Premetto che l’argomento mi interessa solo per le considerazioni relative alle fonti in storia ed all’esercizio del diritto di critica storica, argomenti di carattere generale, non per altri motivi.

Essendo le sentenze della Corte di Cassazione pubbliche e pubblicate on line, dal sito: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ si viene a sapere che la Corte di Cassazione, sezione terza civile, Presidente Giuseppe Salmè, relatore Franco De Stefano,  con sentenza 6784/2016 del 22 dicembre 2015, pubblicata il 7 aprile 2016, ha deliberato in merito al ricorso di Gianni Conedera contro Giulio Magrini, avverso la sentenza n.475/2012 della Corte di Appello di Trieste, confermando la condanna di Gianni Conedera.

Questi era stato citato in giudizio da Giulio Magrini per aver causato danno alla reputazione del padre Aulo, partigiano decorato con medaglia d’argento al valor militare e morto in uno scontro a fuoco con le truppe naziste, il 15 luglio 1944. Il danno era derivato dalla pubblicazione sul volume «L’ultima verità. Da Mirko al dopoguerra», di informazioni derivate dalla raccolta di «fonti lasciate anonime od altre non verificabili» attribuendo l’uccisione di Aulo Magrini «al fuoco amico ed interessato di un altro partigiano».   

Il tribunale di Tolmezzo accolse l’istanza di Giulio Magrini, condannando Gianni Conedera, con sentenza n.33 del 5/2/ 2010, al risarcimento di 15.000 euro a Giulio Magrini.

Gianni Conedera ricorse allora in appello, a Trieste, contro la sentenza, ma la Corte d’appello, con sentenza del 6/7/2012, n. 475, accolse solo la richiesta di riduzione della condanna pecuniaria, portandola ad euro 5000.   

Contro detta sentenza ricorse ancora Gianni Conedera, in Corte di Cassazione, affidandosi a 5 motivi, e con controricorso resistette Giulio Magrini.

Nella sua recente sentenza, la Corte di Cassazione specifica che essa non ha il compito di riesaminare il merito della causa ma solo di controllare l’aspetto logico-formale e la correttezza giuridica delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, «al quale soltanto […] spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza» nei casi in cui non sia disposto di presentare prove legali tassativamente previste dal Codice Civile.  

Non è compito pertanto della Corte di Cassazione, come desiderava Gianni Conedera, rivalutare risultanze di fatto emerse nei precedenti gradi di procedimento, non è compito della Corte di Cassazione «ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello».

E secondo il giudice di Cassazione non vi è motivo alcuno di illegittimità della sentenza d’appello.

Per quanto riguarda la ricerca storica così si legge sempre sulla sentenza di Cassazione:

«La nozione di critica storica è stata oggetto di elaborazione soprattutto da parte delle sezioni penali di questa Corte di legittimità; ma può accettarsi anche ai fini civilistici che l’espressione di un giudizio di critica storica esige la ricorrenza di un metodo scientifico d’indagine, mediante l’accurata, se non esaustiva, raccolta del materiale utilizzabile e lo studio delle fonti dalle quali esso è stato prelevato, la correttezza od l’appropriatezza di linguaggio, l’esclusione di attacchi personali o polemici: affinché l’indagine storica assuma il carattere scientifico è necessario, tra l’altro, che le fonti siano esattamente individuate, che esse siano varie, che esse siano interpellabili o riscontrabili, che il fenomeno che si vuole studiare sia ampio e riguardato sotto le più varie sfaccettature e, in sostanza, che la ricerca, la raccolta e la selezione del materiale da sottoporre a giudizio, sia la più completa possibile ( per tutte: Cass. Pen.,11 maggio/29 settembre 2005, n.34821, Lehner ed altro).

Ed è necessario che le conclusioni storiche siano fondate su accadimenti dimostrati od almeno dimostrabili, tanto più rigorosamente quanto più moralmente squalificante sia il giudizio espresso. (Cass. Pen., 29 settembre 1983/4 gennaio 1984, n.6 Katz).

In altri termini (Cass. Pen., 8 gennaio/2 aprile 2015, n. 13941, Ciconte), nella ricostruzione “storica” la “verità” o la ragionevole e probabile verosimiglianza, se scrimina in relazione all’obiettivo carattere diffamatorio del risultato dell’indagine, pretende una più attenta denunzia e una più accurata verifica delle fonti; è perciò lo stesso uso di una “fonte” singola o di fonti parziali, come “notizia” o fatto o perfino mera voce corrente, che, non rispondendo più ad alcun bisogno o interesse attuale, non può ritenersi consentito o comunque non sufficiente a scriminare la ricostruzione obiettivamente diffamatoria.

E se è vero che per nessuna “storia” raccontata può richiedersi che sia del tutto imparziale perché anche la semplice connessione dei dati è operazione eminentemente soggettiva, comunque requisito minimo di un resoconto “storico”, non soggetto all’impellenza della cronaca, è tuttavia la completezza e l’affidabilità dei dati che lo compongono (v. Cass. Pen. n.8042 del 15 dicembre 2005/7 marzo 2006, Perna ed aa.) e su cui esso si regge: affidabilità, con tutta evidenza, commisurata alla riscontrabilità obiettiva delle fonti utilizzate».

Il giudice continua sottolineando come l’onore e della reputazione siano valori tutelati da norme, come la differente versione della morte del Magrini non integri una critica storica che comunque necessita della presentazione di elementi obiettivamente suscettibili di riscontro, e «quindi dotati di un minimo grado di attendibilità, vale a dire raccolti con un minimo criterio scientifico» e quindi la versione dei fatti data da Conedera si traduca « in una gratuita e personale opinione di messa in dubbio delle modalità di svolgimento di un accadimento».

Non può infatti la ricostruzione di fatti storici, contrastanti con la versione ufficialmente riconosciuta, fondarsi «su fonti anonime o non riscontrabili o su voci ricorrenti».

Su queste motivazioni la Corte di Cassazione condannava Gianni Conedera al pagamento, in favore di Giulio Magrini, delle spese di giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.200.

Così si decideva in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 22 dicembre 2015.  

(Il testo di riferimento per questo articolo e per le citazioni è la “Civile Sent. Sez. 3 Num. 6784 Anno 2016, Presidente: Salmè Giuseppe, Relatore: De Stefano Franco, Data pubblicazione: 07/04/2016, relativa al ricorso 4179-2013, proposto da Gianni Conedera ricorrente contro Giulio Magrini, in ww.italgiure.giustizia.it/sncass/, Corte di Cassazione. Copia non ufficiale, alla cui lettura integrale rimando).

Un unico aspetto mi resta incomprensibile: perché se quanto scritto sul volume risultava lesivo nei confronti di Aulo Magrini e le fonti non erano sufficienti per esercitare il diritto di critica storica, “L’ultima verità. Da Mirko al dopoguerra” di Gianni Conedera non è stato tolto dal commercio, già dal tribunale di Tolmezzo?  

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

Laura Matelda PuppiniSTORIAPremetto che l'argomento mi interessa solo per le considerazioni relative alle fonti in storia ed all'esercizio del diritto di critica storica, argomenti di carattere generale, non per altri motivi. Essendo le sentenze della Corte di Cassazione pubbliche e pubblicate on line, dal sito: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ si viene a sapere che...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI