Leggo sul Messaggero Veneto dell’11 marzo la risposta di Gianni Conedera ad una lettera di Pierpaolo Lupieri in cui si affermava che Conedera ha “l’idea che esista una sola verità” sulla Resistenza in Carnia, ovvero la sua. “Ebbene si!” risponde Conedera, affermando pure che questa sua unica verità è sempre più condivisa, come se il maggiore o minore numero dei “mi piace” sia criterio per valutare l’attendibilità o meno di una “verità”. Conedera scrive anche altre cose. “Revisionismo (…) – afferma – non è altro che scrivere i fatti secondo i documenti e le testimonianze di chi li ha veramente vissuti”. Magari fosse così! Abbiamo in realtà letto tonnellate di scritti di giornalisti legati al mondo della politica (o della partitica come dice il nostro) che si dichiaravano orgogliosamente “revisionisti” e dicevano stupidaggini senza preoccuparsi di dimostrarle. Conedera riesuma anche la foglia di fico della presunta legittimità delle rappresaglie tedesche in tempo di guerra. Qualcuno che afferma di essere rappresentante di uno stato (dittatoriale) entra a casa tua, dice che è sua, tu cerchi di cacciarlo e lui uccide tua madre e tua sorella, pensa però di avere ragione in base alla Conferenza dell’Aja del 1907? C’è qualcosa che non va, e le tante sentenze del dopoguerra mi pare l’abbiano chiarito senza entrare qui in noiose dispute giuridiche. Per quanto riguarda  i “crimini di Tito” vanno sicuramente denunciati (e studiati per evitare di fidarsi delle ricostruzioni mediatiche) assieme alla criminale condotta di guerra delle truppe fasciste in Jugoslavia durante la guerra e la criminale politica di assimilazione nazionale forzata del fascismo durante gli anni del regime, altrimenti siamo ancora una volta alla semplificazione strumentale della situazione del confine orientale.

Ma tornando alla verità, qual è la verità che Conedera definisce unica e sua? Purtroppo da tempo non mi occupo più della Resistenza carnica avendo altre cose in agenda. Ma ho letto i due libri di Conedera (“L’ultima verità” e “Dalla Resistenza a Gladio”)  e devo dire che mi riesce difficile capire dove sta questa verità unica, dal momento che lo stesso autore cambia versione, e la verità definita ultima nel titolo del primo libro diviene a tutti gli effetti la penultima passando al secondo.

Devo dire che i libri di Conedera mi paiono deboli, non c’è quasi niente su fascismo e guerra, pare che la storia inizi alla fine del 1943 con la comparsa chissà perché dei primi partigiani e prima non ci sia quasi nulla. Non si capisce quali erano gli obiettivi delle parti che combattevano, quali valori e progetti di società volevano sostenere, quali sono stati i risultati ottenuti. Ci sono insulti inutili e gratuiti ai partigiani, ad esempio quando, senza prenderne le distanze, trascrive nel secondo libro il contenuto di un biglietto anonimo di derisione messo da qualcuno sulla tomba del povero Amadio De Stalis, ucciso dai tedeschi (p. 66 del secondo libro). Non voglio però qui fare recensioni, voglio solo esaminare cosa dice Conedera riguardo uno dei punti qualificanti dei suoi libri, quello relativo alla morte del comandante Arturo, ovvero Aulo Magrini.

Magrini come è noto è caduto sull’altopiano di Alzeri mentre guidava assieme a “Marco” il suo reparto partigiano all’attacco di tre camion tedeschi. Conedera ha lungamente cercato di dimostrare che Magrini è stato ucciso, con ogni probabilità volontariamente, dai suoi uomini, forse da Enore Casali “Olmo”. Nel primo libro la prova secondo Conedera che Magrini è stato ucciso dai suoi partigiani è la testimonianza del “Comandante Y” cioè di Mario Beorchia “Senio” come lascia intendere nel secondo libro (testimonianza di Senio alle pp. 75 – 78 esattamente uguale a quella del Comandante Y nel primo libro pp. 39 – 40). Nel primo libro Senio dice pure che i tedeschi non sono mai saliti al pianoro d’Alzeri (p.41), parte che invece scompare quando la testimonianza di Senio è riportata nel secondo libro. Senio dice che Magrini è caduto colpito da destra da una fucilata. Quando il suo corpo è stato trovato risultava anche colpito da altri e molti proiettili, probabilmente da una raffica di mitra. Chi aveva mitragliato il corpo di Magrini poteva pertanto essere stato solo un comandante partigiano, perché solo i comandanti avevano un mitra in dotazione dal momento che i tedeschi stando a Senio non erano mai saliti sul pianoro d’Alzeri.

