Paraná, che a volte inonda entrambi. Ituzaingó ed Ayolas distano poco in linea d’aria, ma nella notte da Ituzaingó non si vedono le luci di Ayolas: in mezzo c’è un’isola.
Un ponte, costruito per la diga Yacyretá, congiunge Ituzaingó ad Ayolas, ed in un “batter di ciglia” si può passare dalla costa argentina a quella paraguaiana del largo fiume.

Nel Rio Paraná nuotano grossi pesci, dorados e surubì: molte spine e carne bianca. Pescati vengono mangiati alla griglia. A Ituzaingó c’è un ristorante che serve solo pesce grigliato. Ha una grande terrazza che da sul fiume, ove un gruppo suona e canta “chamamés”…
Entrano ragazze in coppia o a gruppi e si guardano attorno.
Vi sono più donne che uomini ad Ituzengó e ad Ayolas.

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Un venerdì pomeriggio accompagno un amico, Carlos, ad una gara di pesca che si terrà il sabato e la domenica più a sud, a Goya. Dopo tanti fine settimana in giro per il Paraguay, sono contento di andare in Argentina. Viaggiamo lungo il fiume, lentamente, parlando di lavoro.
Ceniamo nell’albergo dove passeremo tre notti. Mangiamo pesce e Carlos parla di pesci, canne da pesca, ami. Io ascolto, fumo, bevo birra Quilmes
Poi usciamo: è venerdì notte, anche a Goya.
Vi è musica, vi sono ragazze.

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Goya è una città a circa duecento chilometri da Corrientes, a sud, in Argentina. È sul fiume Paranà, ha un paio di piccoli porti, poco attrezzati e poco utilizzati.
É famosa per la “fiesta nacional del surubí”, un grosso pesce che nuota in abbondanza nelle acque del fiume. Per la “fiesta” accorrono pescatori da tutta l’Argentina.
Nell’aria delle periferie della città si respirano gli odori del fiume mescolati a quelli delle foglie di tabacco messe ad essicare. L’ “industria tabacalera” è importante in Argentina.
Le origini della città non sono ben definite e non ha preso, da che si narra, il suo nome dal pittore, ma, sembra, da una bottegaia, Gloria “ Goya” che faceva formaggi e li vendeva. Si dice che a Goya sia passato anche Giuseppe Garibaldi.

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La mattina seguente non vado a pescare con Carlos, che esce all’alba dopo un paio ore di sonno, perché deve affittare anche la barca.
Spiritoso da quattro soldi, mi saluta dicendo: «Chi dorme non piglia pesci». Non rido e  non rispondo, ma penso che chi piglia pesci, non si gode il sabato mattina.
Quando scendo per colazione la sala da pranzo è piena di gente venuta ad assistere alla gara, famiglie con bambini, per lo più. Vi è un unico tavolo, nella sala, con una persona che siede da sola, bevendo caffè e mangiando una “media luna”. La cameriera gli chiede se posso sedermi, e quello annuisce.
Entrambi sorridiamo. Encantado!  Encantado!” – così ci salutiamo.
Ordino café con “leche” y dos “media luna”. Ho fame.
Il mio compagno di colazione mi dà un biglietto da visita. Si chiama Mario Blanco, è di Buenos Aires, fa l’avvocato, vive a Floresta ed ha lo studio in Avenida Esmeralda al 900. C’è anche un indirizzo di Azul.

Dico che sono qui perché ho accompagnato Carlos alla gara, ma non credo che andrò al fiume. «Nemmeno io amo la pesca. – mi risponde – Vivo facendo l’avvocato, ed anche scrivo. Sono qui perchè ho voluto vedere dove hanno vissuto Camila O’ Gorman e Ladislao Gutierréz, prima di venire uccisi. Penso di scrivere un racconto. Ho anche sentito che un regista pensa di fare un’altro film su questa vicenda».
«Conosci la storia dell’Argentina dell’ottocento? La loro storia?»- mi chiede poi.
«Conosco la conquista del deserto, il genocidio dei popoli originari, la guerra della triplice alleanza. Non conosco questa storia». – rispondo.
«Allora te la racconto». – Poi mi invita sotto il portico a fumare.
Possiamo restare all’aperto ancora un po’, senza essere bolliti vivi dal calore e dall’ umidità…

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Nella primavera del 1846, quando la storia inizia, Ladislao è parroco della “Iglesia del Socorro” tra Juncal e Suipacha, e Camila è maestra della stessa  parrocchia e sono inseparabili. Passano il tempo assieme: a cavallo, passeggiando per Palermo, nelle librerie, leggendo assieme poesie.

