“La Carnia tace” – posta sul suo profilo facebook Alberto Terasso, e ricorda, con nostalgia, la battaglia contro la centrale di Amaro, che ha riempito anche pagine del giornale Nort, come momento di protesta carnica.

Ma ci fu un evento, mai poi ripetuto, che unì le forze di rappresentanza ed il popolo carnico, e fu lo sciopero per la Carnia del 29 novembre 1967. Quel giorno la Carnia intera scese a Tolmezzo per urlare il suo no deciso e forte alla soppressione della ferrovia, vista come simbolo di una politica di privazione e morte e per chiedere … Ma non fu ascoltata.
Avevo allora 16 anni e, con il permesso dei miei genitori, partecipai a quella manifestazione oceanica. C’era polizia dappertutto che chiudeva le vie di fuga, in fondo a via Del Din ed in mille altri luoghi, ma non successe nulla. Marciava la gente della Carnia, guidavano il corteo tre persone, una accanto all’altra, due donne ed un uomo: mio padre, Geremia Puppini, allora Direttore Didattico di Tolmezzo, Adriana Pittoni Boiti, Presidente del Circolo Universitario Culturale Carnico e Cornelia Puppini D’Agaro, nota esponente politica del neonato Movimento Friuli. Dietro una marea di persone a chiedere di non morire, di non finire come ora.

Il corteo si muoveva ordinato, simbolo di fierezza e di una Carnia non ancora doma. Mi ricordo che mio padre aveva parlato con il Commissario di Polizia dott. Baldassarre, ed egli, Adriana e Cornelia si erano messi alla testa del corteo per disciplinarlo, come simbolo di cultura, pace, esigenze del territorio, perché se la polizia avesse caricato si sarebbe trovata loro davanti, non dei ragazzini. Parlavano tranquilli, mio padre ed Adriana, senza dimostrare paura.  Sono sicura che anche Michele Gortani sarebbe stato, se ancora vivo, al loro fianco, se non altro simbolicamente o con la parola.

Foto D’Orlando. Copia regalata a mio padre Geremia Puppini, ritratto all’ inizio del corteo mentre parla con Adriana Pittoni.

«A scuola, da piccoli, ci insegnavano che la storia la fanno gli individui» – inizia Marco Lepre il suo: “Il trenino dello sviluppo” in: AA.VV., Tumieç, (a cura di Giorgio Ferigo e Lucio Zanier), atti del 75esimo congresso della Società Filologica Friulana, 1998, pp. 258-278). Ed era quello che allora credevamo, senza neppure lontanamente pensare che saremmo andati a finire a: “La Carnia tace” sia a causa della destra, sia a causa della sinistra, sia a causa del centro, sia a causa di una dissennata politica accentratrice, tanto amata dalla Dc.

Ma cosa era accaduto per trascinare migliaia di persone in piazza XX Settembre, non ancora detta “il salotto di Tolmezzo” ma luogo vivo di incontro, scontro, manifestazioni?

«Un primo grosso problema, scrive Marco Lepre – era costituito dalla difficile situazione in cui versavano i bilanci comunali. Già colpite per le minori entrate derivanti dal taglio ordinario dei boschi, le finanze locali soffrivano in misura notevole a causa della soppressione dell’imposta comunale sul vino e soprattutto per il rifiuto dell’Enel, subentrato alla Sade nella gestione degli impianti idroelettrici, di versare al Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano i sovracanoni dovuti in base alla legge 959 del 1953. Una seconda fonte di preoccupazioni derivava, poi, dalla situazione occupazionale […].». (Ivi, p. 267). In aprile la Cartiera di Ovaro aveva annunciato il licenziamento di 76 dipendenti, che si aggiungevano a quelli mandati a casa per la chiusura della miniera di Cludinico e di diverse segherie, creando una reale difficoltà per la val Degano.  Inoltre la parificazione dei territori montani a quelli depressi della pianura, confermava una tendenza a dilatare il numero dei comuni interessati a politiche di riequilibrio che si basavano sulla concessione di contributi. Infine preoccupazione aveva destato l’alluvione del 3-4 novembre 1966, che aveva sconvolto l’intero territorio montano, facendo 12 morti e 15 milioni di danni.

«PER SPIEGARE LE CAUSE DI QUESTO DISASTRO, VENNE RICORDATO L’ECCESSIVO DISBOSCAMENTO EFFETTUATO DURANTE LA GUERRA, MA CI FU ANCHE CHI SOTTOLINEÒ GLI EFFETTI DELL’INDISCRIMINATO SFRUTTAMENTO IDROELETTRICO». (Ivi, pp. 267-268).

Così si diceva 50 anni fa. Ora siamo con gli stessi problemi di allora. Allora marciavamo ed urlavamo la nostra rabbia, poi siamo scesi ancora in piazza per mille ragioni, quasi sempre inascoltati e gabbati. Ora taciamo, come gran parte dell’Italia intera, ed iniziamo ad abituarci ad una politica che, invece di affrontare seriamente i problemi, sa solo parlare di emergenze, evitabili se si pensasse prima.

