Tolmezzo, 13 agosto 2018.

Caro Claudio, sono venuta stasera ad ascoltare te e Denis Baron per cercare di capire … Con il risultato che ho notato delle informazioni relative al Museo e non solo che differiscono dalle mie, ed ascoltato alcune affermazioni che mi hanno lasciato molto perplessa e molto più politiche di quanto non appaia.

IL MUSEO.

Ho già scritto nel mio “O Gorizia tu sei maledetta… Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra.”, (edizione cartacea A Moro ed. 2016, prima edizione on line 2014), che il Museo Carnico” voluto da Michele Gortani, venne inaugurato il 4 novembre 1921, come propaggine della “Scuola di disegno applicato alle arti e industrie,” presente  a Tolmezzo, la cui sede, posta nei locali di quella che ora è la scuola elementare di via Dante, veniva dedicata al notissimo scultore ed eroe della prima guerra mondiale: Albino Candoni. Ho pure pubblicato l’invito alla cerimonia, proveniente dall’Archivio dell’Isis ‘F. Solari’ che qui ripropongo.

Invito all’intitolazione ad Albino Candoni della scuola di arti e mestieri di Tolmezzo e all’inaugurazione del Museo Gortani. (Archivio isis. F. Solari).

Nell’articolo da “La Patria del Friuli” comparso sul numero del 5 novembre 1921, intitolato: “A Tolmezzo. Il gagliardetto ai combattenti. La commemorazione. S’inaugura la nuova sede della scuola prof. e del museo “così si riassumeva l’intervento dell’on. Michele Gortani alla grande cerimonia tenutasi il giorno precedente:

«Signore e Signori,
per concorde volontà di popolo, senza distinzioni di parte, con magnifico esempio di unione nel bene e per il bene, Tolmezzo ha dato questa degna sede alla sua scuola Industriale.
E come la stanza angusta e male illuminata di dieci anni or sono si è trasformata in un grandioso edificio, così la piccola e modesta “Scuola di disegno applicato alle arti e industrie,” si è ora mutata nella scuola professionale Carnica con un bilancio annuo di dieci volte maggiore, mentre gli allievi si sono quintuplicati di numero ed aumentano costantemente.  (…).
Nel fiorire di questa scuola noi vediamo uno dei più potenti mezzi per la elevazione materiale e morale dei nostri operai, e accetteremo con lieto animo ogni sacrificio all’uopo necessario. (…). Il museo che vogliamo annettere alla scuola e che in essa è, per ora, ospitato, sorge in virtù di quel più fervido e religioso amore per la piccola patria e per tutte le sue caratteristiche ataviche, che il tormentoso periodo dell’invasione ha ravvivato in tutti i cuori friulani.
È intento nostro raccogliere, perché ne resti duratura memoria, ciò che formava l’arredamento caratteristico e tradizionale della vecchia casa carnica, comprese quelle forme ingenue di arte paesana di cui tuttora sopravvive qualche residuo fatalmente destinato a sparire sotto la marea livellatrice dei nuovi tempi.
Il museo è in formazione; opera resa lunga e difficile dalle devastazioni nemiche e dalle moltiplicate rapine degli antiquari nostri e di fuori. Ma lo vogliamo aprire fin da ora per invogliare ad agevolare il compimento in quanti amano la nostra Terra e il nostro passato. (…). Il museo dovrà avere degna e adatta sede in un edificio che riproduca il tipo delle nostre belle case antiche: e noi confidiamo nell’animo di tutti i carnici perché a suo tempo l’edificio sorga. Ma urge intanto di concentrare gli sforzi nella raccolta. Ai mobili ed arredi vogliamo aggiunti i tessuti, i costumi, i pizzi e ricami nostri. Di questi abbiamo esposto, per la circostanza odierna, una prima raccolta che mia moglie ed io siamo lieti di regalare al Museo, salvo depositarvela effettivamente quando i futuri locali e vetrine adatte permetteranno esporla in permanenza, senza pericolo di deteriorarsi.
La presente cerimonia si lega a quello che oggi e nei giorni passati hanno fatto vibrare di un sentimento solo tutto il popolo italiano». (Laura Matelda Puppini, O Gorizia tu sei maledetta, op. cit., ed. cartacea, pp. 72-73, immagine dell’invito p.78).

