INTRODUZIONE.

Sul numero 1 del febbraio 1981 di Qualestoria, rivista dell’Istituto Regionale per la storia del Movimento di Liberazione in Fvg, usciva un articolo firmato da me e da mio fratello Marco intitolato: “Movimento operaio e sottosviluppo alla cartiera di Tolmezzo”, che narrava per sommi capi la storia della fabbrica e la vita degli operai al suo interno. E so che detto articolo fu molto apprezzato anche da Mauro Saro, direttore della fabbrica. Per scrivere questo testo andai ad intervistare alcuni che avevano lavorato alla Cartiera di Tolmezzo, che mi raccontarono la loro storia. Allora essi ruppero un tabù, perché in quegli anni pareva che nessuno, se non in privato, potesse narrare o raccontare la sua esperienza lavorativa nella fabbrica.

Preciso che le narrazioni sono frutto di ricordi di quanto avvenuto anche venti anni o trenta prima, e che riprendono maggiormente vissuti personali, e su alcuni aspetti particolari possono divergere in base a quello che uno aveva sentito allora o al ricordo. Riporto qui anche alcuni nomi e cognomi fatti, per fedeltà alla narrazione e per descrivere un mondo che fu in certi anni così non solo qui. E se certe cose ci paiono ora come minimo strane, allora parevano a molti quasi normali, e quello che importava era non perdere il lavoro. L’articolo è stato pubblicato attraverso scannerizzazione delle pagine originali e permesso dell’Irsml anche da storiastoriepn.it, con il titolo da noi posto, in data 13 gennaio 2014. Vi è un unico errore ed è il nome di Gabino, che abbiamo scritto essere Antonio ma invece è Guerrino.

Con l’intervista a Marino Ambrosio, nato nel 1910, inizio la pubblicazione delle interviste integrali agli operai che ringrazio veramente per aver voluto concedermele, permettendo che rimanesse ai posteri la loro esperienza, senza voler offendere alcuno e men che meno la fabbrica. Questa intervista comprende anche qualche riga su Livio Pesce. Preciso che ho cercato, talvolta, di rendere il linguaggio più scorrevole, perché possono esistere delle diversità fra lingua orale e scritta.

LIVIO PESCE PRIMO SINDACO DOPO LA LIBERAZIONE.

M.A.: «Per me Livio Pesce (1) è stato un uomo onesto, un galantuomo e non ha portato via neppure un centesimo alla società, al paese. E quando hanno fatto queste case, dette del borgo Pesce (2) da lui che le aveva volute, lo hanno maltrattato, gli hanno detto di tutto, che aveva portato via questo e quello, ma non è vero niente.

E l’ho incontrato anche non molto tempo fa e gli ho chiesto come stava. Ed egli mi ha risposto: “Come il solito. Siamo diventati vecchietti ma tiriamo avanti!”. E lui, dopo esser stato sindaco a Tolmezzo, ha continuato a fare il suo lavoro, e sua moglie era maestra. E ora stanno ad Udine, dalle parti di piazzale Cella.

E mi ricordo che una volta la Commissione Provinciale aveva dato delle coperte per distribuirle alla gente che ne aveva bisogno, perché qui abbiamo avuto i cosacchi che ci hanno preso tutto.  Ma Pesce aveva pensato di farle pagare 500 lire l’una, e questo denaro sarebbe andato all’Eca, cioè all’Ente comunale di assistenza, che era senza soldi, e che doveva provvedere, in quel secondo dopoguerra, pure alla cucina popolare, per dare da mangiare ai più poveri. (3). Ma c’è stato chi ha tanto fatto e tanto brigato, che il povero Livio Pesce ha dovuto andarsene. (4).

Livio Pesce. Particolare di una immagine che lo ritrae con il presidente del Paraguay. Provenienza Livio Pesce.

E quando è ritornato il momento di votare alle amministrative, lo hanno sputtanato in ogni modo, dicendo che non era adatto a fare il sindaco, che era così, che era colà …. Così alla fine loro (i democristiani in particolare ndr) sono riusciti a vincere le elezioni, e hanno fatto quello che hanno potuto e voluto. E Pesce ha dovuto lasciare tutto ciò che aveva a Tolmezzo, e sparire dalla cittadina. E si è fatto ben poco vedere qui, e nulla si sapeva di lui, ed io, se l’ho visto, l’ho visto per combinazione un paio di anni fa.

E lo hanno distrutto, ma era un uomo che non si meritava proprio quello che gli hanno fatto, perché era un uomo in gamba. E io credo che anche i suoi compagni non lo abbiano sufficientemente sostenuto, e lo accusavano di voler fare da solo e dicevano che si sentiva sopra gli altri, sopra di tutti, ma invece secondo me lui non voleva essere sopra nessuno”.

Laura aggiunge che, se Pesce chiedeva soldi per qualche iniziativa non glieli davano, se proponeva qualcosa da deliberare, glielo bocciavano. E non riusciva a fare strade, non riusciva a fare gli acquedotti frazionali …

M. A. «Se è riuscito a fare il borgo Pesce forse è stato per combinazione e perché di case popolari c’era necessità. E noi siamo venuti ad abitare qui nel 1948, ma il lavoro per costruire il borgo è iniziato già nel 1945 (Sic! Ma è 1946 ndr.)».

