Questa intervista è la seconda parte di quella fatta a Giacomo Solero il 7 luglio 1978 da me e da mio marito, e ci racconta delle esperienze che ora paiono incredibili, ma che furono reali nel tempo della seconda guerra modiale.

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Laura chiede a Giacomo di parlare di alcune su esperienze in ospedale, senza parlare di singoli casi, senza violare la riservatezza.

«Ho sfacchinato molto all’ospedale, davvero molto, molto, e per dir il vero ho patito anche molto la fame.
Quando andavo in giro per l’ospedale, Suor Scolastica mi faceva un pacchetto con un po’ di carne e un po’ di pane nero, ma quando ero arrivato ad Udine forse lo avevo già mangiato tutto, e dovevo restar senza mangiare per il resto del viaggio. E mi muovevo per andare a cercare medicine, cibo, tutto per l’ospedale. Perché ero io che andavo all’ Ufficio Alimentazione a “rompere le scatole”, per il buono del grasso, per il buono delle uova, per il buono della stoffa, il buono della tela, per quello e per quell’altro … E mi davano per l’ospedale, sapete …

Andavo fino a Torino o Pavia a prendere medicinali. Ero sempre in giro. Però la mia piazza era Genova. A Genova c’era una parente di un cugino di mia mamma che faceva l’arrotino ed aveva una bottega di rasoi ed altro. Lei faceva l’interprete per i tedeschi, e questi mi tiravano fuori ‘roba’ per l’ospedale.  Ma il problema più grosso era quello di andare e ritornare, ed i viaggi erano sempre rischiosi, allora. C’erano i bombardamenti, si dovevano utilizzare mezzi di fortuna, perché se si partiva da Genova con il treno, si doveva scendere a Pavia a cercare un mezzo per proseguire, ed io avevo tutta quella roba!!!!
Una volta andai a Grado. E che fame avevo!!! Non avevo il coraggio di chiedere per le case da mangiare, ma quella volta mi son fatto forte e sono entrato in una casa e mi hanno dato una minestra fatta di finocchi, e l’ho mangiata eccome!!!

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Ma non mi aspettavo niente dall’ospedale, niente, ma mi hanno trattato proprio male, molto male. Non sono stati giusti nei miei confronti per quanto riguarda le trattenute ecc. Non sono stati giusti con me. L’ ospedale di Tolmezzo, con tutto quello che ho fatto, rischiando la vita diverse volte, il giorno in cui me ne sono andato in pensione non mi ha offerto neppure un caffè!!! E il caffè c’era, perché non erano più i tempi della miseria, e costava poco, ma a me non hanno offerto neppure un caffè. 

Per quanto riguarda l’esperienza ospedaliera, quella è coperta da segreto professionale e non ve la posso narrare. E mi dispiacerebbe anche offendere i miei superiori. Però come esperienza ne avrei un mucchio da raccontare, e come esperienza ospedaliera tanta che potrei scrivere un romanzo!!!

Per citarne una, vi racconto questo. La latteria sociale di Tolmezzo ci dava 10 litri di latte al giorno fra ospedale e sanatorio, (come per legge ai tempi della tessera ndr.) che era niente.  E così dovevo mettere la damigiana in un gerlo ed andare fino a Buttea a cercare un po’ di latte. E la gente me lo dava. Poi mi diedero una mucca i partigiani, che produceva solo 4 litri di latte al giorno, ma di grazia di averla, ed ho incominciato a tenere mucche per l’ospedale con quella.
Poi una me l’hanno data i tedeschi, ancora una i partigiani, due o tre le ho rubate ai russi, e se trovavo una mucca che vagava, la prendevo, la uccidevo, la dividevo in pezzi, due secchi di acqua e via in ghiacciaia!
Poi ho costruito una stalla alla buona, e mi ha dato 14 carri di fieno Mazzolini di Caneva, quello che aveva la centralina elettrica. Insomma ho dovuto fare una stalla per avere un po’ di latte.

Una volta giunsero qui i tedeschi, che avevano portato dalla Jugoslavia delle mucche, ed ho domandato ad Angelo, quello che gestiva il ‘Tripoli’ e faceva l’interprete, se ne poteva chiedere una per l’ospedale. Non avevo speranza che me l’avrebbero data. Ma il capitano della polizia mi ha detto: «Andiamo giù». E mi ha portato dove avevano la scuderia dei muli, e mi ha fatto scegliere una mucca. E l’ho portata in ospedale attraverso la campagna, lungo un sentiero che usciva dove c’è la cella mortuaria, e mi ero anche pentito di aver preso quella, perché avevo visto nel sacco del latte che aveva il latte, tanto latte, ma le era iniziata la diarrea. E non mi ero accorto che la mucca era incinta. Non avendo ancora una vera e propria stalla, perché per le due mucche che avevo per l’ospedale, avevo piantato solo un palo e posto una cassetta di legno dove mettevo il fieno, e veniva una ragazza di Ravascletto ad accudirle, l’ho portata nella stalla di Mion. Poi sono andato dalla Madre Superiora per dirle che avevo fatto un buon affare, che mi avevano dato una mucca i tedeschi, e l’ho portata a vedere la bestia.

Poi sono nati due vitelli, e uno lo abbiamo allevato, l’altro lo abbiamo mangiato. Lo ha ammazzato il portinaio. Eravamo solo in due uomini all’ ospedale, io che ero infermiere, e Leon, il portinaio.   E se dovessi raccontare tutto quello che ho passato….

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Una volta era il 4 di maggio (1944 ndr), e i partigiani hanno tagliato i fili del telefono perché dovevano venir ad ammazzare Farello, perché dicevano che era fascista. Così ho dovuto andare a Cadunea per incontrare il capo partigiano che si trovava lì, che era Zan Zan di Ampezzo. E l’ho incontrato ed abbiamo parlato ed ho fatto in modo che lasciassero perdere.  Ed ero sempre in giro.

E poi i partigiani hanno fatto saltare gli acquedotti, (ai tempi della zona libera per isolare i tedeschi, che avevano tolto il cibo alla Carnia intera ndr.) e si doveva andare a prendere l’acqua a Caneva od a Stazione per la Carnia, per l’ospedale. Siamo stati nove mesi senza acqua. Avevano tolto l’acqua perché non ne entrasse per i tedeschi che si trovavano a Tolmezzo. Ed in tutta Tolmezzo non c’era acqua. E per i gabinetti bisognava andare a prenderla nel But e per mangiare e bere bisognava andare a Stazione per la Carnia. E questo lavoro lo facevo io assieme ad altre infermiere. Perché di uomini c’eravamo solo io che ero infermiere e Leon. Poi c’erano le suore e le infermiere, che hanno lavorato tanto, più che mai. Con i secchi dell’acqua, eravamo sempre bagnati, e poco da mangiare e meno da bere… Ma non si poteva bere, perché se non si mangia non si beve! Ci pascevamo di frutta, perché quell’anno ce n’era tanta a Caneva, e la mangiavamo quando andavamo a prendere l’acqua. E Leon ci preparava i cavalli alle tre o alle quattro del mattino e si partiva per Caneva».

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Laura chiede dell’Assemblea della Cooperativa Carnica del 1948.

«Guardi io non posso proprio specificare, perché non posso conoscere tutto minimamente. Però è stato un gran bordello. Perché i magnati della Cooperativa volevano rinnovare l’amministrazione della Cooperativa fra loro, fra i partiti. Ma però non ci sono riusciti, ed han dovuto andare a votazione. Sono stati pure suo nonno Emidio, Laura, e suo padre a votare, sono stati tanti a votare. Il mi ricordo solo che hanno mandato via quel direttore, Colledan, che è stato molto bravo ed ha fatto molto per l’ospedale nel 1944. Se avevano un chilo di fagioli, ce lo mandavano all’ospedale, o andavo io a prenderlo. Se aveva una partita di formaggio e ce ne dava una forma alla volta, e ci diceva: «Quando l’avete finita, ritornate, perché so che voialtri mangiate solo formaggio, non avete molto altro». Ha fatto molta carità all’ ospedale Rinaldo Colledan. Ma perché era stato un fascista nel 1948 lo hanno mandato fuori. Ma il popolo lo aveva tornato a votare, ma gli è stata fatta una lotta segreta finché sono riusciti a mandarlo fuori, ed è entrato Sylva Marchetti.

Ma io vi dico che era un ottimo uomo, un bravissimo uomo, ed a me del partito e della politica non interessa. Mi interessava l’uomo, perché ha pensato ed ha fatto molto, molto, molto bene per la Carnia.

Mi ricordo che avevano sequestrato il riso e lo mandavano a Milano. Pensate: prendere il riso a Tolmezzo per mandarlo a due passi da dove lo producevano! E Colledan fece portare un po’ di riso fino sull’argine del But, per mandarlo ad Ovaro, per mandarlo nei paesi della Carnia. Ne avrà mandato poco, però lo ha mandato. Ed anche a me ha dato qualche quintale di riso per il comune di Paularo. Sono venute le donne con il gerlo a Caneva, a prenderlo».  

Laura dice che lei ed Alido non hanno più tempo perchè devono prender la corriera per Rigolato, e Giacomo dice che ritornino a trovarlo, che forse altro ricorderà e meglio.

Laura Matelda Puppini

Per l’ospedale tolmezzino e le malattie dei cosacchi nel 1944-45 cfr. anche: Fabio Verardo, Otkryrt kaza ij Gospital. L’occupazione cosacco – caucasica della Carnia attraverso le cartelle cliniche dell’ospedale San Antonio abate di Tolmezzo, in: Storia Contemporanea in Friuli, n. 43, 2013.

L’Immagine dell’ospedale civile di Tomezzo è tratta da: http://www.youreporter.it/gallerie/TOLMEZZO_D_EPOCA/#1. L’immagine inserita è l’unica di Giacomo Solero che Danielle Maion, che ringrazio, con gran fatica ha trovato da una parente dello stesso, ed è estrapolata dalla fotografia di una festa di nozze nel 1963. Possibile che non vi siano altre foto di Giacomo? Laura Matelda Puppini.

 Laura Matelda Puppini

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