Mi sono chiesta più volte che divario, sempre più marcato, esista fra il modo di procedere di quando ero fanciulla e giovane donna ed ora, ed ho un paio di volte ripreso una riflessione da un interessantissimo articolo di Anne- Cécile Robert: “La strategia dell’emozione”, in Le Monde Diplomatique Il Manifesto, febbraio 2016, sul dominio – voluto ed imposto dal neoliberismo e dalla società dei mercanti, mercati e consumi – delle emozioni sul pensiero razionale nella società attuale. E così scriveva Anne- Cécile Robert  «l’emozione costituisce una sfida temibile per la democrazia, poiché si tratta, per natura, di un fenomeno che pone il cittadino in posizione passiva, facendolo reagire invece che agire ed appellandosi al sentimento piuttosto che alla ragione».

Basta vedere cosa è accaduto in Italia e forse anche in Europa a causa di quella che io definirei, e se erro correggetemi, la propaganda per l’Ucraina in questi ultimi mesi, che si è servita pure di grandi tabelloni a Milano, stravolgendo la realtà che ci porta, invece, a leggere la guerra Russia – Ucraina come una questione di ricerca di egemonia sui mercati da parte Usa, e di imposizione di una nuova società retta dalla finanza e quindi non dall’uomo. Pensate solo come, in nome non degli ucraini, ma di Zelensky, tronfio del potere ricevuto dalla Ue, ci hanno imposto sanzioni, povertà energetica e totale, chiesto di cancellare Dostoevskij, Gogol, Tolstoj, il grande balletto russo, tutto ciò che è russo, in nome di una guerra iniziata anche perchè Zelensky non ha accettato che l’Ucraina rimanesse neutrale ed ha voluto ad ogni costo e subito un posto nella Nato, che non ha ancora ricevuto, finendo a governare su macerie e sfollati in diaspora. Ed egli ha agito, a mio avviso, emotivamente: voglio tutto e subito, hic et nunc, per l’Ucraina, con il risultato che è finito sì ‘uomo dell’ anno’ sul Financial Time, ma i poveri ucraini sono finiti ben peggio. Ed nella realtà nessun potente della terra, dopo i primi tentativi non riusciti di Israele e della Turchia, ha cercato una trattativa di pace per i due belligeranti, perché il mondo emotivo non conosce la logica di sedersi ad un tavolo e parlarsi, e pare che la diplomazia sia sparita dalla faccia della terra.

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Nel suo: Il potere delle emozioni” L’Espresso, 2019, Giuseppe Catozzella riprende questo tema, che ci dovrebbe far riflettere.  Ed è un altro articolo che ho salvato dal cassonetto, e che ritengo molto interessante. Il titolo è già attrattivo di per sé stesso, ma il sottotitolo invita subito alla riflessione. Infatti esso così recita: «Nel mondo in cui viviamo c’è sempre meno spazio per argomentazioni razionali e complesse. L’attimo è il criterio di verità. Ciò che è, senza evoluzione». Ed ancora, in riquadro: «Da gradino più basso del sapere, (le emozioni) sono diventate regine della conoscenza”. E si gioca pure sulla immedesimazione, sospinta, a mio avviso, per raggiungere lo scopo. E il cartesiano “Cogito ergo sum” – “Penso quindi sono”, pare ormai relegato all’ oblio. Ma a che prezzo?

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Così Catozzella «Sono la parte più volatile, la più sensibile, le nostre antenne alzate sul mondo. Che stiamo educando, a scapito di tutto il resto, consapevolmente od inconsapevolmente.
Questa è l’era del primato delle emozioni. E non è soltanto una questione di marketing o di pubblicità, da cui pure siamo accerchiati.

Tutte le sfere del sapere hanno stabilito di combattere la battaglia sul campo in cui è più veloce vincerla, non facile, ma veloce. Del tempo lungo ormai si è persa traccia. I top manager e i governi giocano le loro partite sui prossimi tre mesi: questo è il nuovo tempo della cosmologia pubblica contemporanea.

Che sia sui social, sulla carta stampata, in tv o in radio, che sia su WhatsApp o su messenger: ogni informazione oggi viaggia utilizzando la propulsione atomica delle emozioni, non più quella dell’argomentazione razionale (più ardua da far arrivare, più lungimirante, ma più difficile poi da estirpare. Solo che in un mondo senza “poi” questo non conta). Tutto è giocato sulla pelle delle emozioni: si attivano immediatamente e restituiscono consenso simultaneo.

Ma cosa sono le emozioni? Sono “moti dell’anima” autoevidenti come li chiamava Aristotele, stati psichici associati a modificazioni dello stato di cose, sia esso interno od esterno a noi. Stati psichici vividi, convincenti nella loro verità per la forza della loro presenza.

