Mi è giunta, da Franco D’Orlando, una provocazione, se così si può chiamare, da cui prendo queste righe, per introdurre alcune mie riflessioni sulla montagna e su quale Carnia vorrei per il futuro.

«Egregio Direttore, pare che i tanto declamati “Stati generali per la montagna” facciano riferimento ad un incontro finale organizzato dal governo regionale svoltosi con la partecipazione di sindaci, imprenditori, sindacati e altre parti interessate. La Presidente della nostra Regione ha illustrato, in merito, gli impegni da elaborare e perseguire per coinvolgere tutti i territori montani, in particolare le terre alte, abbinando nella circostanza un “inquadramento” degli addetti ai lavori (i sindaci in particolare) sulla controversa approvata riforma degli enti locali. Si è fatto riferimento allo sviluppo delle filiere e dei sistemi produttivi, alla tutela e cura del paesaggio, al miglioramento dei servizi, a un sostenibile prodotto turistico: il tutto supportato da una mobilitazione,da qui ai prossimi 4 anni, di 114 milioni di euro a ciò destinati. Naturalmente tutte valide iniziative e importanti progetti riguardanti argomenti che, è giusto rilevare, sono stati oggetto negli ultimi 30 anni di dibattiti, incontri, convegni senza però raggiungere importanti risultati utili alle necessità del territorio montano e ad arrestare o, perlomeno, a contenere l’impoverimento umano, sociale ed economico dello stesso. Così pensiamo accadrà anche stavolta perché si continua a operare e a decidere con la presunzione di sapere, dal centro e dall’alto, quali siano le vere esigenze di un territorio e soprattutto come affrontarle e gestirle. (…). Dobbiamo sempre fare i conti con un territorio in fase di costante abbandono per scelte politiche sbagliate, privo di tanti servizi di base, addirittura di recente spogliato dallo Stato del suo presidio di giustizia con l’inopinabile chiusura del Tribunale di Tolmezzo, con le imposte e tasse da pagare comunque (anche su case abbandonate ridotte a rudere), con il costo della vita più caro, con la difficoltà nei trasporti, con l’elevato e costoso consumo dell’energia… […]. Illusorio è pensare che per un giovane esistano i presupposti per fermarsi o per tornare a vivere quassù, a formare in montagna una famiglia! “Chi glielo fa fare?” Non saranno certamente solo i finanziamenti programmati e finalizzati a progetti a trattenerli o ad attirarli! Queste iniziative potranno forse servire ai pochi, validi, eroici imprenditori che tuttora operano con tanti sacrifici e che sono qui sopravvissuti nonostante tante difficoltà. (…)». (Lettera di Franco D’Orlando e dell’ Unione Autonomista Alpina, pubblicata da: La Vita Cattolica il 16 luglio 2015, ed a me giunta da D’ Orlando stesso).

Queste righe mi hanno portato a riflettere, nuovamente, su quanto avevo posto in discussione nel lontano 2012… I cosiddetti “10 punti” per la montagna. Traccia per un dibattito che si arenò sulle Unioni dei Comuni e le beghe di partito.

Nel lontano 2012, in vista delle elezioni regionali, proponevo alla discussione i da me definiti “10 punti per la montagna”, da presentare ai candidati alla presidenza della Regione. Ma già al primo incontro questa mia scelta fallì per problemi di rappresentanza e per scarsa condivisione delle tematiche da parte di alcuni, che volevano discutere, prima l’Unione dei comuni.

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Premessa.

Colui che viene eletto in comune come in provincia e regione è al servizio del cittadino elettore. La finalità della politica statale come regionale, cioè dell’ente pubblico è il bene e l’interesse dei cittadini tutti, e la pregiudiziale per le scelte non può essere che la pubblica utilità.

Inoltre per programmare il futuro in questa piccola regione, è, a mio avviso, importante “vedere” la stessa come un unicum, ove ripensare la distribuzione dei servizi in base ad un sistema strutturato a rete con accentramento di alcuni aspetti dei singoli servizi e decentramento di altri, con centri di piccolo e medio raggio, ed avendo come fine primario il welfare della popolazione ed una risposta forte alle esigenze comuni di salute, istruzione, cultura, educazione, formazione permanente anche come scambio esperienziale. In tale ottica si impone l’obiettivo di favorire una riposta ai bisogni di una base allargata e la verifica della stessa.

Questi bisogni generali per la montagna, venivan o da me riassunti  in una serie di punti, da proporre alla discussione, non naturalmente esaustivi di ogni problematica. Si fecero alcuni incontri, ma poi …

 Punti per lo sviluppo della montagna.

No all’elettrodotto, al fotovoltaico, alle centrali a biomasse, a forme di energia alternativa. ad un piano energetico che implichi il conteggio della quantità di energia prodotta con risorse locali e sua utilizzazione, ed eventuale pagamento di una quota per la produzione della stessa da parte di poli industriali che la sfruttano, previo mantenimento flusso costante d’acqua nei fiumi, onde evitare alterazioni non più sanabili all’ecosistema.

allo sviluppo turistico compatibile ed all’albergo diffuso, no ai mega villaggi turistici.

