El trueno cae y se queda entre las hojas. /Los animales comen las hojas y se ponen violentos./ Los hombres comen los animales y se ponen violentos./ La tierra se come a los hombres y se pone a rugir como el trueno.

Il tuono cade e rimane tra le foglie./Gli animali mangiano le foglie e diventano violenti./ Gli uomini mangiano gli animali e diventano violenti./ La terra si mangia gli uomini e ruggisce come il tuono.

(Da una leggenda di un popolo originario del Paraguay, ripresa da Arturo Roa Bastos.)

Il Paraguay sembra, ad un primo sguardo, un paese tranquillo, di “siestas” e pomeriggi lunghi, senza fretta, ma in realtà è quello descritto nella leggenda. Ogni violenza è possibile in questa isola circondata da terra.

Yacyretá significa in guaraní terra della luna. Una coppia di amici italiani ha chiamato Yacyretá la propria figlia, nata qui.  

La casa dove abito è in mattoni e tetto in lamiera. Quando piove, di notte, il rumore delle gocce sulle lastre non fa dormire. Per fortuna Ayolas non è Macondo e la pioggia non dura 4 anni, ma pochi giorni, ed in estate come in autunno, assieme a raffiche di vento, attenua il calore.  A volte l’aria porta i suoni e gli odori del fiume che scorre, immenso, un poco più a sud. Le piene ogni tanto allagano Ayolas.                                                                                 

La casa, nel quartiere Villa permanente, si trova vicino a una quasi baraccopoli, Mil viviendas, ed è composta da due appartamenti, divisi da una parete sottile. La sera, quando non esco e mi attardo a leggere, la musica che la mia vicina ascolta mi accompagna, assieme alla voce di un cantante. Abbiamo un giardino in comune che nessuno dei due cura. Laura è paraguaiana e lavora alla Entidad Binacional Yacyretá come geologa. Un giorno le chiedo che musica stia ascoltando.  

   

 – «Ma come, un argentino non riconosce un tango e chi lo canta, Goyeneche? Mi piacciono le canzoni di el polaco, Volviendo al Sur… Hai visto il film di Solanas, Sur?»

– « Non sono argentino, non si sente da come parlo? Di Solanas ho visto Las horas de los hornos».

– « É vero non parli come i miei colleghi argentini. Sei  peruviano? Della costa, di Lima, non certo delle Ande».

– «Parlo uno spagnolo colombiano imparato a Londra. Ero andato a Londra per imparare l’inglese, ma sull’ aereo da Milano a Londra ho conosciuto una colombiana e per una quarantina di giorni ho frequentato quasi solo colombiani.  Ayola no es para nada cevere. Ayolas non es para nada divertida. Sono italiano».

– «Se parli colombiano stretto non è facile capirti. Qui parliamo tutti guaranì che influenza accento e modo di parlare. Io, parlo un po’ di brasiliano e qualche parola d’ italiano».

Una sera Laura mi invita a vedere un vecchio film in bianco e nero, Cuesta abajo. Il protagonista, Carlos Gardel è un mito del tango. Il film è noioso, l’attore Gardel non convince, ma il cantante sa il fatto suo. Dopo il film, Laura mi racconta la sua passione per il tango.

«Assunción ed il Paraguay non sono certo terre di tango, ma mia madre, morta anni fa, era di Montevideo e per lei la musica era tango o milonga. In città era conosciuta come la uruguayta Lucia e solo l’amore per mio padre, un paraguaiano figlio di italiani, la fece vivere lontano dalla sua musica. La mia colonna sonora fin dall’ infanzia sono stati Astor Piazzolla, Libertad Lamarque, Tita Merello, Lejana tierra mia, Yira, Yira. Allora non c’ erano luoghi dove ballare od anche ascoltare tango. Solo dischi e radio. Qualche film argentino al Cine Victoria o al Cine Roma. Adolescente, avevo 15 anni, Lucia mi portò a Montevideo a comprare “zapatos de tango” e ad impare a ballare. Ora il tango ha invaso il mondo ed anche Asunción, ma quando posso vado a Buenos Aires o a Montevideo. Il tango per me è come fare l’amore. Anzi mi dà più piacere».

Un venerdì, dopo il lavoro, Laura si presenta a casa mia con del teréré, versa l’acqua fredda sull’erba e mentre beviamo mi dice che passerà il fine settimana ad Asunción. «Perché non vieni con me?» – mi chiede.  Mi porterà ad ascoltare e a ballare tango.

