Un tempo non esisteva l’abitudine di utilizzare fonti orali, intendendo le narrazioni di persone riguardanti la propria storia personale, fatta di eventi maggiori e minori, di emozioni, fatiche, gioia e dolore, le proprie esperienze, i propri vissuti, gli accadimenti a cui avevano preso parte o di cui erano stati testimoni.

Dagli anni ’70 l’interesse degli storici italiani si è volto anche alla storia del popolo, della povera gente, di quelli che Tita Maniacco definì i “senza storia”, i dimenticati, gli esclusi. (Cfr. Maniacco Tito, I senza storia. Storia del Friuli, Casamassima, 3 voll. 1977 – 1979).
Tra questi ritroviamo i soldati spediti a combattere una guerra non loro, le donne, madri, spose e “assistenti domiciliari” di vecchi genitori, fratelli invalidi, zii celibi, portatrici carniche, vittime di violenza spesso domestica, che hanno rappresentato, sia nelle comunità contadine che in quelle montane, “l’anello forte” della società. (Cfr. Revelli Nuto: L’anello forte,la donna: storie di vita contadina, Einaudi, To, 1985; Revelli Nuto, Il mondo dei vinti, 2 voll., Einaudi, To, 1977, Revelli Nuto, Le due guerre, Einaudi, To,2005).

La raccolta di registrazioni dei vissuti personali, cioè di fonti orali ha il suo fondamento nella ricerca di ricostruzione della storia della gente, dei deboli e degli oppressi, dei dimenticati dalla storia stessa cioè degli appartenenti a quelle che, in altri anni, furono definite le classi subalterne.

La storia dei poveracci si fonde con quella dei ricchi fornendo uno spaccato interessante e maggiormente verosimile dei fatti. Nessun grande generale avrebbe vinto senza soldati, nessuna comunità si sarebbe retta senza l’apporto delle donne, nessuna Resistenza all’invasore, in posto alcuno, sarebbe stata possibile senza resistenti e senza un qualche appoggio popolare.

La storia orale in Italia è al centro di sollecitazioni ed interessi di varia provenienza. Essa viene utilizzata in ambiti disciplinari diversi: in sociologia, in antropologia, in storia, in particolare relativamente alla storia delle comunità.

Per quanto riguarda la recente storia d’Italia le fonti orali possono fornire elementi validi per scrivere il rapporto fra quotidiano e non quotidiano, fra pubblico e privato. (Passerini Luisa, Vita quotidiana e potere nella ricerca storica, in: AA.VV., La Storia: Fonti orali nella scuola. Atti del convegno: L’insegnamento dell’antifascismo e della Resistenza: didattica e fonti orali, organizzato dal comune di Venezia in collaborazione con l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione e Istituti associati e con l’Università di Venezia 12 – 15 febbraio 1981, Marsilio ed. 1982, p.103).

Il problema, nell’utilizzo delle fonti orali, è però «quello di sfuggire a ogni possibile equazione tra oralità ed autenticità», negando qualsiasi valenza alla storia documentaristica. (Ibid.).
Infatti le fonti orali richiedono di esser trattate «come forme di racconto, di interpretazione del mondo, di conferimento di significati». (Ivi, p.100). E «la preferenza assoluta a fonti orali non solo limita lo spessore della storia contemporanea a pochi decenni, ma rischia di accettare come autentiche non solo le testimonianze di dati (con tutti i tradimenti della memoria, ma anche le dichiarazioni di convinzioni, di “ideologie” […]». (Quazza Guido, Introduzione, in: AA.VV., La Storia: Fonti orali nella scuola, op. cit, p. 33).
Luisa Passarini sostiene, poi, che le fonti orali “sono doppiamente secondarie in quanto interpretazioni soggettive di esperienze parziali del reale” anche se non ne nega l’importanza. (Ivi, p. 101).

Per quanto riguarda la storia della Resistenza, bisogna sottolineare che  per “Resistenza italiana”, comunemente chiamata Resistenza (detta anche Resistenza partigiana o Secondo Risorgimento) si intende l’opposizione, militare o anche soltanto politica, condotta nell’ambito della seconda guerra mondiale contro l’invasione del  Regno d’Italia da parte della Germania nazista, contro gli appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana o di Salò, contro i collaborazionisti con i tedeschi, fra cui vi erano anche i repubblichini.

«Il movimento resistenziale – inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all’occupazione nazifascista – fu caratterizzato in Italia dall’impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici, (comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, anarchici. (…)». (https://it.wikipedia.org/wiki/Resistenza_italiana).

