Inizio questo nuovo articolo di riflessioni sulle riforme sanitarie Lorenzin e Telesca partendo da un’ osservazione metodologica.

Innanzitutto un sistema democratico non darebbe in mano modifiche epocali in un settore così importante come la sanità, da cui dipende la salute della popolazione di uno stato, ad una persona sola o due, forse nel caso Lorenzin con qualche consigliere non ben noto ai più, ed una ricerca del Sacro Cuore di Gesù, università cattolica privata, senza altro dato, senza uno studio di conoscenza e fattibilità, insomma pare proprio sul nulla, rischiando di far precipitare gli italiani indigenti in una carenza di salute notevole che può portare a morte. Inoltre in uno stato democratico ed europeo nessuno dovrebbe poter mettere mano in un settore così delicato senza un corposo studio preliminare, senza conoscere problematiche varie che incidono sul diritto alla salute come distanze, mezzi di trasporto pubblici, burocrazia, ecc. ecc. intasamenti di centri maggiori, e via dicendo. Basti pensare, per quanto riguarda la trasmissione dati per via informatica, che io ho visto il pronto soccorso di Tolmezzo con computer in tilt e così la caserma dei carabinieri, forse per motivi legati alla rete o che ne so.

Invece la conoscenza del sistema sanitario attuale, le sue criticità reali, le possibilità aggregative anche di spesa, le potenzialità del sistema misto pubblico- privato, il confronto con altri amministratori locali, sindacati, operatori sanitari sul territorio non pare abbiano fatto parte delle premesse alla riforma, ammesso che della stessa, nei termini in cui è stata proposta e parzialmente attuata, si sentisse il bisogno, e che porti a reali benefici e non a risparmi neppure ancora valutabili, che passino sulla pelle dei cittadini non parlamentari, perché quelli hanno tutto gratis, come i loro familiari.

Si è andato perdendo, secondo me, nella visione meramente aziendalistica, sponsorizzatrice di singoli personaggi, “caciara” per dirla con un termine romanesco, nei 20 anni berlusconiani, il senso dello Stato, del significato del politico eletto al servizio dei cittadini e non della sponsorizzazione della propria immagine, di ciò che è lecito o meno, di ciò che significa agire pagando con i soldi del popolo, mentre pare che il capitale statale che deve coprire la spesa per i servizi ai cittadini in primo luogo, si sia trasformato in capitale personale del governo o del premier e dei ministri, in una situazione in cui il governo tende sempre più a togliere la divisione dei poteri, nata da chi ben sapeva cosa fosse una dittatura, ed ad avocare a sé anche il potere legislativo parlamentare bicamerale, mettendo mano alla Costituzione.
A livello regionale, per quanto riguarda il Fvg, correvano gli anni 2003-2008 quando, dopo due legislature postdemocristiane, con frequenti cambi di giunta, il centro sinistra espresse una candidatura per la presidenza della Regione legata all’alta industria, convergendo sul nome di Riccardo Illy, industriale del caffè, maestro di sci, noto nei salotti della sinistra, per due legislature sindaco di Trieste, e per breve periodo deputato. (Otello Bosari, I 50 anni della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Alba ed., prima ristampa 2015, pp. 150-151). La sua candidatura, frutto di un’intesa fra più forze politiche, fu un successo ed ottenne il 52,3% dei voti. (Ivi, p.151).
Illy parve ai più un leader energico ed adeguato ai tempi, un candidato che prometteva stabilità, novità efficienza, dopo un periodo di instabilità.
Ma la Presidenza Illy portò con sé i limiti dell’essere Illy un industriale. Il primo problema fu la sua tendenza a sostenere, anche nei fatti, «una teoria dell’autonomia della giunta rispetto al consiglio» in quanto solo la giunta rispondeva di fronte ai tribunali di ciò che si decideva. Così si giunse ad una impostazione di governo che prevedeva la preminenza dell’esecutivo di cui, in base alla nuova legge elettorale, entravano a far parte anche “esterni” cioè esponenti non consiglieri. (Ivi, p. 153).
Debora Serracchiani, ha fatto propria tale impostazione fino quasi all’estremo limite. Infatti, se non erro,  su 9 assessori 6 risultano incarichi esterni, e quindi non eletti ma scelti dalla Presidente, e posti in assessorati delicati: Loredana Panariti, assessore a lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità politiche giovanili, ricerca università; Paolo Panotin, assessore alle autonomie locali e coordinamento delle riforme, comparto unico, sistemi informativi, caccia e risorse ittiche, delegato alla protezione civile, Francesco Peroni, assessore alle finanze, patrimonio, coordinamento e programmazione politiche economiche e comunitarie, Mariagrazia Santoro, assessore alle infrastrutture e territorio, Maria Sandra Telesca, assessore alla salute, integrazione socio-sanitaria, politiche sociali e famiglia, e Gianni Torrenti assessore alla cultura, sport e solidarietà.
Questo aspetto, in aggiunta al potere dato alla giunta e tolto al consiglio regionale, a mio avviso, ha portato ad un sistema di governo regionale che poco  ha a che fare con la democrazia, molto con l’oligarchia. E siamo, in pendant con il governo ed il partito della Nazione, anche in regione, che lo si voglia o meno, siamo all’uomo solo al comando, indipendentemente dal sesso. Inoltre dobbiamo pagare gli incarichi esterni, che rispondono solo a chi ha loro dato mandato, e cioè a Debora Serracchiani, oltre i consiglieri eletti, e non si sa neppure quanto. Sappiamo chi sono, ma ben poco che esperienza abbiano, e pare che ce ne stiamo rendendo conto giorno dopo giorno.

