Il 24 luglio 2014, la Regione F.V.G. poneva, sul suo sito, il documento base del disegno di legge sul Riordino dell’ assetto istituzionale ed organizzativo del Servizio Sanitario Regionale. Dopo averlo letto, ho fatto alcune riflessioni e mi sono posta alcune domande, pubblicate sul sito: www.casadelpopolo.org/ in data 11 agosto 2014.

Secondo me:

il testo spesso teorico, le formulazioni non riempite di contenuti reali, in sintesi è un testo che parla di una sanità virtuale e non calata, per alcuni aspetti di carattere sanitario, nella realtà situazionale. Quella che ne esce è una sanità fortemente teorica e slegata dal contesto reale, accentrata e burocratizzata;

per quanto riguarda ospedali ed aziende sanitarie non si comprende come si possa mantenere a pieno titolo l’ospedale di Palmanova, a due passi da Udine, e chiudere quello di Gemona, antisismico, e quello di Cividale, con entroterra non certo disabitati e vasti, creando un grosso asse centrista e privando di fatto di servizi le periferie;

a livello di strutturazione organizzativa si privilegia ancora il settore amministrativo, creando nuove figure e togliendo, marginalmente, le vecchie, per alcuni accorpamenti od esternalizzazioni di servizi, con una scarsa chiarezza nei compiti e possibili sovrapposizioni e conflittualità nelle figure dirigenziali;

non si tiene conto del fatto che vi sono limiti nel sostituire il personale medico e paramedico pensionato, con ulteriore aggravio sul fronte sanitario.

La creazione di un unico Ente Regionale per la gestione dei servizi sanitari con unico direttore crea un potere forte ed accentrato in mano ad una sola persona, privando un ambito così delicato di qualsiasi confronto, critica ed alternativa alle scelte del dirigente del servizio;

l’ente per la gestione dei servizi sanitari, con sede obbligata ad Udine, che si trasforma, nello specifico e non solo, in caput mundi, può svolgere ulteriori funzioni di tipo amministrativo o sanitario di competenza di uno o più enti del servizio sanitario regionale, ovvero di interesse dell’intero servizio sanitario regionale, che francamente non si capisce quali siano o se saranno discrezionali.

Infine l’ente per la gestione accentrata dei servizi sanitari è dotato di personale proprio, cui viene applicata la disciplina giuridica, economica e previdenziale del personale del servizio sanitario nazionale. Si prevede l’assunzione di ulteriore personale burocratico ed amministrativo togliendo medici ed infermieri dagli ospedali periferici trasformati in poliambulatori ed r.s.a..

Non vengono, in sintesi, ridotte, se non per un paio di aziende socio-sanitarie accorpate, le cariche amministrative, anzi se ne inventano di nuove, come se il miglioramento della gestione della salute e sanità dovessero essere in mano ai burocrati e non ai medici.

Infatti la direzione strategica delle aziende è ancora composta, oltre che dal direttore generale, dal direttore sanitario e dal direttore amministrativo, di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nonché da un coordinatore sociosanitario, in caso di delega. Non vengono inoltre abolite le direzioni ospedaliere, i dirigenti dei distretti ecc. e si crea pure un coordinatore sociosanitario che dovrebbe coadiuvare il direttore generale nel governo dell’azienda svolgendo attività di supporto per la programmazione e l’indirizzo delle attività sociosanitarie, di nomina personale da parte del direttore, previo parere della conferenza dei sindaci, insomma una specie di ius patronato che rispunta aumentando par di capire il potere dei politici in sanità.

Inoltre mantenendosi i vecchi piani ecc. aziendali, stesi da parte del direttore, pare che questa riforma moltiplichi le carte, le progettualità, gli ambiti ed i settori di competenza, con possibili interferenze e mancanza di chiarezza nell’attribuzione dei compiti e senza che si capisca quale riscontro effettivo si possa avere in efficacia sulla salute.

La funzione propositiva a valutativa viene demandata alla conferenza dei sindaci, non si sa quanto preparata in materia, escludendo le rappresentanze delle associazioni di categoria e dei cittadini.

Quindi, in sintesi, pare che sul servizio medico – ospedaliero e di primo intervento nelle zone marginali, che così diventano fortemente penalizzate, graviti il peso di tutta la riforma, con il togliere a dette zone decentrate i servizi di base essenziali (pronto soccorso, chirurgia minore, medicina).