Le motivazioni che spinsero questi giovani a lottare in condizioni certamente difficili ed i loro vissuti, possono essere indagati con fonti orali.
Le interviste a chi fu o partigiano e resistente possono servire, quindi, a «Immettere nella ricerca storica la dimensione del quotidiano, del soggettivo – nel suo complesso  rapporto di separazione / intersecazione con il “politico” , con il “pubblico”» (Bertacchi Giuliana, Esperienze didattiche degli Istituti della Resistenza e uso fonti orali, in: AA.VV., La Storia: Fonti orali nella scuola, op. cit,. p.45),  ed aiutano a scrivere i rapporti fra storia locale, sociale, nazionale, propri di  momenti storici diversi.

Nel caso della storia della Resistenza italiana, il racconto di esperienze da parte di partigiani serve a far emergere non solo la drammaticità degli eventi a cui parteciparono, ma anche le tematiche interne alla loro vita ed all’impatto anche tragico, che essi dovettero vivere tra ideologia e realtà.

Passando dalla storia di singole personalità, come il Magrini, alla storia della base partigiana, la piramide si “allarga verso il basso” ed irrompono nel quadro storico quegli elementi che il documento scritto tace e riduce, e di fronte ai quali mostra tutta la sua carenza. (Ibid.).
In tal senso l’intervista serve a integrare quanto la fonte scritta già dice su un fatto storico.  Alla storia del singolo capo partigiano, nel caso della Resistenza, si aggiunge quella della base militante.
Scrive Giuliana Bertacchi: «Proprio la caratterizzazione della Resistenza come movimento dal basso chiarisce come il ricorso alle fonti orali diventi obbligato e pertinente a pieno titolo, per misurare lo spessore dei vasti e complessi riflessi sociali, individuali e collettivi che investono la stessa base partigiana, le masse operaie e contadine […]». (Ibid.).

Inoltre mi pare che gli stessi che negano che il movimento partigiano fu un movimento di “popolo” e ritornano a proporre la storia di singole personalità e di singoli  accadimenti, al posto di quella della base resistente, siano quelli che poi utilizzano una metodologia, cioè quella che si regge sulle fonti orali,  atta ad evidenziare la storia della base, utilizzandola anche per leggere e rileggere accadimenti , peraltro già scritti su documenti d’epoca.

Per quanto riguarda la morte di Aulo Magrini, tanto per fare un esempio, basta legger quanto scritto a p. 79 di  “Guerra di popolo – storia delle formazioni garibaldine friulane” a cura di Ferdinando Mautino, con prefazione di Enzo Collotti pubblicato da Feltrinelli nel 1981, che riporta un manoscritto del 1945 – 1946: «15.7.44. (Brigata Friuli) Ponte di Noiaris – Arta. Viene segnalata un’autocolonna nemica di circa 150 uomini armata di numerose armi automatiche e mitragliere piazzate su camion. La colonna, dopo esser stata a Timau, lungo il ritorno viene attaccata da una pattuglia del battaglione Carnia. In questo primo attacco il nemico riporta 4 morti e vari feriti.
Giunta la colonna in località Ponte di Noiaris, viene nuovamente attaccata con bombe a mano e raffiche di mitra. La reazione nemica, violentissima, costringe il reparto a ripiegare.  Il commissario del battaglione, Aulo Magrini, effettua un contrattacco nel quale lascia la vita. Nel combattimento cade pure il compagno Griso. A questo attacco partecipano anche alcuni elementi della Osoppo. Proseguendo verso Tolmezzo, la colonna viene nuovamente attaccata alla galleria di Zuglio da una pattuglia del battaglione Carnico.
Al suo rientro a Tolmezzo tre quarti degli effettivi erano posti fuori combattimento. Nessun tedesco rientrò illeso».

Perché dovrebbe essere falso quanto scritto allora? E si trattò di una azione di guerra, con soldati nemici su camion che sparavano all’impazzata. In questo contesto pare più credibile che Magrini sia stato ucciso dai tedeschi andando all’attacco o che fu ucciso con premeditazione (volendo rubare qualcosa) da uno dei suoi? Questo per chiarire come fonti orali possano raccontare ora fatti anche poco credibili, come sedicenti storici possano ipotizzare senza fonte alcuna, e, magari, con una notevole impronta ideologica. 

Ma per ritornare alle interviste a partigiani, concludo riprendendo sempre Giuliana Beracchi: «La stessa matrice resistenziale e la scelta del campo connessa a tale origine, hanno fatto sì che la raccolta e l’uso di comunicazioni orali di antifascisti e partigiani siano state praticate (…) senza avvertire con chiarezza –  nella maggior parte dei casi – le implicazioni metodologiche e concettuali connesse al ricorso all’oralità, senza considerarne le valenze diverse, le diverse potenzialità, i diversi problemi rispetto alle fonti scritte.  (…). Il rischio è ancor oggi di attingere al patrimonio dell’oralità per porlo al servizio di ricostruzioni storiche […] sostanzialmente riconducibili all’alveo della historie événementielle […]» (Bertacchi Giuliana, op. cit., p. 44) e quindi della storia delle vicende politiche contrapposta alla storia della vita materiale degli uomini nei suoi aspetti demografici, economici, di costume.