Non bisogna dimenticare, inoltre, che a fine ‘800, inizi ‘900, sull’onda del sentire romantico, la cultura popolare, vista e raccolta da persone colte, era diventata di moda, e quindi il Gortani, allora, non faceva altro che proporre qui quel sentire, attraverso una raccolta di arredi frutto anche della sapienza degli artigiani. Ma nel raccogliere oggetti del passato, Gortani cercava di forgiare il presente se è vero che: «In primo luogo, agisce in noi che facciamo musei, quello che Nietzsche definiva lo spirito antiquario che vuole conservare e venerare ciò che ci ha preceduto e da cui si proviene; ma soprattutto – io credo – opera lo spirito monumentale, che compie delle scelte, in qualche modo edificanti: manufatti, immagini, documenti dal valore esemplare, vengono inseriti ed esibiti nel museo, perché indicano virtù e valori a noi e (crediamo/speriamo) alle nuove generazioni. Come scrive, infatti, Gérard Lenclud, citando Jean Pouillon: “Noi selezioniamo ciò da cui ci dichiariamo determinati, noi ci presentiamo come i continuatori di coloro che abbiamo reso nostri predecessori”. La tradizione istituisce una “filiazione inversa”: non sono i padri a generare i figli, ma i figli che generano i propri padri. Non è il passato a produrre il presente, ma il presente che modella il suo passato. La tradizione è un riconoscimento di paternità». (http://www.rebel.lombardia.it/wp-content/uploads/2012/11/5_Pirovano.pdf).

 Ma nel 1956 il sogno di una sede decorosa per il museo non era ancora neppure all’orizzonte. (Michele Gortani, Museo carnico, in: http://www.friulinelmondo.com/assets/files/anni_50/034-09-1956.pdf, citato in: Laura Matelda Puppini, Proposta di una nuova sede per il Museo di Arti Popolari “Gortani” di Tolmezzo, in www.nonsolocarnia.info). E mi ricordo che, quando ero piccola, mia nonna, la maestra Anna Squecco Plozzer, amica dei Gortani nostri vicini di casa, parlava spesso di quella sede museale adeguata mai trovata dal comune, per un motivo o per l’altro, e di quel Museo che languiva, nonostante l’impegno del “Professore” e della Sua Signora, mentre «Gli oggetti sono oggi accatastati, addensati in locali così angusti da dare più l’impressione di una bottega d’antiquario che di un ordinato museo. Non pochi mobili, anche di pregio, non vi hanno potuto materialmente trovar posto: e doni importanti si sono perduti per la manifesta impossibilità di farli degnamente figurare».  (Michele Gortani, Museo carnico, op. cit.). Questo allora. Ma ora mi chiedo pure dove siano nascoste, (si fa per dire perchè una è un capolavoro visibilissimo, ma posto nel luogo errato), le opere originali di Albino Candoni, regalate dalle figlie, amiche dei Gortani, al Museo Gortani nel 1991, (e in occasione di quel dono venne fatta una pubblica manifestazione nel cortile del Museo, e venne scritto il volumetto: AA.VV., In ricordo di Albino Candoni, Tolmezzo 1991), che hanno un valore immenso. Ed in detta occasione venne dato anche materiale su Albino Candoni all’ isis F. Solari di Tolmezzo, ma al settore ipsia, ancora dedicato al notissimo scultore, la cui vita ho riportato alle pp. 67-71 e 74-75 dell’edizione cartacea del mio: O Gorizia tu sei maledetta, op. cit., ed il cui busto si trova ancora collocato all’esterno dell’ edificio che ospita la scuola.