Questa impostazione vertical-decisionista, che ai tempi della presidenza regionale Illy, venne motivata con la declamata impossibilità ad agire a causa di veti interni ed incrociati, non tiene conto però dei contenuti di ciò che si deve decidere, puntando solo all’azione per far passare qualcosa, indipendentemente dal suo valore, come anche nel governo Renzi, portando a perdita di democrazia, scollamento dalla popolazione, tendenza all’autoritarismo ed alla sponsorizzazione dell’immagine individuale, in sintesi al personalismo invece che ai contenuti della politica.
Così scrive Bosari, rispetto ad Illy: «Nel quinquennio Illy non viene fatto niente per costruire qualcosa […] sulla frattura di analisi, di opinioni e di indirizzi, che si era manifestata nello schieramento avverso alle elezioni del 2003. Questo può esser letto come risultato di un governo regionale senza concezione politica vera, pensato soltanto come amministrazione, illuso di essere in grado di tenere un rapporto diretto con l’elettorato senza mediazioni né con i partiti né di una qualche articolazione territoriale nella quale verificare i propri indirizzi». (Ivi, p.156). Mancò allora e manca oggi, al governo regionale, quell’«intenzione di mediare con la politica degli altri» (Ivi, p. 157) che porta direttamente e senza scorciatoie al Partito unico o della Nazione che dir si voglia, con l’opposizione estromessa anche al suo interno, e che volge a pericolosi scenari per la democrazia.

Riccardo Illy aveva però previsto un consiglio delle autonomie locali come organo di consultazione, ma ormai pare che le autonomie locali non esistano più configurandosi spesso i comuni come espressione del potere o del partito dominante ed incapaci di produrre un pensiero autonomo rappresentativo, articolato, basato sulla conoscenza. Inoltre le Uti, come forme aggregative di cui si ascolta solo il Presidente, limiterebbero ulteriormente ed in modo definitivo qualsiasi consiglio delle autonomie. Riccardo Illy aveva in mente un sistema regione che guardava ad una Europa ben diversa da quella odierna, in un contesto mondiale differente, multietnico e garantista nelle differenze storiche e culturali nel Friuli Venzia Giulia, basato sulla sovranità popolare. (Ivi, p. 159).
Ma ora i tempi sono mutati e la situazione regionale e statale appaiono mutate.
Ora il potere generale e regionale appaiono configurarsi come in mano a poche persone anche non elette che agiscono, senza riferimento alcuno a studi di settore, progettazione, programmazione, approccio sistemico, in nome di un “virtuosismo” che pare configurarsi nel togliere diritti ai cittadini subissandoli di doveri derivati da scelte verticistiche sempre più scollegate dal territorio, dal paese, da noi italiani, e nel pressappochismo decisionale che sta mandando in tilt i servizi, lo stato, le regioni, i comuni e l’Italia intera. E mi si scusi per questa mia visione delle cose, e se erro vi prego di correggermi. Si può sempre non aver ben compreso.
Ma lasciando discorsi generali, riprendo a parlare di un aspetto particolare ed importantissimo: desidero infatti soffermarmi ancora una volta sulla poco assennata, per i limiti già accennati della politica odierna, riforma della sanità della regione Fvg e dello stato, che pare camminino come fossero entità autonome, portando i cittadini a subire le imposizioni dell’una e dell’altra, senza sapere dove si andrà a finire.
Quello che si evidenzia nella riforma Telesca, ancora una volta, è la mancanza di studi di fattibilità, sulla base della conoscenza dei problemi e della situazione reale regionale ed italiana dei servizi, guardando anche ai modelli europei, la mancanza di confronto con sindacati e associazioni di categoria, e dibattito politico con i partiti anche all’opposizione, la mancanza di collegamento con lo stato, di cui la regione fa parte, il decisionismo e l’imposizione metodologici, la mancanza di ascolto di comitati e popolazione. Il “qui comando io”, pare il messaggio portato dall’assessore, anche se magari non era sua intenzione che lo fosse.
Per esempio il già contestatissimo piano emergenze in Friuli è scaturito, pare, da un incontro ad Udine fra Debora Serracchiani, l’assessore Maria Sandra Telesca e Pier Polo Benetollo, direttore generale aas3. (Sanità, vertice Regione-AAS n.3: “Col piano emergenze risposte alle criticità pregresse”, in http://news.rsn.it/44009-2/, 5 gennaio 2016).
Una volta approvato chi lo toglie più? – penso. “Se non vi sta bene fatevelo far star bene” – pare il messaggio dato attraverso questo modus operandi ove i cittadini, gli operatori nel settore, i sindacati, le associazioni per la difesa dei diritti e dei consumatori, da codacons (che aveva fatto proprio ed inviato all’assessore Telesca senza avere né riscontro né risposta il mio primo testo sulla riforma della sanità) a cittadinanzattiva, fondata da Giovanni Moro, figlio di Aldo, ed altri ecc. ecc. non contano nulla.
Così la montagna ed i territori marginali potrebbero pagare, con i propri ammalati, vecchi e poveri, una dissennata politica accentratrice che potrebbe mandare in tilt il Santa Maria della Misericordia stesso, che pare stia tanto a cuore all’assessore. «Ghe pensi mi … no grazie», penso io, che sto in montagna come i miei avi, ed ho a cuore la montagna ed i territori marginali, e che ritengo che il diritto di uno discende da quello di tutti.

La riforma statale di Lorenzin non si discosta nel metodo da quella Telesca, ma oltretutto impedisce, come già scritto, di esercitare la propria professione in scienza e coscienza ai medici, come sostenuto pure dallo Snami, secondo sindacato dei medici, (Appropriatezza. Lo strappo Snami: “Macché apertura. Lorenzin tolga il decreto o si dimetta”. E poi su incontro giovedì: “Solo un teatrino. Noi fuori dall’Intersindacale” in: http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=36406), mentre il Ministero della salute, messo alle strette dai medici, si impegna a fare ciò che doveva fare prima, ma con una controparte lacerata, cioè almeno un incontro con un minimo delle parti in causa, forse per non averle contro. (Appropriatezza. Il decreto va avanti ma sarà riscritto. Sanzioni sospese fino a nuovo accordo in Stato Regioni. Lorenzin: “Rimuoveremo tutti gli ostacoli e nessun super ticket sulla ricetta” Sarà attivato un tavolo con Ministero, Regioni, Fnomceo e Società scientifiche per semplificare ed eventualmente riformulare i criteri di appropriatezza ed erogabilità delle prestazioni. Non ci sarà nessun super ticket. Dopo le polemiche per non essere stati convocati direttamente i sindacati non vanno all’incontro. Ma il ministro si impegna a incontrarli in vista dello sciopero, in: http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=36350).

Credo comunque che sia condivisibile quanto scrive Riccardo Cassi della Federazione CIMO-FESMED, relativamente alla visione della classe medica da parte dei politici al governo «Le controparti pubbliche, […] continuano […] a guardare al medico solo come a un “dirigente pubblico”, al quale si possono applicare norme e sanzioni anche su decisioni che riguardano esclusivamente […] la sfera professionale (come se questa fosse marginale ed accessoria rispetto alla funzione gestionale)».( Riccardo Cassi, La questione medica e la sfida dei sindacati, in: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=36409).
Mi si creda questo procedere caotico ed improvvisato in sanità implica anche una questione etica e teorica più di quanto sembri. E scrivo e penso così per vari motivi ma anche perché mi pare non si sia neppure studiata bene, qui come là, la parte etico-normativa relativa alla sanità/salute pubblica. Per esempio pare proprio che il medico di base, che un tempo, anche quando io ero bambina, aveva un piccolo personale laboratorio analisi collegato al suo ambulatorio, sia e resti in una posizione fra lavoro autonomo e privato, fra azienda sanitaria e stato, e che questa sua collocazione debba essere discussa, prima di altro.

Inoltre potrebbe accadere che, per mantenere le specialistiche udinesi, per esempio il centro trapianti o la chirurgia neurologica , che servono la nazione e quindi dovrebbero esser finanziate con soldi nazionali ed operare in sinergia con i centri di regioni contigue, con condivisioni anche di spesa, si tolgono di fatto il pronto soccorso e la medicina gemonesi, che servono utenza locale, con ripercussioni su vari settori economici e sulla vita e salute delle persone, e intasamento degli altri pronto soccorso provinciali. Un cittadino scriveva pochi giorni fa sul suo profilo facebook privato: « […] sono entrato alle 20 in pronto soccorso di Tolmezzo ora è l’una di notte e sono ancora in sala di attesa!!!! Il brutto è che non sono solo ma con tantissima gente tra cui una vecchietta di più di 80 anni ferma con me da oltre 5 ore in attesa, siamo venuti a sapere che in tutto l’ospedale c’è un solo medico!!! Ora mi domando ma perché sto pagando ancora le tasse???? (…)».
Io ho atteso l’anno scorso anche di più. E mi pare che la notte il medico di pronto soccorso a Tolmezzo debba intervenire anche nei reparti. Quanto sono lontani i politici ed i dirigenti, penso leggendo, da questa realtà! Ma bisogna anche dire che i limiti di sanità, ospedali e medici, circolano solo in modo privato, e spesso con toni emotivi, ma questa è altra storia.

E sperando di non finire come in Toscana, dove ormai pare che tutto sia possibile e dove qualcuno, finalmente, si rivolge ad un pm, a causa del testo sulla riforma sanitaria pubblicato sul bollettino della regione che secondo cinque stelle è diverso da quello licenziato in aula, (David Evangelisti, Toscana, riforma sanità: testo diverso da quello approvato. M5s: “Esposto a pm”. Pd: “È un normale coordinamento” in: Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2016) mentre pochi mesi fa si potevano ancora leggere notizie su appalti gonfiati in sanità, anche se la notizia è datata e per fortuna venuta alla luce (Sanità Lombardia, “appalti gonfiati all’ospedale di Gallarate”. Sei denunciati, in: Il Fatto Quotidiano 17 luglio 2015) Gino Strada continua a sostenere che la sanità deve essere gratuita per tutti, che si devono tagliare i profitti, semmai, che dieci milioni di italiani non possono permettersi un’assistenza adeguata, e che servono ospedali e non aziende. (“Sanità, Gino Strada: “Gratuita e per tutti”. “Costa troppo? Tagliamo i profitti”, in: Il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2015). Come non dargli ragione?
Comunque rinvio ai miei precedenti stesso argomento ed all’intervento di Gianni Borghi all’ incontro con Maria Sandra Telesca, che pare volesse, allora, glissare qualsiasi confronto con i comitati gemonesi che pur, se ascoltati, qualcosa hanno ed avrebbero da dire. Ma forse il “Ghe pensi mi”, non implica confronto alcuno.
Voglio però aggiungere che credo che gli assessori regionali pensino di operare bene, senza avere grande esperienza, ed avendo vissuto 20 anni sotto Berlusconi.

Scrivo quanto per esprimere, come riesco, le mie considerazioni in modo documentato, senza voler offendere alcuno, scusandomi subito se qualcuno si sentisse offeso, e se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

L’immagine è presa dal sito veritaedemocrazia.blogspot.com, solo per questo uso. Laura Matelda Puppini

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