Ladislao e Camila sono innamorati di un amore non solo non accettato dalla cultura del tempo, ma fuori legge. Una relazione intollerabile che nella Buenos Aires di allora non può avere né presente né futuro. Nella società porteña le donne sono soggette all’autorità paterna e controllate affinché possano esser consegnate, al futuro sposo, vergini.

Camila è una giovane di buona famiglia, e non è obbligata né a studiare né a lavorare, ma solo a pregare, andare a messa, cucire, rammendare …
Camila, che insegna in una scuola della parrocchia, frequenta un prete non solo in confessionale, e rompe, poco più che adolescente, con il rigido schema sociale imperante.

Per poter continuare ad amarsi Ladislao e Camila fuggono cambiando nome e con documenti falsi: saranno da quel momento in poi Valentina San e Máximo Brandier, uniti dall’idea di andare insieme in Brasile.
Devono però fare i conti con i soldi, che non sono molti, e non permettono di attraversare il confine e di stabilirsi nel paese straniero. Da Santa Fé o Paraná, dove ottengono i passaporti, risalgono in barca od a cavallo il fiume Paraná, e si fermano proprio a Goya, molto lontano da Buenos Aires. Per tirare avanti aprono una piccola scuola, la prima del posto.
Il padre di Camila, Adolfo O’ Gorman, che si sente disonorato, e la gerarchia ecclesiastica, nella persona del vescovo Medrano, li vogliono catturare,  li vogliono punire, e chiedono la loro testa direttamente al dittatore in carica, Juan Manuel de Rosas. Ma ne hanno perso le tracce… per poco.

Ad una festa vengono riconosciuti da un prete irlandese come Camila, Michael Gannon, e denunciati. Arrestati, vengono  trasportati a Buenos Aires per essere processati. Vengono incarcerati e messi in catene nella caserma “General de Santos Lugares” in “San Andrés, General San Martín“, a nord della capitale.
Ma non c’è processo, la violazione dei voti castità del sacerdote richiede una pena dimostrativa ed immediata. Hanno infranto le regole sociali e la rispettabilità.
Camila, che aspetta un figlio da Ladislao ed è in ottavo mese, e Ladislao vengono fucilati in un freddo mattino. È 18 agosto del 1848, in pieno inverno australe.

Paradigmatico è un articolo che un quotidiano vicino a Rosas, La Gaceta Mercantil, pubblica senza firma il 9 novembre 1848. Mario lo ha annotato in un quadernetto e legge: «(Camila e Ladislao) burlarono le leggi umane, come le divine; e di crimine in crimine davano alla società scandalo e la possibilità ad altri di seguirli, in una innumerevole catena che il Governo tagliò con un colpo salutare di giustizia».

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Il ricordo dell’orrore commesso da Rosas e dagli alti vertici della chiesa viene ripreso subito dal poeta gauchesco, Hilario Acasubi che la menziona in:  “Paulino Lucero o Los gauchos del Río de la Plata cantando y combatiendo contra los tiranos de la Republica Argentina y Oriental de Uruguay ( 1839 a 1851).”  ed in “ Aniceto el Gallo: gacetero prosista y gauchi-poeta argentino”.

Anche Alessandro Dumas nelle Memorie di Garibaldi, Firenze 1860, racconta di un eventuale battesimo del bimbo che è nel ventre di Camila: «Batezzate il ventre, disse il Rosas, che da buon cristiano vuo’ salvare l’anima del fanciullo. Dopo battezzato il ventre, Camila O’ Gorman è fucilata».

La storia è raccontata, pure, in una pellicola argentino-spagnola del 1984: “Camila”. Ma già moltissimi anni prima, nel 1910, un regista italiano, Mario Gallo, aveva girato un film muto, Camila O’ Gorman. Forse vi è una copia della pellicola in qualche archivio cinematografico di Buenos Aires.

La tragica vicenda è stata ricordata, nell’anniversario della fucilazione di Camila e Ladislao, dall’ “Agencia para La libertad” di Buenos Aires che riporta con risalto le parole che il dittatore Rosas scrisse anni dopo: «Nessuno mi consigliò l’esecuzione del prete Gutiérrez e di Camila O’ Gorman, né nessuno mi parlò a loro favore. Tutti le alte cariche del clero mi parlarono di questo spudorato crimine e della urgenza di un castigo esemplare per prevenire altri scandali simili. Pensavo lo stesso. Ed essendo mia la responsabilità, ordinai l’esecuzione».

