Incredibilmente, dopo che avevamo già votato per le politiche, veniva approvato il Decreto legislativo 3 aprile 2018 n. 34, che non è altro che il ‘Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali’ e che porta le firme del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni, e dei Ministri del precedente Governo: Gian Luca Galletti, Marianna Madia e Dario Franceschini, che è, a mio avviso e dopo averlo letto, decreto non solo inutile ma forse anche dannoso, che delega tutto alle regioni, e per cui sarebbero bastate due righe, privo di una visione ambientale plurifattoriale e di reale tutela e salvaguardia del bosco, delle foreste e delle selve, perché evita di prendere in considerazione, in modo normativo,  i problemi più grossi in materia.
E secondo me detto decreto rappresenta l’ultimo regalo del fu governo Renzi. Inoltre non si sa perché i Governi continuino ad utilizzare, anche per materie così complesse, lo strumento del Decreto legislativo, evitando la via della legislazione ordinaria, ed in sintesi la discussione ed il confronto.  

Ma passiamo ad analizzare il testo, che così inizia:

«La Repubblica riconosce il patrimonio forestale nazionale come parte del capitale naturale nazionale e come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future».
E fin qui credo che siamo tutti d’accordo. E continua:
«il presente decreto reca le norme fondamentali volte a garantire l’indirizzo unitario e il coordinamento nazionale in materia di foreste e di filiere forestali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale ed europeo». Ma dopo aver letto il testo qualche dubbio mi è sorto nel merito dell’indirizzo unitario, data la quasi totale delega alle Regioni, che sono 20, condotte da partiti diversi, ove sempre più spesso chi decide è un singolo assessore.

«Lo Stato, le regioni e gli enti da queste delegati, promuovono in modo coordinato la tutela, la gestione e la valorizzazione attiva del patrimonio forestale anche al fine di garantire lo sviluppo equilibrato delle sue filiere, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale ed europeo». Ma anche in questo punto la legge poi si contraddice, perché di fatto delega quasi tutto alle Regioni, e quasi nulla avoca a sé.

L’art. 2 presenta tanti buoni propositi anche di difficile realizzazione, come: «proteggere la foresta promuovendo azioni di prevenzione da rischi naturali e antropici, di difesa idrogeologica, di difesa dagli incendi e dalle avversità biotiche ed abiotiche, di adattamento al cambiamento climatico, di recupero delle aree degradate o danneggiate, di sequestro del carbonio e di erogazione di altri servizi ecosistemici generati dalla gestione forestale sostenibile», non si sa come realizzabili senza che tali problemi siano affrontati in un’ottica sistemica che tenga conto dei vari fattori che incidono sul clima e sull’ambiente naturale e con quale copertura finanziaria.
Inoltre prevede, lodevolmente, «il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni abbandonati, sostenendo lo sviluppo di forme di gestione associata delle proprietà forestali pubbliche e private», ma Dio solo sa come.

Infatti dopo una serie di finalità scritte con il solito linguaggio aulico-teorico e di intenti generici, che sono propri ormai di testi di legge nazionali, interpretabili, l’art. 2 si chiude con una glaciale nota economica: «All’attuazione delle finalità di cui al presente articolo si fa fronte nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Ma, con la politica dei pochi spiccioli, io credo che le finalità esposte all’art. 2 della legge, per la loro attuazione, non verranno mai prese in seria considerazione.

Poi il decreto legislativo passa alle definizioni, che pare siano state il problema maggiore da affrontare, ma con esisti assai discutibili, visto che ‘si fa di tutte le erbe un fascio’, come si suol dire.

«I termini bosco, foresta e selva sono equiparati» anche a fini di sfruttamento, dimenticando che le antiche foreste e le peccete piantate sono di diverso valore, e contravvenendo a quanto scritto prima sulla tutela del bosco. Ma poi si fa la solita pastetta all’italiana, permettendo però tutto al privato e si scrive: «Per le materie di competenza esclusiva dello Stato, sono definite bosco le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento». (Art. 3). Per le proprietà private non è dato sapere. Inoltre dopo esser stati pagati per creare delle norme comuni, coloro che hanno steso il testo danno ampia facoltà alle Regioni di fare quel che vogliono scrivendo: «Le regioni, per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche, possono adottare una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco», in sintesi come diceva l’on. Giorgio Zanin al convegno di Paluzza il 15 settembre 2017, ormai la legge non è normativa, ma dico io, di applicazione facoltativa, cioè di ‘indirizzo’. Ma senza norma uno Stato diventa preda del più forte e delle varie mafie.

Quindi si passa nuovamente ai soliti intenti generici, che sono propri ormai di leggi nazionali interpretabili, e senza copertura economica.

Al comma 7 poi, non si dettano di fatto indicazioni precise e precisi divieti per la costruzione di piste forestali ad uso e consumo di un singolo privato, tanto che nella viabilità forestale e silvo -pastorale compaiono: «strade, piste, vie di esbosco, piazzole e opere forestali aventi carattere permanente o transitorio, comunque vietate al transito ordinario, con fondo prevalentemente non asfaltato e a carreggiata unica, che interessano o attraversano le aree boscate e pascolive». (art. 3).

L’ art. 4 si dilunga sulle aree assimilate al bosco, che però rimandano pure a norme regionali, e fra cui troviamo «fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, di miglioramento della qualità dell’aria, di salvaguardia del patrimonio idrico, di conservazione della biodiversità, di protezione del paesaggio e dell’ambiente in generale». Non da ultimo sono assimilate al bosco, e quindi pare si possano alterare sottoponendole a tagli, le formazioni di specie arboree, associate o meno a quelle arbustive, originate da processi naturali o artificiali e insediate su superfici di qualsiasi natura e destinazione anche a seguito di abbandono colturale o di preesistenti attività agro-silvo-pastorali, riconosciute meritevoli di tutela e ripristino dal piano paesaggistico regionale. Insomma tutto si può tagliare, senza tener conto del valore del bosco come polmone naturale e via dicendo.

E come non dare ragione all’autore dell’articolo intitolato: “La nuova legge forestale: un’aggressione ai boschi italiani. Il trionfo della motosega”, in: http://www.vasonlus.it/?p=59601,che, riferendosi a questo decreto legge, così scrive: «Il capolavoro è stato concepito dal Governo, dalla filiera del legno, da comunità locali e regioni e l’obiettivo unico che si pone è lo sfruttamento economico delle risorse forestali, con turni di taglio costanti e possibilità di realizzare strade di servizio e piste “temporanee” per facilitare l’azione albericida generalizzata»?

Infine l’art.5 indica le aree escluse dalla definizione di bosco «per le materie di competenza esclusiva dello Stato», come i privati non agissero in contesto statale italiano e nazionale, fatto salvo quanto previsto dai piani paesaggistici regionali, ed altre eccezioni.

Quindi la legge enuclea gli aspetti relativi alla “Programmazione e pianificazione forestale” definiti pure «con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministro dello sviluppo economico e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

Pare però che detta pianificazione spetti alle Regioni, anche se esse devono individuare i propri obiettivi e definire le relative linee d’azione in coerenza con la Strategia forestale nazionale adottata, che non si sa quale sia. In particolare i Programmi forestali regionali devono tener conto delle specifiche esigenze socio-economiche, ambientali e paesaggistiche, nonché della necessità di prevenzione del rischio idrogeologico, e della mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico.
E qui mi perdo io, perché mi pare si dovesse prevenire e non adattarsi al rischio climatico. Inoltre sinora non ho letto linee statali ma solo finalità generiche, e di fatto una delega totale alle Regioni in un settore così delicato. Ma purtroppo l’ambiente naturale non ha confini regionali, e danni provocati da una norma regionale, potrebbero riversarsi su altri contesti in altre regioni che applicano regole diverse. È vero che i piani ‘possono’ venir redatti da più regioni insieme, ma non ‘devono’.

Inoltre «le regioni possono predisporre, nell’ambito di comprensori territoriali omogenei per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative, piani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale». (Art. 6 comma 3).
Ma anche qui il problema è dato da quel ‘possono’ non ‘devono’, il che pone una aleatorietà negli interventi non di poco conto. Inoltre qui la logica a me viene nuovamente meno quando si viene a sapere che «i piani forestali di indirizzo territoriale concorrono alla redazione dei piani paesaggistici», (art. 6 comma 3), mentre, invece, i piani paesaggistici dovrebbero condizionare i piani forestali, che, se ho ben compreso, hanno finalità economiche.

Inoltre non si sa perché le Province Autonome di Trento e Bolzano abbiano, in questo testo che doveva essere normativo, tanto potere a livello nazionale, quando esiste la Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dando a questo territorio una valenza enorme nelle scelte dei criteri minimi nazionali inerenti agli scopi, alle tipologie e alle caratteristiche tecnico-costruttive della viabilità forestale e silvo-pastorale, ed alle opere connesse alla gestione dei boschi ed alla sistemazione idraulico-forestale.
Infatti, per quanto riguarda  la viabilità forestale e le opere idrauliche, di cui si parla all’art.9, al di là delle solite generiche finalità, si rimanda a quanto verrà previsto con apposito decreto del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, adottato di concerto con il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

L’art. 7 della legge disciplina le attività forestali, ma vedremo come. Il primo comma definisce quali sono le attività di gestione forestale, con riferimento alle norme regionali, e che comprendono:   interventi colturali di difesa fitosanitaria, interventi di prevenzione degli incendi boschivi, rimboschimenti ed imboschimenti, interventi di realizzazione, adeguamento e manutenzione della viabilità forestale al servizio delle attività agro-silvo-pastorali, opere di sistemazione idraulico-forestale, fino alla prima commercializzazione dei prodotti legnosi quali tronchi, ramaglie e cimali, se svolta congiuntamente ad almeno una delle pratiche o degli interventi predetti. Infine si precisa che «tutte le pratiche finalizzate alla salvaguardia, al mantenimento, all’incremento e alla valorizzazione delle produzioni non legnose, rientrano nelle attività di gestione forestale». (Art. 7 comma 2).
In sintesi per tutta una serie di attività genericamente esposte, che vanno dalla commercializzazione del legno, ai rimboschimenti, alla erboristeria si possono chiedere contributi statali ma in particolare regionali, se ho ben compreso, da parte anche di ditte straniere.

Quindi si indicano i compiti delle regioni, che non potevano esser scritti in modo più vago. «Le Regioni definiscono e attuano le pratiche selvicolturali più idonee al trattamento del bosco, alle necessità di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del suolo, alle esigenze socio-economiche locali, alle produzioni legnose e non legnose, alle esigenze di fruizione e uso pubblico del patrimonio forestale anche in continuità con le pratiche silvo-pastorali tradizionali o ordinarie». Inoltre «Le regioni disciplinano, anche in deroga alle disposizioni del presente articolo, le attività di gestione forestale coerentemente con le specifiche misure in materia di conservazione di habitat e specie di interesse europeo e nazionale». (art. 7 comma 3-4).
Infine si concede alle Regioni di normare, anche in deroga alle disposizioni di legge, le attività di gestione forestale coerentemente con le specifiche misure in materia di conservazione di habitat e specie di interesse europeo e Nazionale. (art. 7 comma 4). Ma se le Regioni possono disciplinare anche in deroga al testo nazionale, allora lo stesso è inutile.

Ma scusate quanto abbiamo pagato questi signori, anche dirigenti della forestale, per produrre una delega quasi totale alle Regioni in materia? Bastava un: ‘Le Regioni facciano come pare loro’, magari stando attente a non difendere troppo l’interesse pubblico, e non sarebbero serviti anni per stendere questo decreto che, per me, è una schifezza …

Inoltre la delega regionale, con i soliti ‘però’, continua anche per quanto previsto dal comma 5 lettera c): «è sempre vietata la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle regioni e volti al mantenimento del governo a ceduo in presenza di adeguata capacità di rigenerazione vegetativa, anche a fini ambientali, paesaggistici e di difesa fitosanitaria, nonché per garantire una migliore stabilità idrogeologica dei versanti».

Quindi si viene a sapere che l’approvazione dei piani forestali è di competenza regionale, e «Le regioni, nel rispetto dell’interesse comune, garantiscono e curano l’applicazione dei piani forestali di indirizzo territoriale, anche attraverso le forme di sostituzione diretta o di affidamento della gestione prevista dall’art. 12». Ed attraverso lo strumento dei piani territoriali, le regioni definiscono: le destinazioni d’uso delle superfici silvo-pastorali ricadenti all’interno del territorio sottoposto a pianificazione, i relativi obiettivi e gli indirizzi di gestione necessari alla loro tutela, gestione e valorizzazione; le priorità d’intervento necessarie alla tutela, alla gestione e alla valorizzazione ambientale, economica e socio-culturale dei boschi e dei pascoli ricadenti all’interno del territorio sottoposto a pianificazione; il coordinamento tra i diversi ambiti e livelli di programmazione e di pianificazione territoriale e forestali vigenti, in conformità con i piani paesaggistici regionali e con gli indirizzi di gestione delle aree naturali protette nonchè le infrastrutture. Inoltre sempre alle Regioni è demandato il compito di promuovere, per le proprietà pubbliche e private, la redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, ma la cui stesura, pare, può esser demandata a privati.

Insomma il pensiero che le Regioni possano fare e disfare a piacimento continua ad esser rafforzato, come il fatto che lo Stato con questa legge demandi alle stesse ogni singolo aspetto, elencandolo minuziosamente, ma con incertezze nella comprensione di un testo che non norma nulla, a meno che normare non significhi demandare ad altri. Ma un altro problema si profila all’orizzonte. ‘Con che personale le Regioni esplicheranno tutti questi compiti a loro assegnati?

Continuando poi a leggere questo decreto appena nato ma scritto in un’ottica economicistica e di sfruttamento dell’ambiente (Cfr. nel merito il mio: “Bosco tra “asset strategico” e tutela di territorio e paesaggio. Alcune considerazioni ai margini di un convegno”, in www.nonsolocarnia.info.), si rileva come sempre alle Regioni, in modo generico, senza limite alcuno, spetti la promozione, per le proprietà pubbliche e private, della redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali» (art. 6 comma 6), ove non si capisce cosa sottintenda il termine “promozione”, e se il parere richiesto per i piani di gestione ma solo sulla creazione di nuove piste forestali o l’adeguamento di quelle già presenti sia vincolante o meno. (Ibid.).

Al punto 7 dell’articolo 6 finalmente si viene a sapere che saranno definiti, con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, «criteri minimi nazionali di elaborazione dei piani forestali di indirizzo territoriale», che però io non ho ancora letto, e che se forse sono tanto minimi potrebbero solo evitare un disastro epocale dato da questa legge, che noi ci chiediamo come abbia potuto esser firmata. (Cfr. Decreto foreste, il presidente Mattarella non firmi l’ennesima legge ai danni dell’ambiente, in: Il Fatto Quotidiano 22 febbraio 2018).

Quindi agli articoli 7 e seguenti continua la sequela di deleghe alle regioni in materia, senza che si veda indicazione statale alcuna, con persistenti: “Le Regioni definiscono, le Regioni disciplinano …, le Regioni individuano … quasi che non si fosse scritto prima che i boschi sono un patrimonio della Nazione; e finalmente solo al comma 6 dell’art. 7 si trova un divieto al taglio raso, fatte salve alcune eccezioni di interesse pubblico …

Ma poi alla lettera b) del comma 6 dell ‘art.7 si legge già il solito però: «è sempre vietata la pratica selvicolturale del taglio a raso nei boschi di alto fusto e nei boschi cedui non matricinati, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle regioni o previsti dai piani di gestione forestale o dagli strumenti equivalenti, […] purché siano trascorsi almeno cinque anni dall’ultimo intervento, sia garantita un’adeguata distribuzione nello spazio delle tagliate al fine di evitare contiguità tra le stesse, e a condizione che sia assicurata la rinnovazione naturale o artificiale del bosco; ed alla lettera c) viene posto un nuovo divieto, discrezionale. Infatti si legge che è sempre vietata la conversione dei boschi governati o avviati a fustaia in boschi governati a ceduo, fatti salvi gli interventi autorizzati dalle regioni …. Il che mi fa venire tristi pensieri su quanto abbiamo speso noi cittadini, se è vero quello che narrava la dott. Stefani, per viaggi, convegni, incontri, ecc. durati anni per produrre questo testo, sperando che tra gli accordi previsti da questo obbrobrio tra le Regioni e i competenti organi territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e quelli solo tra Regioni, non vada a finire che dobbiamo mantenere altri funzionari in giro ed in viaggio per la penisola, in piena crisi economica, quando viene persino tagliata l’acqua a poveracci, bene dato da Dio non a Cafc ma a tutti per la vita, e con la scusa dei tubi a noi sottratta.

E per fortuna, penso tra me e me, che l’Europa, prima la C.E., poi la U.E., hanno posto qualche paletto, a cui il governo italiano deve attenersi forse ‘obtorto collo’. (Cfr. per esempio, art. 8 comma 2).

Inoltre non mancano, nel testo, alcuni casi di trasformazioni del bosco, pare a completa cura e spese del destinatario dell’autorizzazione alla trasformazione (art. 8 commi 3 e 4), ma anche in questo caso leggendo non si capisce bene; quindi e per fortuna, ci si ricorda che alcuni boschi proteggono gli abitati, di cui ci si ricorda solo al comma 7 dell’ articolo 8, «I boschi aventi funzione di protezione diretta di abitati, di beni e infrastrutture strategiche, individuati e riconosciuti dalle regioni, non possono essere trasformati e non può essere mutata la destinazione d’uso del suolo, fatti salvi i casi legati a motivi imperativi di rilevante interesse pubblico nonché le disposizioni della direttiva 2004/35/ CE e della relativa normativa interna di recepimento».

Per quanto riguarda, poi, la ‘Promozione ed esercizio delle attività selvicolturali di gestione’ si rimanda ancora alle Regioni, con i soliti intenti generali, mai specifici. Inoltre non ho chiaro come le Regioni possano promuovere «la crescita delle imprese che operano nel settore forestale e ambientale, della selvicoltura e delle utilizzazioni forestali, nella gestione, difesa, tutela del territorio e nel settore delle sistemazioni idraulico-forestali, nonché nel settore della prima trasformazione e commercializzazione dei prodotti legnosi quali tronchi, ramaglie e cimali», e dietro queste parole mi pare di scorgere un’ottica di imprese centralizzate con molti compiti, in una visione che uccide il piccolo e promuove il grande, e per la quale nulla viene chiesto alle stesse, ma solo che le si sostenga forse con soldi e norme a favore, o che ne so.

Inoltre al comma 6 art. 10, si potrebbe intuire la legalizzazione del sub- appalto, perché si legge che: «Le cooperative forestali e i loro consorzi che forniscono in via prevalente, anche nell’interesse di terzi, servizi in ambito forestale e lavori nel settore della selvicoltura, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali, sono equiparati agli imprenditori agricoli».

Infine le regioni possono dare in appalto, per la gestione attiva, terreni pubblici a privati, assicurandosi che resti inalterata la superficie, e fin qui si comprende anche come, ma pure la stabilità ecosistemica, la destinazione economica e la multifunzionalità dei boschi, che non si sa, con la forestale passata ai carabinieri da chi e come verranno salvaguardate, al di là della genericità dei fattori da valutare.
Per esempio vorrei che qualcuno mi spiegasse come si può valutare la stabilità ecosistemica dei boschi, mentre non si legge in alcuna parte del testo qualcosa di specifico sulla manutenzione dell’ambiente naturale ed antropico, sul bosco polmone naturale del territorio, nulla di nulla sulla salvaguardia delle vecchie foreste, e via dicendo.