«Da qui la fusione – confusione –  con la testimonianza scritta, in un’ottica che finisce per privilegiare, per forza di cose, i protagonisti, i personaggi di rilievo e di spicco, ritenuti tanto più credibili e degni di fede, quanto più importanti sono stati i ruoli di dirigenza politica assunti», (Ibid.) invece che il movimento che costruì, di fatto, la resistenza italiana al nazismo.

Laura Matelda Puppini

(Prima pubblicazione: http://www.storiastoriepn.it, 8 agosto 2013. Versione rivista ed aggiornata). 

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Sull’argomento, e sui limiti della trasmissione orale, scrivevo inoltre una lettera al Messaggero Veneto, pubblicata dal quotidiano locale il 28 dicembre 2013, che qui riporto:

«Spesso per sostenere opinioni sulla resistenza o sulla storia del confine orientale, alcuni si richiamano alla testimonianza di una nonna o di altra persona, magari senza riportarne il nome e la data di nascita, e senza che esista, come minimo, registrazione. A lu ha dit lui a lu ha dit iei, pare sia uno dei motivi per sostenere che si è sicuri che sia andata così, e che sia andata così per tutti, generalizzando un’ esperienza personale.  Ma si sa che, da che mondo è mondo, esistono persone che hanno il vizio di essere “malelingue” o di interpretare fatti solo ed unicamente secondo proprie concezioni e credenze;  si  sa che i fatti  narrati  possono subire  effetti distorsivi , che possono esser progressivi  nel tempo,  passando da “un orecchio all’altro”, o dati dal sovrapporsi di letture ed interpretazioni, o da  mitizzazioni e demonizzazioni acritiche. Inoltre i fatti narrati risentono di chi è il narratore (fenomeno detto dei punti di vista) e dell’ amplificazione emotiva, che riportano a studi di psicologia; e l’intervista risente del modo di condurre la stessa da parte dell’intervistatore ( con possibili errori dello stesso), e di possibili  decontestualizzazioni degli eventi. Questi fenomeni sono stati studiati in sociologia ed antropologia, discipline in cui la narrazione è fonte specifica, mentre la metodologia scientifica in storia richiede anche altri strumenti di indagine e l’incrociare fonti.  Senza offesa per nessuno e  per precisione». Laura Matelda Puppini

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Infine chiarivo ancora dei concetti in due commenti risposte ad Igino Piutti, che mi chiamava in causa, relativamente all’ articolo pubblicato su www.nonsolocarnia.info: “Marco Puppini. Partigiani come causa di tutti i guai: L’assedio della Carnia di Igino Piutti”, riferendomi al recente terremoto di Ischia, come evento di riferimento.

«Se lei vuole descrivere per esempio il terremoto di Ischia e cosa lo ha causato, non può solo andare ad intervistare due persone e chiedere il loro parere personale sull’evento e la sua causa, senza magari sapere se fossero turisti, pompieri accorsi, o isolani. (…). Pensi solo alle responsabilità dell’accaduto ( dei crolli e dei morti non della scossa): uno potrebbe dire che è causa del governo che non ha mai fatto prevenzione, uno del comune che ha concesso di costruire qui o là, uno di chi ha venduto materiali edili scadenti, e via dicendo. Infatti vi è la storia pregressa anche sismica dell’isola, il fatto che essa si trova in una precisa area geografica che comprende il Vesuvio e i Campi Flegrei, una storia di abusivismo edilizio e di costruzione con materiali scarsi, aspetti non noti però al turista che era lì». inoltre « […] la stampa ha riportato che abitanti e commercianti di Ischia se la sono presa con i giornalisti accusandoli di dir male dell’isola per via dell’abusivismo e del condono edilizio e sostenendo che in fin dei conti, par di capire, non è successo quasi nulla. (“I giornali mistificano”, ma i turisti tornano, in: Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2017). Pertanto alcuni possono sostenere una tesi anche davanti ad una realtà lampante per proprio tornaconto, ed a fine di immagine».  Altri limiti mi sono stati fatti presenti da Romano Marchetti ed Ottavio Villa, partigiani osovani: desiderio di mettersi in mostra e di protagonismo di alcuni, inquinamento del racconto da letture fatte o commenti uditi, soggezione, ricordo confuso, tentativo di rispondere a domande di cui non si sa nulla, comunque. Laura Matelda Puppini

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L’immagine che accompagna questo articolo rappresenta la copertina del volume: AA.VV. La Storia: Fonti orali nella scuola. Atti del convegno: L’insegnamento dell’antifascismo e della Resistenza: didattica e fonti orali, organizzato dal comune di Venezia in collaborazione con l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione e Istituti associati e con l’Università di Venezia 12 – 15 febbraio 1981, Marsilio ed. 1982, ed è frutto di mia cannerizzazione. Laura Matelda Puppini.

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