VITA GRAMA PER GIOVANE CHE NON AVEVA VOLUTO LA TESSERA DEL FASCIO.

Laura chiede a Marino Ambrosio della sua attività lavorativa in cartiera.

«Io ho lavorato in cartiera. Prima sono stato a lavorare in Germania due anni, il 1938 ed il 1939, poi sono andato militare. Ed infine mi hanno preso fisso in cartiera nel 1942, ma ero stato lì un periodo anche nel 1931 – 1932, quando la cartiera era stata appena inaugurata, e nel 1930 a scavare le fondamenta. Siamo stati assunti insieme io e Valentino Colavizza, quando i quadri erano ancora a prepararsi professionalmente in Belgio. (5). Ed io sono stato quasi quattro mesi con la Simens a montare i motori elettrici dei macchinari. E prima sono stato a lavorare un anno anche con l’impresa Magistretti che ha costruito il capannone che chiamano sala 1 della cartiera, e poi mi ha assunto la ditta Rizzani, e sono andato a lavorare nella costruzione della torre. E sono stato con la Rizzani due anni.

Ma poi, siccome io non avevo il fagiolo (sic!), cioè non ero iscritto al partito fascista, non sono più riuscito a trovare lavoro. E se uno non aveva la tessera del Partito non veniva preso a lavorare da nessuno. E, quando andavo a chiedere all’uno e all’altro se mi lasciavano lavorare con loro, chiedevano se ero iscritto al PNF, e quando rispondevo di no mi dicevano che prima passavano gli altri, gli iscritti. E inizialmente non ho potuto lavorare anche perché lavorava già mio fratello. Perché ad un certo punto c’era una norma che diceva che non si poteva dare lo stesso lavoro a due fratelli.  E così o via uno o via l’altro. Ed era miseria, allora, e lavoro non ce n’era, nel 1931, nel 1932.

Però dopo, nel 1932 o 33, sono stato assunto, finalmente, in cartiera, ed ho lavorato per sei mesi. Ma poi è giunto il capo che ha incominciato a fare storie perché non ero iscritto al PNF, ed infine mi ha mandato fuori, mi ha dato il benservito. Poi nel 1935 stessa storia: “Ha la tessera del PNF? “No”. “Via!” E così nel 1936.

Poi sono stato nuovamente assunto nel 1937, ed ho lavorato in cartiera per sette mesi. E allora c’era l’ing. Marpillero (6), a dirigere la cartiera, quello che poi è andato a Milano. E il padrone della cartiera era ancora l’ing. Petzalis, ebreo, (7) che ne aveva voluto la creazione.


Interno teatro De Marchi. Foto di Vittorio Molinari.

E, quando non lavoravo in cartiera, facevo la maschera al cinema- teatro De Marchi. E la licenza di gestione del locale era a nome mio. E all’ interno del cinema non si poteva fumare.  Ed una sera è giunto al cinema l’ing. Marpillero con due signore che poi si sono messe a fumare. Ma ad un certo punto è arrivata una guardia che mi ha detto che dovevo far subito smettere di fumare le due signore, altrimenti egli avrebbe fatto revocare a me la licenza. Io, anche se non mi sentivo di farlo, sono andato un paio di volte a dire alle signore in questione di spegnere le sigarette. Perché l’interno del teatro era un semicerchio tutto in legno, e, dato che in Italia c’erano stati nei locali diversi incendi, avevano fatto una legge che vietava di fumare nei cinema e teatri. Infine le Signore hanno smesso di fumare, e l’ing. Marpillero è uscito con loro e ho percepito lo sguardo di Marpillero, ed ho pensato subito che il mio lavoro in cartiera era finito.

Ed al mattino quando sono andato a lavorare in cartiera nel reparto con gli alambicchi, quello della liscivia, che liberava anche alcol, l’ingegnere ha visto, da sopra la transenna, che stavo fumando, come facevano anche gli altri. Ed è sceso. Io lo avevo visto prima passare, e non mi aspettavo che mi stesse guardando. Così ho messo giù la sigaretta. E quando sono uscito alle 5 di sera, mi sono trovato licenziato per esuberanza di personale. 

Allora ho fatto marcia indietro, sono andato dall’ingegnere e gli ho chiesto il perché del licenziamento: ed egli, per tutta risposta, si è messo ad urlare: “Fuori di qui! Fuori di qui!”. Oh Signor mio ho pensato fra me e me… e così sono andato via. E poi sono andato in Germania. E come le ho già detto, ho lavorato due anni in Germania, e quando sono rientrato sono andato militare.  E poi, finito il militare, sono ritornato a lavorare in cartiera. E sono rimasto lì fino al 1968. E c’è stata la guerra di mezzo, ma chi lavorava lì ha avuto l’esonero dal servizio militare. (8). Pertanto io ho fatto il militare solo 10 mesi, poi sono entrato in cartiera e sono rimasto lì.

