Vorrei riprendere qui alcune considerazioni sugli esiti delle recentissime amministrative, postate sul mio profilo facebook  il 26 giugno 2017, incominciando con : C’erano una volta la destra e la sinistra, che non “passavano per” o “confluivano ideologicamente” nel cosiddetto centro, ma che erano diverse nella progettualità e c’erano anche un tempo problemi economico – capitalistici, legati al ruolo dello Stato, ed al rapporto fra banche ed imprenditori, oltre che quelli dati da deputati e senatori che si dicevano liberali ma erano conservatori. Ma ora rappresentanti del centro-sinistra pare proprio ragionino come la destra in economia e relativamente ai rapporti fra lavoratori e padroni, tanto da far pensare a potentati e sultanati, uniti dai medesimi fini e modi di pensare. E credetemi, non è un gay pride o la legge 20 maggio 2016 n. 76 sulle unioni civili detta Cirinnà, a far la differenza tra un gruppo politico ed un altro, a farci credere che siamo ancora in uno stato dei diritti costituzionali dei cittadini. Però pure Marx scrisse il suo “Il Capitale” riferendosi ad un’ottica economica capitalistica, che secondo me dovrebbe esser superata, pena la fine del pianeta. Però il pensiero socialista è sempre stato attento alla dignità dell’uomo, a favorire condizioni di vita dignitose, che ora spesso mancano, al potenziamento dei servizi per tutti, ad una politica non in mano a pochi privati, a cercare “pane e lavoro” per il popolo.

Ma ritorniamo, questa volta con Franco Catalano, (1915- 1990, professore di storia contemporanea all’ Università di Milano e Modena), indietro nel tempo, all’Italia dei primi Novecento. La cosiddetta coscienza di classe sta crescendo tra i contadini ed i salariati, e lo sciopero generale del 1904 dà un chiaro segnale a Giolitti che il socialismo che avanza è una realtà, e che le tesi ottocentesche e dei conservatori devono essere, in qualche modo, superate da qualche apertura. Ed in questi anni inizia pure il decollo della grande industria italiana, in particolare siderurgica, con la Terni e non solo. Ma senza una politica protezionistica non si sarebbe potuto battere la concorrenza belga e tedesca nel settore. Ed allora si chiede di attuarla al governo. (Franco Catalano, Potere economico e fascismo, nuova edizione interamente rifatta, Bompiani, 1974, p.10). Lo sviluppo industriale deve però, in quegli anni, molto anche al rapporto fra capitale finanziario, industria e banche, che porta ad una concentrazione di capitali, ma anche di finanziamenti a poche società, con gran rischio per i piccoli risparmiatori che ormai sono una realtà. Infatti le banche, con quella Commerciale, apripista, guardano al modello inglese, trasformandosi velocemente in istituti di “depositi e sconti”. (Ivi, pp. 10- 11).   

Inoltre l’industria italiana ed il governo nazionale sognavano, allora, non si sa come e con che senso della realtà, un aumento delle correnti commerciali, con i Balcani come corridoio privilegiato vero Albania e Grecia, grazie al dissolvimento dell’impero ottomano, ed investendo in terre africane, senza pensare che anche Inghilterra, Germania, Stati Uniti avevano una loro politica commerciale ed economica, ed erano nazioni ben più forti ed organizzate. E così ci imbarcammo nell’impresa libica e nella prima guerra mondiale, definita da Benedetto XV “una inutile strage”, disinvoltamente. Ma su questi aspetti ho già scritto sul mio “O Gorizia tu sei maledetta… Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”, edizione cartacea A. Moro, 2016. In effetti uno si potrebbe anche chiedere come si pensasse di quadrare i cerchi, sperando in una fornitura di materie prima da parte dell’estero a poche lire, e nel contempo ad una accettazione, da parte sua, di una politica commerciale espansiva e lucrativa, ma questa è altra storia. Inoltre in Italia le sorti dell’industria dipendevano sempre più dallo Stato, fatto questo che, secondo Franco Catalano, avrebbe dovuto impensierire e preoccupare. (Ivi, pp. 14-15). Infine «Gli industriali […] si aspettavano che lo stato li mettesse al riparo da “minacce e aggressioni” non solo frenando le agitazioni operaie […], ma anche impedendo ai prodotti stranieri di venire a fare la concorrenza sul nostro mercato». (Franco Catalano, op. cit., p. 15). In sintesi si viaggiava tra una politica protezionistica ed una di ampliamento dei mercati, grazie al governo nazionale fortemente improntato al nazionalismo ed al contempo all’espansionismo, guardando solo a se stessi e non tenendo conto dell’esistenza degli altri. Si peroravano dazi alti per lo straniero, in particolare avverso la Germania, molto potente nel settore siderurgico, sia prima che dopo la prima guerra mondiale, ed agevolazioni per se stessi, e non a caso una delle prime riunioni del fascio torinese si tenne, nel marzo 1919, nella sede della lega economica antitedesca. (Ivi, pp. 16 e 26-37). E si chiedeva, pure, al governo, di impedire agli operai di alzare la testa, lasciando che restassero schiavi. E ho scritto questo solo per far capire come i problemi in un’ottica capitalistica siano sempre gli stessi, e come si cerchi talvolta di risolverli con inutili stragi cioè con guerre per le materie prime o per i mercati, o per la supremazia.

