Lunedì primo giugno, al pomeriggio abbiamo accompagnato all’ultima dimora l’ing. Luigi Venier, classe 1928, originario di Zuglio, ove ha voluto essere sepolto, ma residente in comune di Arta Terme. La sua figura è stata brevemente ricordata dal parroco officiante, nella chiesa gremita, ma merita due parole in più, anche per il suo passato di combattente, giovanissimo, per la libertà, durante la Resistenza.

Figlio di Luigi Venier ed Aurelia Delli Zotti, che gestivano un albergo con bottega annessa e l’ufficio postale a Zuglio, Luigi ebbe molti fratelli: Albino, il famoso comandante osovano Walter, reduce di Russia; Ferdinando, persosi nella steppa russa; Emidio, partigiano anche lui, con nome di battaglia Peter;  Elio, sacerdote, Primicerio della Confraternita di Sant’Eligio dei Ferari e con altri incarichi di prestigio a Roma; Tristano, e Teresina.
Giannino Angeli scrive, nella prefazione al volume: Nando, Albino, Emidio, Luigi, Teresina, Tristano Venier, Una famiglia unita nel turbine della guerra, Aviani & Aviani ed. 2013, che mi farà da filo conduttore in questa breve rievocazione, che il padre Venier, il “vecchio”, aveva passato l’esistenza a difendere e riedificare quanto gli invasori, ripetutamente, gli avevano smantellato, senza troppi riguardi. La madre era la roccia a cui il padre si appoggiava, e che divideva le sue angosce senza lasciarsi prendere dalla disperazione od impensierirlo (Ivi, pp. 12-13).

Luigi, detto Vigjut, aveva vissuto i primi anni della sua vita come tanti altri bimbi di paese allora, fra giochi, scuola, chiesa, piccoli lavori per la famiglia, sfilate e manifestazioni fasciste.

Nei suoi ricordi rammenta come si fosse trovato, spesso, in testa alle sfilate, a Tolmezzo, vestito da figlio della lupa, con il fez nero e la divisa nera con due fasce di tela bianca che si incrociavano sul petto, ed una grande M di ottone in mezzo, battendo il passo sul grandissimo tamburo che portava a tracolla. (Ivi, pp. 266-267).
Poi, promosso Balilla, aveva partecipato, come tutti, in abito nero e fazzoletto azzurro al collo, ai saggi ginnici che si tenevano nella piazza principale del capoluogo carnico; diventato infine avanguardista, mentre si trovava in collegio ad Udine, aveva indossato, senza grande euforia, la divisa grigio verde, amministrando i pochi bollini di pane che gli dava la madre, e recandosi, pure, obbligato, ad ascoltare le glorie italiane in Spagna, narrate da una camicia nera.
Ricordava, pure, la festa con cui la popolazione aveva accolto l’8 settembre 1943, sperando che la guerra fosse finita, ed i giorni successivi quando, assieme a tutto il paese di Zuglio, sul ponte di “Minidote”, aspettava l’arrivo di qualche paesano soldato sbandato; fino al giorno in cui accolse il fratello Albino, sfuggito alla cattura dei tedeschi a Verona, e presentatosi con addosso solo un impermeabile bianco che copriva le mutande. (Ivi, p. 267).  Si fuggiva vestiti come si poteva, allora, bastava abbandonare la divisa, perché in abiti militari si sarebbe inevitabilmente stati catturati dai tedeschi.

Fin da piccolo, Luigi Venier aveva manifestato un carattere indipendente e non docile. Un giorno, in quinta elementare era stato sospeso per tre giorni per aver fischiato, con le due dita in bocca, mentre si trovava ad ascoltare la conferenza di un gerarca fascista al Cinema De Marchi a Tolmezzo. Ed aveva ripetuto quel fischio, con stupore ed incredulità da parte del Direttore del Collegio Salesiano e della madre, che tentavano di giustificarlo perché, senza un dente davanti, ritenevano che non potesse esserne l’autore.
Un altro giorno, preso dal conversare con l’amico Plinio Petrozzi di Tricesimo, si dimenticò di flettersi ritmicamente durante un saggio ginnico, nella gremitissima piazza XX settembre a Tolmezzo. Pronta la reazione dell’insegnante di ginnastica: «Veniè, cafone!». (Ivi, p. 267).

Nell’inverno 1943-44, svanita la speranza che la guerra fosse finita, Luigi continuò a frequentare il Liceo Scientifico ad Udine, ed ai primi di maggio, dopo la promozione alla quarta liceo scientifico, ritornò a casa, a Zuglio. (Ivi, p. 267)

Qui sentì narrare che c’era stato un morto al bivio della strada per Paularo. È un De Monte, padre di due figli, e marito della maestra Jolanda Galante. Si era fermato ad un bar, a Tolmezzo, ed aveva parlato un po’ troppo. Aveva detto che intendeva unirsi ai partigiani e così… qualcuno aveva riferito e i fascisti avevano sparato. (Ivi, p.280). Poi l’incontro diretto con i fascisti, che cercano suo fratello Emidio, reo di aver preso, da Ottavio Villa e Giampiero Boria, un manifesto del proclama di Concetto Marchesi.
Emidio viene preso, viene portato a Tolmezzo, e ivi picchiato alle piante dei piedi. Si vuole sapere se conosce partigiani, ma è la persona sbagliata. Farà ritorno a casa malconcio, qualche giorno dopo. Infine viene costretto ad arruolarsi nella territoriale.
Chi era già fuori casa, invece, era Albino, ricercato perché considerato militare disertore, che non voleva esser portato in Germania. Egli aveva organizzato un proprio gruppo di resistenti che, successivamente, nel giugno 1944, confluì nel battaglione Carnia della Brigata Osoppo. (Ivi pag. 129 -130).