Ma allora era duro lavorare in cartiera. Ci davano 160 lire per quindicina, nel 1941-1942- 1943. Poi, nel 1944, hanno incominciato a pagare mi sembra 2 lire e 50 centesimi l’ora. Poi lo stipendio è aumentato ancora fino a raggiungere, nel 1948-1949, 15.000 – 20.000 lire al mese. E nel 1960 si guadagnava ormai 90.000 o 100.000 lire al mese.  E nel 1965 si raggiungevano le 190.000 lire mensili».

Vittorio Molinari. La Cartiera inizio anni ’30. Particolare di un paesaggio.

CONDIZIONI DI VITA IN CARTIERA NEL CORSO DEL TEMPO.

M.A. «Nel 1942-1943, fino agli anni cinquanta, non si può tener conto della vita qui. Prima, nel 1944-1945, c’erano i cosacchi. E quando c’erano loro, e c’era la guerra, non si trovava niente, né zucchero né niente, nemmeno l’acqua da bere perché avevano chiuso anche l’acqua. (9).
E si doveva andare a prendere l’acqua al Tagliamento (10) o altrimenti si doveva andare sino in cartiera, perché la cartiera aveva messo a disposizione la sua fontana per la gente. Ma poteva accadere che si arrivasse alla fontana con la damigiana e pam pam … che qualche sparo la rompesse, e così si restava fregati».

Laura chiede se vi fossero capo-reparto molto duri con gli operai allora.

M.A. dice solo che non si poteva fumare in cartiera, che si doveva restare al proprio posto e non muoversi di lì, e si doveva dire sempre “Signorsì”, come sotto la naia, sempre ”Signorsì”. E queste erano proprio umiliazioni. Ma questo accadeva anche quando c’era il vecchio, Petzalis. E se si diceva che non era possibile fare qualcosa, diceva solo: “Silenzio!!! Se non sei tu ci sono altri cinquanta che aspettano di fuori!” E così è stato il lavoro anche dopo la guerra. E la grande paura degli operai era quella di essere licenziati.
E ti dicevano: “Se non ti va bene così, va via! Tanto ci sono altri fuori che aspettando di entrare.” E a me il rispondere così pareva una grande porcheria.

E così continua Marino Ambrosio: «Io dico la verità: Siamo andati avanti sempre con questa paura che ci avevano inculcato: “Se non faccio quello che mi dicono, mi mandano via”. E i capi erano cattivi, erano proprio cattivi cattivi. Ma ce n’era uno, il signor Totis, poveretto, che era il vice capo della fabbrica, che era proprio buono, ma gli altri … Quando è andato a chiedere al padrone che ci aumentasse la paga, Petzalis gli ha risposto: “Cosa fa lei qui dentro?” quando era un bel po’ che lavorava lì. Sa, noi chiamavamo Petzalis il barbone, perché aveva una lunga barba.

Ma comunque umiliazioni ne abbiamo patite abbastanza, tutti.

E poi c’erano le spie, quegli individui che stavano a guardare quello che si faceva ed ad ascoltare quello che si diceva e andavano a dirlo ai capi. E fare la spia, secondo me, è la più grande porcheria che si possa fare. Ed io mi sono sempre chiesto come si potesse fare così.

Io, Signora, ho fatto 15 anni di piazzale, sotto le intemperie, il vento, le piogge. E non ci si poteva riparare. Otto ore lì e altrimenti via, fuori! Non avevano pietà per noi – le dico la verità – non avevano pietà».

Laura chiede se venivano messi a lavorare sul piazzale operai che erano socialisti, per esempio.

M.A. «Fino agli anni ’50 no. Ma poi è subentrata la politica, nel 1952- 1953, con la Pirelli. Allora se uno era iscritto alla democrazia cristiana o all’Acli era a posto, era ben visto. E c’era un operaio che, per scherzo lo chiamavamo De Gasperi, ed era il più grande spione che c’era lì. E mentre noi parlavamo, così per parlare fra noi, lui ascoltava, e poi andava a raccontarlo ad uno, e quello all’altro, e così via … e quando l’informazione arrivava in cima alla piramide quanto detto era già stato ingigantito a tale livello che da un sasso era diventato una montagna. (11).  E mi creda, lì non c’era umanità.

Poi sono andato a lavorare in magazzino. Ma poi mi hanno rimandato nel piazzale perché l’ing. Ponte, un altro “buono” (12), mi ha rispedito lì. Il problema era che io rispondevo e non tacevo, e rispondevo a tono e si vede che ce l’aveva con me e così mi ha mandato di nuovo nel piazzale. Ma sono stato poco fuori, perché poi mi hanno mandato in sala 1.

Comunque io non mi sono interessato mai di politica fino agli anni sessanta. (13).

In ogni caso eravamo in 18 ad esser presi di mira, e fra questi c’era anche ‘Pieri precis’, Pietro Contardo.
Contardo era il segretario della Cgil, e con lui c’era D’ Orlando Alfredo, quello che è morto poco tempo fa, c’era Valentino Colavizza … Eravamo una bella compagnia di operai, comunque, ma purtroppo c’erano degli elementi dentro la cartiera che rovinavano tutto. Perché, sa, in cartiera si discuteva, si parlava del più e del meno, e allora giungeva di soppiatto qualcuno, che poi se ne andava via di soppiatto, a raccontare …

Operai in sciopero. (Da: http://anpi-lissone.over-blog.com/article-15972146.html). 