Il ruolo delle università pare ampliato ma senza che si capisca se esso volga verso un controllo di ogni settore formativo e medico delle aziende attraverso il partneranato con la regione, appena creato, o in che modo. Certo un controllo universitario sulle aziende sociosanitarie non è da sperare, essendo controllo di pochi docenti universitari, con una impostazione di base e magari settoriale, su materia complessa.

La riforma si regge su entità astratte di erogazione servizi di base e assistenza medica primaria quali le aggregazioni funzionali territoriali, che svolgono le funzioni delle unità complesse di cure primarie e i presidi ospedalieri per la salute, esistenti solo virtualmente.

Entro il 31 dicembre 2016 dovranno esistere come uniche forme organizzative dell’assistenza medica primaria le aggregazioni funzionali territoriali (a.f.t.), i centri di assistenza primaria e i presidi ospedalieri per la salute, inesistenti e che coinvolgono personale con diverse realtà contrattuali anche nazionali. Inoltre non si comprende cosa significhi che: durante la fase transitoria mantengono la loro operatività le forme organizzative denominate medicine di gruppo, che non si sa cosa siano e dove, perché, di fatto, i medici di base possono raggrupparsi anche solo per non pagare durante le ferie ed una malattia un sostituto.

Non si sa chi farà gli ambulatori specialistici nei defunti piccoli ospedali. 

Infine pare che, non potendo ivi esercitare aggregazioni di medici, i piccoli paesi resteranno senza medico alcuno.

Per quanto riguarda le aggregazioni funzionali territoriali, che non si sa cosa siano, le aziende individueranno le aggregazioni funzionali territoriali in relazione al distretto; alla popolazione assistita con un numero di abitanti compreso tra 20 e 30 mila; alle caratteristiche del territorio (urbano, rurale, montano). Il testo in questa parte non appare però chiaro in ogni caso.

Manca tutta la parte relativa al servizio di continuità con il medico di base, cioè relativo al servizio di guardia medica ove viene a mancare la struttura ospedaliera. si spera di non sentire più ipotesi come quella fatta da una persona che parlava per il Pd a Telefriuli, se ben ricordo, di intervento medico notturno a Drenchia in teleconferenza. E la visita, e la prescrizione farmaci? Quisquiglie! Inoltre chi sta male non usa mezzi informatici, se vecchio men che meno.

I piccoli ospedali vengono tramutati parzialmente in R.s.a. togliendo servizi essenziali ed introducendo un moltiplicarsi di cronicari a termine, sempre aventi come riferimento i medici di base.

Insomma quella che esce dal testo di riforma pare una sanità priva di chi diagnostica e gestisce l’ acuto nelle zone periferiche, private di un servizio di pronto soccorso 24 su 24, con cronicari fuori controllo specialistico, con un asse portante e zone sguarnite, che si regge praticamente in toto sui medici di base, senza strumentazione adatta e con tempi di attesa, per concentrazione esami in pochi poli, che possono diventare lunghissimi, che incastra il paziente nel distretto ma non gli dà precedenze al suo interno, lasciando insoluto il problema dei pazienti residenti rispetto a quelli venuti da fuori.

Non ho capito poi chi sia il direttore generale salute, ma forse mi sono persa nelle righe scritte in linguaggio burocratichese e con ben scarso riferimento con la sanità attuale.

Insomma pagheremo forse la sanità per dover andare in privato e pagare pubblici burocrati ed amministrativi, con personale medico ed infermieristico sempre più ridotto al collasso, stanco, demotivato?

Le persone non autosufficienti.

Il testo di riforma afferma che la cronicità e la non autosufficienza hanno, quale luogo prioritario dell’intervento sociosanitario, la domiciliarità. E fin qui non sarebbe neppure il peggio, se non fosse che, poi, si comprende che con domiciliarietà si intende ambito familiare. Ma come fanno i vecchi a gestirsi da soli o a costringere i giovani ad accudirli? E non si pensi a badanti: non solo ogni non autosufficiente ne pretende due, ma i loro onorari sono impossibili per una famiglia, e spesso i giovani non hanno lavoro. Inoltre alzare, lavare ecc. un non autosufficiente pone problemi di attrezzature presenti solo in strutture adeguate.

Questa riforma, inoltre, parte dal presupposto che i livelli di benessere siano alti, non quelli attuali, non tiene conto della crisi economica e della disgregazione della famiglia, ed è collocata in un iperuranio, non nell’Italia dell’Elettrolux in crisi e mille altre aziende in affanno, ove si può giungere a non poter più pagare l’affitto e le bollette e dove, con tutti i suoi limiti, l’ospedale territoriale è l’ unico presidio della salute reale, e riferimento per il medico di base.

Per quanto riguarda i centri di salute mentale, l’inserire i C.s.m. anche come strutture ospedaliere stravolge il senso della legge Basaglia, crea reparti manicomiali, punta ad una sanità psichiatrica che tende a privilegiare le cure farmacologiche e l’ospedalizzazione, almeno così proprio pare.

Si mantengono le R.s.a., si pensa ad hospice, ora come allora, si creano strutture di riabilitazione funzionale, come non esistessero già i reparti di fisioterapia.

Resta ignoto cosa siano gli ospedali di comunità e con che realtà la stessa si identifichi , si crea una nuova unità di valutazione distrettuale che non si sa da chi sia composta e che faccia. Inoltre la suddivisione degli ospedali in hub spock ecc., non fa che confermare, dietro la terminologia in voga, la perdita di servizi essenziali per una parte della popolazione, e la trasformazione in sede di distretti sociosanitari dei piccoli ospedali.

I piani regionali vanno poi ad interferire con quelli universitario – regionali, distrettuali, aziendali, centralizzati, con una confusione incredibile.

Le reti di patologie, oltre a non capire cosa di fatto siano, implicano protocolli di cura senza pensare che ogni soggetto è diverso e trasformano anche il medico in un burocrate applicativo di scelte altrui. e se la diagnosi è errata il soggetto, entrato in una rete- piovra, non ne esce più.

Infine si vorrebbe sapere come faranno gli abitanti per esempio del gemonese a raggiungere Tolmezzo o San Daniele dato che il trasporto pubblico tra San Daniele e Gemona e Gemona e Tolmezzo è praticamente quasi inesistente.

Il resto è ancora burocrazia.

E rimando agli insoluti problemi ed alle domande posti già nel mio intervento precedente (riportato poi in rosso).

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Ho scritto, inoltre, queste mie osservazioni sapendo che alle stesse andrebbero aggiunti i disservizi già segnalati anche sulla stampa locale per carenza auto -mediche ed ambulanze, tempi di attesa primo soccorso e visite ambulatoriali ad Udine, improvvisa fusione di reparti ospedalieri, che dovrebbero far riflettere sul metodo.

Inoltre sarebbe importante almeno verificare, prima di passare ad uno smantellamento di alcuni servizi legati ai piccoli ospedali, la reale fattibilità e copertura territoriale delle aggregazioni di medici di base, e quello che possono fare. Infatti se viene tolto l’ospedale territoriale di riferimento i medici di base o medicina generale che dir si voglia, restano privi della possibilità di avere immediatamente analisi e esami strumentali diagnostici, che potrebbero comportare, nella nuova situazione, lo spostamento di un malato per chilometri non si sa con che disagio per lo stesso, ed effettuato da chi.

Quale sanità allora? Io avrei voluto vedere quella della politica della buona massaia che taglia, essendo diminuite le entrate, le spese superflue a tutti, senza cambiare casa.

E non mi si parli di statistiche senza conoscere il campione e la sua tipologia, e comunque il benessere attuale della popolazione si regge sulla sanità attuale. Se, secondo le statistiche, grosso modo funziona, perché stravolgerla?

Questo è il mio parere, che aggiungo al già pubblicato, senza offesa per nessuno e per aprire un dibattito sull’argomento anche nelle sedi istituzionali.

Laura Matelda Puppini – socia Codacons e Cittadinanzattiva.

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OSSERVAZIONI IN MERITO ALLA RIORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO REGIONALE.

Con la presente nota si vogliono proporre alcune osservazioni a quella che risultano essere le linee guida della riforma della sanità regionale in fase di realizzazione, così come apparse sui principali organi di stampa.