Infine al 1963, (come dallo statuto pubblicato online), risale la creazione della Fondazione ‘Museo Carnico delle Arti Popolari ‘Michele Gortani’, essendo egli ancora vivente, perché deceduto nel 1966. E della fondazione potevano far parte altri beni acquistati dall’ente o allo stesso pervenuti per lascito o donazione. Da quello che ricordo, quando fu aperto il testamento di Michele Gortani, tutti si meravigliarono che egli non avesse lasciato la sua casa al Comune. Egli la lasciava alla Sua Signora, perché potesse vivere a proprio agio nella stessa, ma forse si era già accordato con lei perché poi andasse alla Fondazione Museo, con la sua Biblioteca, alla morte di Maria Gentile. All’interno la Signora continuò a vivere con la dama di compagnia, Maria Nodale di Sutrio, che si diceva ricevesse molti parenti e paesani, ma ciò non vuol dire nulla. Però qualcuno aveva iniziato a sussurrare che certi pezzi di valore, allora, andavano scomparendo, ma si sa che a Tolmezzo vi erano e sono molte male lingue.

Inoltre c’è qualcosa che non torna. Nello Statuto della Fondazione Museo (Museo_Carnico_M_Gortani_Statuto_museo_carnico.pdf.) si legge che il patrimonio della Fondazione è composto pure dalla casa “Gortani”, sita in Tolmezzo al n. 6 di Via Renato Del Din, pervenuta all’ente per lascito della signora Maria Gentile Mencucci, vedova Gortani, come da testamento pubblico dd. 8.4.1966 e destinata dalla stessa a Biblioteca civica.
Ma qui i problemi sono più d’uno. La Fondazione fu creata nel 1963, e lo Statuto non può esser stato fatto anni dopo, tanto che io ho pensato che forse quello pubblicato non fosse lo statuto originale. La Fondazione non poteva annoverare tra i suoi beni la casa Gortani come da testamento di Maria Gentile Mencucci perché la stessa era ancora viva, essendo morta nel 1968, da che si sa, e non consta che la casa fosse stata lasciata come sede della Biblioteca civica, ma come centro per studi ed approfondimenti, ovviamente non solo le quattro mura ma anche gli arredi.

CASA GORTANI.

Alla morte della Signora Gortani, venne nominata curatrice testamentaria, da che so, la signorina Maria Chiussi, ormai molto anziana, e la casa rimase chiusa per diverso tempo, mentre si narrava però che si stesse facendo l’inventario dei documenti e delle carte di Michele Gortani. Quindi sembra che, rivolgendosi non so a chi, alcuni, selezionati, avessero potuto accedervi per leggere e consultare nella sala arredata, non si sa con che controllo e se essi avessero ricevuto direttamente le chiavi o meno. Dicevano che le chiavi della casa le avesse anche Toni Martini, dicevano che libero accesso alla casa lo avesse Claudio Bearzi, ma più di così non so. Ed ho nel merito dei limiti nel ricordo perché non riesco a ben datare queste informazioni, per me riferibili al pre-terremoto, a quando ero studente universitaria. Quindi si definirono opere di consolidamento della casa dopo il terremoto del 1976, e mi rammento solo che, essendo probabilmente il 1981, vidi un camion coperto da un telo che mi dissero portava via i mobili di casa Gortani, che andavano verso un istituto forse religioso forse no, veneto o friulano. E c’eravamo, a guardare quel camion, solo io, che ero uscita apposta a vedere che stesse accadendo, e uno che faceva segno al camion perchè si immettesse sulla via. Ma non so se tutti i mobili presenti quando i Gortani erano vivi potessero stare in un camion non molto grande, so solo che ne ricavai una immensa tristezza e mi chiesi se mai sarebbero ritornati.