I PRIMI SCIOPERI.

Però non c’erano problemi o beghe fra operai di diverso paese ma sicuramente quelli che avevano qualcosa, che avevano di che mangiare a casa, se ne fregavano. Sa noi chiamavamo questi quelli “delle vacche e del burro”. Ma quelli campavano lo stesso, mentre noi eravamo costretti a far sciopero per avere qualcosa di più. E mi creda, ce ne erano molti che avevano a sufficienza a casa per vivere. E così poteva succedere che si diceva che si sarebbe fatto uno sciopero. Loro dicevano di sì, ma poi uscivano da una parte ed entravano dall’altra.

E mi ricordo che una volta abbiamo fatto uno sciopero solo in 18 operai, anche se molti avevano promesso di aderire. Ed era uno dei primi scioperi, ed era da piangere sa, Signora. Perché chi scioperava poteva anche esser licenziato in tronco. E una volta è accaduto che volevano licenziare Pieri ‘precis’, perché aveva suonato la sirena della cartiera per invitare i compagni ad uscire per scioperare. E allora noi abbiamo indetto subito uno sciopero di sostegno.  Così si è preso solo qualche giorno di sospensione.
Il direttore diceva che Pieri ‘precis’ non era il padrone della sirena della cartiera, e che l’aveva fatta suonare abusivamente.
E questo è avvenuto negli anni in cui si incominciava a ragionare sulla libertà, a fine anni cinquanta. Poi sono venuti gli anni caldi, ed infine tutto si è calmato, e “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”, come si suol dire.

E allora si lottava per migliori condizioni di vita e lavoro, non certo per battere la fiacca. Perché sa, Signora, allora si era proprio presi per il collo: non un aumento di stipendio, e si doveva stare alle condizioni che volevano i capi ed obbedire. E si doveva lavorare senza poter discutere nulla. E noi, allora, scioperavamo per migliorare la situazione nostra e della fabbrica. Perché la situazione di una fabbrica non migliora se si mette solo una pezza qui ed una là. Ed abbiamo anche ottenuto qualcosa. E molto ha fatto Isola, che era un delegato ed un vero uomo. Lui sì che ha messo in piedi la fabbrica. Gli altri, quelli che erano prima, andavano in giro. Ed Isola (14) era negli anni in cui hanno messo la macchina nuova, negli anni sessanta. E poi c’è stato anche Pettinau, ma ha fatto molto meno.
Poi Isola ha lasciato Tolmezzo ed è andato in Brasile, a mettere a posto lì una fabbrica».

SULLA PRODUZIONE E SU QUELLA CIFRA PROPOSTA A CHI VOLEVA ANDARSENE VOLONTARIAMENTE.

Laura chiede se, nel periodo bellico, la cartiera producesse carta o cellulosa.

M.A. «Producevamo cellulosa e nitrocellulosa. Ma dopo che fu scoperto l’uso della nitroglicerina per fare il rayon, facevamo anche questo grazie all’ing. Rith (15) che aveva introdotto la sua produzione in cartiera. Rith fu un vero padre per noi. E in tempo di guerra facevamo anche bambagia che veniva utilizzata al posto del cotone per le ferite.
Ma finita la guerra, la cartiera è ritornata a produrre carta.

Insomma all’inizio la cartiera produceva cellulosa e nitrocellulosa, poi è passata al rayon, ed infine alla carta, ai tempi della Pirelli, almeno da quanto ricordo. E poi non hanno più prodotto cellulosa, perché ora la importano dal Canada. Ma questo credo accada perché ora il mercato richiede più carta che cellulosa.

Laura chiede se è vero che, nel 1954, davano 100.000 lire a chi voleva andar via.

M.A. «Beh le dirò che anch’io ho chiesto di poter andar via ed avere 200.000 lire. (16). Perché io volevo andare in Australia.  Il problema era che la cartiera, per legge, non poteva licenziare. E allora, per mandare a casa gli indesiderabili, perché c’erano operai che erano indesiderabili, allora aveva escogitato di fare così. E bisogna dire che c’erano anche quelli che andavano in cartiera solamente a dormire ed a raccontare agli altri balle e ‘ballette’. Sicché, per mandar via qualche indesiderato la cartiera aveva escogitato questo sistema. E più di uno ha accettato.  Ma io dico la verità: alcuni li avrei mandati via anche senza dar loro una lira, perché vi erano operai ubriaconi, operai che facevano solo lavorare gli altri.
Così volevo approfittare anch’io, ma a me hanno detto che non avrebbero dato né le 200.000 lire né la buona uscita. E allora ho pensato che proprio non potevo perdere tutti quei soldi, e così sono rimasto in cartiera, tanto i sacrifici più grandi li avevo già fatti, e si stava andando verso una situazione migliore.

E quelle 200.000 lire non sono state proposte per mandar via chi era iscritto al Partito (17). C’erano diversi operai, allora, iscritti al Partito, ma facevano come me, facevano il loro dovere. Solo che io, quando dovevo dire qualcosa, non stavo zitto, lo dicevo. Ma erano state offerte per mandar via un po’ di ubriaconi in particolare».