Se in linea di principio vi è una condivisione alla volontà dichiarata di riorganizzare i distretti sanitari e le correlative entità amministrative, procedendo ad una riduzione ed una razionalizzazione di distretti, uffici, dirigenze, reparti doppi in unico ospedale, maggiori perplessità vengono da me manifestate in riferimento alla volontà di incidere sensibilmente anche sui servizi offerti all’utenza, con riduzione delle prestazioni erogate dai ‘’piccoli ospedali’’, sino anche ad arrivare ad una chiusura od un contingentamento orario delle attività di pronto soccorso.

Infatti la questione non può essere ridotta alla valutazione del numero di ricoveri o di accesso al Pronto Soccorso, dovendosi necessariamente considerare come i piccoli ospedali eroghino anche:

  • il servizio di guardia medica notturno, prefestivo e festivo, (svolto in genere da giovani medici anche specializzandi, che pare possano lavorare per oltre 48 ore di seguito, senza strumentazione adeguata, computer, esperienza) servizio comunque supportato da un pronto soccorso;
  • le visite ambulatoriali svolte in locali ospedalieri da personale medico ospedaliero che, talvolta, si sposta anche sul territorio, in caso di presenza di ambulatori aziendali;
  • piccoli interventi chirurgici quali ernie addominali ed inguinali, fratture, prostate, poliposi uterine, cisti, ascessi, ecc. con degenza limitata ad 1, 2 giorni;
  • chirurgia d’urgenza;
  • medicina d’urgenza cioè primo pronto soccorso non distante da luoghi di residenza o centri turistici anche invernali;
  • il prelievo e la refertazione analisi d’urgenza, di routine e diagnostiche;
  • radiologia d’urgenza, diagnostica e di routine;
  • la somministrazione di chemioterapici ed antidolorifici a malati terminali;
  • il servizio di pediatria e pronto soccorso pediatrico, che dovrebbe esser presente 24 h su 24;
  • la somministrazione di chemioterapici e distribuzione farmaci salva vita che non possono esser tagliati per ovvie ragioni.

In sintesi erogano tutti i servizi che necessariamente devono essere ‘’di prossimità’’ rispetto all’ubicazione del cittadino.

Inoltre un taglio dei servizi degli ospedali minori non terrebbe sufficientemente conto:

della reale fruibilità dei servizi da parte dei pazienti e difficoltà relative anche al trasporto, all’ accompagnamento, ai tempi di attesa per erogazione servizio;

dei limiti dei servizi accentrati, per esempio per intasamento degli stessi, e per possibile carenza personale;

dei possibili limiti nel rapporto fra medico di base o specialista ed un erogatore di servizi centralizzato e distante, ove il primo, in presenza di qualche dubbio, non conosce il medico che ha svolto la prestazione né la sua bravura, e potrebbe avere problemi nel reperirlo;

dei limiti della trasmissione dei dati con il sistema informatico che può andare in tilt, come il computer ricevente, e già ora l’accesso ai dati è lentissimo;

dell’ospedalizzazione, che comunque spesso avviene attraverso Pronto Soccorso;

del fatto che attualmente ospedali ed R.s.a. contemplano la presenza di parenti e badanti, (sempre meno disponibili per limiti vari), per i servizi non garantiti di fatto dal personale,   che non possono seguire il paziente né supportarlo psicologicamente con continuità se ricoverato a molti chilometri da casa anche per motivi di spesa e tempo.

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Più nel dettaglio:

1) Sul servizio di pronto soccorso o di urgenza.

E’ chiaro che, visto il bacino d’utenza, il Pronto Soccorso di Cividale ha meno accessi di quello di Udine ma questa tipologia di analisi, basata meramente sul numero accessi, non tiene conto del bacino territoriale di utenza e delle percorrenze e distanze dal centro erogatore servizi sanitari d’ urgenza.

Inoltre l’accesso ai pronto soccorso nei festivi e pre – festivi potrebbe aumentare sia per mancanza dei medici di base, sia a causa di coloro che praticano sport invernali od estivi anche in territorio montano, e per possibile crescita nel numero degli incidenti stradali, pure per l’elevato numero di automezzi circolanti sulle strade, con tempi di percorrenza verso una sede centralizzata di Pronto Soccorso dilatati da incolonnamenti ed altri problemi legati alla viabilità.

Un altro limite è dato dal triage infermieristico d’accoglienza e prima valutazione in P.S., mentre sarebbe opportuno che questa delicata fase di valutazione dell’urgenza fosse attribuita ad un medico.

