Seguo ormai un po’ distrattamente i problemi della sanità, tanto dopo l’impostazione data alla stessa in regione prima da Telesca- Serracchiani poi da Fedriga- Riccardi, e iniziata da Renzi – Lorenzin – Gutgeld a livello nazionale, anche se tagli e stravolgimenti del ssn si sono visti anche prima, mi pare che la linea, nel settore, sia quella di spendere dei nostri per farci ancora spendere. Infatti sono andata a fare i raggi alle mani all’ospedale di Tolmezzo ed ho scoperto che dovevo pagare 20 euro (dico venti quando avevamo chiesto di togliere anche i 10 sulle analisi introdotti in precedenza) di quota fissa sulla base del D.L. 6 luglio 2011 n.98, portando i 36 euro dovuti a 56 euro.  Può darsi che non sia una novità, ma io me ne sono accorta solo ora.

I privati per la stessa prestazione, che dura pochi minuti, chiedono dai 25 ai 30 euro a mano, ditemi un po’ voi se vi conviene andare nel pubblico con tutta la sua burocrazia: devi andare dal medico di base, farti fare la prescrizione, prenotare nei tempi utili, sperando ci sia un posto vicino a casa, e via dicendo.

Ricevuta di pagamento dei raggi fatti all’ ospedale di Tolmezzo.

Se hai bisogno, poi, di una dilatazione uretra, a me è costata, come ‘dilatazione uretra progressiva’, il 17 gennaio 2020, euro 16.10, di cui 3 per il D.L. 6 luglio 2011, n.98. Ma poi, con prescrizione del medico di base, e manovra da ripetere su consiglio dello specialista, potendo il medico di base prescrivere se ho ben compreso, solo ‘dilatazione uretra seduta unica’ l’ho pagata, il 24 aprile 2020, euro 49,50, (anche se dal 2007 mi sottopongo a cicli di dilatazioni), di cui 13,50 sempre a causa del D.L. 6 luglio 2011, n.98.

Ricevuta del pagamento della dilatazione uretrale del 17 gennaio 2020.

E se le aziende sanitarie fanno due conti, e non solo due, relativamente alle spese, vi garantisco che li facciamo anche noi paganti, e questo lo avevo già precisato. Inoltre io, pur stando per compiere 69 anni, non ho la sanità che ho già pagato con quota mensile negli anni di lavoro, gratuita, perché ho avuto la balorda e cristiana idea di sposarmi davanti a Dio ma anche agli uomini, e la mia pensione, non certo super, si somma con quella di mio marito. E se qualcuno magari si separasse solo per poter godere di certe gratuità vietate a chi caparbiamente mantiene l’anello al dito?

In generale, comunque, ogni prestazione per i paganti comporta un costo fisso per prestazione, una quota che le regioni possono aumentare o diminuire, ma che non può superare i 36,15 euro. A detto costo si deve aggiungere, se trattasi di specialistica ambulatoriale, a causa dei D.L. 6 luglio 2011 e D.G.R. 2015, un corrispettivo aggiuntivo che non può superare i 20 euro. Ed in base a dette norme, se definiti dal personale infermieristico di triage ‘codici bianchi’ i pazienti devono pagare, se non esenti, anche una visita di pronto soccorso. (https://asuiud.sanita.fvg.it/servizi/per-le-persone/assistenza-sanitaria/la-compartecipazione-alle-spesa-sanitaria-ticket/ticket-compartecipazione-alle-spesa-sanitaria/#null). L’invito, per i paganti, a cercare il privato è equiparabile ad un cercare di andare a nozze, e scusatemi la franchezza. Inoltre non si capisce perché i raggi debbano avere una quota D.L. 6 luglio 2011 di ben 20 euro ed una visita o prestazione specialistica diagnostica o di controllo e curativa 13 euro. Ma anche in questo caso bisogna valutare, nel prezzo, come viene svolta una visita, con quanta accuratezza e via dicendo, tenendo presente le liste lunghe di persone da visitare che un medico si potrebbe trovare in mano, dovendo così ricorrere, magari e giocoforza,  ad una valutazione sommaria di ciascun paziente.

Ricevuta di pagamento della dilatazione uretrale del 24 aprile 2020.

