INTRODUZIONE

Leggo con vera meraviglia, sul Messaggero Veneto di oggi, 1 luglio 2018, l’articolo: “Amico alpino” l’aiuto ai medici pronto a diventare modello nazionale”, di Martina Milia, e vengo presa dallo sconforto. Da un mese o forse più si parlava di tale ipotesi per Pordenone e il pordenonese, ma non credevo proprio alla sua realizzazione, perché pone diversi problemi.

Inoltre il testo citato dice pure che ci sono voluti accordi con le forze dell’ordine e la Prefettura per definire la procedura, ed allora vorremmo sapere che compiti sono stati dati agli Associati ANA in ambito sanitario, se parificazione ai Carabinieri, alle guardie giurate, o a chi, sulla base dell’acquisizione di una tessera di una Associazione privata, che per me ha meriti e demeriti come tante altre.  Capisco che detta brillante idea, partita dal dott. Lucchini, presidente dell’ordine dei medici di Pordenone, sia un modo sbrigativo dell’Ass5 e di detto ordine per togliersi dall’agenda il problema della possibile aggressione, anche solo verbale, ad un medico, ma nel far così si rischia di stravolgere il rapporto medico – paziente, secondo me, e di militarizzare la sanità, con la motivazione delle possibili aggressioni.

CHI E’ L’ANA.

L’ A.N.A., Associazione Nazionale Alpini, è una ‘associazione d’ arma’, si legge su wikipedia. (https://it.wikipedia.org/wiki/Associazione_Nazionale_Alpini). Possono farvi parte «tutti coloro hanno prestato servizio nelle truppe alpine dell’Esercito Italiano per un periodo di almeno 2 mesi e coloro che non avendo potuto, per cause di forza maggiore, prestarvi servizio per tale periodo di tempo, vi hanno conseguito una ricompensa al valore, oppure il riconoscimento di ferita od invalidità per causa di servizio», ma si può entrare a farvi parte anche come ‘aggregato’ pur non avendo prestato servizio nelle truppe alpine. (Ivi). Pertanto non si può negare che l’A.N.A. sia una associazione di ex militari, che ha più scopi e pure quello di «promuovere e concorrere in attività di volontariato e Protezione Civile, con possibilità di impiego in Italia e all’estero, nel rispetto prioritario dell’identità associativa e della autonomia decisionale». E già l’autonomia decisionale pone nello specifico non pochi problemi, oltre il dover agire nel rispetto della identità associativa, che non si sa cosa significhi per quanto riguarda il «difendere i medici». (http://m.dagospia.com/alpini-per-difendere-i-medici-contro-il-boom-delle-aggressioni-piu-di-3mila-in-un-anno-171700). Non da ultimo, quando detta Associazione, di cui faceva parte anche mio nonno Emidio Plozzer, nacque, nel 1919, la leva era obbligatoria, ma ora no, essa è volontaria, e quindi i soci Ana possono essere solo persone che hanno fatto delle armi, della guerra, dell‘attacco e difesa il loro lavoro, per scelta. E gli Alpini risultano ora un corpo speciale e scelto, in una guerra moderna. Pertanto io mi chiedo chi siano questi che vengono definiti «Nuovi ‘angeli custodi’ con la piuma nel cappello» che «veglieranno sulla sicurezza delle guardie mediche, sia durante le visite in ambulatorio sia in caso di attività al domicilio dei pazienti». (http://www.adnkronos.com/salute/sanita/2018/06/30/medici-guardia-arriva-scorta-degli-alpini_sWNZv5pa0wG0fCWZVGfSRI.html).

Inoltre l’articolo firmato da Martina Milia non parla solo di ‘aiuto’ ai medici di guardia medica, ma anche di soci ANA che introducono il paziente dal medico insomma fanno il triage, e che verranno posti di presidio alle aggressioni nei centri di salute mentale, in geriatrìa, nelle sale d’attesa, nei pronto soccorso, nei servizi back office, in veterinaria, negli uffici per il rilascio patenti, il che sa di presidio miliarizzato della sanità intera. Che poteri avranno questi ‘nuovi angeli’ non è dato sapere, e neppure se saranno armati. Ma temo abbiano una cultura di destra, il che non è di poco conto. E mi scusi l’ANA ma per me è così. Inoltre ora se uno dice qualcosa a uno dell’ANA, sanitarizzato, che gli può capitare? Sapete quelli dell’ANA li si può incontrare in paese, si conoscono, cosa potranno sapere di te? … Per fortuna che non vivo a Pordenone, penso tra me e me.  E poi io sono di sinistra, e delle militarizzazioni ho paura, come dei corpi speciali inventati lì per lì per la difesa di uno o l’altro … Ma può esser paura mia, per carità.

LA DIFESA DEI MEDICI NEL RAPPORTO MEDICO – PAZIENTE.

Il concetto di difesa, non solo per un militare od una Associazione di ex militari, presuppone un attacco, o un nemico. E nello specifico si rischia di far passare ogni paziente, anche la vecchietta, per un possibile aggressore, con risultati catastrofici nel rapporto sanità – pazienti. Anzi ve lo dico subito: io mi sento già a disagio per come si pensano i pazienti. «Paura, paura paura, siamo aggrediti dai pazienti, aiuto!!! Aiuto!!!» Questa è la realtà: si è creata nel personale medico la psicosi del paziente che aggredisce! Agire sulla psiche collettiva è tragico. Ma è stata fatta una analisi concreta delle situazioni in cui vi è stata aggressione fisica? Quante volte il fenomeno è accaduto, in che luoghi, chi era il medico e perchè il fatto è accaduto? Per esempio sono gli stessi medici ad essere aggrediti o vari? Che tipologia di paziente aggredisce i medici? Medico e paziente si conoscevano già e fatti personali possono avere inciso sui comportamenti? Il parente esasperato poi non dovrebbe esistere se vi è buona comunicazione e se essa non è incentrata solo sul “Lei non sa chi sono io”. Chi aggredisce appartiene al sottobosco del disagio, della malattia mentale, della droga? Il problema dell’approccio a pazienti drogati, etilisti e psicotici, potenzialmente violenti, credo debba essere trattato con le forze dell’ordine ed esperti ed è un problema serio, non da quattro dell ‘Ana, ‘cun la plume sul cjapiel’, con tutto il rispetto, ed una visione  militaristica del problema. «Saranno armati?» – mi chiedo. «Conoscono arti marziali, e magari solo per un gesto mal compreso, possono usarle?» – perché tutto è bello e facile, sulla carta, ma poi … Sapete le arti marziali sono di difesa, e permettono di immobilizzare il soggetto potenziale aggressore … ma anche di ucciderlo. E se gli ANA di turno pensano che la bella, bionda dottoressa possa essere aggredita … non quando uno le ha già messo le mani addosso … come si comporteranno? Secondo me questa criminalizzazione del paziente sarà foriera di molti problemi.

Inoltre io ve lo dico: mi sento offesa se un medico viene scortato a visitarmi. Ma anche le vecchiette ed i vecchietti si sentirebbero così. Perché io non aggredisco nessuno, né ho mai aggredito alcuno, e sono pacifista, e questi uomini che hanno il culto delle armi mi fanno paura.

Altro capitolo meriterebbe l’aggressione verbale, parificata alla fisica. Quando la stessa si configura? Quando un medico percepisce una frase come offensiva, e quindi è concetto personale? Quando i due dell’ANA percepiscono delle parole come offesa personale? Ma sapete, ci sono medici così pieni di se stessi, che qualsiasi parola non sia nel senso di osannarli potrebbe configurarsi come ingiuriosa. E ci potrebbero essere soci ANA che la vedono così. Inoltre stendiamo un velo pietoso sulle “aggressioni verbali” di personale sanitario verso i pazienti, che non verrebbero più riconosciute da chi scorta, che è solo a difesa del medico. Infine poi, il paziente, se riconosciuto aggressore dai soci ANA, che si possono spalleggiare a vicenda, come potrebbe succedere, verrebbe sentito o meno? E potrebbe dare la sua versione dei fatti o no? E se sì a chi? Inoltre ormai leggo su facebook di medici che si sentono di rischiare la vita per i pazienti e via dicendo, e mi pare invero esageratissimo. Psicosi collettiva, si chiama così, che cambia le regole di un servizio.

VISITA MEDICA. RAPPORTO A TROIS?

Leggo sul Messaggero Veneto, articolo citato, che i soci ANA dovrebbero relazionarsi con i pazienti, ed un dubbio mi assale: parteciperanno anche alla visita medica?
Perché io lo dico subito: per vari motivi, non intendo esser visitata in presenza di ex militari dell’ANA, e non intendo pure che entrino a casa mia, ove possono avere un sacco di informazioni su di me, e magari darle in giro. E io non voglio mostrare figa, culo e tette all’ANA, se deve essere presente alle visite. Pertanto nel mio caso il medico può rifiutarsi di visitare da solo?

Secondo me introdurre un terzo e quarto incomodo nelle visite mediche, spaventa, chiude la bocca, mette a disagio, non permette di togliere gli abiti, e pone problemi di privacy non di poco conto. Inoltre si potrebbe creare fra questo nuovo tipo di polizia privata medica e le dottoresse, perché pare sia una difesa di genere, una specie di complicità non certamente positiva, come può accadere fra medico ed infermiere.

Così si stravolge il concetto stesso di visita medica come rapporto medico paziente, e si va a finire in un casino. Invece mi parrebbe molto serio che le dottoresse acquisissero vestiario e comportamento tali da non dare adito a violenza alcuna: si mettano il camice, e, come dovrebbero fare anche i medici maschi, abbiano un segnale di appartenenza alla classe medica, usino il Lei, evitino commenti che possono apparire pure sfottò, o giudizi sulla persona, usino toni di voce non aggressivi, perché vi dico io che se ne sentono eccome, di toni non consoni, di frasi non adatte, di … Ma tranquilli, nessuno può contestare i medici e gli infermieri.
Perché anche ai pazienti può essere fatta violenza, da parte medica ed infermieristica, in vario modo ma nessuno li difende e non possono difendersi da soli. Anche i pazienti collezionano traumi e non di poco conto.

Infine esiste nella cultura di destra, propria secondo me anche dell’ANA, una tendenza a criminalizzare chi ha una malattia mentale, a vivere questi soggetti  come persone che disturbano, a vivere i drogati come quelli che se la sono voluta, che dovrebbero essere puniti, e via dicendo, che bisognerebbe dar loro quattro cazzotti ed allora …  Insomma gli stereotipi pesano, ed esistono.

Non da ultimo, spesso i pazienti sono vecchi, con aterosclerosi, noiosi, con demenza senile, e magari urlano, ma la media è quella, non il bambinetto, bellino e carino, non la quindicenne dagli occhi dolci. Mai pensato ad un corso su come affrontare il paziente aterosclerotico o con demenza senile? Oddio, Puppini, perchè mai? Un medico di base accusò un anziano suo paziente, di cui forse si era dimenticato lo stato del cuore, della circolazione arteriosa credo proprio deficitaria e del fegato cirrotico, di usare toni alti di voce, di minacce e di quasi aggressione, senza testimoni, ma forse quel paziente era esasperato dal medico che si era dimenticato in sintesi di curarlo, e pure, una volta, di dargli le medicine … fornite poi su richiesta, e anche di prendere in considerazione seriamente il referto di dimissioni ospedaliere dal ricovero del paziente, di cui era in possesso … ma cosa vuoi che sia … E così quel medico chiese per detto paziente una visita psichiatrica, per far che non si sa, non una internistica o epatologica …. Ma tranquilli, il paziente è morto per cause naturali, come prevedibile, pochi mesi dopo. …. E come si sa, io non parlo a caso. Se ci fossero stati quelli dell’ANA, che avrebbero fatto? Inoltre non si deve dimenticare che certi comportamenti sono umilianti per i pazienti, ma anche che informazioni riservate si diffondano nel sociale … Ma si sa che uno può narrare alla moglie, uno alla vicina, uno agli amici … versioni personali dei fatti.

Un problema di fondo è invece l’isolamento di alcuni ambulatori di guardia medica dal resto del contesto ospedaliero. Ma questo è problema non da ANA ma da aziende sanitarie.

LA SOCIETÀ È VIOLENTA.

“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso” è buona regola di vita, molto dimenticata in questa società dove dominano l’arrivismo e la scalata sociale, e l’agire in ‘scienza, coscienza’, e rispetto dell ‘altro’ risultano spesso fuori moda. Inoltre ogni paziente potrebbe esser vissuto come un potenziale soggetto che chiede ragione ad un tribunale di alcuni fatti, oltre che come un possibile aggressore. «Magari qualcuno lo vedesse come un malato» – penso fra me e me. Come superare le aggressioni? Non creando ulteriori psicosi, e non militarizzando la sanità.  Alla dott. Giulia Marcassa, intervistata dal Messaggero Veneto, (L’aggressione un anno fa mi ha cambiato la vita. Basta lavorare da soli, in: Messaggero Veneto, 1 luglio 2018) dico poi che mi dispiace moltissimo per quanto le è accaduto ma che non solo io porto segni indelebili di comportamenti ed errori medici, che mi hanno segnato per sempre, ma fra i pazienti ex in questo caso, ci sono anche coloro che hanno perso la vita, ma tutti zitto e cuzzo, fino alla criminalizzazione del paziente. E ci sono belle donne come la dott. Marcassa, che anche nel sociale hanno subito violenza, ed in numero ben più alto delle dottoresse, fino alla morte. Quindi il problema da affrontare è quello della violenza nel sociale, ed anche alle guardie mediche femmine, mi par di capire, che nell’articolo ultimo citato, si legge non esser  stato preso sinora in debita considerazione, per poi proporre, in fretta e furia, la militarizzazione del rapporto medico – paziente. Se si lascia che la violenza dilaghi essa sarà dovunque, e le militarizzazioni impediscono il dialogo. Bisogna educare i giovani, fare una sana politica di lotta alla droga, settore in cui bene operano i carabinieri, introdurre l’educazione civica nelle scuole, impedire la violenza negli stadi, ed educare i ragazzi al sentimento prima che al culto del sesso.

IN CHIUSURA.

Quando ho scritto su facebook alcune di queste mie perplessità, vi è chi mi ha risposto che non è certo l’abito che ha portato a violenza verso dottoresse, ed ha ragione, ma è sempre meglio evitare anche piccolezze, che possano incidere. Io ho 66 anni, e mi ricordo che quando ero a scuola al liceo, tutte noi ragazze avevamo il grembiule nero ed i capelli raccolti, insomma una specie di divisa, che non aiutava certo, neppure verso le più belle, ad avere pensieri strani. E io ho visto ragazze delle superiori presentarsi a scuola con abiti non di certo conformi ad una scuola mista e anche non mista. E io ho visto dottoresse in jeans stretti, magliette scollate, e via dicendo. Anche un camice manda un segnale, insieme ad un distintivo ed ad un modo di presentarsi. Inoltre la dignità della persona dovrebbe venir rispettata. In sintesi non vale per i medici ed infermieri, solo per il posto di lavoro che occupano, il detto: «Con quella bocca può dire ciò che vuole». Inoltre le mie perplessità, qui riportate, sono state viste come non voler dare giusto peso alle aggressioni ai medici o meglio alle dottoresse, ma se il problema è di genere, si mettano medici maschi a far guardia medica. Comunque per me ogni violenza è ingiustificata, ogni aggressione fisica non ha motivo di esistere, indipendentemente da chi ne sia la vittima, perchè sono per la non violenza e sono pacifista. Inoltre non voglio assolutamente offendere quelli dell’ANA, associazione a cui tanto ci teneva mio nonno, ed a cui appartengono persone che stimo, ma il problema è l’uso dell’ANA nelle visite mediche ed in sanità. Infine  preciso che non intendo offendere alcuno con questo mio articolo, ma solo manifestare mie personali perplessità, che sono contestabili, e portare alla ribalta dei temi di discussione.

L’immagine che correda l’articolo rappresenta un vecchio distintivo ANA, ed è tratta, solo per questo uso, da: https://picclick.it/Vecchio-Distintivo-Smalti-Ana-Associazione-Nazionale-Alpini-Alpino-311983729618.html.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

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