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Ė sempre Mario che legge quello che ha scritto nel suo quadernetto.
Il dittatore e le alte sfere della chiesa punirono, quindi, con la morte, per dare l’esempio, una donna incinta di otto mesi ed il suo amante.
È evidente il filo nero che unisce questo drammatico episodio di metà ottocento e la complicità della gerarchia ecclesiastica con la dittatura militare del 1976 – 1983.
“La domanda che mi viene alla mentemi dice Mario- è: esistono altri nodi dello stesso colore nell’arco di tempo che unisce l’assassinio di Camila e Ladislao alle “desapariciones” degli anni 70?»

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Mario ritorna in tarda mattinata a Buenos Aires. Io resto in camera, con aria condizionata accesa, a leggere la pagina 12 di un libro, lasciata il giorno precedente. Telefono anche in Italia. Esco la sera, quando il calore è calato e la temperatura brucia meno. Goya è ancora luminosa.

Passeggio fino in centro a vedere la casa Fernandez dove Camila e Ladislao hanno vissuto. Ė dipinta di celeste, lo stile è coloniale, è a due piani, è una bella casa. Mario mi ha detto che qualcuno pensa di abbatterla per costruire nuovi uffici ed appartamenti, ma c’è opposizione.
Penso al perché Camila e Ladislao si fossero fermati a Goya e non fossero andati più a nord, attraversando il fiume ed il confine.

Avrebbero vissuto ad Asunción od ad Encarnación od anche ad Ayolas, in un paese meno bigotto della Argentina, che li assassinò perché volevano amarsi. Forse la bellezza della casa Fernandez, vicino al Rio Paraná, li stregò e li trattenne. E penso spesso al dittatore Rosas ed al prete Michael Gammon.

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Tempo dopo mi reco a Buenos Aires, e vado con Mario a cenare in un ristorante del centro. Parliamo del Boca, entrambi siamo “hinchas” di questa squadra. Poi chiedo a Mario che fine hanno fatto Rosas e Gammon.

«Tutti gli argentini che hanno fatto le superiori sanno di Rosas. – mi risponde –  Juan Manuel de Rosas morì in esilio il 14 marzo 1877 a Southampton in Inghilterra. Quando la notizia della morte arrivò a Buenos Aires il governo proibì qualsiasi funerale o messa che lo potesse ricordare. Organizzò invece una commemorazione delle sue vittime, compresi Camila e Ladislao. Del prete irlandese non si sa nulla. A me – aggiunge Mario – piace pensarlo pedofilo, ucciso a coltellate dal padre di un bambino sua vittima».

Ladislao e Camila rimasero nella storia, nella memoria, nella leggenda.

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Dedicato a tutti i “desaparesidos” argentini.

Francesco Cecchini.

 

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 Note sull’autore.
Francesco Cecchini è nato a Roma nel 1946. Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. A Roma inizia il suo impegno politico, partecipando pure a Valle Giulia. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua. Nel 1978 abbandona la militanza e decide di lavorare e vivere all’estero, impiegandosi prima nella cantieristica, poi nella gestione di progetti, nella contrattualistica e nelle ricerche di mercato di infrastrutture. Redige ricerche di mercato in Algeria, India, Nigeria, Argentina, Polonia e Marocco. Dal 2012 scrive. L’ esperienza acquisita per aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo (Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi) è alla base di un progetto di scrittura: una trilogia di romanzi ambientati rispettivamente a Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, “Rosso Bombay”. Ha scritto il suo secondo romanzo “Rosso Algeri” e sta scrivendo il terzo, “Rosso Lagos” e sta completando una raccolta di racconti, “Vivere altrove”. Traduce dalle lingue che conosce, spagnolo, portoghese, francese ed inglese, più che altro come esercizio di scrittura. Collabora con le agenzie di notizie “Pressenza”, “Tesfa News” e con i siti “La Storia, Le Storie” e con “Casa del Popolo di Torre” di Pordenone e con il blog “Ancora Soffia il Vento”. Ha pubblicato qualche racconto su www.nonsolocarnia.info. Vive ora nel Nord Est.

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Inserito da Laura Matelda Puppini. L’immagine che correda il testo è stata inviata da Francesco Cecchini con il racconto, è tratta dal quotidiano argentino Pagina 12, e rappresenta la casa, a Goya, ove vissero Camila e Ladislao. Laura Matelda Puppini 

 

 

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