Il sabato Laura non lavora ed io posso fare quello che voglio. Viaggiamo al mattino con la macchina di Laura, una Wolkswagen rossa con targa fasulla, comprata a Ciudad Stroessner per quattro soldi, probabilmente rubata in Brasile e contrabbandata oltre frontiera. Stroessner, “El rubio”,  è ancora il padrone assoluto del paese. La terra del Paraguay è rossa, rossa perché impregnata di titanio, rossa perché macchiata dal sangue dei molti assassinati dal dittatore. Sangre seca sobre tierra seca.

La strada è una striscia d’asfalto piana, con dei saliscendi e molto verde attorno. Un cartello indica sulla sinistra Pilar, a non molti chilometri.

«Se vuoi devio, così vedi il rio Paraguay. Posso raggiungere Assunción da Pilar lungo il fiume, la strada non è in buono stato ma la Wolkswagen ce la può fare. Abbiamo tempo».

«Lascia perdere, mi basta il rio Paraná. Vedrò il rio Paraguay ad Assunción».

Mentre guida Laura recita una poesia sulla sua città e me la fa ripetere verso per verso. Lo faccio cercando di tradurla in italiano, per lei.

En la mórbida quietud del mediodía/ ha sentado sus reales la desidia./ Un mar negro acalambrado reverbera/ en las calles, las aceras, ya sin vida.

Los ruidos de motores se perdieron;/ en la plaza la cigarra canturrea/ la monótona canción sin pentagramas/del hastío y soledad: siesta asuncena

Bajo el árbol el silencio con la brisa/abanican esa hamaca campesina,/ que, en su urdimbre,/ lleva gracia de manceba.

Bajo el árbol, Asunción está sin prisa;/ el chirrido de algún carro de aguatero/ taladrando va la paz de la siesta.

Nella morbida quiete del mezzogiorno/ la negligenza ha piantato le tende./ Un mare nero contratto riverbera/ le strade ed i marciapiedi, ora senza vita./ I rumori dei motori sono spariti/ nella piazza la cicala canta/ la monótona canzone senza pentagramma/ dell’astio e della solitudine: siesta d’Asunción. /Sotto l’albero una brezza silenziosa/ventila quell’ amaca di campagna,/che, con il suo ordito, ha la grazia di una amante. /Sotto l’albero, Asunción è calma/ lo stridio di qualche carro di acquaiolo/ perfora la pace della siesta./ Nella mórbida quiete del mezzogiorno.

Asunción non è più la stessa di anni fa, ma è ancora una città lenta e  la gente fa  la siesta. Il tango non è una musica da siesta, ma da città che non dormono mai, Buenos Aires, Montevideo… Asunción non è una di queste.

Arriviamo ad Asunción. Laura va in una spiaggia, lungo il fiume, con amici. Ė una giornata che si presta a prendere il sole e nuotare. Io resto, per la siesta, nell’ albergo dove Laura mi ha portato. Esco a sera, passeggio per il centro, guardo la facciata della cattedrale ed in una libreria compro una raccolta di racconti di Augusto Roa Bastos, lo scrittore di: Paraguay, una isla rodeada de tierra.

Laura passa in albergo dopo cena. Indossa una gonna nera, una camicia di seta rossa, rossetto rosso, ha occhi neri con ciglia lunghe, capelli neri, pelle ambrata. È una latinoamericana bruna e bella. Capisce che mi ha colpito.

«Ad  Ayolas quando ascoltavamo tango ero chocha, questa sera il tango andiamo a ballarlo ». Ricordo quando poche ore fa abbiamo bevuto assieme tereré e non chiedo il significato di chocha.

Il salón de baile non è lontano dal centro. Si chiama Mis amigos, o qualcosa del genere. Sotto vi è anche un’insegna che dice: Que todos bailen.

Si balla di tutto, valses paraguayos, chamamés, cumbias, ma di solito il sabato è dedicato al tango.

Il locale è grande, un’entrata, un bar con tavoli, un grande salone con palco per orchestre. Nel salone, lungo ogni lato, vi sono due file di sedie, da una parte per gli uomini e dall’altra per le donne. Suona un bandeonista uruguaiano e canta una cantante argentina. Non mi arrischio nemmeno a ballare, guardo. Laura non resta senza ballerini che la possano accompagnare. La gonna nera ha uno spacco che le permette di muovere le gambe come vuole. I corpi sono strettamente allacciati, carezze sensuali vengono scambiate, i visi sono seri, si guardano negli occhi senza un sorriso, le scarpe si sfiorano. Ci sono coppie di donne ed una di uomini. Ascolto la cantante che canta una canzone appassionata e nostalgica, poi vado al bar e chiedo quando ci sarà cumbia colombiana. Una ragazza mi dice: «Yo bailo cumbia, no me gusta el tango. Es triste».