Inoltre non si capisce perché «costituisca titolo preferenziale ai fini della concessione in gestione delle superfici forestali pubbliche, la partecipazione di imprese iscritte negli elenchi o negli albi di cui al comma 2 ed aventi centro aziendale entro un raggio di 70 chilometri dalla superficie forestale oggetto di concessione». Così basta che una ditta, magari non si sa quanto ‘ pulita’ ed ‘ affidabile’ ponga la sede legale in uno sgabuzzino a meno di 70 km dalle superfici forestali pubbliche per averne in mano la gestione.

Questo testo pare scritto da quelli della Leopolda uniti a quelli di Confindustria, penso tra me e me, mentre incomincio a pensare che non avesse torto Gian Luigi Gasca che intitolava un suo pezzo: “Nuova legge forestale: un assalto ai boschi italiani?” (https://www.montagna.tv/cms/119090/nuova-legge-forestale-un-assalto-ai-boschi-italiani/).

Inoltre al comma 5 art. 10, si legge che «le regioni promuovono l’associazionismo fondiario tra i proprietari dei terreni pubblici o privati, nonché la costituzione e la partecipazione ai consorzi forestali, a cooperative che operano prevalentemente in campo forestale o ad altre forme associative tra i proprietari e i titolari della gestione dei beni terrieri, valorizzando la gestione associata delle piccole proprietà, i demani, le proprietà collettive e gli usi civici delle popolazioni». Ora mi pare importante la valorizzazione degli usi civici, ma sembra che per esempio la Regione Fvg non si sia poi spesa poi molto per questo problema la legge poteva spendersi un po’ di più.

Ed ancora: «Le regioni promuovono la certificazione volontaria della gestione forestale sostenibile e la tracciabilità dei prodotti forestali, l’utilizzo di prodotti forestali certificati nelle politiche di acquisto pubblico» (art. 10 comma 10), ma non si sa, se non in rari casi, con che personale, perché la guardia di finanza non è regionale, come non lo sono i carabinieri. Insomma questa legge pare fuori dal mondo reale.

L’art. 11 demanda pure alle Regioni una serie di compiti relativi alla valorizzazione commerciale dei prodotti forestali, mentre, per fortuna, precisa che: «I diritti di uso civico di raccolta dei prodotti forestali spontanei non legnosi sono equiparati alla raccolta occasionale non commerciale, qualora non diversamente previsto dal singolo uso civico».

Infine non di poco conto è quanto scritto all’art. 12 ai commi 1 e 2 che così recitano: «Per la valorizzazione funzionale del territorio agrosilvo-pastorale, la salvaguardia dell’assetto idrogeologico, la prevenzione e il contenimento del rischio incendi e del degrado ambientale, le regioni provvedono al ripristino delle condizioni di sicurezza in caso di rischi per l’incolumità pubblica e di instabilità ecologica dei boschi, e promuovono il recupero produttivo delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni abbandonati o silenti, anche nel caso vi siano edificazioni anch’esse in stato di abbandono».

«I proprietari e gli aventi titolo di possesso dei terreni di cui al comma 1 provvedono coordinatamente e in accordo con gli enti competenti alla realizzazione degli interventi di gestione necessari per il ripristino o la valorizzazione agro-silvo-pastorale dei propri terreni».
Se poi chi possiede un pezzetto di bosco è un poveraccio, niente paura: il pezzetto di bosco può essergli sottratto ed i lavori possono venir compiuti favorendo l’imprenditoria privata giovanile, il che è una specie di furto di proprietà al più povero. Almeno io capisco così.
In genere quindi, si finanza l’imprenditoria privata magari multinazionale e si nega aiuto a chi ha un fazzolettino di terra, il che non è certo il top per uno stato democratico.

Ora a me pare che con questa legge il governo riconosca il bosco in generale come bene di valore nazionale, ma poi non voglia spendere un penny per la sua valorizzazione, per il suo mantenimento, per attività di carattere idro-geologico e via dicendo, demandando tranquillamente la materia alle Regioni, che sono 20, e potrebbero anche legiferare in modo non univoco, pure su aspetti non di loro competenza.

