Scrivo queste righe per recensire un libro che contiene e presenta uno scritto uscito dalla soffitta di una casa di Pordenone, ed in un primo tempo appannaggio solo degli stretti familiari, poi, dopo la morte dell’autore, offerto al pubblico. E sto parlando del volume “Mario Bettoli. (a cura di Gian Luigi Bettoli e Monica Emmanuelli), Storia della brigata partigiana Ippolito Nievo A”, ed. Olmis 2023, appena uscito, e che, devo dire, non ha un titolo molto accattivante, ma tant’ è.

Ma chi era Mario Bettoli? Io non l’ho mai conosciuto, e vorrei presentarlo a voi, miei lettori, utilizzando alcune frasi estrapolate dal volume.

«Io non credo alla verità delle dichiarazioni. – Con queste parole Mario Bettoli si rivolgeva ad un   gruppo di giovani giunti da Venezia per intervistarlo. – E così continuava: «Questo vale per tutti, compreso il sottoscritto. Perché le dichiarazioni valgono su un piano umano, ma se non c’è la prova certa, tutte le dichiarazioni sono opinioni non verità storica». Quanto aveva ragione questo ‘comunistaccio’, (detto affetuosamente) poi parlamentare socialista, figlio dell’Azione Cattolica, che nel 1944 aveva pure conosciuto il carcere! (1). Ed egli ripeteva spesso queste parole, ben consapevole di quanto fragile potesse essere la memoria tramandata e soprattutto quanto facilmente potesse cadere preda di strumentalizzazioni o mistificazioni. (Mario Bettoli, p.7). Non solo: egli aveva ben chiari dentro di sé il motivo per cui era entrato a far parte della resistenza: quella «volontà di costruire una società nuova che andasse a rompere quegli schemi individualistici tipici della società fascista, strutturata su tanti singoli ‘egoismi’ e su nessun progetto comune ‘di classe». (Ivi).

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Era un operaio Mario, e sposerà una maestra, ed il suo impegno per il sindacato, rigorosamente CGIL;  per il Partito anche a livello nazionale; per la Casa del Popolo di Torre, come consigliere regionale continuerà negli anni pur in tempi così difficili per chi era socialista o comunista. Sapete, anche gli operai della cartiera di Tolmezzo e Guerrino Gabino sindacalista pure alla miniera di Raibl mi hanno narrato quante difficoltà si incontrarono nel secondo dopoguerra e quante critiche per il solo essere di sinistra, ma la fede di questi uomini in un domani migliore era incrollabile.

Ed il giovanissimo partigiano Bettoli, che aveva imbracciato il fucile a 19 anni, continuò il suo impegno civile e politico, giocando a viso aperto il suo nome per le sue idee, proprio lui che aveva scelto come nome di battaglia ‘Innominato’.

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«Ci sono persone, uomini e donne, che basta ricordare con il loro nome per descrivere quanto essi hanno rappresentato per la nostra storia, per la sinistra, per il sindacato, per la Cgil. Mario Bettoli è uno di questi», scrive di lui Giuliana Pigozzo. (Ivi, p. 11). E colpisce questo continuo impegno, e diventa aspetto didattico per le nuove generazioni in questo mondo vacuo, della finanza, del dominio del Dio soldo e delle multinazionali, dove si parla di ‘generazione neet”, dove l’insegnamento valoriale ai giovani è miseramente fallito.

Abbiamo in questa Italia allo sbando, bisogno di ascoltare storie di impegno civile e di lotta per i diritti dei lavoratori, e non delle miserrime apparizioni di cantanti ed influencer che, da che si legge, hanno dato mostra di uno squallore enorme al festival di Sanremo, pur essendo presente Sergio Mattarella.

Ma nel contempo non possiamo dimenticare che insieme a Bettoli molte donne e uomini lottarono per un mondo migliore nella resistenza e nelle fabbriche, che molte furono le persone in cammino insieme, sia nel movimento partigiano che in quello operaio, tutte con le loro peculiarità, con le loro qualità ed i loro difetti.  Non per caso si parla, appunto, di movimento partigiano e operaio. E questo aspetto non emerge sufficientemente nella parte introduttiva.

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Qualcuno si è stupito che Mario Bettoli avesse gelosamente conservato i canti partigiani, ma spesso ci si è dimenticati del valore che essi ebbero nel corso della resistenza, come tra i soldati negli eserciti, e se in questo volume si sottolinea la loro funzione educativa e formativa, ci si dimentica però l’aspetto emotivo.

Scrive nel merito Pierluigi Ridolfi, in “Canti e poesie della grande guerra. Per non dimenticare”: «Nella tragedia di quella guerra fa spicco un elemento di novità assoluta rispetto a tutti i precedenti conflitti: il gran numero di canti che parlano dei soldati, della nostalgia di casa, dell’amore, del terrore di chi ha visto la morte da vicino. Ve ne sono anche di spensierati, allegri, goderecci, cantati in coro nelle serate trascorse nelle retrovie, per scacciare la paura; altri, ritmati, adatti ad accompagnare il passo durante le marce». (2).

Ma questa valenza lenitiva e ansiolitica fu propria anche del canto partigiano, come la capacità di unire voci e persone verso un unico obiettivo. Basti pensare a “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur di deve andar, a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sol dell’avvenir”.

E dobbiamo davvero essere grati a Mario Bettoli per aver gelosamente conservato quei canti, per averceli donati. Vale la pena di acquistare il volume solo per questo. Ma anche Romano Marchetti nelle sue memorie (3) ci narra di Mario Candotti che suonava la fisarmonica, dopo il primo tentativo di comando unico, anche per smorzare la tensione accumulata. Inoltre questi canti riportati da Bettoli, anche propri del bagaglio comunista,  riassumono in modo preciso gli ideali partigiani garibaldini, basta leggere questa frase come esempio: «Che giustizia venga noi chiediamo/non più servi non più signori/ Fratelli tutti esser vogliamo/ nella famiglia e nel lavoro/». (Frase da “l’Internazionale” riportata da Mario Bettoli, p. 20). Ed il “tutti fratelli” viene ripetuto anche da Tranquillo De Caneva garibaldino, quando, percorrendo una china, vede Romano Marchetti, atteggiandosi ad un abbraccio.  E sappiamo pure che per la Divisione Osoppo il compito di scrivere il testo di canti partigiani e poesie fu di Adalgiso (detto Giso) Fior, di Verzegnis.

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Quindi il volume continua con una relazione sui “rapporti controversi tra le due brigate Ippolito Nievo, letti dal punto di vista di ‘Tribuno”, e da questo testo veniamo a sapere un aspetto molto importante e pregnante per Mario Bettoli: Mario Modotti ‘Tribuno’, prima di recarsi in pianura per l’ultima missione, che lo portò poi alla cattura, alla tortura ed alla morte,  consegnò al suo giovane compagno il proprio fazzoletto rosso, che Mario conservò poi con orgoglio, gelosamente, per consegnarlo infine alla compagna di vita del noto comandante partigiano.

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Alcune righe sono poi dedicate alla ‘Resistenza internazionale’, intendendosi qui l’opera del btg. ‘Stalin’, l’apporto della resistenza austriaca e il contributo dato da partigiani non italiani alla resistenza friulana. Un altro capitolo è poi dedicato a Mario Betto, ‘Spartaco’, caduto per salvare il suo giovane compagno di lotta, ed alla sua storia forse non ancora del tutto chiarita ed al battaglione che ne portò poi il nome, e si fa luce su alcuni aspetti legati all’incontro tra alcuni garibaldini e rappresentanti della X Mas ad Andreis, paese  che diventa un quasi “filo conduttore” di questa parte.

E su questo volume si legge anche che «l’ipotesi della trattativa, al fine di approfittare delle debolezze del nemico» non era presente solo in questo piccolo reparto isolato, ma era propria anche del comandante della brigata Ciro Menotti della divisione Nannetti. «Perché non sfruttiamo l’occasione? Perché non adottiamo il “divide et impera”? Cercare di disgregarli fra loro e di ricavarne del profitto!» (Mario Bettoli, p. 31). E si può certamente dire che il libro presenta pure una serie di spunti inediti su cui riflettere.

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Successivamente i curatori Gian Luigi Bettoli e Monica Emmanuelli pongono una serie di informazioni di spessore relativamente alla Brigata Bixio della Divisione Nanetti che “occupa il Friuli Occidentale” ed al comandante “Biella”, Vittorio Cao, che liberò Maniago, per poi passare ad un capitoletto intitolato: “Scambi solidali tra i garibaldini e un parroco patriota”, che altri non è che don Pellarin, parroco allora di Andreis, (che fu l’unico a difendere i boia della X Mas al processo di Vicenza e questo lo dico io), in cui si parla pure di generi alimentari donati dai partigiani ai poveri del paese tramite il prete, che ne aveva fatto richiesta.

Il volume, ricco di note, continua sempre con una serie di argomenti solo parzialmente collegati, senza permettere una visione di insieme al lettore, e senza che lo stesso ben capisca quanto è stato scritto da Mario Bettoli e quanto dai curatori, non essendo stato usato per l’originale il corsivo.

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Il capitolo seguente si intitola: “Una resistenza operaia. Metalmeccanica” e da esso si viene a sapere che esiste un archivio di Mario Bettoli che contiene pure 180 schede di partigiani, analizzate dai curatori per vedere l’estrazione sociale e la scolarizzazione dei partigiani, per poi scoprire che ben pochi erano contadini e che gran parte di questi giovani apparteneva alle classi di leva 1924 – 1925- 1926. Ma il campione è poco significativo per ricavarne un dato complessivo allargabile a tutta la resistenza friulana, anche se pure a me pare che la classe proletaria, per dirla in breve, e meno abbiente abbia dato il contributo più ampio alla resistenza. L’aspetto interessante è però che, vista la larga presenza operaia, i partigiani della Ippolito Nievo svilupparono una politica sindacale, in particolare «sottoscrivendo uno dei  “contratti della montagna” elaborati nell’Italia settentrionale. (4).

Questo quanto scrive nel merito Mario Bettoli: «Una delegazione, guidata dal partigiano pordenonese Francesco Rossi (Mario Zero), comandante del Btg. Gramsci in Valcellina, incontra i rappresentanti degli industriali, che stanno producendo per i tedeschi: la richiesta, accolta, è quella di raddoppiare i salari operai, in cambio della pace sociale fino alla Liberazione. Ma la trattativa non vede protagoniste – come a Pordenone – le rappresentanze operaie, e l’imperfetto collegamento fra i partigiani locali e quelli della Valcellina lascia all’oscuro la maggioranza dei lavoratori». (Mario Bettoli, p. 45). Ed anche questa notizia è molto interessante, e mostra altre specificità della resistenza in alcune zone.

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Quindi il volume continua con una specie di storia della diffusione e datazione degli appunti di Mario Bettoli, ma con molte ipotesi e poche certezze. Infine, i curatori si decidono a spiegarci come è composto il testo originale, «46 pagine (è mancante la n. 18, per un evidente refuso), compilate solo su una facciata. Il fascicolo è rilegato con pinzatura in ferro e la copertina è stata realizzata con fogli di cartoncino, la cui pagina posteriore è stata strappata. Al testo si accompagna in fogli sparsi di carta velina (alcuni dei quali riportano il logo della Cooperativa Maniaghese Autotrasporti) una bozza, parzialmente difforme.
Per ragioni esplicative- continuano i curatori –  le parti significativamente diverse che non si trovano nella stesura definitiva, sono state riprese in questa sede, inserendole tra parentesi quadre. Per quanto tali integrazioni non mutino il senso generale dell’esposizione, sono storicamente interessanti, in alcuni casi scritte in maniera più accurata o con riferimenti spazio temporali più precisi e ci aiutano a comprendere i processi di riflessione ideologica elaborati da un operaio ventunenne», (Mario Bettoli, p. 54). quando sarebbe stato più opportuno, secondo me porlo all’inizio.

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E si giunge infine alla parte più consistente del lavoro, che contiene il cuore dello scritto e che dà titolo allo stesso: “La Brigata Ippolito Nievo nel movimento partigiano [Garibaldini italiani]”, scritta da Mario Bettoli, commissario del battaglione Buzzi in un buon italiano, e dove, come accadeva, parla di sé anche in terza persona. Questa parte è di facile lettura, è scorrevole e porta un ricco contributo alla storia del movimento partigiano.
Le appendici contengono schede minime sui partigiani nominati nel lavoro e note corredate da documenti originali sull’ attività sindacale post bellica del Bettoli.

Al termine di questa mia lunghissima recensione, posso solo dire che il volume sicuramente merita di essere letto, e che se ci sono problematiche sono più di impostazione del testo e di difficoltà nella prima parte a trovare un filo logico che unisca le parti.

Laura Matelda Puppini

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(1) Una biografia di Mario Bettoli è stata pubblicata il 3 dicembre 2012 da Gian Luigi Bettoli, detto Gigi, figlio di Mario, con titolo «Istruzioni per una biografia che non scriverò: il partigiano Mario Bettoli “Innominato”» in: http://www.storiastoriepn.it/istruzioni-per-una-biografia-che-non-scrivero-il-partigiano-mario-bettoli-innominato/, a cui rimando.

(2) Pierluigi Ridolfi, in “Canti e poesie della grande guerra. Per non dimenticare, in: https://www.associazioneamicilincei.it/wp-content/uploads/2019/02/Canti-guerra-mondiale-interni.pdf., p. 10.

(3) Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini) Da Maiaso al Golico, dalla resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml, Kappa-Vu, 2013.

(4) I contratti della montagna furono dei contatti di lavoro operaio che furono stipulati, in particolare nel biellese,  già dall’estate 1943, (forse dopo i grandi scioperi del marzo di quell’anno)  e nella primavera del 1944 ad si fuori dell’organizzazione fascista. Nel merito cfr. Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’ Italia, Comitato Provinciale del Biellese, “Il contratto della montagna”, in: https://st.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2018/07/24/Contratto-libricino.pdf. Secondo Gian Luigi Bettoli gli accordi sindacali resistenziali che conosciamo sono sono due: Maniago e Biella, ma ce ne sono stati molti altri ancora da catalogare, per esempio uno al Cotonificio Veneziano ed uno allo stabilimento Amman di Pordenone, per quel che si sa.

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L ‘immagine che accompagna l’articolo ritrae Mario Bettoli ed è tratta da: “http://www.casadelpopolo.org/intervista-a-mario-bettoli/. L.M.P.

 

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