Dopo alcune settimane vado a Buenos Aires per lavoro. È inverno e la città è grigia. Dopo il lavoro, in genere, vado a vedere qualche film. Ad Ayolas e ad Ituzaingó non ci sono cinema e a Posadas proiettano solo film inguardabili. Un fine settimana Laura mi raggiunge. Il venerdì sera andiamo a vedere Maria de Buenos Aires di Astor Piazzolla.

«Yo soy Maria de Buenos Aires!/ De Buenos Aires Maria. No ven quien soy yo?/ Maria tango! Maria del arrabal!/ Maria noche! Maria pasión/ fatal!/      Maria del amor! De Buenos Aires soy yo!»

Il pomeriggio seguente andiamo alla Bombonera: gioca il “Boca”.

C’ è con noi un mio collega, Luis, hincha della squadra. Il “Boca” mata l’ avversario, 5 a 1, ma in casa gioca in tredici: 11 giocatori, lo stadio e il pubblico. Dopo cena Laura e Luis vanno a ballare tango. Io non ho voglia di vederli fare un, dos, tres dalle 2 della notte alle sei del mattino. Il sabato notte a Buenos Aires non c’ è solo tango.

Quando Laura, di malavoglia, ritorna in Paraguay, da un fine settimana è rimasta quasi una settimana, ballando tango anche domenica e lunedì notte.

Dopo che Laura se ne è andata, inizio a frequentare un taller di racconti brevi e di haiku.  Lo faccio per migliorare la mia scrittura di spagnolo. L’esame di fine corso consiste nello scrivere un racconto breve e quattro haiku sul tango. Scrivo facilmente e consegno il racconto, che narra un mio viaggio da Avenida Santa Fe a Calle Santa Fe, ma non so scrivere “di tango”.

«Alla porta accanto insegnano tango, prova a prendere alcune lezioni e poi scrivi gli haiku. – mi consiglia Ana, l’insegnante di scrittura  – Un paio lezioni di tango camminato, poi tango figurato, dovrebbero essere sufficienti per farti frequentare un salón». Ana mi percepisce magro e giovane, ed è ottimista. Purtroppo non sono argentino.

Le cinque o sei lezioni di tango non fanno di me un tanguero, anzi nemmeno un principiante da quattro soldi. La maestra di ballo non è felice ed interrompe la mia frequenza al corso:  «Francisco, nunca bailaras tangos. El tango no es para ti»

Riesco, però, a scrivere quatto haiku in spagnolo che traduco in italiano. Mario, che dirige il taller, è soddisfatto: “ Francisco, vos sabés escribir. Bailar tango  es cosa de argentinos”

 Entre noche y madrugada/ Fumo, escucho, miro/ Amante y bailarina/ Milonga sin musica/ Hombre, mujer, hombre/ El  negro rodea el rojo/ Noche, agua, tango/ Musica en la cabeza/ La mano toca tu vida/ Linea entre ciudad y ciudad/ Cruzo y vuelvo a cruzar/ Musica de un tango.

Tra notte e mattino/ Fumo ascolto, guardo/ Amante e ballerina/

Milonga senza musica/ Uomo, donna, uomo/ Il nero avvolge il rosso/ 

Notte, acqua, tango/ Musica in testa./ La mano tocca la tua vita/

Linea tra città e città/ Attraverso e riattraverso/ Musica di un tango.

 

Quando ritorno ad Ayolas, una sera, do gli haiku a Laura. Siamo seduti in giardino, la primavera è arrivata, e pensiamo di andare a mangiare surubì in un ristorante in riva al rio Paraná. L’asado di carne mi esce dagli occhi. Laura legge e rilegge, incredula, i miei hairu.  Alza gli occhi, mi guarda divertita, e mi chiede ridendo: «Con quien bailaste tango a Buenos Aires?»

Francesco Cecchini.

L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, dal sito familypedia.wikia.com/wiki/South_America, ed è intitolata. Tango show in Buenos Aires. Laura Matelda Puppini                                                          

 

 

 

 

 

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