Inoltre pare fuori luogo che le regioni, possano non debbano, utilizzare somme non richieste per risarcimenti in attività di prevenzione dissesti ed incendi ecc. (Art. 12 comma 5); e non si capisce che azioni si debbano coordinare a livello ministeriale se è tutto affidato alle regioni, il che creerà il caos, e comunque in assenza di fatto di norme unificanti nazionali, cioè con la possibilità che uno faccia una scarpa ed uno uno zoccolo. A questo punto mi chiedo se esista davvero una Strategia forestale Nazionale o se siano solo parole, parole, parole ….

Infine, in chiusura, il testo di legge ci avvisa, all’ art. 17, che «fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano […] Nelle more dell’adozione dei decreti ministeriali e delle disposizioni di indirizzo elaborate ai sensi del presente decreto restano valide le eventuali normative di dettaglio nazionali e regionali vigenti», tranne quanto previsto dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, abrogato. E il Decrto legislativo si premura di avvisare che: «Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». (Art. 19 comma 1), facendo finta di non sapere che molte regioni hanno bilanci in rosso.

INSOMMA QUESTA PARE UNA LEGGE CHE SBOLOGNA IL PATRIMONIO NAZIONALE ALLE REGIONI ED AI PRIVATI, CHE NON VUOLE INVESTIRE IN UN PATROMONIO NATURALE COSÌ AMPIO, CHE NON SCEGLIE SUI PROBLEMI PIÙ IMPORTANTI SUL TAPPETO, CHE NON CI SERVIVA, E CHE È SERVITA SOLO PER INCONTRI E VIAGGI DI COMMISSIONI, A NOSTRE SPESE. E SE ERRO O NON HO COMPRESO BENE QUESTO TESTO, PER CORTESIA CORREGGETEMI.

In chiusura, in attesa che qualcuno magari più esperto di me scirva le positività del testo normativo, rimando nuovamente al mio: Bosco tra “asset strategico” e tutela di territorio e paesaggio. Alcune considerazioni ai margini di un convegno.

In esso si leggono, pure, le richieste poste da chi con il bosco lavora ai rappresentanti del Ministero:

  • Affrontare il discorso di una risorsa come il legno, nella maniera più prospettica possibile nel tempo, in modo che si possa sfruttare il bosco seguendo una linea oculata, strategica, sostenibile.
  • Normare, attraverso documenti e meccanismi di sostegno, della capacità dei territori di organizzarsi in filiere o in circuiti economici che consentano, in primo luogo di costruire processi di difesa dell’economia locale, e, successivamente, di confrontarsi con il mercato.
  • Individuare in modo preciso quali siano le competenze centrali e quali siano quelle regionali, ai fini di una corretta definizione degli ambiti di competenza e quindi di indirizzo e di gestione, superando, mi pare di capire, documenti come quello interregionale delle Regioni del Nord, siglato a Verona nel febbraio 2016, che già detta linee e tempi ma solo per una parte del territorio italico, pur prendendolo come riferimento e fonte.
  • La tutela delle piccole ditte, e valorizzazione del prodotto anche dal punto di vista della commercializzazione, tema trattato, nella proposta di legge, solo in riferimento ai materiali forestali di moltiplicazione.
  • Dare importanza di una mappatura statistica del bosco italiano.
  • L’utilizzazione di prodotti secondari del bosco.
  • Il miglioramento colturale del bosco per avere un prodotto di maggior qualità, anche se il tipo di legno ha valore di mercato diverso, dico io. Una cosa è il noce, altro il peccio.
  • Imporre la vendita del legname non a corpo ma all’imposto, come anche sostenuto dalla Regione Fvg, che favorisce detta pratica attraverso incentivi (cfr. legge regionale 23 aprile 2007).
  • Affrontare il problema dei controlli sulle attività boschive, a tutela dei proprietari venditori, dell’impresa boschiva, della sicurezza dei lavoratori, ed a contrasto della diffusa illegalità ancora esistente nel settore.
  • La certificazione del legname.
  • L’inquinamento da emissioni di CO2 con l’uso di legno e pellet per riscaldamento.
  • Piste forestali, loro normativa, e analisi dell’impatto ambientale.

Ditemi un po’ voi lettori, se essi siano stati adeguatamente trattati in questo Decreto Legge.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo stata da me scattata.  Laura Matelda Puppini

 

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