Ma alcuni limiti del d.l. 6 luglio 2011, convertito poi, con qualche modifica, nella legge 15 luglio 2011, n. 111,  erano già stati messi in evidenza da Luca Zaia, già allora presidente della Regione Veneto, che era ricorso contro questa quota fissa aggiuntiva che rischiava di inviare utenti verso il privato.

Ed avverso il testo del decreto e della legge ricorreva la Regione Veneto con Luca Zaia, (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/11/02/011C0607/s1), evidenziando come i l d.l. 6 luglio 2011 fosse stato approvato in quanto restava scoperto, per il periodo dal 17 luglio 2011 al 31 dicembre 2011, un fabbisogno delle Regioni di euro 381,5 milioni per la sanità nazionale, per coprire il quale si interveniva con l’art. 17, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito poi, con modificazioni, dalla  legge  15  luglio  2011,  n. 111. Il decreto legge citato abrogava di fatto le norme precedenti che abolivano per gli anni 2009 – 2010 – 2011 l’imposizione agli assistiti non esenti di una   quota di partecipazione al costo   per   le   prestazioni   di   assistenza specialistica ambulatoriale. Infatti a decorrere dal 1° gennaio 2007, per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale gli assistiti non esentati dalla quota di partecipazione al costo furono tenuti al pagamento di una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro. Per le prestazioni erogate in regime di pronto soccorso non seguite da ricovero ospedaliero, codificate come codice bianco, gli assistiti non esenti furono obbligati al pagamento di una quota fissa pari a 25 euro. Era data però alle regioni facoltà di adottare altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, previ accordi con i ministeri competenti.

Accadeva però che, con l’introduzione del d.l. 6 luglio 2011, la Regione Veneto, che non aveva particolari deficit nel settore sanitario, si trovava costretta a dare attuazione alla misura statale senza avere il tempo  di  elaborare  e  negoziare  col Ministero della Salute eventuali misure alternative, condizionando l’erogazione  di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, agli  assistiti non esenti, al pagamento di una quota fissa  su  ogni  ricetta pari a 10 euro. Tale ticket si cumulava così al ticket già vigente e applicato, gravante sugli assistiti non esenti, anch’esso a titolo di compartecipazione al costo, con l’effetto economico di imporre una complessiva quota di compartecipazione al costo che per molte prestazioni di base finiva con l’essere superiore all’intero costo di produzione della prestazione specialistica erogata a carico del Servizio sanitario nazionale. All’epoca, i mezzi di informazione immediatamente segnavano l’anomalia della situazione così creatasi: per molte prestazioni di assistenza ambulatoriale specialistica la quota di compartecipazione richiesta dalla sanità pubblica risultava ora superiore al costo di mercato della stessa prestazione erogata dalla sanità privata. Il risultato era che un notevole flusso di assistiti non esenti non si rivolgeva più alla sanità pubblica ma ricorreva alla sanità privata, in quanto meno onerosa, comportando, così, il mancato introito da parte della sanità pubblica del ticket imposto ora dallo Stato, ed il mancato introito da parte della Regione Veneto del ticket già precedentemente richiesto. Questa quota avrebbe però dovuto non allontanare pazienti dal sistema pubblico, ma coprire sovvenzioni statali alle regioni per la sanità, che lo Stato non poteva erogare, sulla base di un calcolo presuntivo.

Frontespizio del numero della Gazzetta Ufficiale che riporta il testo del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, modificato e trasformato nella legge 15 luglio 2011 n. 111. (Da: https://www.enpacl.it/documents/.

Invece la regione Veneto si vedeva costretta a chiedere ai propri assistiti non esenti un contributo ben superiore a quello necessario per compensare le minori entrate da trasferimento statale, e addirittura in non pochi casi superiore ai costi di mercato delle prestazioni sanitarie richieste. (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/11/02/011C0607/s1). In sintesi detta quota aggiuntiva, allora di soli 10 euro, poteva creare un danno alla regione Veneto e non un utile. Ma così va il mondo.

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Perché scrivo questo? Perché il Messaggero Veneto il 10 luglio 2020, riporta ‘a grandi lettere’ che in regione le aziende sanitarie sono virtuose ed in salita, almeno così par di capire, perché hanno raggiunto positività in bilancio, quasi questo fosse l’obiettivo della sanità non la salute e vita dignitosa dei cittadini, tranne l’ass5 del Friuli occidentale (I conti tornano positivi. Sanità in attivo ovunque, ma non a Pordenone, I Messaggero Veneto 10 luglio 2020). Ma a Pordenone stanno costruendo un faraonico nuovo ospedale e forse l’aas5 applica quote inferiori per il D.L 6 luglio 2011, di altre aziende. Ma non lo so di preciso, e quindi mi chiedo se sia vero e possibile, ma in altro caso l’aas5 si è comportata diversamente da altre, mi pare. Ma se vi fosse, magari in futuro, un modificarsi nei costi a parità di prestazione nelle aziende socio-sanitarie regionali, dato dal variare della quota D.L. 6 luglio 2011 per sanare buchi di bilancio, allora potremmo davvero pensare che il ssr sia solo ormai una cosa scritta sulla carta, ma che in realtà ogni azienda possa comportarsi come una azienda privata a sé stante, uscendo del tutto dalla filosofia che aveva portato al ssn, e trasformando anche il ssr in una somma di aziende a regime privatistico ed interesse utilitaristico. Ma spero che ciò non sia in essere né lo sarà mai. Comunque delle differenze tra regione e regione nell’ applicazione per ricetta della quota per il D.L 6 luglio 2011 ci sono state, ed erano previste dalle norme, e già questo, assieme ad altri aspetti, pare proprio porti verso la sepoltura del ssn, senza però che noi: cittadini, utenti, pazienti, possiamo neppure immaginare quello che si configura come l’inizio di un baratro per la nostra salute. E più si spende per i servizi essenziali, meno si spende in altro. 

Ma mi dico anche che, se vi è un avanzo di bilancio si 14, 7 milioni di euro in Fvg, per il 2019, con una sanità regionalizzata, non ha più senso, ed è discutibile per legge  applicare la quota del d.l. 6 luglio 2011 n.98 al cittadino sulle prestazioni sanitarie nel sistema pubblico, che ha già per noi più di qualche carenza, sperando non vi sia pure qualche tesoretto sottratto alla vista, come già accaduto. Infatti Telefriuli intitolava, il 13 agosto 2019, un articolo così: «Buco nella sanità del Fvg: “Nascosti 50 milioni di fondi ai commissari delle Aziende” (https://www.telefriuli.it/cronaca/liguori-buco-sanita-friuli-venezia-giulia-fondi-commissari-aziende-sanitarie-2019/2/197283/art/), in cui si legge: «Il parossismo dell’assessore ha superato ogni limite, se è arrivato persino a nascondere 50 milioni di fondi ai commissari delle aziende da lui stesso nominati: […]». (https://www.telefriuli.it/cronaca/liguori-buco-sanita-friuli-venezia-giulia-fondi-commissari-aziende-sanitarie-2019/2/197283/art/). 

Copia di tessera sanitaria e carta regionale per i servizi.

E, come se non bastasse, aziende pubbliche e private non sono uguali in medici, prezzi, prestazioni, e chi ci perde è sempre il paziente, non più essere umano ma pseudo robot, interessante se pagante, con malattie curabili con protocolli che tutti unificano, e che diventano un cappio al collo se la diagnosi è errata, e con una variabilità negli esecutori di prestazioni e modalità delle stesse non di poco conto. Inoltre sulla base del ‘1000 occhi vedono 1000 cose diverse’, detto a me non vi dico da quale dottoressa né di quale dipartimento, ma lo ricordo bene, potrebbe accadere che, variando specialista ad ogni prestazione, si potrebbero avere diagnosi ma soprattutto modalità di cura diverse. Ma cosa vuoi che sia. Inoltre io mi sono trovata referti di ecografie, fatte nel tempo da radiologi diversi che ipotizzavano ‘a’ ma anche la non presenza di ‘a’, referti che confermavano una diagnosi che era errata, con successive cure sbagliate, medici che hanno scritto e firmato ‘a’ e ‘b’, e quando stai sempre peggio e incominci a capire che quello che è stato diagnosticato non corrisponde ai tuoi sintomi, che è stato fatto un casino, non sapete cosa si prova, perché basta una diagnosi errata che te ne trovi altre, che la seguono come le ciliegie, formando sempre più un quadro articolato e sistemico, ma errato. E non sapete quanto può costare al cittadino una situazione di questo tipo e quanto può rischiare. Pertanto sarebbe importante che ogni paziente fosse seguito da un medico specialista solo e di fiducia, se necessario, anche per spendere di meno.

Poi sui poveri bilanci montanari o di abitanti nelle zone marginali ed impoverite, dette pomposamente ‘interne’, bilanci che però, sempre più spesso, i giovani fanno quadrare magari con l’aiuto dei genitori o con quello dei nonni, pesa ora, con la sanità on the road, anche il costo del trasporto. Ed anche se usate la Saf diretta, non solo spendete per andare e ritornare da Tolmezzo ad Udine circa 12 euro, (di più se dovete scendere da un paese della Carnia a Tolmezzo) dopo l’aumento ante covid del biglietto, ma anche il prezzo di quanto potreste consumare in alimenti e bevande per non svenire se la visita è d’estate, tenendo conto che spesso non per colpa loro ma per il superlavoro, i medici sono in ritardo. E se siete anziani dovete cercarvi anche ogni volta un accompagnatore, o rassegnarsi, come l’anziano di Zovello, a vivere come si può e poi “quando viene, viene” (la morte sottinteso), che non mi pare possa essere lo slogan di una sanità Fvg definita, dal titolo di un articolo di ‘https://www.teleantenna.it/’, “reattiva, efficiente e pronta alle sfide future”, che non è male come frase di propaganda, ma che pare risponda ben poco alla realtà. E questa non è solo la percezione dei pazienti, mandati da un ospedale all’altro dove vi è un buco libero, e ove medici, infermieri e luoghi fisici possono essere totalmente sconosciuti, ma anche del  personale delle aziende sanitarie, che sta per scendere in piazza od ha già programmato uno sciopero, per esempio nel pordenonese, guidato dai sindacati di categoria, (Giacomina Pellizzari, Liste d’attesa e premi Covid nel decalogo dei sindacati schierati contro la Regione, in Messaggero Veneto, 8 luglio 2020), mentre i tempi di attesa per prestazione si allungano sempre più, tanto che un giovane che conosco bene, avendo il medico di base richiesto per lui una visita dermatologica con priorità, non ha trovato posto alcuno in provincia di Udine e mi pare neppure in regione, e si è rivolto, alla fine, al privato.  Ma non è l’unico caso.

Tempi di attesa nelle diverse regioni italiane, nel 2018, quindi due anni fa. (Da: https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.04_Liste_attesa.pdf). Ora la situazione, in particolare post- covid, ma anche per altri motivi, come per esempio la trasformazione, in Fvg, degli ospedali ‘spoke’ in rsa e specialistici, sta peggiorando.

Infatti su di un quotidiano locale, è stato pubblicato quanto accaduto ad un cittadino, che, essendogli stata prescritta una visita oculistica, ha atteso ben 14 mesi per per poi  vedersela rimandata ancora. (Chiara Benotti, Attende da 14 mesi di poter fare la visita oculistica, ora gli è stata ancora rinviata, in messaggero Veneto, 8 luglio 2020). Ma è palese che, se si sono mantenuti chiusi all’attività ambulatoriale gli ospedali anche non – covid, se il personale è stato utilizzato per coprire carenze al centro udinese (Cfr. nel merito: Nuova politica aziendal- sanitaria per le aree cosiddette interne e non solo? (Aggiornato il 6/6/2020), in: nonsolocarnia.info), se è ancora bloccato il turn over per pensionamenti, se reparti vengono chiusi ed attività centralizzate in estate, le visite si attenderanno molto, per mesi e mesi.

E sono già previsti i soliti reparti chiusi per ferie e via dicendo, a cui se ne stanno aggiungendo altri, e fra questo e l’efficienza, mi scusi l’autore dello slogan sopra citato, mi pare ce ne passi. (Cfr. almeno, Simona Liguori (Cittadini) su Ospedale di Gorizia: «L’attività ortopedica di urgenza venga ripristinata» Messaggero Veneto, 11 luglio 2020, Piero Cargnelutti, Gemona. Le sale operatorie non aprono. Attività sospese sino ad ottobre, in Messaggero Veneto, 5 giugno 2020, Ridotti i servizi all’ospedale. Cgil in piazza a difesa dell’ospedale di Cividale. (https://www.telefriuli.it/, Nuova politica aziendal- sanitaria per le aree cosiddette interne e non solo? (Aggiornato il 6/6/2020), in: nonsolocarnia.info).