Laura dice che un altro intervistato diceva che le 100.000 lire o 200.000 lire erano state introdotte per mandar via i troppi iscritti al Partito Socialista, ed un altro ancora che la cartiera in quell’anno aveva una sovra produzione di cellulosa e quindi aveva ricorso a questo escamotage per mandar via qualche operaio di troppo, ma Marino Ambrosio smentisce questa altre due versioni.

«No no, non è andata così. Forse la cartiera voleva mandar via anche qualche iscritto al Partito, ma solo quelli più intriganti. Perché vi è modo e modo di fare politica, e se uno incomincia a battere i pugni di qua e di là … Ma a me non avrebbero dato niente, tranne l’ultima paga».

SCISSIONE SINDACALE E CONDIZIONI DI LAVORO.

Laura chiede cosa è accaduto quando il sindacato si è scisso.

M.A. «Allora è avvenuta una baraonda. E c’era qualcosa da ridere e qualcosa da piangere. Perché deve sapere che, quando gli iscritti Cgil dovevano pagare la quota sindacale, lo dovevano fare clandestinamente: senza mai parlare e fuori dalla cartiera. Non era così invece per gli iscritti alla Cisl ed all’Acli. Invece noi dovevamo pagare fuori dalla cartiera, e senza farlo sapere o farci vedere.

Ma si vede che ‘loro’, i capi, ce l’avevano a morte con noi. Comunque riuscivamo pure a fare propaganda all’interno della cartiera, però c’erano molti spioni. E io, quando portavo dentro i giornali del partito, li facevo pagare. C’era invece un bidello, qui di fronte, che non era neppure del Partito, che li distribuiva gratis. Così mi sono arrabbiato ed ho detto che non intendevo più diffondere stampa a pagamento in cartiera, che poi poteva anche crearmi discredito. Perché i primi anni di lavoro era un disastro là».

Interviene la moglie di Ambrosio, che dice che il clima in cartiera era tale, che aveva invitato suo marito a lasciar perdere la politica.

M.A. «E allora poteva succedere di parlare con uno che si credeva amico, per poi scoprire che andava a fare la spia. E si pensava di fare cose positive per tutti e poi, magari, si prendevano solo legnate giù per la testa. E dico il vero. Se fossi giovane ora ritornerei a fare quello che ho fatto, ma non nel modo in cui l’ho fatto. E ora, se uno ‘non è conforme’, gli danno il tango, ma anche allora qualcuno fuori della cartiera le prendeva, e nessuno sapeva chi era stato a dargliele.

E i capi affibbiavano anche multe. A me una volta hanno dato tre ore di multa. Aveva nevicato tutta la notte e c’era più di mezzo metro di neve, ed ero partito alle cinque da casa a piedi per andare in cartiera. Quando sono arrivato vicino all’Enel, stava suonando l’ultima sirena della chiamata. Ma io ho impiegato ancora 5 o 10 minuti per arrivare al lavoro. E quando ho aperto la porta ho visto il capo guardia, che mi ha detto: “Il padrone paga dalle sei!” “Ma io mi sono alzato alle 5” – ho risposto. “Poteva alzarsi prima” – mi ha detto di rimando. Allora gli ho risposto se, secondo lui, avrei dovuto partire alle 4 per giungere in tempo. Quindi ho aggiunto che, se sapevo di tanto, sarei rimasto a casa. E mi hanno dato tre ore di multa per 5 minuti.

E allora sono andato a protestare dal direttore perché a me, che ero andato a lavorare, avevano affibbiato pure la multa, mentre altri non erano neppure venuti a lavorare, e forse io ero stato il più stupido della compagnia. E tutto per ‘tener conto del lavoro’. E questo è accaduto circa nel 1955- 1960. E ho detto anche al direttore che sarei tornato a casa. Il direttore allora ha preso il biglietto della multa e lo ha stracciato».

Laura chiede come fossero i portinai. Interviene la moglie che dice che ce n’era uno in particolare, una specie di capo … Ma Marino Ambrosio smorza quanto dice la moglie e dice che i ritardi si vedevano perché si timbrava ad un certo punto il cartellino. Poi aggiunge che c’erano portinai che parteggiavano per gli operai ma ce n’erano anche di quelli che non era per nulla dalla loro parte. E molto del loro comportamento dipendeva dal gran capo che avevano.

A questo punto la moglie dice che c’era un certo Cecchelin … Ma Laura la blocca sottolineando come sia magari preferibile non dire nomi e cognomi, perché ci sono poi problemi legali nel pubblicarli. Inoltre dato che il figlio di Ambrosio lavora in cartiera è meglio soprassedere.

Marino Ambrosio precisa che molti di quelli di cui egli si ricorda, erano anche ottimi lavoratori e sono morti, però anche lui preferisce una certa cautela e chiede di mettere, nella parte che verrà pubblicata, solo la sigla M.A.. E la moglie aggiunge che ora è tutto cambiato, che non è più come un tempo. Per esempio loro figlio se ritiene giusto far sciopero lo fa, ed ora i lavoratori sono tutelati e possono anche, fra amici, scambiarsi il turno di lavoro.