Nel secondo libro Conedera riporta la testimonianza di Alois Innerhofer, arruolato durante la guerra con le truppe tedesche. Innerhofer, che si trovava su uno dei camion, quello attaccato per primo (cioè il secondo della fila di tre), al ponte di Noiaris. dice che il suo camion (che si trovava sul rettilineo dopo la curva che segue il ponte di Noiaris) è stato attaccato con lanci di bombe a mano. Dopo uno scambio di colpi, i militari dell’ultimo camion (il terzo) sono saliti sul pianoro di Alzeri verso il punto in cui si trovavano i partigiani, alla destra del gruppo di partigiani, ed hanno incontrato un cadavere con una borsa. Hanno aperto la borsa e hanno trovato molti soldi che poi hanno portato al loro comando, il quale comando li ha sequestrati “premiando” con una parte di essi il fortunato rinvenitore.

In contrasto con la  “ultima verità” del primo libro pertanto veniamo a sapere (sempre prestando fede alle fonti di Conedera)  che i tedeschi effettivamente sono saliti sull’altopiano, hanno trovato il corpo di Magrini ed hanno preso borsa e soldi. Non è un cambiamento da poco, che lascia intendere pure una dinamica dei fatti relativi alla morte di Magrini diversa rispetto a quella proposta da Conedera, almeno per quanto riguarda i colpi da raffica di mitra trovati sul corpo. I soldati semplici delle Waffen SS in operazione antipartigiana avevano in dotazione il solo fucile mentre i sergenti avevano la machinpistole (Conedera p. 91 del secondo libro). Come escludere che la raffica sia venuta dalla machinepistole in dotazione al sergente che guidava il gruppo delle Waffen SS, che ha dato a Magrini il colpo di grazia o forse ha voluto cautelarsi nel caso fosse ancora vivo prima di avvicinarsi?  Un dubbio che ciò sia successo deve essere venuto anche a Conedera, se nella stessa p. 91 scrive che “Anche incolpare i tedeschi della nefandezza di aver oltraggiato il cadavere del commissario Magrini scaricandogli addosso le loro armi automatiche è pura delinquenza premeditata, non corrisponde al vero”.  Sono toni intimidatori che non si addicono ad una disciplina scientifica come è la storia, che esige libertà di ricerca e di ipotesi. Appare invece del tutto fantasioso. ipotizzare raffiche di mitra sparate da un comandante partigiano (come viene fatto nel primo libro) 

D’altra parte non serviva interrogare Innerhofer per sapere che i tedeschi erano saliti sull’altopiano addirittura “prendendo alle spalle” il gruppo dei garibaldini. E’ riportato infatti nella relazione sui fatti d’arme del 15 luglio presente tra le carte di Bruno Zoffi – comandante osovano presente all’azione – documento riportato su questo sito “Non solo Carnia”.

Con queste due righe non intendo dare l’ennesima versione della morte di Magrini, ma solo rilevare come anche Conedera abbia nell’arco di due libri cambiato versione e la sua verità unica sia stata (correttamente) posta in discussione da lui stesso.

Marco Puppini

Laura Matelda PuppiniSTORIALeggo sul Messaggero Veneto dell’11 marzo la risposta di Gianni Conedera ad una lettera di Pierpaolo Lupieri in cui si affermava che Conedera ha “l’idea che esista una sola verità” sulla Resistenza in Carnia, ovvero la sua. “Ebbene si!” risponde Conedera, affermando pure che questa sua unica verità è...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI