Marsiglia, città martire, come Lubiana, circondata da filo spinato.

Ritorno qui su quelle città europee martiri, che i nazisti ed i loro collaboratori segnarono con il filo spinato, le armi ed il fuoco per soggiogarle, per cancellarne la Resistenza, per piegarle a loro uso e consumo. Ho parlato di Lubiana e parlerò di Marsiglia, la francese, la cui zona intorno al porto vecchio fu distrutta dai nazisti.

Non ne avevo mai sentito parlare, lo confesso, finché pochi giorni fa Francesco Cecchini non mi invitò a leggere un suo articolo intitolato “Un’inchiesta aperta per crimini contro l’umanità’ dopo la retata e la deportazione al vieux port”, pubblicato su: https://www.ancorafischiailvento.org/.

A cosa si riferiva Francesco? Leggendo il testo lo si capiva subito: parlava di Marsiglia, guardandola prima con gli occhi di Jean Claude Izzo, e citando, da “Solea”: «Qui, c’era sempre aria di mare, non era vera aria fresca, ma bastava non gocciolare il sudore ad ogni sorso di birra. Stavo bene qui. Nella più bella terrazza del Porto Vecchio. La sola in cui si può godere, dalla mattina alla sera, la luce della città. Non capiremo mai Marsiglia se siamo indifferenti alla sua luce. Qui è palpabile. Anche nelle ore più calde. Anche quando costringe ad abbassare gli occhi. Come oggi» (Francesco Cecchini, op. cit.), per poi cambiare improvvisamente l’ottica e rivolgersi all’occupazione nazista della città, avvenuta il 12 novembre 1942, quando quella luce mista a benessere scomparve, ed iniziò la resistenza. (Ivi).

E quindi, il 22 gennaio 1943, «Marsiglia fu investita da imponenti forze di polizia. Venerdì 22 gennaio tutto fu pronto e la grande retata di Marsiglia iniziò. Fu, dopo quella di Vel d’hiv a Parigi, la più grande retata sotto l’occupazione nazista. Durante il rastrellamento in tutti i quartieri del centro di Marsiglia furono controllate 40000 persone e tra queste furono arrestate 5956 persone; 1642 vennero inviate alla prigione di Baumettes, inclusi 782 ebrei inviati la mattina del 24 gennaio a Camp Compiegne. Nessuno tornò dal campo di sterminio di Sobibor in Polonia. A questa operazione criminale parteciparono anche moltissimi poliziotti francesi, per lo più venuti da Parigi. Erano presenti Bousquet, Segretario generale della polizia di Vichy; Lemoine, Prefetto regionale; Barraud, delegato prefetto dell’amministrazione comunale; Chopin, Prefetto delle Bocche del Rodano; Rodelle de Porzic, Intendente di polizia». (Ivi).

E come non bastasse, il distretto ‘Le Panier’, il più antico e malfamato della città, ed il porto vecchio, individuati come culle della resistenza, furono, il 1 febbraio 1943, fatti saltare con la dinamite o demoliti con mezzi meccanici. Per questi crimini, per i rastrellamenti, per tutti quei morti, senza tetto, affamati, feriti, deportati che non faranno più ritorno, si è ora aperta un’indagine per crimini contro l’umanità, grazie ad un avvocato Pascal Luongo, il cui nonno era stato una delle vittime del grande rastrellamento, e che ha assunto la rappresentanza legale di 4 sopravvissuti alla retata del 22 gennaio, il quale ha presentato una denuncia contro ignoti. (Ivi e Chloé Leprince, Rafle à Marseille en 1943: un quartier rasé et le petit rire de Pétain, in: https://www.franceculture.fr/).

Durant la rafle du Vieux-Port à Marseille, en janvier 1943.  Autore: Wolfgang Vennemann, via les archives fédérales / Wikicommons. (Da: Chloé Leprince, Rafle à Marseille en 1943: un quartier rasé et le petit rire de Pétain, in: https://www.franceculture.fr/)

Così viene descritto quello che avvenne a Marsiglia nei giorni fra il 22 ed il 24 gennaio 1943 ed il primo febbraio dello stesso anno.  