Poi la prima guerra mondiale ed il dopoguerra. Alcune industrie fecero fortuna durante la prima guerra mondiale anche in Italia, aumentando vertiginosamente il loro capitale, come per esempio Ansaldo, Terni, Fiat ed altre. Ma non erano mancate, anche in periodo bellico, attività di tipo speculativo. (Ivi, p. 19). Emblematico rimane il caso delle ligniti piene di acqua «che non vogliono bruciare», (Ivi, p. 41), che non rendono, che rovinano gli impianti, ma in Italia molti furono coloro che si arricchirono velocemente utilizzando le situazioni a proprio vantaggio. La guerra, diceva monsignor Candoni, «chi dissangua, chi rimpinza». (Laura Matelda Puppini, O Gorizia, op. cit., p. 27).  Non da ultimo, secondo”Critica finanziaria”, mancava allora un governo che «sapesse difendere i cittadini dalle speculazioni di alcun individui che erano ormai giunti ad attribuirsi un potere eccessivo, tale veramente da permettere loro di influire anche sui pubblici poteri». (Franco Catalano, op. cit., p. 24). E mentre la Gran Bretagna, fin dal gennaio 1915, aveva adottato, in campo finanziario, severe misure restrittive per serbare per lo Stato tutto il nuovo risparmio disponibile, limitando gli aumenti di capitale dei privati, in Italia nessun limite era stato posto, né si era richiesto un adeguato acquisto di titoli di Stato in presenza di ricchezze prodotte dagli ordinativi statali. (Ivi, pp. 19 -23).     

In sintesi allora si andava sviluppando un processo che vedeva sempre più le banche operanti in Italia asservire i grossi gruppi industriali, senza controllo statale sul denaro depositato. Come non fare proprie queste riflessioni per analizzare anche l’oggi?
Inoltre Gino Borgatta, economista, faceva notare, all’epoca, come la nuova élite dirigente, nata dalla prima guerra mondiale, fosse piena di soggetti incolti ed impreparati e «inadatti a una direzione economica e politica della società». (Ivi, p. 26). Infatti l’Italia finirà nel regime fascista. Ma se ora un economista osasse scrivere questo di una classe politica al potere, finirebbe prima alla gogna mediatica e poi in galera.

A livello mondiale Wilson, presidente Usa, si muoveva verso una ripresa dei traffici mondiali, con la soppressione, il più possibile, delle barriere economiche tra le nazioni disposte a mantenere la pace, mentre in Italia si chiedeva a gran voce un forte protezionismo, in particolare contro gli alleati e la politica di Wilson. Ciò non toglie però che anche Francia e Gran Bretagna avessero poi adottato, per alcuni settori, una politica di salvaguardia, diversificando l’approccio per comparti. (Ivi, pp. 27- 28). Ciò non accadde invece per gli Usa, in sofferenza per iperproduzione, quella che, assieme ad altri fattori, causerà la crisi del 1929. Come si vede i problemi sono simili per certi versi a quelli di oggi. Ed anche oggi ci si muove, pur in un contesto diverso, fra Unione Europea senza barriere anche per i popoli, almeno teoricamente, e chiusura globale quindi politica protezionistica verso i migranti all’interno dell’Unione stessa, da parte di alcuni paesi. (Cfr. Laura Matelda Puppini, Migration. Europa: un gigante dai piedi di argilla, in www.nonsolocarnia.info). Si dice ora che la destra sta vincendo a causa dei migranti. Credo che vinca utilizzando le mancate politiche sociali per gli italiani, la crisi e precarietà del lavoro, il voler far pagare tutto a servizi sociali ed alla sanità pubblica ed a noi cittadini di questa Penisola. In sintesi la povera gente accusata di populismo, pensa, secondo me: «Ma perchè i miei figli ed io dobbiamo essere poveri, ecc. mentre il governo dà soldi per far vivere altri?» Ed a questo atteggiamento nessuno del Pd o dei partiti al governo ha dato seria risposta, proponendo un progetto concreto per i bisogni di tutti, poveri e migranti, sulla base delle possibilità di bilancio. Non si può chiudere gli occhi sull’Italia in affanno e girare le spalle, e nel contempo pensare di accapparrare consensi.

Comunque per tornare al primo dopoguerra, lo stato italiano ondeggiava fra protezionismo e tentativi di occupare terre abusivamente qui o là, come accaduto con sbarco di Scalanova, con grande ira dei tre potenti della terra (Cfr. sempre Laura Matelda Puppini, O Gorizia, op. cit, nota 119, pp. 128-129), mentre gruppi di nazionalisti erano pronti ad accusare il governo di «scarso patriottismo, di servilità verso lo straniero amico e di simpatia verso lo straniero nemico» (Franco Catalano, op. cit., 38). Inoltre se da un lato i pochi grossi gruppi industriali chiedevano o meglio facevano pressioni sul governo perché li assecondasse in ogni loro richiesta, perché li lasciasse fare ciò che volevano, dall’altro lato erano pronti ad accusarlo di assenteismo e di tattica temporeggiatrice. (Ivi, p. 41). E man mano che questa situazione si protraeva, con di fatto politica, economia e banche soggiogate dai grandi capitalisti usciti dalla guerra e pregressi, si faceva strada l’aspirazione e la speranza di un governo veramente forte, che scegliesse di sostenere i padroni contro «la maggioranza della popolazione». (Ivi, p. 42). Ed invano qualche singola voce di economista sottolineava come l’aumento delle tasse sulla produzione non avrebbe arricchito la nazione ma sarebbe ricaduta sul consumatore, e come la politica dello Stato fosse caratterizzata dal completo asservimento dello stesso agli industriali ed ai loro interessi, tanto da poter parlare di scalata allo Stato italiano. (Ivi, pp. 43-44).  Ed il popolo? Distrutto dalla guerra, chiedeva ancora “pane e lavoro”. E su questi aspetti anche ora un pensiero ed una riflessione la farei, attualizzando.

Ed invano liberali allora chiesero meno parassitismo, lotta al pensiero paternalistico, ed a quei gruppi che, nel corso della guerra, avevano affinato l’arte di «asservire ai propri fini tutti gli organi dello stato». (Ivi, p. 45). Come non pensare all’oggi? Infine fra i nuovi ricchi e fra i politici emergenti, nel dopoguerra andava diffondendosi una acuta insofferenza verso i vecchi parlamentari, e si invocava una difesa diretta dei propri interessi, (Ivi, p. 31), oltre che modifiche sostanziali nel governo portando l’Italia verso il regime.

D’altro lato la proposta socialista e comunista non metteva allora, e pare non metta neppure ora in dubbio il modello di sviluppo economico ma semmai l’organizzazione del lavoro. Il pensiero socialista vuole un lavoro più umano, una maggiore partecipazione degli utili prodotti da parte degli operai, sostiene il cooperativismo, ed allora sosteneva, nella sua formulazione massimalista, la presa del potere del proletariato dopo che la rivoluzione francese aveva condotto al potere la borghesia. Nel secondo dopoguerra, però, il PCI, nato nel 1921, aveva circoscritto la sua azione maggiormente alla rappresentanza dei ceti operai delle grandi fabbriche, lasciando in disparte le classi contadine e le esperienze cooperative, e puntando al grande partito, con obiettivi sindacali e politici ben più concreti di quello della rivoluzione proletaria. Ma quella classe conservatrice e paternalistica che guidava l’Italia in un continuum dai primi Novecento, senza esser stata molto toccata dalla fine del fascismo che aveva prima sostenuto, non accettava certamente alcun cambiamento o ben pochi, e, nascosta in partiti vari anche definiti democratici, cercava, come prima, di perseguire i suoi obiettivi.

Comunque ai primi del ‘900 il socialismo credeva, come gli imprenditori e gli agrari più illuminati, nel potere totale della scienza, scritta con al “S” maiuscola, spendibile a favore di tutti ed in particolare dei più poveri, sosteneva la lotta contro l’accumulo del capitale privato ed i metodi con cui veniva prodotto, ma non si interessava ancora al clima ed all’ambiente, mentre osteggiava «le vecchie forme politiche,  come i vecchi concetti di mitologia religiosa coi parassitismi annessi», e puntava all’«organizzazione politica, all’assalto elettorale, alla conquista dei pubblici poteri», avendo «i piedi sul saldo terreno della scienza e della storia», e ricercando una nuova morale, una nuova scienza un nuovo costume. (Filippo Turati, Rivolta e rivoluzione, in Critica Sociale, volume I, Feltrinelli, 1959, p. 61).

Così riassume Franco Catalano gli obiettivi della Confederazione del lavoro nel 1917-1918: Convocazione della costituente (vigeva ancora lo Statuto albertino n.d.r.) per deliberare sulla forma dello stato; richiesta del suffragio universale diretto e segreto, trasferimento dal parlamento ai corpi consultivi sindacali dei poteri deliberativi per le leggi sociali; disarmo permanente e totale; abolizione delle barriere doganali; richiesta di una tassazione progressiva sulla ricchezza; domanda di socializzazione del suolo e del sottosuolo; diritto di controllo da parte degli operai della fabbrica; sovranità popolare nelle forme di governo; libertà di organizzazione ed incontro; difesa dei consumatori, ed altri. (Franco Catalano, op. cit., pp. 45-46). 

Poi la terza fase. Il secondo dopoguerra porta ad alcune critiche, in particolare sessantottine e post al sistema produttivo ed all’accumulo in poche mani delle ricchezze, ma si inizia ad avere anche attenzione all’ambiente ed alle sue modifiche, mentre la carta dei diritti dell’uomo del 1948 segna i principi inderogabili per il rispetto della vita e dignità umana. La costituzione italiana, nata dal sangue e dalla sofferenza di tanti, pone la libertà di espressione, pensiero, religione, ed il lavoro come base della società. Nascono, ad iniziare dagli anni della guerra del Vietnam, movimenti pacifisti, che puntano al benessere di tutti, e movimenti attenti all’ambiente ed al clima, che diventa anche tema di incontri internazionali, ma senza che poi, di fatto, si agisca in modo concreto. Alcuni iscritti al Pci, Psi, a partiti detti e di sinistra ancora seguono il vecchio pensiero social-comunista, e sostanzialmente interno ad una ottica capitalistica. Vi è comunque, dal dopoguerra agli anni sessanta, un generale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, dato da diversi fattori e scelte, dal lavoro che c’è, ed un vento nuovo pare soffiare. Ma è effimero. D’altro lato, però, partiti e sindacati sembrano non sempre riuscire a produrre volti nuovi ed idee nuove, imparano ad arroccarsi in difesa, anche per sostenere privilegi acquisiti, ed iniziano ad assomigliare più alla vecchia destra che ad una sinistra anche moderna; la Dc teme più il comunismo che altro, e talvolta sostiene alcuni potentati più che esprimere un pensiero volto al sociale, per poi dissolversi. E l’Italia inizia, grazie anche ai suoi governi e politici, ad affondare fra scandali, insabbiamenti, stragi, distinguo interni ed una miriade di leggi fra cui alcune che paiono proprio scritte “in onor ed in favor” dimenticando i problemi principali e la politica della buona massaia. Troppo fascismo è rimasto in Italia, troppe mafie e troppi interessi, ed un modus operandi che talvolta sarebbe impossibile in qualsiasi altro paese che si definisse democratico. Poi l’Europa. Sognata come Unione di Stati diventa Unione finanziaria in mano a pochi e detta, paradossalmente, la fine della democrazia, e l’inizio di un nuovo assetto politico fortemente destrorso, camuffato da democratico, mentre il clima sta cambiando, provocando anche grandi migrazioni, di cui non pare più di tanto interessarsi. In Italia gli organi di informazione di massa, sempre più in mano a capi di governo, riprendono un linguaggio invero discutibile, senza mai affrontare i problemi in modo completo ad analitico, quasi si fosse in un mondo virtuale, ove i pollici alti o versi segnano tutto, si comunica tra capi di stato con sms, e tutto è liquido, fino a finire in fogna. Solo il clima e l’ambiente caparbiamente ricordano all’uomo che sarebbe opportuno ritornare con i piedi per terra e non vivere fra le nuvole.