Le emozioni sono tanto più forti (rabbia, paura, disgusto, gioia, tristezza, sorpresa) quanto più potente è il loro detonatore. Tradizionalmente, le emozioni sono sempre state considerate il primo gradino della conoscenza: il più basso. Poi- attraverso un percorso di astrazione, la conoscenza si innalza alla ragione, ed infine all’intelletto, e diviene coscienza sociale: la scienza dei libri di scuola.

In quanto primo stadio della conoscenza (che abbiamo in comune con gli animali) sia nella tradizione occidentale che in quella orientale, le emozioni erano considerate fallaci.
Per il buddismo, addirittura ostacoli da rimuovere per raggiungere la piena conoscenza di sé: ingannevoli ed istantanee risposte a un forte evento, (interiore o esterno) che si è presentato in un modo ma avrebbe potuto presentarsi altrimenti, o non presentarsi affatto, e quindi macigni (esempio: la morte di una persona vicina potrebbe portarci a credere che la vita in sé non abbia senso, e quindi a volercela togliere, sbagliando).

Per la filosofia occidentale, invece, le emozioni sono false, e, per il medesimo motivo: non hanno (ancora) subito il vaglio della ragione.  Qualcosa che ora ci appare vero (poiché ci ha colto con la forza di un’emozione) potrebbe in seguito rivelarsi falso, o falsissimo (il limone la prima volta che lo si assaggia è disgustoso perché amarissimo, e invece fa bene alla salute; l’eccesso di zucchero, molto piacevole, al contrario fa male).

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Fu solo all’inizio del Novecento – con Husserl – che l’emozione venne riabilitata, e ne fu sottolineata l’importanza, al fine della conoscenza del mondo (Husserl ne parla la prima volta in “Idee I” e “Idee II”). Finché poco più di venti anni fa, non si giunse alla teoria dell’“intelligenza emotiva” di Salovey e Mayer, che aprirono la strada alla rivincita delle emozioni come chiave per interpretare il mondo.  Con un cambiamento di senso: non più con pretesa di oggettività. Al contrario: il mondo è visto come oggetto della mia motivazione personale. Il libro di Goleman che porta proprio questo titolo (Intelligenza emotiva 2011) si presenta infatti come un manuale di self motivation. E da reietta, l’emozione è diventata regina della conoscenza.

Oggi il discorso pubblico non punta più sul dispiegamento di un ragionamento articolato. Nessuno punta più sulla durata, ma sull’emozione presente: luce, timbro, registro, colore, dimensione. Una ricerca della Stanford Univerity ha mostrato che, per l’ 82 per cento  dei ragazzi il parametro per l’attendibilità di una notizia è la dimensione della foto che l’accompagna. Una ricerca di Save the children segnala che il 40 per cento, tra adulti e ragazzi, considera che qualsiasi notizia (che sia politica, scienza o salute) è tanto più attendibile quante più condivisioni ha.

Ma se viene a mancare il tempo necessario a dispiegare un ragionamento, veniamo a cambiare noi. Più siamo bersagliati da stimoli “emotivi”, da pillole di emozioni, più perdiamo la capacità di pensare.

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Un’infinita serie di soddisfazioni immediate (anche se di minor intensità) annulla la necessità di una soddisfazione più profonda, ma unica. E proprio perché pensare richiede uno sforzo (e quindi, dopo, concede un piacere maggiore), e l’emozione no, lasciamo che il nostro arbitrio si faccia “solleticare” dalle emozioni, che non costano niente e agiscono da droga: ne vogliamo sempre di più, sempre più forti, a patto che siano brevissime.

Secondo quanto raccontato da De Rita e Galdo in “Prigionieri del presente” (Einaudi 2018) dal 2000 ad oggi abbiamo ridotto a 8 secondi il massimo della soglia di attenzione a uno stimolo, meno dei pesci rossi. L’emozione presente, ciò che io provo adesso e qui, è il mio unico criterio di verità. La mia signora e unica padrona, a cui sono pronto a cedere tutto, purché venga continuamente solleticata, e mi faccia sentire vivo: a lei posso cedere sovranità, pensiero, tutela sicurezza.

La storia non è più lineare, il tempo non è più scandito in ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, ma è un continuo è, è, è. Il tempo non è più tempo perché non c’è più niente in relazione a cui cambia: il tempo è solo una infinita successione di attimi presenti e slegati, in cui viene a mancare un’evoluzione.

La rappresentazione di questo continuo presente-emotivo è la timeline di un social network: un tramonto dai colori brillanti, una frase di Neruda su sfondo bianco, una news di guerra dalla Siria, uno stralcio di un video di Ed Sheeran, la foto di un vecchio compagno di classe imbolsito in spiaggia, il ministro degli interni travestito da pompiere che manda bacini.