Comunque le alluvioni del 1965 e 1966 avevano messo in luce già allora la vulnerabilità del territorio, provocata, pure, dall’abbandono dell’agricoltura. Era nata la Regione Fvg ma per la Carnia non era mutato nulla. Inoltre ci si preoccupava per l’estendersi delle servitù militari, per la chiusura degli uffici Enel, per il trasferimento di alcuni uffici pubblici, e già allora si parlava di chiusura del Tribunale di Tolmezzo, con conseguente soppressione del Collegio Elettorale Regionale.
E non da ultimo «I dati sullo spopolamento confermavano […] una tragica situazione, segnata dal passaggio da una emigrazione temporanea ad una definitiva». (Ivi, p. 268).

Si chiedeva alla neonata Regione Fvg un impegno concreto per il territorio, la Comunità Carnica lamentava i mancati interventi di economia montana programmati, con una spesa già quantificata in 8 miliardi di euro mai visti, mentre erano giunti solo trecento milioni di lire e l’autorizzazione per un terzo dei lavori indispensabili. (Ibid.).
Ma la tipica “goccia che fece traboccare il vaso, fu la soppressione del servizio trasporto merci a mezzo ferrovia per la tratta Carnia – Tolmezzo- Villa Santina. Lo Stato sposava definitivamente il trasporto su gomma, che ha creato e creerà gli attuali problemi climatici, e provocato tanti incidenti anche mortali. (Ivi, p. 269). Il mercato dell’automobile doveva essere sostenuto, a spese di noi tutti.

La chiusura della ferrovia veniva simbolicamente vissuta come la chiusura a qualsiasi benessere e programma di sviluppo futuro.
Il punto di tensione di fece acutissimo, come quello di rottura con il passato. (Ivi, p. 271).  La Comunità Carnica, il 24 novembre 1967, decise di dar vita ad un Comitato di Agitazione del quale fecero parte i maggiori esponenti politici, e rappresentanti delle amministrazioni locali, dei sindacati, dell’Associazione Industriali e di quelle dei Commercianti e degli Esercenti dei pubblici esercizi. Ed anche il mondo della scuola, gli studenti, gli artigiani, i professionisti, si disposero a seguirne le direttive e le iniziative. Si organizzò lo sciopero, e l’adesione fu massiccia.

«Tutto chiuso in Carnia: chiusi i municipi, chiusi i negozi, chiusi gli esercizi pubblici, gli istituti di credito, le scuole, le fabbriche le botteghe artigiane» – riportava un articolo intitolato “Tutto fermo oggi in Carnia” in: Il Gazzettino, 29 novembre 1967.
L’unica cosa che funzionò quel giorno – scrive Lepre – furono le autocorriere che portarono i manifestanti a Tolmezzo. Una folla stimata variabilmente da 2000 a 5000 persone, riempì piazza XX settembre, e la manifestazione imponente fu ripresa anche da testate giornalistiche nazionali come Il Corriere della sera, che ne sottolineò il suo carattere pacifico, l’aver sfilato migliaia di persone senza provocare incidente alcuno, in forma composta. (Ivi, p. 269).  

LE RICHIESTE ERANO RIASSUNTE IN DIECI PUNTI, CHE VENNERO LETTI DAL BALCONE DEL MUNICIPIO AI PARTECIPANTI ALLO SCIOPERO. SI DOMANDAVA: IL RIPRISTINO ED AMMODERNAMENTO DELLA FERROVIA, LA CREAZIONE DI UNA ZONA INDUSTRIALE, OPERE DI DIFESA DEL SUOLO, ABOLIZIONE DELLE SERVITÙ MILITARI, MANTENIMENTO DI UFFICI E SERVIZI PUBBLICI, PAGAMENTO DEI SOVRACANONI ELETTRICI. (IVI, P. 270).

Giunsero adesioni alla manifestazione da parte della Cooperativa Carnica, dal comune di Trieste, dalle organizzazioni sindacali di Udine e Trieste, e da parte di molti altri. In segno di partecipazione di fermarono pure i treni della Società Veneta lungo la Udine – Cividale.
Il 4 dicembre gli studenti udinesi scesero in sciopero a sostegno di quelli della Carnia, dopo che una delegazione di scioperanti aveva pure raggiunto il capoluogo friulano, nel pomeriggio di quel 29 novembre. (Ivi, p. 271).

Foto che correda l’articolo di Marco Lepre., pubblicata in Marco Lepre, op. cit., p. 270.

