Introduzione.

Riporto qui il secondo articolo promesso sulle “Linee guida per la didattica della frontiera adriatica” in quanto non intendo leggere 90 pagine perché non ho tempo anche per questo, e questo documento ministeriale non mi attrae particolarmente, dopo aver già letto in proposito testi più qualificati per farmi una idea dell’accaduto ed aver pubblicato gli elenchi, anche se per ora solo parzialmente, degli arrestati dagli jugoslavi in provincia di Gorizia pubblicati dal Messaggero Veneto nel 2006.  Ed invero lascia costernati che ci sia voluto il placet di associazioni private e ‘di categoria’ come quelle formate da figli e nipoti di esuli e profughi, per sancire il testo su questa “Storia di Stato” che riguarda fatti sui quali esse hanno prodotto da anni ed anni una visione unilaterale, e queste associazioni ne abbiano anche sottoscritto la metodologia di studio e il ‘dove studiare’. (1). Insomma pare che gli storici possano scrivere sì, ma solo se i loro testi piacciono a qualcuno. E così, a mio avviso, la libertà di ricerca e di insegnamento vanno a farsi benedire. E se erro correggetemi.

Pertanto mi affido a chi ha fatto la fatica di leggere queste “Linee guida … ” e, dopo aver pubblicato alcune mie considerazioni e l’articolo di Eric Gobetti,  passo al secondo testo promesso sull’argomento, scritto da Mario Di Vito.

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Ma chi è Mario Di Vito? È un giovanissimo reporter e cronista marchigiano, narratore di una Italia attraversata dalla crisi economica, dalla furia dei terremoti e dall’abbandono delle istituzioni , ed è uno dei pochi che in questi anni hanno raccontato l’Italia centrale e la provincia vera, quella dei piccoli paesi e dalle mille contraddizioni. Lo ha fatto dalle pagine del Manifesto con il piglio dell’osservatore militante, la capacità espressiva del cronista di razza, ma anche con i mezzi del narratore. Nei suoi libri mescola con grande abilità i fatti giornalistici con l’inchiesta, l’affresco politico-sociale con il racconto tout court degli ambienti di un’Italia nascosta, minore, quella umbra, marchigiana, abruzzese, un tempo culla del benessere diffuso e della cultura progressista, oggi investita da una profonda crisi economica e di valori.

E se qualcuno mi obietterà che questa analisi Di De Vito è di sinistra, io implicitamente potrei argomentare che allora si ammette l’esistenza di una storia di ‘destra’, non unicamente di una ricerca storica che punta ai fatti. (2). Ma passiamo all’articolo.

Mario Di Vito. Se il Miur anticipa Meloni.

«Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da una larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur.

Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagine tutto per sé.

Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali.

LA SCUSA della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa.

I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.

NEL MERITO, poi, queste linee guida sembrano rappresentare un malriuscito esempio di «memoria condivisa», in cui si parla sì dei crimini perpetrati dagli italiani durante l’occupazione di quei territori, ma in cui pure si specifica che i due eventi non sono da mettere in correlazione. Si parla, in proposito, di «strategia dell’elusione».

«Se nell’ambito di un’unità didattica sulle foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia – si legge a pagina 17 -, questa non va considerata come corretta contestualizzazione. Bensì quale mera elusione». Le cause, dunque, andrebbero ricercate in una «pluralità di contesti tra loro connessi», dalla fine dell’impero asburgico all’inizio del comunismo.

ECCO, IL COMUNISMO e la rivoluzione di Tito occupano il posto d’onore sul banco degli imputati di queste linee guida. Non manca spazio, ovviamente, per il Pci, al quale (pagina 78) viene dedicato un paragrafetto intitolato «Il silenzio di partito», che così recita: «Il Pci evita di parlare dell’argomento per non rendere evidente la propria posizione, legata anche alle indicazioni di Mosca, su quanto avviene lungo il confine nordorientale».

Tre righe appena che, qui sì, annullano completamente il contesto, addossando ai comunisti italiani una sorta di concorso di colpa per quelle vicende, senza fare il minimo cenno al dibattito interno, che pure ci fu, e ai complicati rapporti tra Tito e Togliatti, documentati da ampia storiografia. Poco sotto, stessa pagina, si parla anche di «silenzio di Stato» (per qualche ignoto motivo diverso da quello del Pci) in cui si afferma che le varie forze politiche preferirono lasciar perdere la questione delle foibe «per non aprire i conti col passato» e cercare di celare il fatto che l’Italia la guerra l’aveva persa.

Il nodo, in fondo, sarebbe tutto qui: ogni guerra significa morte e distruzione, le recriminazioni dei vinti sulla ferocia dei vincitori sono sì argomento interessante, ma anche spesso e volentieri interessato. Del resto, quella delle foibe è da sempre una vicenda che la destra italiana più o meno postfascista utilizza per bollare la Liberazione come un evento tragico per il Paese e non come uno dei mezzi grazie al quale siamo diventati una democrazia.

Da notare, infine, come curiosamente le linee guida affrontino in maniera parziale la questione del numero delle vittime delle foibe. Si legge a pagina 19: «Mentre sul piano della pietà sarebbe importante conoscere esattamente la sorte di ogni vittima, lo stabilire un ordine di grandezza in molti casi può risultare sufficiente sul piano dell’interpretazione storica».

E VA BENE, ma qual è questa grandezza? Nessuna indicazione. Si parla di «esagerazioni» (pagina 62), ma si mette anche in guardia «dall’assumere in sede interpretativa il medesimo punto di vista degli autori delle stragi, ribaltando sulle vittime l’onere di provare la loro innocenza». Così si parla di repressione su un numero di persone comprese tra le 60 mila e le 100 mila, ma niente viene detto sulle vittime. Questo, è del tutto evidente, offre uno scudo istituzionale alle «esagerazioni» di cui sopra. E il problema, dunque, non è la giustificazione delle stragi, ma l’apertura delle porte del ministero a ogni tipo di revisionismo.

Mario Di Vito».

Da: https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003282052.

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Note.

(1) https://www.novecento.org/per-il-giorno-del-ricordo/le-linee-guida-per-la-didattica-della-frontiera-adriatica-unoccasione-da-non-perdere-7591/).

(2) https://left.it/2022/01/03/mario-di-vito-le-mie-cronache-dallappennino-resistente/.

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L’ immagine che accompagna l’articolo è tratta da: https://dalmatitaliani.org/2022/10/21/ministero-istruzione-linee-guida-frontiera-adriatica/. Tra l’altro è interessante ed emblematico che associazioni di categora e no di storici postino sul loro sito il testo del Miur. Laura Matelda Puppini.

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