I punti di criticità precisati dai sindacati confederali per la sanità regionale sono ben evidenziati in una serie di specchietti del Messaggero Veneto dell’8 luglio 2020: pesante aggravio, causa emergenza Covid,  delle liste di attesa e dell’arretrato accumulato, quando visite ambulatoriali potevano venir svolte, con alcune precauzioni, negli ospedali non deputati alla cura degli infettati dal Covid -19; perdita continua di personale in particolare medico a causa del mancato turn over per i pensionamenti, e, in caso di necessità, utilizzazione di personale  precario anche di cooperative private, sovraccaricando il personale in servizio; il dirottare risorse verso il privato, togliendo al pubblico; la mancanza di un reale servizio sanitario, che può essere solo pubblico sul territorio (Giacomina Pellizzari, Liste di attesa, op. cit.), che deve essere di fatto ancora disegnato, ma che trova almeno tre limiti iniziali: la mancanza di medici di base, il loro contratto, la loro possibilità di spostarsi verso altri lidi.

Scannerizzazione di Laura Matelda Puppini di un articolo comparso l’8 luglio 2020 sul Messaggero Veneto, relativo alla mancanza di medici di base a Tavagnacco. 

Così, sempre sul numero del Messaggero Veneto dell’8 luglio 2020, si poteva leggere che a Tavagnacco, praticavano ben tre medici di base, ma una era un sostituto ed ha terminato l’incarico, il secondo che operava su due sedi, ha scelto per quella di Feletto, il terzo, che lavorava pure lui in due paesi diversi, pur avendo il suo ambulatorio principale a Cavalicco, ha deciso di lavore tre pomeriggi a Tavagnacco, ma non a tempo pieno. A questo punto i cittadini di questo paese, che, notate, ha circa 15.000 abitanti, hanno deciso di raccogliere firme «preoccupati per il futuro del servizio ambulatoriale» (Margherita Terasso, Una petizione per salvare l’ambulatorio a Tavagnacco, in: Messaggero Veneto 8 luglio 2020), cioè del servizio sanitario per loro e per la loro salute. La situazione però, è, secondo l’articolo, ancor più complessa e coinvolge anche la farmacia del paese, preoccupata della concorrenza di nuove farmacie aperte in altri comuni viciniori e ove i cittadini dovranno recarsi per il medico di base che può anche, per inciso, non visitare in casa e ricevere previo appuntamento. (Ivi).

Inoltre il cividalese è sul piede di guerra per il servizio di trasporto emergenza- urgenza; per la chiusura, di fatto, del punto di primo intervento, (Nuovo pressing sulla Regione per riaprire il pronto soccorso, in Messaggero Veneto 6 luglio 2020 dove si può leggere anche le preoccupazioni per la sopravvivenza di medicina e chirurgia) ed anche per la possibile trasformazione dell’ospedale di Cividale in un polo per operati ad Udine, magari seguiti solo da infermieri, ed in particolare in polo geriatrico. (http://www.udinetoday.it/cronaca/ripartenza-ricoveri-ospedale-cividale-luglio-2020.html), quando in genere i medici di base seguono direttamente gli anziani. E così potrebbe andar a finire che anche il nosocomio di Cividale, piano piano diventi, come pare ipotizzato per Gemona, una specie di hospice riabilitativo, un centro di concentramento di vecchissimi in estrema difficoltà, in mano ad oos ed un paio di infermieri, con appoggio a medici di base locati chissà dove, togliendo di fatto un reale presidio per la salute alla popolazione locale, per trasformarlo in centro funzionale a quello udinese, nella logica di ‘Udine, palla al centro”. (https://www.nonsolocarnia.info/sanita-friulana-udine-palla-al-centro/). E così ha deciso il vice-governatore, a cui pare sia stata data una semi- carta bianca, almeno leggendo la stampa, perché non si parla quasi mai di discussioni in aula e di delibere almeno giuntali, ma, strano a dirsi, sulla trasformazione dell’ospedale di Cividale concorda pure Roberto Novelli, non si sa nè come mai nè perchè. E da luglio, ci conferma l’ultimo articolo citato, riprenderanno a Cividale i ricoveri, ma non per la gente della Benecja ma in particolare per pazienti stabilizzati (che potrebbero destabilizzarsi e magari di notte) provenienti dai reparti per acuti del presidio di Udine (medicina, chirurgia, ortopedia) oppure dal territorio, in questo caso però solo previo accordo con il medico di base e per le riacutizzazioni di patologie croniche. (Ivi). E se uno si becca un’infezione grave estemporanea che fa e dove va? Mistero.