Non mancarono però le critiche alla manifestazione e le polemiche, che presero forma, in particolare, sul Messaggero Veneto, su cui partì una «tendenziosa campagna di stampa» che cercò di «svalutare il significato della manifestazione». (Ivi, p. 271).
«In risposta ad un articolo ritenuto particolarmente “ingiurioso”, la sera del 30 novembre un folto gruppo di cittadini si recò sulla piazza principale di Tolmezzo e diede alle fiamme fasci di copie del giornale».  (Ivi, P. 271).
Critiche, simili a quelle del Messaggero Veneto, vennero espresse dalla direzione e dall’esecutivo provinciale del Movimento Giovanile Democristiano, appositamente riunitosi, che temeva il malessere della popolazione per le promesse mai mantenute. (Ibid.). E l’on. Mario Toros, della segreteria provinciale della Dc Friulana, censurò pesantemente i democristiani carnici che avevano partecipato allo sciopero per la Carnia: in particolare vennero presi di mira Libero Martinis, vice presidente della Comunità Carnica, e Tiziano Della Marta, allora sindaco di Tolmezzo. (Ibid.).

Per il resto della storia rimando all’articolo di Lepre. A fronte comunque di una manifestazione senza uguali, vi furono risposte evasive alle richieste, benché il Sindaco di Tolmezzo ed altre autorità si fossero portate fino a Roma, per chiedere, per domandare, e la forza propulsiva della protesta di frantumò con la creazione di comitati locali fortemente voluti dai sindacati e grazie ai contrasti interni ai partiti, come il solito.   

CINQUANT’ANNI DOPO È TUTTO COME ALLORA ED ANCHE PEGGIO, GRAZIE A PARTITI DI DESTRA E SINISTRA CHE PASSANO PER IL CENTRO, CHE PARLANO MA NON AFFRONTANO I PROBLEMI, CHE SCAMBIANO IL SENSO DI RESPONSABILITÀ CON LO SMORZARE QUALSIASI RICHIESTA NON DI BECJUZ, PER POI, IN SINTESI, FARE QUELLO CHE AVEVANO GIÀ DECISO, COME LA GENTE NON CONTASSE NULLA. E COSÌ MOSTRANO E PRATICANO UNA POLITICA CHE PALESA IL MERO ESERCIZIO DEL POTERE, CHE ALLONTANA INVECE CHE AVVICINARE, CHE SMORZA INVECE CHE AFFONTARE, CHE PROMETTE SENZA MANTENERE. E CIÒ VA AVANTI DA UNA AMMINISTRAZIONE REGIONALE ALL’ALTRA, DA UN GOVERNO ALL’ALTRO, DALLA COMUNITÀ MONTANA POI COMMISSARIATA E SVUOTATA DI POTERE ALL’ UTI, MENTRE LA REALTÀ MOSTRA IL SUO VOLTO TRAGICO.
E non ditemi,per cortesia, che questo è populismo.

Lo sciopero del 29 novembre 1967 fu il frutto dell’incontro fra le esigenze della popolazione e la rappresentanza politica e culturale del territorio.

La Carnia ora tace, ricacciata in una politica del contingente e di attesa di “mamma regione”. I politici che la rappresentano sono ben lontani dalle persone che guidarono lo sciopero del 29 novembre 1967, e comunque pare sempre più che la Carnia sia destinata a diventare terra di conquista ed abbandono, con la perdita e svendita dei beni fondamentali e vitali: l’acqua, il bosco, il suolo. A noi non resta nulla, e chi dovremo maledire questa volta? Ma se invece di maledire chiedessimo con forza alla Regione ed ai nostri rappresentanti di intervenire come minimo sulle acque, il bosco ed il territorio? Si perdono le elezioni anche con la politica delle tre scimmiette ed unicamente parolaia e contingente, dico io, se ai politici interessano solo quelle, come sembra. Ma qualcuno giustamente commenta il post di Terasso ricordando che ormai non solo la Carnia tace, ma l’Italia intera, soggiogata. E sembra che i politici, che paiono sempre più aristocratici di controparte chiusi in difesa dei loro previlegi, non ci vogliano più cittadini ma solo sotàns. E se erro correggetemi.
Che fare per invertire questa tendenza culturalmente destrorsa e paternalistica? Magari, penso io, iniziare a riprendere a pensare, a progettare, a riflettere sulla democrazia ed i suoi valori, sui nostri diritti e sui doveri della rappresentanza, nonchè sullo stato sociale ed il welfare, ed a trovare modi per farci sentire, a meno che questo non sia precluso ma allora siamo alla dittatura.
Grazie a Terasso per aver stimolato questo mio articolo con il suo post, ed a Marco Lepre per aver fissato in modo articolato, sulla carta, quella grande manifestazione.

Laura Matelda Puppini

Alberto Terasso, sul suo profilo facebook, ricorda che “La Carnia tace” è il titolo di un documentario di Dante Spinotti, da lui ripreso. L’immagine che correda l’articolo è quella scattata dal fotografo D’ Orlando donata a mio padre, già citata. Laura Matelda Puppini

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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