Ma anche per Luigi la vita non è semplice.
Passa le notti in casa fino alle quattro del mattino, e poi via nei boschi con il padre ed i valori postali, onde evitare le retate; condivide l’apprensione per le scorribande repubblichine; incontra casualmente partigiani osovani, che vanno riorganizzandosi sotto il comando di Albino. Quindi la scelta di unirsi a loro. Non vuole più stare in casa, il penultimo dei Venier, e pressa di richieste di arruolamento gli amici del fratello, ma invano. Puntualmente lo rispediscono a casa. Infine qualcuno sussurra: «Va a finire che si arruola con la Garibaldi!» – e così riceve un fucile ed il suo battesimo partigiano nella brigata Osoppo. (Ivi, pp. 281- 284).
Poi la vita sui monti, tra boschi, sentieri, freddo e neve, che egli così ben descrive, vita che non è né semplice né facile. (Ivi, p. 266). Conosce tracciati, seguendo nella notte gli altri partigiani che guidano il gruppo, spesso ex soldati avvezzi alle fatiche ben più di lui, gli vengono affidati compiti faticosi, quali quelli di portare materiali e rifornimenti; turni di guardia anche ai depositi e perlustrazioni, impara a tenere una bomba a mano con la sicurezza in bocca, vede la sua casa prima depredata e distrutta da tedeschi e fascisti, tra cui Mora, uno dei peggiori, poi occupata dai cosacchi (Ivi, pp.152-153 e p. 296), soffre freddo e fame.
Quindi si giunge alla fine di aprile 1945. Le notizie si susseguono: c’è chi dà gli alleati ad Udine, chi a Gemona.
Poi la Liberazione, mentre i Cosacchi si muovono verso l’Austria. Il 4 maggio gli Inglesi arrivano a Gemona, il 6 sono ad Amaro, il 7 maggio entrano in Carnia, fra lo scampanìo delle chiese, che annunciano la fine della guerra, e la gente che si riversa nelle strade.

Luigi Venier incontra la prima camionetta Inglese a Caneva di Tolmezzo, ed a Tolmezzo si imbatte, pure, in Renato Nascimbeni che, giunto da Udine con un camion di fazzoletti verdi, li aveva distribuiti a destra e manca, sotto gli occhi stupiti dei pochi partigiani reali, sia osovani che garibaldini che avevano resistito nel crudo inverno in montagna (Ivi, p. 307); infine ritorna a Zuglio, ad abbracciare i suoi.

Quindi egli riprende gli studi, prima ad Udine, ove consegue la maturità scientifica, successivamente a Roma, ove frequenta la facoltà di ingegneria, a S. Pietro in Vincoli, di cui ricorda la basilica, il potente Mosè di Michelangelo, e la piazzetta antistante ove, loro, studenti, giocavano a “Palletta” durante l’intervallo delle lezioni. Si laurea, infine, in ingegneria industriale ad indirizzo economico organizzativo con, pure, abilitazione in Ingegneria Civile.

Appena laureato, viene assunto dalla fabbrica di telecomunicazioni FATME, con sede in Via Appia Nuova a Roma, che costruiva centrali telefoniche su brevetto della ditta L. M. Ericsson, settore in cui sarebbe diventato esperto. Quando vennero importate le prime centrali meccaniche gli toccò l’ingrato compito, per altro non raggiunto, di convincere le operatrici a lasciare la loro postazione, sostituite dalla tecnica. Ove egli non riuscì, ce la fecero gli operai che asportarono le centraline. Quindi si occupò, per la TELVE, assieme ad un ingegnere svedese, di un lavoro di ricalcolo delle linee telefoniche del distretto di Rovigo conseguente all’aumento notevole del numero di abbonati. Fu l’occasione per proseguire ed approfondire la sua esperienza nel settore delle telecomunicazioni presso la ditta madre di Stoccolma.
Per sei anni Luigi Venier lavorò nella capitale svedese presso la ditta Ericsson. Rientrato in Italia, prestò la sua opera come professionista all’ITALTEL di Milano. Sua è la scelta per la presa unificata dei telefoni.
Nel 1971 è di nuovo in Friuli, a Udine, chiamato dall’ing. Maddalena, titolare di una fabbrica di contatori d’acqua, per occuparsi di apparecchiature elettroniche per il dosaggio e la misurazione dei liquidi. Le apparecchiature realizzate da Luigi Venier, con l’apporto di un giovane perito, Gino Qualizza, e due operaie, andarono così ad arricchire i cataloghi di vendita della ditta.
Dopo il terribile sisma del 1976, si occupò di ingegneria privata e pubblica e della ricostruzione del post terremoto in Friuli, e fu anche, per un periodo, consulente tecnico d’ufficio presso il Tribunale di Tolmezzo.
Ha vissuto a Piano d’Arta, dove negli ultimissimi anni si è dedicato con passione alla pubblicazione del volume con il quale ha voluto documentare un periodo fondamentale della storia d’Italia attraverso le testimonianze sue e della sua numerosa famiglia. Deceduto improvvisamente, il suo funerale è stato seguito da numerosissimi amici e conoscenti. La tumulazione è avvenuta nel cimitero di Zuglio ove, come estremo gesto di saluto, uno degli ultimi superstiti della Brigata Osoppo/Carnia: Aldeo Del Moro, nome di battaglia Fracassa, ha posto sul feretro il “fazzoletto verde”, gesto più eloquente di qualsiasi discorso.
Il suo ricordo è un obbligo per chi lo ha potuto conoscere.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda questo scritto è tratta dal volume: Nando, Albino, Emidio, Luigi, Teresina, Tristano Venier, Una famiglia unita nel turbine della guerra, Aviani & Aviani ed. 2013 e rappresenta Luigi Venier partigiano.

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