Ma vi dico subito che a me questa nuova sanità futura Fvg e non solo fa paura, perché non ha nulla a che fare con i principi che originarono il sistema sanitario nazionale e regionale, ma pare segua le idee del ‘celeste’ Formigoni, senza avere neppure la sanità privata presente in Lombardia alle spalle, e senza ripensamenti dopo aver visto la tragedia sanitaria in quella regione per il covid 19, con le scelte pare affidate ad un paio di persone sole: Gallera e Fontana. (Cfr. nel merito i numerosi articoli di ‘Il Fatto Quotidiano’). E se erro su questo ed altro in questo mio articolo, correggetemi e puntualizzate, per cortesia, anche perché meno informazioni istituzionali si hanno, più un servizio pubblico tende a presentarsi come uno privato, in autodifesa perenne, più si può sbagliare anche scrivendo.

Scannerizzazione di Laura Matelda Puppini di un articolo comparso l’8 luglio 2020 sul Messaggero Veneto, relativo ai problemi sanitari di Codroipo. 

Ed anche Codroipo scalpita. E così il Messaggero Veneto ha pubblicato l’11 luglio un articolo intitolato: “Il sindaco: la riforma sanitaria ha tolto servizi ai cittadini”, in cui si legge che una mozione intitolata: “La salute dei codroipesi e la sanità nel Medio Friuli tornino ad essere al centro dell’azione amministrativa” in cui si lamenta come la nuova riforma sanitaria abbia penalizzato la ex provincia di Udine ed in particolare Codroipo, che, per inciso, faceva parte dell’ aas3, è stata votata, cosa più unica che rara, all’ unanimità dal consiglio comunale. Il relatore della stessa ha evidenziato come la sanità sia in pericolo a causa di previsti ridimensionamenti nell’ area radiologica, ortopedica, cardiologica, chirurgica, dell’emodialisi e per la chiusura dell’ospedale di comunità, mentre è a rischio di depotenziamento, pare pure per beghe politiche, il Csm. E si chiede al sindaco di riattivare, allo stato precedente, i servizi chiusi o ridimensionati. Nel rispondere, il sindaco ha ricordato che Riccardo Riccardi è di Codroipo, e quindi, par di capire, dovrebbe comprendere i problemi del suo paese, mentre un manager non può, a suo avviso, dirigere tre distretti. Inoltre le nomine sono fatte dall’ alto, come le scelte, e così Codroipo con Serracchiani è finito con la Carnia, per poi terminare con gli altri in quella specie di moloch sanitario che è l’ex provincia di Udine. (Ivi).

Il Messaggero Veneto sia nel caso della possibile vertenza sindacale sia in questo caso ha riportato sugli stessi numeri del giornale anche la risposta in un caso dell’assessore, nell’ altro del direttore sanitario dell’‘asufc. Nel caso della vertenza sindacale, Riccardi ha visto solo una faccia della medaglia e cioè, da quanto riportato su: “Sto aspettando una risposta sui premi” in Messaggero Veneto 8 luglio 2020, quello della trattativa per i premi Covid al personale, glissando adeguata risposta su temi più generali, ed affermando: «io non ho tempo di stare dietro anche alle manifestazioni»(Ivi), che forse per lui sono inutili o che ne so. E ha pure detto: «Credo che il sindacato non possa lamentare di non esser stato ricevuto in Regione, ma visto che la mia disponibilità viene interpretata in questo modo, d’ora in poi farò davvero a meno di parlare. O parlo con loro o mi occupo di altre cose» (Ivi) che a me pare, e mi scusi subito l’assessore per questo, un modo risentito, poco politico, e chiarificatore di un certo modo di pensare di Riccardo Riccardi. E da che mondo è mondo si sa che una trattativa sindacale non si risolve in un incontro, in un esser ricevuti da parte dei sindacati. Per quanto riguarda Codroipo, invece, il direttore sociosanitario dell’Asufc ha risposto sul futuribile ed in modo generico: «Codroipo sarà elemento di punta fra i distretti dell’AsuFc, con un progetto strutturale e di gestione, il cui ampliamento è progettato e finanziato». (“Il direttore: “Le criticità sono solo temporanee”, in Messaggero Veneto 11 luglio 2020).

Non da ultimo vi è pericolo che i tablet delle ambulanze possano far passare guai seri, (Walter Zalukar, Autoambulanze in Fvg. Quale standard di sicurezza? 7 luglio 2020) e che  il servizio di pronto soccorso per le aree dette ‘interne’ o sottosviluppate perché caparbiamente la politica accentratrice italiana non le ha volute ‘sviluppare’, ma pure i servizi in generale in sanità possano soffrire di grosse problematiche anche a causa del personale sempre più carente, e quando manca qualcosa in un’ area minore e decentrata, quella la cerca al centro che si intasa, rischiando di depotenziare massicciamente i servizi a tutti. Insomma i cerchi non si quadrano.

Anche in sanità i cerchi non si quadrano. (Immagine da: https://www.exibart.com/evento-arte/la-quadratura-del-cerchio/).

E leggendo ciò di cui si parla ora sui social e stampa, per quanto riguarda la sanità, oltre che pagine sui bilanci rossi o bianchi, trovo le solite puntuali proteste di Walter Zalukar sul 112, che risponde come per le attese aziendali, con musichetta e preghiera di aspettare e non riattaccare, quando un parente magari sta morendo dissanguato o non riesce a respirare, (Walter Zalukar, NUE 112 FVG: attese esasperanti prima che risponda l’emergenza sanitaria. 10 luglio 2020) e per il problema delle case di riposo che, richieste di permettere la visita parenti dalla Regione in sicurezza, le fanno fare, in certe case di riposo, come se ci si trovasse in un carcere, più o meno, contingentate, con soggetto dietro ad un vetro, con una vigilante appresso al soggetto, che si deve vedere a distanza. Ora questo non è visitare una madre, ma vedere una madre a distanza, quando nel caso di mia madre, lei non può vederci perché è cieca. (Cfr. Walter Zalukar. Clausura nelle case di riposo: fake news o realtà? 15 giugno 2020). Ma tranquilli, è tutto legale.

Ed anche se Walter Zalukar e Laura Stabile usano ormai quasi solo facebook, l’azienda giuliano – isontina ha querelato il primo e la seconda perché pare diano una cattiva immagine alla stessa. Ma chi vuole rispondere a possibili malelingue dovrebbe dimostrare subito a lettori ecc. ecc. che quello che dicono è falso. Invece si querela, con soldi aziendali e quindi dei cittadini, e dando incarico ad uno studio molto rinomato e quindi caro, due professionisti seri e preparati. Non solo, nel caso specifico di suo ci mette anche Il Piccolo, quotidiano locale, ove il 12 luglio 2020, Andrea Perini scrive: che «la Stabile, anche lei dipendente Asugi», cioè dall’Azienda sanitaria universitaria goriziano – isontina, era stata diffidata, (querelata o denunciata? – mi chiedo, perché non si capisce più nulla, ma sarà limite mio). Ma, leggendo questa frase, pare invero che anche Zalukar dipenda da Asugi, mentre, che io sappia, Walter Zalukar è pensionato. (Cfr. Andrea Pierini, Asugi fa causa a Zalukar e Stabile per diffamazione via social, in: Il Piccolo 12 luglio 2020). Ma Laura Stabile è una senatrice della Repubblica: e dovrebbe tacere ricoprendo, fra l’altro, il ruolo di segretaria della Commissione permanente igiene e sanità?

E, per inciso, forse noi cittadini/pazienti, che sappiamo valutare un servizio che viviamo sulla nostra pelle, nel bene e nel male, dovremmo fare nostro, in sanità, il motto dell’arma dei Carabinieri: “Usi obbedir tacendo”? E questo sulla base di quale articolo della costituzione, che invece parla di libertà di espressione, pensiero e quindi anche di critica? E scusatemi se lo scrivo: ma cosa teme l’azienda goriziano – isontina da parte di Zalukar e Stabile?  Un servizio si valuta da cosa fa. E stiamo parlando di un servizio pubblico, che paghiamo noi.

Ma a questo punto mi chiedo anche cosa temono e aspettano ancora i sindaci della Carnia e del Gemonese a presentare le loro proposte in ambito sanitario alla regione Fvg. Perché l’impressione è che qui, fra poco, crolli tutto. Perchè, come hanno ben sottolineato Milena Gabanelli e Simona Ravizza nel loro: “I costi nascosti della sanità” in: Corriere della sera, 21 maggio 2018, che riporta le parole del prof.  Aldo Piperno dell’Università di Napoli, non ci si deve illudere che il privato possa sostituire in toto il servizio sanitario pubblico, e «non ci sono riscontri empirici che lo sviluppo di un secondo pilastro privato possa ridurre la pressione sul pubblico, l’unico in grado di prendersi in carico i malati cronici, i più anziani, chi ha bisogno di trapianti, di farmaci oncologici ultracostosi. Oltretutto i consumi che nascono da una copertura assicurativa privata, vanno, comunque, a scaricarsi sul pubblico». Ed il rischio è, per Gabanelli e Ravizza, che si vada verso una progressiva dismissione del servizio pubblico, […] che oggi garantisce l’assistenza a tutti pagando le tasse in proporzione al reddito e il ticket, a vantaggio delle assicurazioni private che poi alzeranno i prezzi. (Ivi). E le assicurazioni private non coprono ogni fascia di età ed ogni patologia (Cfr. il mio: “Ancora su: salute e sanità nazionale e regionale”, in nonsolocarnia, 4 dicembre 2015). E, come ben aveva capito Zaia, se il privato diventa competitivo il pubblico rischia una perdita secca.

E termino questo mio dicendo anche che mi dispiace che Zalukar e Stabile vengano denunciati, ed a me pare che così, per inciso, si dia loro il crisma di vittime, più che di autori di fake news. E come dice il Pd, parlando del licenziamento di un medico perchè aveva difeso l’rsa in cui lavorava (Chiara Benotti, Giovane medico si oppone alla chiusura del reparto di Rsa e critica le scelte Covid della Regione: licenziato, in: Messaggero Veneto, 8 luglio 2020) riprendendo una frase detta proprio da Riccardo Riccardi ai tempi di Serracchiani, qui “Non siamo in Corea del Nord”, (https://www.ilfriuli.it/articolo/politica/-sanita-non-siamo-in-corea-del-nord-/3/223343) e la Costituzione italiana, nata dalla resistenza al nazifascismo garantisce libertà di parola ed espressione. Grazie Stabile e Zalukar per il vostro impegno e per averci ricordato e ricordare che esiste l’art. 32 della Costituzione italiana. E se ci sono limiti nei servizi pubblici di pronto soccorso ed emergenza urgenza, potremmo andarci di mezzo tutti, perché tutti ne abbiamo bisogno. E se Giorgio Napolitano è ancora fra noi è perché un servizio pubblico lo ha trasportato al San Camillo di Roma ove è stato efficacemente sottoposto alle cure che richiedeva, cioè perché un pronto soccorso pubblico (e i pronto soccorso sono solo pubblici come le aree di emergenza- urgenza) ha funzionato bene. Ma se vengono alterati e non danno più garanzia di serietà, efficacia ed efficienza, che può succedere in Italia? Chiediamocelo.

E per ora mi fermo qui, scusandomi con assessori dirigenti ed aziende sanitarie per queste mie righe, se potessero sentirsi offesi, e chiarendo che ho scritto questo mio solo per porre all’ attenzione di tutti alcuni problemi, alcune mie paure, cercando risposte e precisazioni, non per contestare, avere visibilità, offendere qualcuno o altro. Sono anziana, sono madre, sposa, nonna, conosco e so alcuni limiti della sanità, e qualche perplessità e paura posso anche permettermele. E se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2018-06-04/nuovo-governo-prova-sanita-pubblica-rilanciare-o-smantellare-3-rapporto-gimbe-170816.php?uuid=AEbGoC0E&refresh_ce=1. L. M.P.

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