Ogni Pronto Soccorso dovrebbe esser supportato da un ambulatorio con un medico per i casi non gravi, per codici bianchi. ________________________________________________________________________________

2) Patologie dell’anziano fra acuto e cronico

Io ritengo, ora come allora, che le patologie dell’anziano, che tendono ad essere croniche, non possano essere curate che nelle sedi ospedaliere.

Sotto tale profilo si evidenzia come:

in primo luogo attualmente non paiono sussistere, in molti casi, alternative all’accesso alle strutture ospedaliere, almeno fintanto che non troverà esecuzione una effettiva riforma anche della medicina di base attualmente non idonea a fornire alcuna funzione supplettiva per le forti criticità che già incontra di per sé, anche legate a quanto previsto dall’ Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni (orari di disponibilità dei medici, numero elevato di pazienti per medico, ecc.);

l’anziano, su un sub – strato di patologie degenerative, anche ben poco curabili e legate all’età, può presentare anche fatti acuti come fratture, infezioni, blocchi intestinali, problemi derivanti da assunzioni di farmaci, colpi di calore, disidratazione, sbalzi pressori e problematiche cardiocircolatorie che sono variabilmente gestiti in proprio o da parenti con ricorso al medico di base o, spesso, dai Pronto Soccorso, con possibile ricovero per cure urgenti.

Cure protratte nel tempo, se non fattibili a domicilio, non possono esser erogate in luogo distante dall’ abitazione dell’ammalato, anche perché l’ammalato fa fatica e non può esser sottoposto a trasporti continui, magari con personale che non conosce, a cui non dice le sue necessità, per es. il bisogno di andare in bagno ecc..

Inoltre, per venire incontro alle esigenze dell’utenza, si dovrebbe pensare ad una programmazione del trasporto ed accompagnamento del paziente verso la struttura accentrata, anche vicina, da parte di personale pagato. Infatti non vi sono sul territorio sufficienti giovani che possano accompagnare gli anziani alle cure, trasformandolo in un secondo lavoro gratuito.

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3) Altre problematiche.

Parte dei servizi assistenziali ed altri nella sanità sono gestiti da associazioni private di volontariato, legate al territorio. Dette associazioni, che coprono spesso le lacune della sanità pubblica con grande impegno personale, si basano comunque su personale volontario. In sintesi funzioni delicate quali l’assistenza ai malati terminali, il trasporto casa ospedale di malati ed anziani (anche fatto da persone a loro volta anziane e con mezzi desueti) sono assolte da volontari il cui operato esula dal controllo diretto del servizio socio-sanitario ed assistenziale (e che possono diventare, nella sanità, forza contrattuale e gestionale), ma che comunque agiscono su base locale e si reggono sulla prossimità del luogo di assistenza. Una sede lontana, sconosciuta, di grandi dimensioni potrebbe favorire, inoltre, comportamenti di questo tipo e una sensazione di spaesamento.

Gli anziani e gli ammalati tendono a stancarsi facilmente ed a dimenticare tutta la burocrazia che la sanità ha in essere a non sopportare possibili lunghe attese ed a sentirsi a disagio in ambienti e situazioni nuovi. Per questi motivi e per altre ragioni, come quella di non voler disturbare un parente per l’accompagnamento, essi possono tendere ad adagiarsi ed a non utilizzare, quando serve, il servizio sanitario.

Nei casi di ‘’week o day surgery’’ ovvero di ricoveri post operatori per un massimo di 72 ore, se il paziente viene dislocato rispetto al luogo ove è avvenuta l’operazione, ciò può comportare una serie di problemi quali, per esempio: il trasporto di un soggetto magari a 50 km. di distanza, subito dopo aver subito un intervento chirurgico, l’assistenza post- operatoria di medici diversi da quelli del reparto di operazione e senza la presenza del chirurgo.

Il riconvertire in R.s.a. reparti di piccoli ospedali è ugualmente problematico, perché le R.S.A. hanno personale infermieristico proprio e i pazienti sono affidati ai medici di base, che hanno già molti altri assistiti.

La trasformazione in riabilitativi di piccoli ospedali, poi, potrebbe togliere servizi essenziali a popolazione locale non si sa a vantaggio di chi.

LAURA MATELDA PUPPINI.

 Questo testo è stato pubblicato sul sito: www.casadelpopolo.org/ in data 20 luglio 2014.

 

 

 

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