Dove sono io, mentre scorro e dopo aver corso? Sono, sono, sono. È, è, è.  Il tempo è una continua copula (è) senza amore. L’emozione così intensa, infatti, è l’opposto dell’amore, per come la vede Lacan e per come lo racconta Recalcati in “Mantieni il bacio” (Feltrinelli 2019). L’ amore è, per Lacan, “incontro con un amur, qualcosa che resiste nella sua alterità, come un muro, un amuro”. La continua copula emotiva serba al contrario più l’immagine dell’amore che ne aveva Freud: un accecamento, una maschera di se stessi (“Amo di te il mio ideale”). Non è amore ma sembra tale. A ben vedere, della copula, questo accecamento mantiene l’esito finale: è onanismo, autocompiacimento ripetuto.

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Ci sono due romanzi e un film recenti che, per opposti versi, mettono in scena questo spalancamento dell’emozione come unico orizzonte possibile. Uno dei romanzi è “Fedeltà” di Marco Missiroli (Einaudi 2019) dove i due sposi protagonisti non fanno che mancarsi pur stando assieme, accecati dalla coazione a ripetere del proprio smarrito autocompiacimento: convivono senza forse mai incontrarsi davvero, ognuno chiuso dentro il suo Io. L’altro, opposto per tema ma simile nell’ostinazione a sostare dentro una sola emozione, è un romanzo che con durezza e insieme struggimento racconta l’abbandono “Addio fantasmi” di Nadia Terranova. (Einaudi 2018).

Il film, invece, è “Cold war” di Pawel Pawlikowki, ed è un lungo, ininterrotto innamoramento, che dura decenni: il mondo intorno ai protagonisti cambia di continuo, loro non sembrano accorgersene; vivono, in un montaggio forsennato, la loro emozione dentro un eterno presente. Il montaggio è appunto forsennato, le scene si susseguono rapide e brevi perché mimano il nuovo ritmo della vita, il suo nuovo respiro sincopato ed emotivo.

L’essere bombardati da emozioni – sui social network, in tv, alla radio, sui giornali, sulle pubblicità – ha come contraccolpo quello di essere sempre in astinenza da nuove emozioni. Guardiamo gli smartphone nell’astinenza da un nuovo messaggio, la timeline nell’astinenza dal numerino dei like totalizzati. Il primato dell’emozione presente ha rimosso l’attesa a favore dell’astinenza. Ma è soltanto nell’attesa, vista come tempo sprecato e quindi aberrazione del tempo, è solo nella noia, nelle pause della giornata, nello sforzo dell’immaginazione, che si crea lo spazio necessario al desiderio, che letteralmente è la distanza che ci separa dalle stelle, la distanza che ci dà il coraggio di colmarla e diventare stelle.

È solo dentro l’attesa che ricordiamo la risposta alla domanda chi siamo. È soltanto quando attendiamo qualcosa o qualcuno (la nostra amata a un appuntamento, la soluzione meditata di un problema, l’estro creativo che siamo qualcuno».

Giuseppe Catozzella.   –  L’ Epresso, 31 marzo 2019, p. 58 e pp. 60-62.

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Se leggiamo in base a questa nuova visione della vita i comportamenti di tanti giovani che desiderano solo “cogliere l’attimo fuggente”, allora essi diventano più comprensibili ma allo stesso tempo questo regredire non aiuta l’umanità a sopravvivere, chiude la società in tante unità egoisticamente forgiate, limita il dialogo, la comprensione e la collaborazione. Ci vogliono far vivere come fossimo in un eterno stadio, ma non è così, vi è chi continuamente cambia partner per raggiungere nuove emozioni, ma la società ci fa sgorgare anche molti desideri, luccicanti, che non possiamo raggiungere, ed allora quell’ “io voglio” diventa eterna frustrazione per l’irraggiungibile, perché si è pure persa la capacità di vivere con quello che si ha, purché dignitosamente, ma anche di sopportare le frustrazioni, nella ricerca del “tutto subito”. E vi è chi scambia per desiderio una pulsione che non è capace di frenare, sprofondando in un baratro. Inoltre una scuola svilita produce solo una popolazione svilita, e una classe professionale e politica alla stessa stregua.

A me certe volte i politici paiono più simili al mago di Oz che altro, che possono emergere solo perché hanno dotato tutti di “occhiali verdi”, e questi occhiali sono rappresentati adesso, dalla propaganda furiosa giornalistica e da quel parlare, parlare, parlare dichiarare, dichiarare, senza temo quasi pensare. E questo vale per la destra e la sinistra passando per il centro, e per l’Europa tutta, soggiogata dalla Von der Leyen, secodo me, e se erro correggetemi.

Riflettiamo su questo articolo, per cercare di cambiare la rotta, perché il presente si vede già ed il futuro potrebbe essere tragico, se si va avanti così, come i gamberi.

Laura Matelda Puppini

L’ immagine che accompagna l’articolo è tratta da : https://www.altrosociale.org/events/il-mondo-delle-emozioni. L. M. P.

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