Tra il 22 ed il 24 gennaio 1943, la polizia francese e i soldati tedeschi prelevarono 20.000 persone dalla zona nord del porto vecchio di Marsiglia. Una settimana più tardi, 14 ettari di un quartiere popolare furono rasi al suolo. (Chloé Leprince, Rafle à Marseille en 1943: un quartier rasé et le petit rire de Pétain, in: https://www.franceculture.fr/). In tal modo la seconda guerra mondiale sconvolse il quadro del Vecchio porto marsigliese, perché quasi “casa per casa” i 1500 immobili di quella zona furono fatti saltare con la dinamite, lasciando un campo di rovine. (https://it.wikipedia.org/wiki/Porto_vecchio_di_Marsiglia).

Ma non furono solo i nazisti a macchiarsi di questi crimini, anche se furono coloro che indicarono questo tipo di azioni, in sintesi ‘presero l’iniziativa’. Infatti fu René Bousquet, segretario di Stato e incaricato di guidare la polizia del governo di Vichy che firmò, il 14 gennaio 1943, l’ordine per quella azione, che ebbe luogo sei mesi dopo il rastrellamento del ‘Velodromo d’inverno’ a Parigi, da lui voluto.  (Chloé Leprince, op. cit.).

Quindi anche in Francia, per i crimini contro la popolazione civile, i nazisti si servirono dei collaborazionisti.

12.000 persone, tra funzionari francesi, gendarmi, poliziotti e guardie della Gendarmeria mobile vennero attivati per la settimana in cui avvennero i fatti. L’obiettivo dell’azione congiunta erano quelli che venivano definiti i vecchi quartieri posti sul fianco del vecchio porto e sotto la collina ove ora si trovano i resti del quartiere ‘le Panier’, il più antico della città. (Ivi).

Foto scattata il 23 gennaio 1943 da Wolfgang Vennemann che ricorda l’incontro tra nazisti e collaborazionisti all’ hotel de la ville di Marsiglia durante il rastrellamento della zona a nord del Porto Vecchio. Da sinistra a destra si notano: Bernhard Griese, Sturmbannführer SS; Antoine Lemoine, prefetto della regione; Rolf Mühler, Comandante della Sicherheitspolizei di Marsiglia, – René Bousquet, con il cappotto con il collo di pelliccia, comandante della polizia di Vichy; Pierre Barraud, facente funzioni di sindaco di Marsiglia. (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bundesarchiv_Bild_101I-027-1475-38,_Marseille,_deutsch-franz%C3%B6sische_Besprechung.jpg).

Ma perché i tedeschi volevano la distruzione di quella che chiamavano, con disprezzo, ‘ La verruca d’ Europa’?

I nazisti volevano quel rastrellamento e la distruzione di quella zona perché, in una serie di attentati fra cui quelli del 3 gennaio 1943, erano rimasti uccisi alcuni ufficiali nazisti. (Ivi).  E le strade che portavano dalle banchine di Port Saint Jean alla salita di Accoules erano considerate, da nazisti e collaborazionisti, un riparo per la Resistenza, grazie al dedalo di viuzze che si snodavano fra case incassate una sull’altra, ed una roccaforte della malavita. (Chloé Leprince, op. cit.). Era freddo in quel gennaio, restare fuori casa era impossibile, ma i nazisti non ebbero pietà per alcuno, non per donne, non per bambini, non per ragazzi e ragazze, non per vecchi e vecchie, che persero tutto, e molti furono incanalati verso i lager.

I motivi della retata e distruzione della zona a nord porto vecchio e del quartiere ‘Le Panier’ di Marsiglia, e la risposta per ritorsione dei nazisti, confermerebbero l’ipotesi di Chiussi e Di Giusto che le stragi di civili e la distruzione di paesi possa essere associata, come nel caso delle fosse Ardeatine, a uccisioni da parte di partigiani di militari tedeschi. (Stefano Di Giusto e Tommaso Chiussi, Forni di sotto, – Lipa- Avasinis: nuovi elementi su tre rappresaglie fasciste, in Storia contemporanea in Friuli, n.47).

Il ruolo in Italia di collaborazionisti e repubblichini nelle stragi di civili e nelle ritorsioni contro civili è ben descritto da Nuto Revelli, partigiano nel cuneese, che così si esprime: «I fascisti sono feroci nelle rappresaglie contro la popolazione, contro gli inermi. I fascisti della ‘Muti’ di San Dalmazzo li temiamo perché sono dei torturatori crudeli, spietati, che terrorizzano la popolazione, incolpandola di connivenza, di essere amica dei partigiani». (Nuto Revelli, Le due guerre, Einaudi 2003, p. 148).  Non so se valga lo stesso per le forze della Repubblica di Vichy, ma pare che certi schemi comportamentali dei nazisti e dei loro accoliti nei paesi occupati si ripetessero.

Ed in questo caso pare che, se le ritorsioni furono decise dai vertici nazisti presenti in Francia, in particolare da Carl Oberg, a capo delle SS  e della polizia del Terzo Reich in Francia, che aveva addirittura ipotizzato una evacuazione completa di Marsiglia, esse furono confermate da una direttiva segreta di Heinrich Himmler, datata 18 gennaio 1943, che imponeva: «l’arresto dei criminali di Marsiglia e la loro deportazione verso la Germania, con “un numero tondo di 100.000 […] persone circa; la distruzione del “distretto criminale”; la partecipazione della polizia francese e delle “guardie di riserva mobile” in queste operazioni». (Chloé Leprince, op.cit. e https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Rafle_de_Marseille).

Ma già in precedenza, per quella zona della città, vista da Louis Gillet, nel 1942, come «Un luogo osceno, di suburre, una delle pozze più impure, dove si raccoglie la feccia del Mediterraneo […]. […] l’impero del peccato e della morte» (Ivi), si era ravvisata l’esigenza di una rigenerazione, che prevedeva il suo preliminare svuotamento. (Ivi).

La zona a nord del Porto Vecchio prima della distruzione e poi. (Da: https://www.tourisme-marseille.com/it/fiche/memorial-de-la-deportation-et-rafle-de-1943-destruction-du-vieux-port-de-marseille/). 

Operazione Tigre e Sultano: “Radere al suolo la zona vecchia della città e dopo averne deportato gli abitanti”. 

Il 23 gennaio 1943, SS e forze dell’ordine francesi iniziarono all’alba ed evacuare il quartiere a Nord del porto vecchio, dopo averlo completamente circondato. L’ ‘Operazione Sultano’ seguiva così all’ ‘Operazione Tigre’, che aveva portato al controllo di 40.000 persone, a più di 20.000 persone evacuate, a 6.000 arrestate. (Chloé Leprince, op.cit).  E dalla zona dove era iniziato, il rastrellamento si estendeva al quartiere dell’Opera, che si trovava a pochi passi dall’altro lato del Porto Vecchio, dove vivevano numerosi Ebrei, e nei pressi della sinagoga e del centro della città.

Secondo il Memoriale della Shoa, in seguito a detta ‘Operazione Tigre’, vennero deportati in tutto 1642 residenti in quella zona; 800 ebrei furono condotti nel campo di sterminio Sobibor in Polonia, ed altrettanti abitanti di Marsiglia, di cui 200 erano ebrei ma gli altri 600 erano dei “sospettati”, degli stranieri irregolari, degli zingari, degli omosessuali, o dei vagabondi senza fissa dimora o privi di una tessera annonaria o degli ex- detenuti furono internati in quello di Orianeburg-Sachsenhaussen, uno dei più grandi della Germania, (Ivi).

E tra coloro che furono deportati in campo di concentramento finirono pure alcuni partigiani, ma non Gaston Defferre, che poi diventerà sindaco della città, che nel 1943 divenne il capo dell’ala socialista della Resistenza di quella regione, ed incominciò a creare ‘milizie socialiste’ in loco. (Ivi).

Quindi, il 24 gennaio, attraverso il giornale ‘Le Petit marseillais’, la prefettura della città comunicava che l’evacuazione del Porto Vecchio aveva avuto luogo senza incidenti ed invitava chi ancora si trovasse in zona a presentarsi subito al vecchio porto, alla banchina ‘Petain’.  (Ivi).

Ma la ‘soluzione radicale e completa’ di evacuazione di Marsiglia, almeno per il vecchio porto e sue adiacenze, non si fermò con i rastrellamenti e neppure con la partenza di soldati tedeschi verso la Polonia e la Germania, perché il Terzo Reich intendeva cancellare del tutto la zona dalla mappa della città, con l’aiuto della Repubblica di Vichy. Così, il primo febbraio, quando le campane della chiesa di Saint-Laurent, detta ‘la chiesa dei Napoletani’, avevano appena suonato il mezzogiorno, esplose la prima carica di dinamite, a cui seguirono centinaia di deflagrazioni, quel giorno ed i successivi. Ci vorranno nove giorni per distruggere 1500 palazzi e radere al suolo 14 ettari di terreno edificati, cioè l’equivalente di 20 campi di calcio. (Ivi).

La zona distrutta. (Da: https://www.tourisme-marseille.com/it/fiche/memorial-de-la-deportation-et-rafle-de-1943-destruction-du-vieux-port-de-marseille/).

E un documento scoperto negli archivi della radio francese, immortala anche per i posteri la risata agghiacciante di Philippe Pétain, capo della Repubblica di Vichy, mentre evoca la distruzione del lato Nord del porto di Marsiglia. (Ivi).

Era una zona vivace, popolosa e popolare, quella rasa al suolo da nazisti e collaborazionisti in Marsiglia, i cui abitanti vivevano di pesca e commerci, ed ivi si era insediata anche una piccola comunità di napoletani e vivevano stabilmente spagnoli e senegalesi rifugiati. E la zona comprendeva anche un quartiere ‘riservato’, ove le prostitute, che gravitavano sul porto, ricevevano i loro clienti, e le cui notti si riempivano del jazz nero prima che giungesse il coprifuoco imposto dalla Repubblica di Vichy (Ivi), oltre che di droga.

Uscite tutti! Immagine da: https://www.laprovence.com/article/edition-marseille/4799791/vieux-port-il-y-a-75-ans-les-rafles.html

«È a Marsiglia che si incrociano una forza lavoro con traiettorie contrastanti, lavoratori del Nord Africa che indossano il ‘fez’ […], immigranti italiani in fuga dalla miseria, ma anche i lavoratori dell’industrializzazione del sud che galoppano ed esportano dai moli del porto industriale di Joliette, o quegli esuli dall’entroterra, che si insediano sulla scia dell’esodo rurale, […]. Tutto questo senza contare i viaggiatori». (Ivi).

Uno spaccato di vita popolare e multietnica, veniva cancellato dal nazismo e dai suoi collaboratori, lasciando al suo posto ‘terra bruciata’, cioè, per dirla in francese, “un quartier rasé”.

Marsiglia, capitale della Resistenza.

 Quando si parla di resistenza francese, in genere il pensiero corre a Lione, città dove operò e venne catturato Jean Moulin, militare prima, partigiano poi, considerato un eroe della Resistenza, e che era stato il più giovane vice-prefetto della Francia negli anni Venti (http://anpi-lissone.over-blog.com/article-11880994.html), e non si pensa a Marsiglia.

Ed in effetti, nella città, non vi sono memoriali, musei o monumenti particolari che ricordino la guerra di Liberazione, ma solo il nome di qualche via e qualche targa ne rammentano la presenza. Eppure gli ultimi studi fanno pensare che a Marsiglia una qualche forma di resistenza ante litteram fosse presente dal 1940.
(https://www.alliancefrancaise.london/Marseille-la-premiere-capitale-de-la-Resistance.php).

Infatti dal 10 maggio di quell’anno, cioè dall’ inizio dell’invasione nazista del Belgio, Marsiglia aveva incominciato ad attirare a sé una moltitudine di rifugiati provenienti dalle zone occupate dell’Alsazia e della Lorena, formata pure da soldati britannici in fuga dal Belgio; da Cechi e da Polacchi; da antifascisti italiani; da Tedeschi oppositori del nazismo; da comunisti ed anarchici spagnoli. (Ivi).
Fra questi profughi, per lo più in transito, vi erano molti intellettuali, molti artisti e molti ebrei. Ed ad essi si aggiunsero molti che si ritiravano dalle zone occupate dai tedeschi, fra cui c’erano persone che provenivano da amministrazioni, da testate giornalistiche e dalla radio, e militari delle truppe smobilitate.

Affluirono in massa a Marsiglia, riempirono gli alberghi, a tal punto che si dice venissero affittate anche le vasche da bagno, come luogo ove rifugiarsi. E naturalmente non mancavano i rifugi clandestini. Ed allora il commercio marittimo con l’Impero funzionava ancora e la città era diventata la porta d’accesso alla Francia: porta aperta ad Algeri, a Londra, all’America. E la città rappresentava la porta della libertà per alcuni, la possibilità di riprendere da lontano la lotta antinazista ed antifascista per altri. (Ivi).

Quindi, in questa situazione, le reti che andavano formandosi per attività di soccorso ai rifugiati e di mutuo aiuto all’ interno della città vennero e vengono lette come le prime forme di resistenza a Marsiglia, e quelle che poi permisero alla Resistenza di vivere e sopravvivere. Dalla metà di agosto del 1940, il giornalista americano Varian Fry creò un comitato di assistenza che svolgeva attività sia legali che clandestine, e che permise a molti ebrei di salpare verso gli Stati Uniti, grazie a consoli ceco e messicano, che firmavano i documenti di espatrio ed ad un medico.

Detto comitato riuscì anche a far uscire dal paese 300 soldati britannici, che erano stati internati a Fort Saint- Jean. Ma alla fine, l’attività di Fry fu scoperta ed egli fu espulso dalla Francia, dopo un accordo tra il governo di Vichy e quello Usa.

Ma alcuni suoi colleghi del comitato ne raccolsero il testimone, collegandosi, pure, alla resistenza. 50 anni dopo, Varian Fry fu considerato un eroe della resistenza francese.

L’immagine ritrae il dott. George Rodocanachi, eroe della resistenza francese. (Da: http://www.christopherlong.co.uk/per/rodocanachigeorge.html).

Il medico che dette un forte aiuto a chi doveva scappare, fu George Rodocanachi, nato da genitori indiani, cittadino britannico naturalizzato francese, che viveva a Marsiglia, e che era in contatto pure con la Missione detta dei marinai che si trovava al numero 46 della via Forbin, nel Porto Vecchio, e che era guidata dal pastore presbiterano Donald Caskie sin dal luglio del 1940. Ed ambedue collaboravano con la rete PAT. Fu questa la prima e più efficace rete di fuga stabilita sul territorio, che ebbe la sua prima sede nell’appartamento del dott. Rodocanachi. Ideata dal capitano Ian Garrow, questa rete prese il nome da Albert-Marie Guérisse, un medico belga che utilizzava il nome di copertura Pat O’Leary, che la guidò per due anni. La rete PAT, agendo in collaborazione con MI6, MI9 e SOE, ha permesso allora a centinaia di soldati e agenti alleati di uscire dalla Francia, organizzando il loro trasporto attraverso le insenature di Cassis via mare verso l’Inghilterra a o dai Pirenei verso Gibilterra. (Ivi).

E quando la Missione presbiterana fu chiusa dalla polizia perché la sua attività segreta ed illegale fu scoperta, George Rodocanachi accettò di prendere il posto del reverendo Caskie, ospitando nella casa ove abitava ed aveva pure il suo studio medico, in rue Roux de Brignoles numero 21, fuggiaschi e ricercati. Questa attività clandestina durò dal mese di giugno del 1941 al febbraio 1943, quando il medico fu arrestato ed internato nel campo di concentramento di Buchenwald, dove morì un anno più tardi. (Ivi).

Nancy Wake, austrialiana, agente segreto della Resistenza francese, detta ‘il topolino bianco’ pluridecorata, Ian Garrow ed Henry Fiocca, marito di Nancy, torturato dalla Gestapo. (Da: http://www.diggerhistory.info/pages-heroes/white_mouse.htm). 

D questa filiera di salvataggio clandestino si sa che fecero parte Louis Noveau, che mise a disposizione dell’aviazione britannica il suo appartamento, Nancy Wake, la più grande eroina del S.O.E. (Special Operations Executive) britannico, deceduta a Londra nel 2011, e suo marito il ricco commerciante Henry Fiocca. Anch’essi utilizzarono le loro dimore per nascondere fuggiaschi. Henry fu però catturato dalla Gestapo, torturato e giustiziato nel 1943. Nancy, invece, che non si trovava nella città, dopo varie peripezie giunse a Londra dove si unì a Danielle Redde, con cui riprese l’attività antinazista in Francia, dopo aver seguito un corso di addestramento. Raggiunta nuovamente Marsiglia, Nancy operò al fianco di Louis Burdet, rappresentante militare di France Libre nella città portuale.