No alla privatizzazione dell’acqua, alla gestione pubblica della stessa.

No a strade che deturpano il territorio ed inutili, come quella che avrebbe dovuto attraversare la piana di Cavazzo Carnico, con spreco inaudito di suolo fertile per nulla.

No alla cementificazione selvaggia, no alle cattedrali nel deserto.

a forme, ma concordate, di creazione di piccole aziende in loco, soprattutto artigianali, ed in collegamento tra loro.

al lancio del prodotto tipico e all’artigianato di qualità di nicchia (ferro battuto ecc.).

No all’insegnamento telematico alle elementari, no a quello totalmente telematico alla scuola media, all’insegnamento legato al territorio ed a forme che incrementino la capacità di ricercare nell’allievo.

a proposte culturali molteplici anche in accordo con poli maggiori.

alla programmazione no all’improvvisazione.

No ad una regione assistenziale. ad una regione che abbia come suo fine la promozione di ciò che è di pubblica utilità tenendo sotto controllo la spesa, perché si può risparmiare tantissimo e spendere poco e meglio.

ad industrie di piccole o medie dimensioni in zone già predisposte, come quella di Ampezzo, ma con richiesta di alcune garanzie e previa valutazione delle possibilità di mercato.

ad una raccolta delle parlate carniche in relazione anche ai lavori tradizionali

all’industria conserviera alimentare, al sostegno all’agricoltura montana ed all’agriturismo.

al trasporto pubblico ed al suo potenziamento.

No alle riserve per i motociclisti, alle moto cavalcate, ad un uso dissennato del territorio …

, e con forza, alla salvezza di tutti i piccoli ospedali e progettualità unica fra i nosocomi di Tolmezzo e Gemona.

No al poligono del Bivera ed a qualsiasi forma di servitù militare.

Altri problemi emersi dalle discussioni comuni e non …

In agricoltura: difficoltà a gestire produzione e commercializzazione; è necessario svincolare la commercializzazione dalla produzione, non potendo assolvere le stesse persone ad ambedue.

Problemi di tipo burocratico e lunghezza assolvimento pratica per accedere ai fondi U.E.. Quali soluzioni?

Quale rappresentanza per la Carnia? Unioni comuni, che ruolo e che funzione?

Banda larga tenendo conto che la stessa non è la causa di tutti i problemi montani, né può risolverli.

Utilizzo di quanto offre la regione in campo imprenditoriale.

Sì ad una sanità decentrata, che si regga, anche, sui poliambulatori di vallata.

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Il mio pensiero su alcuni problemi, relativi all’ economia ed ai servizi, anche da mie lettere al Messaggero Veneto.

Urbanistica regionale

«Pochi giorni fa ho visionato il piano urbanistico regionale dell’aprile 1976, e vi ho trovato alcuni spunti interessanti. In primo luogo si ritiene che l’urbanistica non riguardi solo “ lo sviluppo della città”, ma la programmazione dell’intero territorio regionale, in sintesi riguardi l’ambiente e l’utilizzo del suolo in senso ampio. Data questa premessa, l’estensore del piano pone come obiettivi dello stesso: la difesa del suolo e dell’ambiente; – la formazione di grandi sistemi di verde; – la riqualificazione delle fasce costiere marine, lacunali, fluviali; – la salvaguardia, il potenziamento e la qualificazione di tutti i suoli non urbani e non necessari per la rete urbana, intesi come supporti integrati per le attività umane complementari; la valorizzazione e difesa particolare della montagna. “La montagna svolge, infatti, un ruolo fondamentale per quanto riguarda gli equilibri naturali ed idrogeologici in particolare; si impone, pertanto, una politica organica a sostegno di essa ai fini della difesa idrogeologica”- si può ivi leggere. Il documento pone, inoltre, fra le finalità della regione, anche la conservazione del patrimonio culturale, paesaggistico e storico – ambientale, e lo sviluppo di attività produttive specifiche quali l’agricoltura, l’artigianato, il turismo. Esso si occupa, pure, dell’ integrazione dei servizi e del loro potenziamento, in un ottica che vede, accanto ad un asse principale urbano e produttivo, la creazione di una rete di sistemi complementari, dati dalle nuove conurbazioni. E risultano anche interessanti il concetto di comprensorio come momento di piano intermedio fra comuni e regione, e l’introduzione “nella metodologia e nei piani urbanistici” del concetto di “limite delle risorse economico – finanziarie”. Ciò implica l’integrazione tra l’elaborazione concettuale – programmatoria e l’aspetto economico per farvi fronte. Che ne è stato poi, di questi principi? Potremmo iniziare, ora, almeno da qui? Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 29 marzo 2012).

La sanità e l’ospedale periferico come servizi al cittadino.

«Ritengo le recenti ipotesi sulla riforma sanitaria non consone alle esigenze dei cittadini e con possibili riflessi sulla vita delle zone marginali della regione. Non si può riformare la sanità mantenendo doppioni in altri ospedali e togliendo i pronto soccorso, gli ospedali minori e di fatto gli ambulatori, che ivi si trovano, di riferimento per territori a densità abitativa minore. Non si può limitare l’orario di un pronto soccorso, perché chi è già lì dove andrà ad orario chiusura? E chi firmerà dimissioni e trasporto pazienti gravi solo perché ad una certa ora si deve sbaraccare? E di notte, uno che ha bisogno di un pronto soccorso, per es. nel canal del Ferro, o nelle Valli del Natisone che farà? I medici di base hanno grossi limiti e non coprono la notte, e la guardia medica è legata all’ospedale. Io credo che si debbano lasciare i piccoli ospedali, come minimo con un p.s., una o più ambulanze, ed una sala per interventi minori di routine ed urgenti. Perché la chirurgia può essere di urgenza. Inoltre l’ospedale di Udine pare più in affanno di quanto non appaia, e sopravvive perché molto lavoro quotidiano viene svolto dagli ospedali minori, che erogano un prezioso servizio. La sanità deve essere territoriale, le chirurgie superspecialistiche e i reparti per diagnosi e cure malattie rare possono esser accentrati. E chi accentra non può non tener conto di quisquiglie come parcheggi, tempi di attesa, spostamenti, problemi di trasporto. Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 28 gennaio 2014).

«Per programmare il futuro in questa piccola regione, è, a mio avviso, importante “vedere” la stessa come un unicum, ove ripensare la distribuzione dei servizi in base ad un sistema strutturato a rete con accentramento di alcuni aspetti dei singoli servizi e decentramento di altri, con centri di piccolo e medio raggio, ed avendo come fine primario il welfare della popolazione ed una risposta forte alle esigenze comuni di salute, istruzione, cultura, educazione, formazione permanente anche come scambio esperienziale.
In tale ottica si impone il favorire una riposta ai bisogni di una base allargata e la verifica della stessa anche attraverso il rapporto fattivo con le associazioni che rappresentano i cittadini, Cittadinanzattiva e Codacons, tanto per fare un esempio.
Non sono assolutamente d’accordo e non lo sono mai stata, invece, con la creazione di un’Azienda Sanitaria unica regionale, che si configura come un ingestibile carrozzone e con il mantenimento delle singole aziende ospedaliere, che, di fatto, non farebbe altro che rinfocolare guerre fra strutture ed il mantenimento di “orti ed orticelli”. Io ritengo che le direzioni ospedaliere siano da eliminare mentre si debbano mantenere 4 ass, […], ripensando il servizio sanitario distribuito su una rete territoriale di poliambulatori e centri di primo intervento facenti capo a poli a medio raggio configurabili negli attuali ospedali, su cui distribuire le competenze onde evitare doppioni inutili. Laura Matelda Puppini». (Lettera di Laura Matelda Puppini, dal Messaggero Veneto il 13 ottobre 2011).

Inoltre aggiungevo, in una lettera pubblicata sempre dallo stesso quotidiano, che, a mio avviso, l’ass3 Alto Friuli, ora aas3, avrebbe dovuto valutare il potenziamento laboratori analisi di Gemona e Tolmezzo, e quello dei poliambulatori di vallata in ambedue i contesti territoriali, data la situazione disagiata dell’utenza. (Lettera di Laura Matelda Puppini, dal Messaggero Veneto il 6 luglio 2011).

Quale futuro per il San Michele di Gemona? La parola a Pietro De Antoni, chirurgo ed urologo a Gemona e Tolmezzo.

Si continua a leggere, sul Messaggero Veneto, dell’ospedale udinese, che, visto da noi montanari, pare un asso pigliatutto, mentre i nostri problemi, di utenti periferici montanari restano. E vorrei sapere dove sono i politici eletti in Carnia od anche con voti carnici. Io credo che gli ospedali di Gemona, San Daniele e Tolmezzo debbano far rete, coesione, programmazione comune, debbano avere un territorio di riferimento preciso, pur potendo optare anche, per un reparto di specializzazione. Per esempio per quanto riguarda il San Michele di Gemona, potrebbe diventare un centro provinciale per la chirurgia in day Hospital e in week e day surgery, come proposto dal dott. Pietro De Antoni. Egli poi afferma che al centro della programmazione sanitaria per l’Alto Friuli dovrebbero esserci i medici, dimenticandosi vecchi screzi o divisioni, e optando per il dialogo e la progettualità comune. Inoltre sottolinea come l’ospedale gemonese abbia un tasso altissimo di occupazione posti letto in medicina, oltre il 90% degli esistenti, mediamente, e vi operi un gruppo di medici giovani, preparati, impegnati. (Da: Maura Delle Case, Gemona? I medici di San Daniele e Tolmezzo ci ostacolano, Messaggero Veneto, 25 marzo 2015).

Essendo la popolazione regionale anziana, il problema del mantenimento dei reparti di medicina con i loro posti letto, in particolare in ospedali con bacino di utenza montano, non è di poco conto.

Mantenimento del tribunale. Quando la sede della giustizia non c’è più.

«Il tribunale non serve qui per riempire stanze predisposte che resterebbero vuote, ma in funzione di un nuovo modo di pensare la giustizia, che sia vicina alla gente, e quindi per amministrare in loco la giustizia. Lo ricordava la rappresentate della Slovenia all’incontro sul tribunale con gli avvocati degli stati limitrofi, in aula consiliare: ciascuno di noi, diceva, dovrebbe poter ricorrere ed appellarsi al giudice se ritiene di aver subito un torto od in caso di controversia, ed il giudice deve essere vicino al territorio ed ai suoi abitanti. Da quanto ci tramanda la tradizione, nei paesi dell’Oriente il visir ed il sultano, ambedue in abiti popolari, scendevano fra la gente, la sera, per sondare gli umori ed problemi del popolo. E ricordo che, ai tempi del Patriarcato di Aquileia, la popolazione od il singolo o gruppi di abitanti nella sua giurisdizione potevano, tramite un proprio rappresentante o da soli, appellarsi al giudizio del Patriarca di Aquileia, che ascoltava, e decideva. Ma ora a ben altri scenari ci hanno abituato. Ci hanno abituato ad una giustizia che di fatto non c’è, ad una giustizia lunga, farraginosa, costosissima, alla portata solo di pochi e ricchi. Se non si ripensa la giustizia e non si diventa garantisti anche in questo settore c’è poco da sperare. Io voglio un tribunale perché dia un servizio a noi, alla Carnia, io voglio un tribunale perché ci sia qui giustizia e perché la giustizia sia vicino alla gente e per ricorrere con fiducia alla stessa, io voglio un tribunale in un’altra visione della giustizia. Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 19 settembre 2012).

Piccola e media impresa ed artigianato in territorio montano .

«Ad un incontro a Museis, tempo fa, ho ascoltato tre imprenditori carnici: Duilio Cescutti, Stefano Petris, Giampaolo Gortani. Se ho ben capito essi hanno imprese di non grandi dimensioni, hanno sfruttato momenti ed idee, partendo da esigenze o tradizioni locali. Le aziende sono in mano alle famiglie il che permette da un lato di non avere grosse sorprese a livello di proprietà, dall’altro di avere un rapporto di collaborazione con i dipendenti, che vengono così motivati al lavoro. Pare che la piccola- media impresa sia, ora come ora, quella che meglio regge al mercato se il suo prodotto è di qualità. In sintesi pare che il poco e qui diremmo il meglio siano elementi a garanzia per porsi sul mercato. Però detta soluzione implica l’acquisizione di un marchio di qualità, ed il sostegno con mutui agevolati, se necessario. Ho ascoltato con interesse i tre relatori ed ho posto, anche, la questione del ruolo degli enti politici rappresentativi dei cittadini fra esigenze del mondo imprenditoriale e della popolazione e territorio. (…). Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 22 ottobre 2012).

Per un turismo sostenibile.

«Vorrei esprimere due considerazioni sulla possibile costruzione di due enormi villaggi turistici in regione: la ” Zamparini city” a Grado, ed il complesso turistico alberghiero, composto da 31 chalet, tre alberghi, un cento polifunzionale, che dovrebbe sorgere, in quota, sullo Zoncolan, e che prevede garage interrati, laghetti artificiali, un inceneritore per i rifiuti, ed altro ancora. Premetto che non ho interessi personali in ambito turistico o preclusioni verso alcuno, ma davanti a progetti come questi mi chiedo: per quale utenza si costruirebbero, quando in Italia, 1 famiglia su 4 è a rischio povertà, il carovita è aumentato più degli stipendi, i giovani o sono senza lavoro o lo hanno precario, chi ha due lire ha una molteplicità di offerta? Mi è stato risposto che verranno “quelli dell’est”. Ma chi? Ed a quale costo, tenendo conto delle spese di costruzione, manutenzione e gestione, e di un minimo ricavo? Relativamente al progetto Zoncolan, (per quello di Grado non mi è dato sapere), pare manchino: uno studio geologico, uno di impatto ambientale, sulle comunità di paese ed il turismo esistenti, un’analisi della ricaduta di un tale complesso edilizio sul paesaggio anche austriaco. E per costruire si va ad alterare un ecosistema unico ed irripetibile, con ricaduta sugli altri. Mi si vuol dire, poi, dove si troverà tutta l’acqua prevista? Inoltre cantieri aperti, con ciò che comportano, allontaneranno anche il turismo già presente, e chi trova buon stare da altra parte non ritorna. Infine: chi garantisce che non ci si ritrovi, prima o poi, davanti a cattedrali nel deserto con danni inenarrabili? Leggo e ho sentito: “I benefici per l’occupazione e lo sviluppo saranno eccezionali”. Ma chi lo ha detto e su che base? La richiesta, ora, in ambito turistico è di ambienti il più possibile incontaminati ed il futuro, nel turismo, passa attraverso un recupero intelligente dell’esistente, albergo diffuso, alberghi, piste sciistiche e casoni. Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 10 maggio 2012).