Immagine dal film “Tempi moderni. (da: http://www.italialavoro.it/wps/wcm/connect/italialavoro/portaleil/root/magazine/recensioni/ct_charlot.

IL PROBLEMA PRINCIPALE ERA MANTENERE IL LAVORO.

M.A. «mentre per noi il problema principale era quello di mantenere il lavoro, di non essere licenziati, perché una volta licenziati era difficilissimo trovare un’altra occupazione in loco e si doveva andare all’estero. E così si doveva mangiare amaro e tirare avanti, con tante umiliazioni, quelle sì. E poi, quando ero in ferie da magari solo due giorni, mi venivano a chiamare perché avevano bisogno che io lavorassi. E allora chiedevo: “Ma perché mi avete concesso le ferie?” Ma non si poteva mai dire di no, perché altrimenti ti dicevano: “Quando sono finite le ferie puoi stare anche a casa”. E quello era un ricatto bello e buono!
Se invece eri ammalato, ti mandavano il medico in casa».

Laura dice però che anche ora possono mandare a casa il medico fiscale a verificare lo stato di salute di un lavoratore della pubblica amministrazione.

M.A. «Ma la cartiera aveva un suo medico, aveva il medico in fabbrica, ed era lui che veniva ad accertare lo stato di salute dei lavoratori.

E in cartiera si lavorava a cottimo, ed io ho sempre lavorato così. Ma ora è stato abolito. Invece non esisteva il sistema realmente tayloristico, quello che prevede una penalità se uno non riesce a fare il lavoro nei tempi previsti, che invece esiste alla Fiat, all’Alfa Sud. Avevano messo sì dei controllori con i cronometri anche in cartiera, nel 1967- 68, che noi chiamavamo i ‘contachilometri’. Ed esistono anche ora. Questi addetti passano nei reparti per controllare quello che si può fare in un’ora, e per porlo come obiettivo. Ma questo metodo è stato introdotto dalla Pirelli ed era della Fiat.

In cartiera chi riusciva a produrre di più e bene in minor tempo poteva andare a casa prima, per esempio. Io ho fatto un periodo in cui, con altri 5, entravo in fabbrica a mezzogiorno perché ero addetto allo scarico dei camion del legname, dei refili ed ad accatastarlo. Ed erano giunti dei camion di legname dalla Jugoslavia. Allora ci hanno dato un ‘vagone’ a testa da scaricare e ci hanno detto: “Quando avete finito sono 8 ore”. E se avessi finito alle 16, potevo andarmene a casa. Ma sa, allora non c’erano macchinari per scaricare, e mettevano il camion sul pianale e scaricavamo a spalla, braccia e ‘sapin’. (18). Poi, negli anni ’60, la cartiera ha acquistato un sollevatore.

E si accatastavano i rifili ponendoli in croce, e si facevano cataste alte tre o quattro metri. Ma il lavoro a cottimo poteva essere favorevole o sfavorevole al lavoratore, perché se si impiegava più di 8 ore a svolgere il compito assegnato, venivano pagate comunque solo 8 ore».

Laura chiede come fossero regolati i tempi per andare in bagno, o, magari, a fumare una sigaretta.

M.A. «Se si era furbi si riusciva a ricavare degli spazi per sé e per una pausa sigaretta. Ma spesso quando ti muovevi ti veniva dietro il capo ‘con il fucile spianato’. Adesso invece gli operai hanno un posto per fumare ed uno per mangiare, ma allora non era così. Per dir la verità c’era una cucina che forniva però una minestra che a me aveva fatto venir mal di stomaco e così mi portavo da mangiare da casa. Però ho lavorato, nel 1943-44, anche come aiuto nella prima cucina presente in cartiera».

Laura chiede infine a Marino Ambrosio se è vero che, quando c’è stato l’attentato a Togliatti, la cartiera ha pagato perché gli operai non scendessero in sciopero.

M.A. «Non è vero. Noi quella volta abbiamo fatto sciopero, e siamo andati in piazza a Tolmezzo: tutti. E quelli che non volevano aderire li abbiamo ‘presi per il cravattino’ e fuori!»

Cipputi di Altan. (Da: https://www.brindisireport.it/cronaca/cig-febbraio-in-calo-rispetto-a-2012.html).

E ALLORA ANDAVANO ANCHE A PRENDERE GLI OPERAI IN CASA …

Laura chiede poi se è vero che l’ing. Finzi andava per le case a chiamare gli operai perché andassero al lavoro e non facessero sciopero, come narrato da Pieri ‘precis’. Marino Ambrosio conferma il fatto che Finzi andava a prendere in casa gli operai per portarli al lavoro. E lo conferma anche la signora. Ma poi Finzi è andato via.

M.A. «Andavano con la macchina a recuperare in casa gli operai. Ma io tagliavo la corda, e me non mi pescavano più. E dopo che per un paio di volte mi avevano richiamato dalle ferie dopo due giorni, appena andavo in ferie partivo con un mio amico che aveva un camion, e non mi facevo vedere sino alla fine ferie. Ed ad un certo punto facevano tutti così.
Perché, per esempio io, durante le ferie, dovevo andare nel bosco a fare un po’di legna, e dato che mi richiamavano al lavoro non riuscivo mai a farle.

E venivano a prendere a casa meccanici ed elettricisti anche di notte, quando accadeva qualcosa ai motori. E uno che magari aveva fatto la notte, veniva chiamato il mattino di nuovo a riparare un guasto. Ma io credo che l’andare a prendere operai in casa poteva succedere solo in questi paesi. Sa, Signora, i padroni si approfittavano perché c’era solo questa fabbrica in questi paesi. Ed era la miseria che lo permetteva. E si approfittavano anche troppo. E così altri».

La signora racconta poi un episodio. Un amico di suo marito, che lavorava con Morgante prima della seconda guerra mondiale, aveva dato un sacco di setiç, di segatura, senza chiederlo al padrone, e si è ritrovato licenziato. Eppure la segatura veniva data via gratis. Ma il signor padrone doveva essere riverito.

E se il padrone diceva di sì, si doveva dire grazie signor padrone, se diceva di no si doveva dire grazie signor padrone lo stesso. E questa è la solita solfa dei carnici. Perché noi diciamo sempre scior paron, perché in Carnia il lavoratore doveva sempre sottomettersi al padrone».

Così termina l’intervista a Marino Ambrosio.
Chi conoscesse i nomi degli ingegneri: Pettinau, Ponte e Rich, per cortesia li comunichi. Ricordo che la storia della cartiera di Tolmezzo è anche storia della Carnia.

Laura Matelda Puppini.

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Note.