Ma fu l’arrivo a Marsiglia di Henry Frenay, nel 1940, che segnò l’inizio della Resistenza vera e propria nella città. Egli fondò il Movimento di Liberazione Nazionale ed iniziò a reclutare uomini e donne pronti a resistere ai nazisti ed ai fascisti. (Ivi). Infatti non bisogna dimenticare che gli italiani parteciparono all’occupazione della Francia meridionale, che ebbe luogo tra il 1940 e il 1943. Tale occupazione avvenne in due fasi: la prima nel giugno del 1940 a seguito della capitolazione francese dopo la vittoriosa offensiva tedesca; la seconda nel novembre 1942 quando Hitler decise di occupare militarmente il suolo della Francia di Vichy (Operazione Anton). Dopo l’8 settembre le truppe del Regio Esercito Italiano, che si trovavano sul suolo francese, furono costrette a ritirarsi sotto la pressione dei tedeschi, ponendo così termine all’occupazione. (https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_italiana_della_Francia_meridionale).

Jean Moulin. (Da: http://anpi-lissone.over-blog.com/article-11880994.html).

All’inizio del 1941, anche Jean Moulin si recò a Marsiglia per incontrare Henry Frenay e per conoscere le reti resistenziali che si dipartivano dalla città.  Dopo essersi reso conto dell’entità ed importanza delle stesse, decise di andare a Londra ad incontrare Charles De Gaulle che, dalla capitale britannica, aveva incitato, il 18 giugno 1940, attraverso radio Londra, i francesi a lottare contro i nazisti, per convincerlo a sostenere la resistenza interna. E così accadde. Quindi Moulin rientrò in Francia per coordinare l’attività delle diverse reti resistenziali. (https://www.alliancefrancaise.london/Marseille-la-premiere-capitale-de-la-Resistance.php).

E fu sempre a Marsiglia che il capitano Pierre Fourcaud, inviato dal BCRA (Bureau Central de Renseignements et de action militaire), formò una rete di resistenza al nazismo chiamata ‘Fleurs’.
Ed Marsiglia agì anche il socialista ed avvocato Gaston Defferre, poi sindaco della città, che si dedicò, in un primo tempo, a portare soccorso ai rifugiati, per poi aderire alla rete resistenziale ‘Brutus’. (Ivi).

E come la rete PAT e la rete di intelligence polacca F2, altre reti resistenziali operarono allora in collegamento con i servizi segreti britannici: tra queste la rete MAP, con base sempre a Marsiglia, la rete   ‘Arles’, ben conosciuta in Gran Bretagna grazie al suo agente molto famoso, Odette; e la rete di ‘ALLIANCE’, che per un certo periodo fu gestita da Marsiglia da Marie-Madeleine Méric, soprannominata ‘il riccio’, originaria della città. (Ivi).  E di una di queste reti fece parte anche Ernest Gimpel, poi incarcerato a Fort Saint Nicolas, e quindi finito in più campi di concentramento sino alla liberazione, che con il padre ed i fratelli mise a disposizione la sua ditta d trasporti ‘Azur’. (Ivi).
Naturalmente molti furono gli uomini che parteciparono all’ attività resistenziale nella Francia occupata e di Vichy, e qui sono ricordati solo i principali che operarono a Marsiglia o di Marsiglia.

E certamente non è fuori luogo dire che: “Se Lione è stata la capitale della resistenza, Marsiglia ne è stata la culla”. (Ivi).

E ritorniamo infine a Francesco Cecchini, che ringrazio per lo spunto datomi, ed alla denuncia contro ignoti per crimini contro l’umanità dell’avvocato Pascal Luongo, di cui attendiamo l’evolversi.

 Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle pubblicate al suo interno, ed a cui si rimanda per i riferimenti. Ricordo che, sulla ResIstenza francese, e la vita in Francia sotto il nazismo, ho già pubblicato: Seconda Guerra Mondiale. Friuli e Carnia in Ozak, Bretagna nella Francia occupata: Terre diverse, esperienze similari. L.M.P.

 

 

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