Inoltre: no alla regionalizzazione di società turistiche già in deficit palese; sì alla salvezza di luoghi particolari come il romitorio di Raveo; no a spese per impianti sportivi non utilizzabili al pieno delle loro potenzialità, sì alla manutenzione dell’esistente.

Energia.

Ho potuto notare in Austria campi di moduli fotovoltaici che trasformano energia solare in elettrica, leggere sul Messaggero Veneto, leggere l’esperienza di Carlino e le proposte di Tavagnacco per pannelli fotovoltaici a tetto e mi chiedo, da profana in materia, perché la Regione F-vg ed i comuni interessati continuino ad appoggiare o discutere una teoria così assurda come quella dell’elettrodotto Wurmlach- Somplago senza, pare, valutazione di proposte alternative. L’elettrodotto è finalizzato ad importare energia elettrica dall’estero, rovinando intere zone di alto valore paesaggistico, per rispondere, se non erro, alla richiesta di “Pittini e Fantoni” di un plus di energia elettrica, oltre quella già utilizzata. Ed allora mi chiedo: ammesso che siano ancora presenti le condizioni che portarono alla produzione della domanda e le aziende abbiano attuato una politica di risparmio energetico, perché non pensare ad una soluzione a pannelli fotovoltaici in loco o viciniore, con elettrodotto minimo o nullo od ad altre soluzioni? Inoltre mi domando quali studi abbia fatto la regione f-vg prima di concedere l’elettrodotto in questione senza aver approntato, sembra, un piano energetico regionale che preveda il calcolo dell’energia prodotta in regione e di quella utilizzata ed utilizzabile sulla base di indagini di mercato e calcoli specifici, ed il possibile sfruttamento di energia prodotta in regione e venduta a terzi fuori regione, se tale caso sussiste. Infatti in Carnia i fiumi sono spesso in secca ed il dissesto idrogeologico è evidente. Ed allora uno si chiede: ma dove va a finire tutta l’energia per produrre la quale ci stiamo desertificando? Inoltre senza piano energetico regionale, come fatto notare dal Presidente del comitato per la vita del Friuli rurale, vi è la possibilità che chiunque possa fare, in campo energetico, tutte le domande che vuole. Ed ancora: non sarà ora di dimenticare i mega – elettrodotti per due fabbriche e le mega – centrali e ripensare il territorio e la possibilità, ma solo del caso, di produrre energia in altro modo e con piccole soluzioni decentrate? Laura Matelda Puppini». (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 12 novembre 2011).

Mantenimento dei servizi

No alla limitazione del trasporto pubblico. Sì al suo potenziamento.

«Abbiamo appreso dal Messaggero Veneto del 29/12/2012 dell’insulto di capodanno ai cittadini, per lo più anziani, che vivono nei comuni montani di Ovaro e Comeglians, Arta Terme, Moggio ud., Paluzza, Pontebba, Resia, Tarvisio e Zuglio, cioè della soppressione del servizio aggiuntivo di trasporto pubblico, perpetrata da chi non ha voluto che questo capitolo di spesa fosse mantenuto ed il servizio fosse prorogato per il 2013. Anno nuovo vita nuova per la montagna friulana, con la chiusura o ridimensionamento di uffici postali e la cancellazione di parte del trasporto pubblico: ma cosa vuoi che sia! E la giunta regionale f-vg. e la provincia di Udine cosa hanno da dire in proposito? E l’Unione dei comuni che fa? Chiediamocelo. La pianificazione del trasporto pubblico è di competenza delle regioni, che devono stabilire i servizi minimi, qualitativamente e quantitativamente sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, ed i cui costi sono a carico del bilancio delle regioni stesse. Le province, i comuni, le comunità montane possono, tuttavia, istituire, d’intesa con la regione, servizi di trasporti aggiuntivi a proprie spese. Ora la cifra per un servizio utilissimo e molto apprezzato dall’utenza dei 9 comuni citati costa alla provincia di Udine, e non si sa perché non direttamente alla regione, 160.000 euro all’anno. Ci chiediamo, a questo punto, come la regione possa pensare di spendere, se non li ha già spesi, 6 milioni di euro o giù di lì per l’inutile palazzo cosiddetto della regione a Tolmezzo, 2 milioni per il progetto definito copia- incolla della piazza di Tolmezzo, altre migliaia di euro, anche in paesi carnici, come contributo per strutture sportive (del. Reg. 22/12/2011) la cui utilità ci resta ignota, e tolga servizi pubblici ai cittadini più emarginati. E ci chiediamo che tipo di politica facciano la provincia di Udine e la regione fvg, e se servano davvero la popolazione di riferimento. Romano Marchetti, Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Romano Marchetti, Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 15 gennaio 2013).

No alla chiusura degli uffici postali.

«Molto opportunamente il Messaggero Veneto ha riportato in data 1 novembre 2012, festa di Ognissanti ma di fatto dei morti, la notizia della chiusura di una serie di uffici postali periferici, e dell’apertura a singhiozzo di altri, quasi tutti locati in disagiati paesi di montagna della Regione, Carnia compresa, volute da Poste Italiane s.p.a.. Sono queste le notizie che mi fanno male, anche perché ho imprestato qualche risparmio a Poste Italiane, e lo sconforto mi assale. Dove sono andate a finire le gloriose Poste e Telegrafi, uffici statali, che erano il vanto dell’Italia unita? Dove sono andati a finire quegli uffici che mettevano in contatto territori, paesi anche fuori dal mondo, persone? Ma per fortuna Poste Italiane, rigorosamente s.p.a., ci assicura, dal suo sito che è: “un’azienda al servizio dei cittadini che rappresenta un motore di sviluppo per l’intero Paese”. Come? Chiudendo uffici decentrati e periferici o aprendoli a singhiozzo e limitando gli orari di apertura nei mesi estivi a Tolmezzo? Io me lo sto, invero, chiedendo. Poco importa se magari i pochi abitanti dei piccoli paesi avevano qualche “liretta” in posta, poco importa se non potranno prelevare i due euro della pensione, viste le nuove norme del governo, senza percorrere chilometri, poco importa se i possibili turisti avranno disagi, come i cittadini dei paesetti su cui è caduta la mannaia. Calcoliamo per esempio la distanza di Timau da Paluzza: 5, 97 Km. d’inverno non certo agevoli da percorrere, anche per un giovane che abbia l’automobile ecc.. Così si dà una mano ai paesi a morire, ma cosa vuoi che sia…Motivo dei tagli? La solita razionalizzazione, che pare vada a braccetto con la privatizzazione e con l’accentramento. E l’Unione dei comuni carnici e la Regione fvg che fanno davanti a questo scempio? Attendiamo di saperlo. Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 13 novembre 2012).

Sì al mantenimento del Commissariato.

«Ancora una volta, la montagna carnica urla per l’ennesima ferita ipotizzata, dopo quelle già subite: la chiusura del commissariato di Tolmezzo. E poi non rimase nessuno è il titolo di un romanzo di Agatha Christie, ma ben si adatta alla situazione del nostro territorio. Quell’emarginazione della montagna, iniziata tanti anni fa, ora giunge al compimento. Se ne vanno i capaci e meritevoli, ben poco aiutati, se ne è andato l’art. 129 della Costituzione del ’48, che prevedeva i circondari. La Carnia si spopola anche perché, via via, viene privata dei servizi indispensabili per vivere e sopravvivere. L’economia così crolla, crolla il valore delle case e aumenta il dissesto idrogeologico, con l’ambiente abbandonato a se stesso o sfruttato da quattro motociclisti. A Tolmezzo, per dare una sede di prestigio al Commissariato, era stata sacrificata una delle zone più belle a ridosso del centro storico: oggi oltre al danno si aggiunge la beffa! E’ ora di finirla in questa Italia di cui non andiamo più orgogliosi, nata dal sangue di coloro che, durate la Resistenza, lottarono fino all’estremo sacrificio per un mondo migliore, ed affossata, nelle sue periferie, poi. Ed è ora che i sindaci carnici ritornino veramente e non solo simbolicamente la fascia tricolore. Svegliamoci e si svegli il mondo politico locale che ci rappresenta, prima che tutto sia perduto, prima di finire vinti a bocca chiusa e braccia conserte. Marco Lepre, Romano Marchetti, Laura Matelda Puppini». (Lettera di Marco Lepre, Romano Marchetti, Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 27 febbraio 2014).

Sì all’uso civico delle risorse boschive.

«Leggo su carnia.la che il 9/3/2013 inizierà, a Tolmezzo: “Il Bosco. La Magia della Natura” rassegna dedicata al bosco e alle lavorazione del legname, riletta attraverso un confronto tra passato e presente. Pur plaudendo all’interessantissima iniziativa, ritengo che alcune riflessioni si impongano. Credo che uno dei problemi più pressanti esistenti in Carnia relativamente al bosco sia la parcellizzazione della proprietà, che di fatto impedisce un uso adeguato del bosco stesso e della filiera del legno. Pertanto la commassazione o, senza toccare la proprietà, un uso comune e vincolato delle particelle boschive, e l’introduzione di norme a salvezza del patrimonio che se è del singolo è però pure collettivo, si impongono. Non si può più permettere, infatti, che tizio o caio facciano scempi, autorizzando tagli indiscriminati nella logica del profitto personale che può creare anche danno ad altri ed alla collettività tutta, essendo il bosco un sistema naturale. Ci vogliono, a mio avviso, a livello di politica boschiva, proposte reali di gestione collettiva dei beni comuni, sull’onda di quanto ipotizzato dalla statunitense Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia, con particolare riferimento a regole precise condivise anche per quanto riguarda la fornitura del bene, in questo caso il legno, al controllo del rispetto delle stesse, ed ad un sistema efficace e graduale di sanzioni per i trasgressori. Ed in quest’ ottica bisognerebbe pensare davvero alle funzioni da dare all’Unioni dei Comuni ed al Consorzio Boschi Carnici, in concerto con la regione F- VG, che potrebbero essere quelle proprie dell’autogoverno del bosco. Per quanto riguarda la funzione di controllo, essa, almeno inizialmente, potrebbe esser svolta dal corpo Forestale dello Stato, dotandolo di un numero adeguato di unità. Laura Matelda Puppini».  (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 29 marzo 2013).

Sì al passaggio al demanio civile delle caserme dismesse, con il sostegno finanziario dello Stato o della Regione per la loro demolizione od il loro utilizzo.

«Ogni volta che passo nei paraggi delle caserme Del Din di Tolmezzo e di quella di Cavazzo Carnico, abbandonate, mi chiedo che ne sarà di queste costruzioni destinate al completo degrado, se continua così. Inoltre ho letto vari articoli da cui si evince che il problema delle caserme e pertinenze militari non più utilizzate è di carattere provinciale, regionale e nazionale. Ed alle caserme già di fatto abbandonate se ne aggiungeranno altre, per la centralizzazione, in poche sedi, dei militari attualmente in servizio. A Tolmezzo sta per chiudere, per trasferimento del presidio, la caserma Cantore, ancora funzionante. Essa è locata nell’antico palazzo settecentesco Linussio e, dal Messaggero Veneto, ho appreso che il magnifico salone delle feste, affrescato, è già in stato di degrado. Nella Carnia, che aveva moltissime servitù militari, il problema delle caserme dismesse non e’ da poco. Tempo fa si presentò il problema dell’utilizzo di quella di Paluzza, per esempio. Inoltre ci sono caserme e casermette sulle frontiere e paesi adiacenti, utilizzate dalla guardia di finanza per la dogana, che potrebbero ora essere vuote, come mi pare quella posta a passo Monte Croce Carnico. Il rischio è che gli edifici abbandonati si trasformino in strutture fatiscenti, pugno in un occhio nel paesaggio friulano. Ma pare che qui come là nessuno sappia cosa fare. Io credo che si potrebbe tentare di riconvertirle, come si cerca di fare in Germania con provvedimento statale, prima di cementificare nuove zone togliendole al verde ed alla terra fertile. Ma bisogna far presto. Laura Matelda Puppini» (Lettera di Laura Matelda Puppini pubblicata dal Messaggero Veneto il 4 settembre 2013).
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Se io fossi l’assessore per l’economia della Comunità Montana della Carnia, si fa per dire…

Se io fossi l’assessore per l’economia della Comunità Montana della Carnia, si fa per dire, non avrei fatto un altro marchio “Zoncolan” per i prodotti locali, perché si è appena fatta un super campagna, con spese, per il marchio “Gugjet”, e va a finire che non si capisce più nulla. E semmai ci vorrebbe un marchio “Made in Carnia” ma da che so vi è depositato un marchio “Carnia” che non so se sia solo per il latte, da Latterie Friulane.

Se io fossi l’assessore per l’economia, della Comunità Montana della Carnia lancerei, per quanto riguarda l’agroalimentare, maggiormente, (oltre prodotti già reclamizzati come quelli Wolf) con una reclame diffusa:

il biscotto Esse, prodotto da anni ed anni in vari paesi della Carnia, biscotto friabile, asciutto, che non si deteriora in viaggi, apprezzato anche in altre regioni ed adatto a più fasce di età. Ho fatto una campagna perché a Tolmezzo lo togliessero dagli scaffali più bassi e lo ponessero in vista, invece di porre solo gli ovetti Kinder, si fa per dire.
Ma ci vuole un marchio “Esse di Carnia” per esempio, che unisca i vari produttori e prodotti, ed un lancio pubblicitario adeguato. Nessuno vieta, poi, che si mantengano le diversità nelle versioni locali, che possono esser evidenziate specificando il luogo di produzione.

Il caprino fresco di Ovaro, formaggio pastoso, dalla giusta salatura, a mio avviso ottimo e troppo poco propagandato.

Gli sciroppi di frutta (sambuco molto richiesto sia fatto con i fiori sia con le bacche, lampone, olivello spinoso, mirtillo) di cui io conosco quelli, ottimi, prodotti da Pecol di Raveo.

Io credo che questi prodotti potrebbero avere un mercato molto più ampio di quello locale se ben reclamizzati e commercializzati. Naturalmente esistono altri prodotti dell’agroalimentare in Carnia, ma io conosco bene questi, per esserne una consumatrice. E sarebbe opportuno puntare sull’industria conserviera, sulla “brovada” per esempio, e sui fagioli, riconosciuti come di gran valore energetico, ed inscatolabili, oppure sull’orzo e l’avena, che pare crescessero qui benissimo, limitando il mais, ora poco redditizio, a meno che non si reintroducano qualità autoctone, di alto pregio anche alimentare, (per esempio, il mais a pannocchia corta e rossa o arancione, a grani tondeggiati) ma che devono esser coltivate in zone ove non vi sia altro tipo di mais nei paraggi e che non si sa che mercato potrebbero avere.

Se io fossi l’assessore per l’economia per la Carnia, non limiterei le risorse per la manutenzione del territorio, cercherei di ritornare ad una politica del bosco, ad un turismo per tutti con la proposta di percorsi artistici anche ecclesiali e paesaggistici ed a forme di marce non competitive, con tragitti anche brevi di 3 km per famiglie ove unire il paesaggio, turismo, conoscenza.

E se fossi io l’assessore per l’economia per la Carnia, cercherei di favorire la permanenza della popolazione in loco, ed utilizzerei una parte dei fondi per la montagna per la sistemazione e manutenzione di boschi, strade, piste forestali, sentieri, aumentando il personale addetto alla sorveglianza, e multando ampiamente coloro che percorrono con moto i sentieri, rovinando bene pubblico. E sosterrei maggiormente la tessitura artistica locale ed il mobile antico ed artigianale, e farei fare corsi professionali per muratori che imparino a  costruire muri con la pietra, richiesti dai ricchi, chiederei di togliere un po’di burocrazia e di inutili fissazioni sulle malghe, e creerei, nella natura, un paio di fattorie anche con percorsi guidati per bimbi e con qualche semplice gioco, o dove i bimbi possano giocare e rotolarsi nell’ erba e nelle foglie, e proporrei di utilizzare le capre per pulire il bosco al limitare con il prato.

Inoltre: proporrei forme di commassazione del bosco, soprattutto se diviso in particelle piccolissime, con indennizzo ai proprietari delle quote a prezzo di mercato e successivo loro utilizzo per legna da ardere per la comunità od altro. Infine vieterei il taglio indiscriminato del bosco, che porrei tutto sotto vincolo, in tal senso, anche se privato.

Se io fossi l’assessore all’economia della Comunità Montana per la Carnia, curerei maggiormente e in modo oculato il reclame del prodotto carnico ed il territorio, favorirei non solo il passaggio del Giro d’Italia ma anche il turismo in bicicletta, guardando all’ Austria, ed il turismo storico e d’arte, ma non sono l’assessore all’economia della Comunità Montana della Carnia…
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Conclusione.

Concludo con alcune parole prese dal testo “ Problemi socio-economici della montagna”, scritto e condiviso dall’Arcidiocesi di Udine nel lontano 1987.
«La Chiesa della Zona Montana con queste note […] (…) crede di dover esprimere alcune riflessioni che dovrebbero essere anche stimolo per un impegno serio da parte di tutti.
Non è possibile assistere da rassegnati allo spopolamento della zona montana senza porsi domande che devono coinvolgere i poteri a tutti i livelli […]: ogni giorno si chiude una casa, ogni giorno un paese continua a morire.
Gli abitanti della Zona montana debbono uscire da una secolare situazione di fatalismo che li ha portati a considerare come scontata questa situazione di emarginazione […] voler vivere dignitosamente in queste Zone del Friuli è diritto sacrosanto e non concessione, quasi forzata, di alcuno. E’ importante che gli abitanti di queste Zone difendano con coraggio e dignità i loro valori, la loro cultura, la loro storia e sappiano difendere con tutta la loro fierezza, la loro identità […].
La scuola, che ha grande importanza nella formazione delle nuove generazioni, deve contribuire a creare una coscienza nei giovani […] sollecitando e favorendo la riscoperta dei valori sociali, morali, storici e ambientali che la nostra terra offre come bene di enorme rilevanza: favorirà così in loro una maturità che li porti ad assumere responsabilmente iniziative atte a difendere la loro reale attiva permanenza sul territorio. Formare giovani da esportare non è fare un servizio che dia dignità a questa terra. Ai giovani spetta poi assumere voce che reclami risposte più sicure per il loro avvenire da parte di quelle Autorità che fanno progetti e programmi per la montagna. Vogliamo più concretezza e meno proclami.
Tutti gli abitanti della montagna devono essere gelosi custodi della loro terra e devono saper rivendicare i diritti che promanano dall’uso che lo Stato e la Regione fanno del loro territorio. (…).
Si ritiene che l’organizzazione dei servizi sociali, in montagna, non debba esser programmata tenendo conto unicamente del parametro della popolazione, ma sia necessario individuare altri criteri, che assicurino la presenza di strutture anche nei piccoli centri». (Arcidiocesi di Udine, Problemi socio-economici della montagna, Zona Pastorale della Carnia Canal del Ferro, Tolmezzo 6 gennaio 1987, Epifania del Signore, pp. 35-36).

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Ho posto queste mie riflessioni come spunto perchè anche chi non ha partecipato, come me, agli Stati Generali della montagna, possa  discutere, parlare del nostro futuro, in questa Carnia che langue, gridando un forte no alla centralizzazione nelle città dell’economia e dei servizi. 

 

Laura Matelda Puppini

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