Poi più nulla. Ho rivisto la casa qualche anno dopo, ed era completamente cambiata. Non più i vetri colorati, non le sale, non i sassi del professore ordinati sulle mensole a piano terra. Era tutto sparito, per me era sparita casa Gortani.  Ed ebbi una sensazione spaventosa di vuoto, del nulla, della cancellazione totale. Inutilmente il prof. Lucio Zanièr, quello del fallimento della Rilcto- Aco non l’omonimo, e Giorgio Ferigo mi spiegarono che non sapevano nulla degli arredi, mentre io continuavo a ripetere che, senza gli stessi, era stato stravolto lo spirito di Gortani, che non voleva lasciare certo solo quattro muri. Infine l’affitto del piano nobile della prestigiosa casa al BIM, in cambio del sostegno al Museo, se ben rammento (1). Litigai decisamente con Giorgio per quella loro decisione, ma bisognava appianare i debiti della fondazione. E mi ricordo ancora quando vidi, con orrore, la scritta del Bim su quei vetri delle finestre, al posto delle finissime tendine all’uncinetto o ricamate dalla Signora. Ma su questo ci deve essere documentazione, come su tutto il resto.

Per me così la Fondazione si mise un cappio al collo. Bastava andassero a vedere la casa di Mozart a Salisburgo per capire come si può sfruttare una casa con il suo arredamento: lo studio del professore, la camera da letto, il piano nobile, i sassi raccolti ed inventariati con cura … Invece era sparito tutto, pure quegli affascinanti vetri colorati, e i mobili, il focolare, gli oggetti in rame, la sala, le tendine, le lenzuola: era sparito tutto, non era rimasto neppure l’urinale del professore …  E l’antilope … Già: dove era andata a finire ‘l’antilope’ in bronzo, quella che mi affascinava tanto da bambina, che poi si rivelò, dopo breve ricerca, essere la statua ‘Gazzelle in sospettoso riposo’ di Sirio Tofanari, 1922, che era stata messa in mostra anche alla 16a Biennale di Venezia?

Gazzelle in riposo

Sirio Tofanari: Gazzelle in sospettoso riposo, da: Wikimedia Commons, the free media repository.

La statua, che aveva avuto una lunga storia, era giunta ai coniugi Gortani come dono dalla zia Giacomina Grassi Di Gaspero, come si evince da: “Lettere e cartoline riguardanti il dono della zia Minetta a Michele e Gentile Gortani “Le gazzelle in sospettoso riposo” (Penultima busta della parte 70 Documenti privati dell’inventario archivio Gortani a cura della Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia Parte seconda, p. 31). Michele Gortani aveva provveduto al mantenimento ed alle cure della signora Grassi, sua zia, in età avanzata, ricevendo poi dalla stessa una eredità fra cui la camera presente al Museo.

La sala arredata dei Gortani. (Immagine da Ermes Dorigo, Michele Gortani, ed. Studio Tesi, seconda edizione, 1993). Sullo sfondo la statua: ‘Gazzelle in sospettoso riposo’ di Sirio Tofanari. 

Ma mio fratello si ricordava anche delle belle ‘statuette’africane’, io le cazzuole ed i secchi in rame, oltre che il focolare in ferro battuto, le tendine, le tazzine finissime. Tutto finito, tutto sparito, assieme ai ‘sassi’ del professore, cioè una raccolta geologica di altissima levatura, frutto di anni ed anni di lavoro.

E veniamo al 1991. Ho appena terminato di ascoltare, nel cortile di Palazzo Campeis, il ricordo di Albino Candoni quando vengo avvicinata da una signora alta e signorile: è Lisetta Candoni, la figlia del famosissimo scultore-eroe, a cui qualcuno mi ha indicato. Si presenta, mi dice che si ricorda di me, bambina e ragazzetta, ed anch’io mi ricordo di averla vista sul terrazzo di casa Gortani. Mi chiede dei mobili del professore e della Signora, se siano stati venduti all’asta perché Lei, se avvertita, avrebbe acquistato la loro bellissima camera da letto. Ma io Le dico quello che so: di un camion coperto con un telo che se ne va, del vuoto della casa, ormai non più Gortani, anche se formalmente lo è ancora.  

 ⸎

E giungiamo al 2013 o 2014. Vado a trovare Mauro Saro, di sabato, nella sede del ‘Coralp’ che presiede. Salendo le erte scale che portano alla soffitta riorganizzata per uffici con tanto di bagni, noto, all’inizio delle stesse, pacchi di giornali d’epoca e forse documenti del professore buttati là alla rinfusa, e penso che, se non fossi persona onesta ed amante della cultura, potrei riempirmi degli stessi la borsa di tela che ho con me e nessuno se ne accorgerebbe. Invece avviso il Museo, che ha impiegati che amano Michele Gortani, e dopo un bel po’ finalmente qualcuno libera quel sottoscala di recente costruzione. Così va il mondo, penso fra me e me, anche mentre partecipo al Convegno del 2016, a cinquant’ anni dalla morte del professore, interessante ma a cui ben pochi parteciparono.

E per terminare questa parte io credo che la Fondazione dovrebbe fare chiarezza sui suoi beni, su dove siano finiti, e sul suo statuto. E fermamente sono convinta che la fine della Fondazione Gortani non debba esser datata oggi, ma un tempo lontano, quando nulla restò di quella casa.
Per quanto riguarda i documenti e la biblioteca Gortani, io so che un elenco degli stessi è posto on line, ma non so come mai ci fossero quei giornali di fine Ottocento ed altro in quella specie di sottoscala che dava accesso alla soffitta.

E ritorniamo all’ incontro di a ieri ed al deficit della Fondazione Museo. Io credo che esso dati tanti anni fa, e che questo non sia il primo appello per la salvezza del museo di Remo Cacitti, credo che ci debba essere un inventario dettagliato dei beni che la Fondazione ebbe da Michele e Maria Gentile, credo che ci debbano essere documenti sull’acquisizione delle statue di Albino Candoni, dal valore altissimo, e credo che la Fondazione debba fare chiarezza sui suoi beni.

Penso fermamente che il museo debba essere salvato, ma esso esisteva già prima della Fondazione, che potrebbe essere messa in gioco. E se per prima ho posto su facebook il link a quello che aveva scritto Enzo Marsilio nel suo post all’interno del sito Pd provinciale, è perché credo che si debba studiare se sia soluzione possibile tecnicamente quella di inserire il Museo Gortani nella rete museale pubblica. Infine, caro Lorenzini, non si può fare gli editori e i gestori di un museo perché il museo è più che sufficiente per impegnare soldi e forze. Non si può pensare di far ruotare intorno al museo ‘La Cultura’ con la elle e la ci maiuscole, ritenendo il direttivo di una fondazione il cerchio degli Illuminati, con un paio di amici aggregati.  L’epistolario di Pio Paschini, di Tolmezzo, nato nella casa accanto a casa Plozzer, dall’altro lato, poi demolita e sostituita dal palazzo dei Dorotea, può trovare altro editore.

Il museo è per il pubblico, anche nella volontà di Michele Gortani, il cui testamento deve esser stato consegnato ad un notaio, e che forse si trova nell’archivio storico notarile ad Udine.
Il museo ha avuto dei limiti nell’idea stessa di come impostarlo nel tempo, che ha portato a privilegiare quadri di gruppi familiari settecenteschi invece che arte materiale ed artigianato ai tempi della presidenza Cargnelutti, a riempire le sale di discutibili cartelloni ‘informatici’ ai tempi di Siagri, a dedicarsi a mercati o similari invece che a promuovere gli oggetti e le collezioni poi. Così ora si vedono solo, di fatto, una cucina, un paio di camere, un telaio errato e due maschere, tutte poste in luoghi non ampi, a cui si sovrappongono mostre che però in alcuni casi confondono più che risaltare, e che costano. Le sale non so se siano ancora fredde l’inverno, non vi è stata una buona politica di lancio museale confondendo la ‘Fondazione’ con il museo. Inoltre la fondazione museo può essere editore ma, come il Museo d’Orsay, di ciò che è di sua pertinenza, per esempio il catalogo del Museo, o le cartoline di Gortani. Insomma a mio avviso si è vivacchiato, senza pensare ad una progettualità per il museo, senza vederlo per il futuro. Per esempio ora spesso vi sono nei musei video che illustrano, un piccolo bar, e via dicendo, ma qui ci si è trascinati e forse ora è troppo tardi.