  1. Livio Pesce era un commerciante tolmezzino dell’area socialista, nato nel 1908, morto nel 1995. Antifascista, fu eletto primo sindaco di Tolmezzo nelle prime elezioni amministrative del secondo dopoguerra, nel 1946, con una lista di concentrazione repubblicana. Si dette da fare per costruire gli acquedotti di Fusea e Cazzaso, per allacciare all’acquedotto Tolmezzino Cadunea, creò 40 case popolari, una cucina popolare per i poveri, e con Terenzio Zoffi, il comandante partigiano osovano Bruno, tentò di realizzare il progetto ‘Carnici in Paraguay’. Fu osteggiato dai democristiani in particolare e dalla stampa locale e denigrato, e, amareggiato, ne 1953 si ritirò ad Udine, dopo aver subito pure atti vandalici, come la rottura della bella vetrina nuova del suo negozio, sito in piazza XX settembre, ove ora è la casa Dorotea. Alle amministrative del 1951, vinse a Tolmezzo la Dc, che pensò però, se non erro, per prima cosa, a riempire l’ufficio del Sindaco di mobili nuovi. (Per Livio Pesce, cfr. Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico dalla resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel Novecento italiano, a cura di Laura Matelda Puppini, Ifsml, Kappa Vu ed. 2013, nota 5 p 207; Laura Matelda Puppini, Schede partigiani garibaldini, uomini e donne che scrissero la storia della democrazia, operativi in Carnia, in: nonsolocarnia.info, p. 65. Per l’Amministrazione di Concentrazione Repubblicana diretta da Livio Pesce, cfr. Laura e Marco Puppini, sull’amministrazione di concentrazione repubblicana a Tolmezzo dopo la Liberazione, prima pubblicazione Qualestoria, periodico dell’Irsml, 3 novembre 1979, pp. 1-13)
  2. Viene chiamato borgo Pesce quello sito nella cosiddetta piazzetta rossa, o piazza Martiri della libertà, ora occupata da una grande ed inutile rotonda, che prosegue verso via Divisione Garibaldi e piazza Centa da un lato, verso via Divisione Osoppo dall’altra. Gli appartamenti, più che decorosi per l’epoca, vennero costruiti con i soldi dello stato per l’edilizia popolare. Una parte del terreno, che prevedeva anche quello per la strada di accesso da piazza Centa, fu dato dal comune a titolo gratuito, ma un’altra parte venne acquistato, con una lunga trattativa, perché pare ci fossero contadini che volevano speculare più che opporsi per motivi ideologici.
  3. Par di capire che la Dc lo avesse accusato di essersi intascato i soldi ma, precisa Ambrosio Marino, era una delle solite falsità messe in giro contro di lui.
  4. Chi era fortemente contrario a Pesce era la Dc, ed erano a lui contrari i cattolici e i social democratici, e le destre in generale, per i soliti motivi politici del secondo dopoguerra, ma anche Prefettura e Provincia di Udine ne ostacolarono di fatto l’operato, creando difficoltà anche per attività che erano veramente volte ai cittadini. E ci fu chi si dedicò anche alla maldicenza ed alle insinuazioni, pur di raggiungere lo scopo di mettere in cattiva luce Livio Pesce, che aveva il peccato di essere di sinistra. Ma non solo: anche membri del Consiglio comunale, che erano con Pesce, furono presi di mira e subirono azioni persecutorie. (Cfr. Laura e Marco Puppini sull’amministrazione di concentrazione repubblicana, op. cit., p. 9 -11).
  5. La Cartiera era stata creata da Aristide Petzalis, ebreo, che era anche il direttore generale della cartiera Naejere a Willebroek, in Belgio, che era di proprietà di una società di cui faceva parte lo stesso Petzalis oltre che De Naeyer e Le Croix. Così nel 1929 uomini e donne della Carnia vennero mandati a Willembroek per imparare a lavorare e per seguire corsi di qualificazione.  (Testimonianza di Virgino Spiluttini raccolta da Dino Zanier a Verzegnis il 7 settembre 1979, pubblicata a stralci in: AA.VV., La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980, pp. 95- 98 e 214 -215).
  6. I Marpillero di Tolmezzo, che io sappia, erano allora fascisti, ma non so se lo fosse anche detto ingegnere né se appartenesse al ceppo tolmezzino dei Marpillero. Inoltre pare che l’avv. Dante Marpillero fosse diventato amico di Benito Mussolini nel 1906, quando questi era maestro a Tolmezzo. Ma non so se corrisponde a verità. (Cfr. https://www.politicamagazine.it/2011/09/03/dante-marpillero-l-amico-sconosciuto-del-giovane-mussolini/).
  7. Aristide Petzalis era di origine ebraica e venne allontanato dalla cartiera a causa delle leggi razziali nel 1938. Così la fabbrica rimase in mano al direttore generale Marpillero, sino al 1939, quando entrò nella società proprietaria la Pirelli, inizialmente con quota azionaria minoritaria. (Cfr. Laura e Marco Puppini, Movimento operaio, op. cit., p. 70). Dopo la fine della guerra, Petzalis ritornò a dirigere la Cartiera per un breve periodo, ma quanto basta per mandar via l’ing. Pettinau, presumibilmente di origine sarda.
  8. La cartiera, nel periodo in cui la Carnia faceva parte dell’Ozak, era diventata industria protetta per la produzione bellica tedesca e sopravvisse a stento, evitando che i macchinari venissero inviati in Germania, grazie all’abilità del direttore generale ing. Pettinau, di cui non sono riuscita a trovare il nome. Ed anche il sindacato, nel dopoguerra, dette pubblico riconoscimento all’ingegnere per questa sua capacità. (Cfr. Laura e Marco Puppini, Movimento operaio, op. cit., p. 72 e ivi nota 48). Dopo la fine della guerra, rientrò dal Belgio Petzalis, e fu allontanato Pettinau. Ciò portò ad uno sciopero spontaneo per protesta e di sostegno a Pettinau, considerato da tutti il salvatore della cartiera di Tolmezzo. E questo fatto fa comprendere come, sotto i tedeschi, si fosse instaurata una unità fra lavoratori e dirigenza. (Ivi, p. 74).
  9. I partigiani avevano tagliato il rifornimento d’acqua a Tolmezzo ancora in mano ai nazisti, durante il periodo della Z.L. di Carnia e dell’alto spilimberghese, mentre i nazisti impedivano di rifornire di cibo la Carnia intera. Per la difficoltà di avere anche acqua in ospedale a Tolmezzo, cfr. Giacomo Solero. Esperienze vissute per l’ospedale tolmezzino, in: nonsolocarnia.info.
  10. Famiglie di via Linussio zona alta, poi via Renato Del Din e credo anche di via Roma, via del Tintore, via Oscura, prendevano acqua con i secchi dalla sorgente degli Aita, che aprivano i cancelli della loro proprietà per questo motivo. E mia madre si ricorda le lunghe file, ordinate e disciplinate, che si formavano. Inoltre, ad un certo punto, venne scavato in piazza Centa un pozzo, che forniva però acqua non pulita, e che fu fatto chiudere da Livio Pesce.
  11. Ho reso così la frase mimata. “E da così era diventato così”, e nel contempo Marino Ambrosio prima aveva stretto le due dita, come ad indicare un sassolino, e poi aveva allargato le braccia, come ad indicare un macigno.
  12. Qui buono è italianizzazione dal friulano e non è qui inteso come complimento. Questo è comunque un giudizio personale di Ambrosio.
  13. Pare strano che uno che aveva rifiutato per anni la tessera del fascio, e che faceva parte del gruppetto dei socialisti e comunisti in cartiera, tanto da esser preso di mira con altri 17, non si fosse mai interessato di politica.
  14. Qui non si capisce se Pettinau fosse stato dopo Isola o prima, e forse Marino Ambrosio non sapeva fatti generali su Pettinau e la situazione della cartiera sotto i tedeschi.
  15. La produzione di rayon era stata voluta in particolare dalla Pirelli perché serviva pure per costruire pneumatici. (Laura e Marco Puppini, Movimento operaio, op. cit., p. 71). Non sono riuscita a trovare neppure il nome dell’ing. Rith.
  16. Nelle testimonianze che ho raccolto ci sono divergenze sulla cifra. Ambrosio parla di 200.000 lire, altro di 100.000 lire.
  17. Qui per Partito si intende forse il PCI. Marino Ambrosio da che so era però socialista.
  18. Ascia a manico lungo, uncinata in cima, per permettere di prendere il tronco. (Cfr. Laura Matelda Puppini, La fluitazione del legname, ISIS ‘F. Solari’, Tolmezzo, a.s. 2006-2007, http://docplayer.it/33401214-La-fluitazione-del-legname.html).

 

 

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