Infine non credo alcuno possa far da solo nel ripianare un debito ma debba avere, necessariamente, un aiuto dalla politica, discutendone nei limiti del consentito, per studiare soluzioni, come da chi ne sa qualcosa di più. E io ringrazierei Enzo Marsilio, se fossi in te: è finito il tempo di ‘fasin di besoi’.

Scusatemi queste righe e prendetele anche come sfogo personale, e non voglio offendere alcuno, ma certe cose sono accadute, e patrimoni non presenti hanno segnato un debito ed una storia. Io credetemi, ricordo con affetto quel professore un po’ curvo e la sua Signora, che non avendo voluto Dio donare a loro figli, chiedevano ai miei nonni e genitori di farci passare al di là della ringhiera bassa che divideva le proprietà per godere di due bimbi, o ci invitavano a casa loro, più grandicelli, a bere una cioccolata con i biscotti. Certe cose viste con gli occhi di bimbi, non si dimenticano. E spiace quanto accaduto, spiace davvero. Quella casa era allora animata, e ricordo bene pure la signorina Ines dai rossi capelli, o il gatto del professore, come la cisterna per il riscaldamento, interrata, forse la prima a Tolmezzo, i secchi per il bucato e la giovane della bassa friulana, di Latisana, come lavandaia. Le vite non si ripropongono, ma gli arredi potevano rimanere, mentre negli anni, pur avendo chiesto qui e là, nulla sono venuta a sapere. Meritava ben altro Michele Gortani, lasciatemelo dire, senza peli sulla lingua.

E ora chi sa come fare a superare, senza escamotage strani, un debito cerchi di consigliare, ma anche si studi una progettualità futura per la cultura in Carnia, in questa Carnia che sarebbe davvero più opportuno salvasse un museo che finanziasse gare di enduro o similari, per cui, fra l’altro, da che ho letto, i partecipanti pagano una tassa di iscrizione all’organizzazione, quando il territorio lo mettiamo noi, e i possibli danni paesaggistici da inquinamento, da educazione all’ individualismo sfrenato ecc. ecc. ricadono su di noi, e che a noi proprio non interessano, tranne che a quattro gatti. E scrivo anche questo senza voler offendere alcuno.

Aggiunto dopo le 12. 00 del 14 agosto 2018.

Una cosa mi ha sempre disturbato: i fondi pubblici che la Regione Friuli Venezia Giulia ha sempre dato alla mostra di Illegio, che hanno raggiunto anche i 240 mila euro all’anno. Io credo che sia ora di finirla di finanziare una mostra che è nei fatti, e mi scusino gli interessati, visione da sacerdoti della vita, della donna (mi fece inorridire che per rappresentare la donna si fosse scelto il quadro Giuditta taglia la testa ad Oloferne), che costa certamente molto per trasporti ed assicurazioni per le opere, che è gestita dal privato’ Comitato di San Floriano’, presieduto, da che mi si dice, da don Angelo Zanello, i cui bilanci non sono pubblici, e che per visitare la mostra impone  un biglietto. E se i numeri dei visitatori sono quelli che giravano tempo fa, dovrebbe essere in attivo non in passivo. Ma se le informazioni che ho sono errate, vi prego di correggermi. Pertanto si trovi un modo per finanziare ciò che interessa a tutti e cioè il museo Gortani, e si lasci perdere la mostra, che più privata di così non potrebbe essere. E nuovamente preciso che scrivo questo senza voler offendere alcuno, ma per esprimere il mio pensiero. 

Laura Matelda Puppini  

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(1) Il legame tra il BIM ed il Museo così viene descritto da Emilio Di Lena, democristiano.
«Ci fu anche l’occasione in cui vidi il sen. Gortani preoccupato e abbacchiato nello stesso tempo. Penso fosse la primavera del 1961 e Girolamo Moro (allora Sindaco di Tolmezzo), proprietario del palazzo in cui erano custodite le centinaia di reperti raccolti in Carnia con certosina pazienza in decine d’anni dal Senatore, aveva chiesto all’amico di trovare una nuova sede al Museo Carnico d’Arte Paesana (come si chiamava allora!), poiché aveva bisogno dello stabile per uso personale.
Il Senatore si chiedeva dove avrebbe potuto trovare un posto adatto all’Istituzione e si stava scervellando senza trovare adeguata soluzione al problema.
In una seduta della Giunta Esecutiva della Comunità fece presente ciò che lo angustiava, rammaricandosi di dover affidare alla Città di Udine tutto ciò che aveva raccolto nel Museo se non avesse trovato un edificio adatto in Tolmezzo: Udine, infatti, aveva già fatto precise proposte in proposito. Il sen.Gortani fece presente che sarebbe stato posto in vendita prossimamente il Palazzo Campeis, sede della Comunità, ma il proprietario chiedeva una trentina di milioni, cifra enorme per quei tempi.
Aggiunse che aveva avuto uno scambio di idee con il dott. Alfeo Macutan, Presidente del Consorzio dei Bacini Imbriferi Montani (B.I.M.), che gli aveva ventilato la proposta di poter acquistare il menzionato Palazzo con i fondi del Consorzio, se i Comuni destinatari degli stessi fossero stati consenzienti. Del problema in questione anch’io, come Vice Presidente del Consorzio, avevo già parlato con il dott. Macutan e mi ero dichiarato pienamente consenziente all’operazione predetta.
C’era solo l’ostacolo di convincere i Sindaci, convocati in assemblea per trattare l’argomento, a essere favorevoli alla soluzione prospettata, indubbiamente onerosa. Chiesta la parola, proposi che il Presidente invitasse, in un giorno da stabilire, tutti i Sindaci facenti parte del Consorzio BIM (anche quelli del Gemonese e del Tramontino) a visitare il Museo Carnico d’Arte Paesana, affinchè si rendessero conto di quanto era custodito in esso in modo da poter chiedere chiaramente se erano disponibili a lasciare che tutto s’involasse verso Udine o se, sia pure con sacrificio finanziario comune, ritenevano saggio, utile e decoroso conservare in Carnia le testimonianze storiche della vita della nostra Gente.
La proposta piacque: i Sindaci vennero invitati a visitare il Museo, rimasero entusiasti (in primo luogo quelli della Val d’Arzino e del Tramontino!) per quanto in esso era custodito e decisero, in una indimenticabile assemblea, che l’Istituzione sarebbe rimasta a Tolmezzo ospitata nel Palazzo Campeis, acquistato dal Consorzio BIM. Lo stesso avrebbe provveduto anche, con una decina di milioni, a restaurarlo per avere una degna sede». (Emilio Di Lena, “Michele Gortani”, in: Incontri di gente nostra, 1998, pp. 145-146, in: https://www.taicinvriaul.org/timau/pdf/libri/incontro_gente_nostra/parte6.pdf).

Ma poi lo Statuto dice che Palazzo Campeis fu regalato al Museo dal Bim. Infatti sullo Statuto presente online si legge che la Fondazione Gortani ha nel suo patrimonio pure la  «porzione del palazzo “Campeis” sito in Tolmezzo, Piazza Garibaldi n. 2, oggetto della donazione effettuata dal Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano del Tagliamento in Provincia di Udine per atto 29.7.1963, n. 9423 di repertorio e 4482 di raccolta a rogito del Notaio Pietro Moro, di Tolmezzo, e nell’atto stesso specificata».

L’immagine che accompagna l’articolo rappresenta la sala dei Gortani ed è una di quelle presenti all’interno dello stesso. Laura Matelda Puppini

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