Emotività, soggettivismo ed opinioni, facilmente producibili senza studio alcuno, invece che analisi di fatti, segnano il passo, mentre il lavoro ripropone la versione ottocentesca del rapporto fra salariato ed industriale, senza che venga posto limite alcuno dallo Stato a questa vergogna. Così un lavoratore è costretto a farsi la pipì addosso, ed un altro finisce sotto un camion, che lo investe pare per ordine del padrone, anche se questi nega: situazioni che avrebbero mobilitato tutti ai primi Novecento, e che ora meritano due righe sulla stampa e su internet. In Italia il governo si dà da fare per eliminare l’art. 18 e passare dai voucher (posti ed aboliti d’ufficio) al lavoro a chiamata, come accadeva ai primi del Novecento per i muratori, (sistema definito mercato della carne umana dal grande Giovanni Cosattini) e si presenta come una elite capace solo di fare gli interessi propri e pare, di pochi altri, spendendo soldi pubblici per banche e togliendo diritti e servizi vitali. In sintesi qui, grazie a governi di destra, centrodestra e centrosinistra, si stanno regalando, con una scusa o l’altra, ai privati quei beni comuni, proprietà dell’umanità sino ad ora ed indispensabili alla vita, e si cestinano servizi e diritti fondamentali, mentre le forme di distraente si moltiplicano, fra movida, ubriacature, ed altri modi di sballo ed evasione, che aiutano a non pesare. Questo è l’oggi, e peggiore sarà il futuro se non si cambia.  E scrivo questo senza voler offendere alcuno, e se erro correggetemi. Siamo ritornati all’Ottocento, penso, al conservatorismo più gretto, marcato ora anche Pd. Unica differenza è che questo nuovo partito, che secondo me si potrebbe considerare, nella sua politica non liberale ma conservatore, viste le sue scelte, pensa che i diritti, che si stanno a tutti riducendo fino a “privatizzare” l’acqua e stagnare contatori, possano essere considerati acquisiti in modo definitivo, mentre stanno scomparendo, e che l’unico problema sia quello di dare corso alle unioni civili e permettere, con il simbolo arcobaleno della pace, i gay pride, su cui non sono molto d’accordo perché non vedo il motivo per cui persone con un orientamento sessuale debbano sottolineare di se stesse solo questo aspetto. Insomma a me questi gay pride paiono più feste goliardiche. Diverso era il contesto, americano credo, in cui nacquero. Io sono disposta a scendere subito in piazza per il lavoro garantito a tutti, per la reintroduzione dell’articolo 18, per mille altri motivi, e per clima ed ambiente, su cui apprezzo sempre più la posizione coraggiosa di papa Francesco, non per feste omo nè giornate della famiglia e feste etero, che diversificano ancora, che sono ancora nella vecchia logica. Intanto esasperata da mille problemi irrisolti  ed inascoltata, la popolazione italiana sempre più povera, e oberata da bollette di ogni tipo con costi fissi fuori controllo, volge a destra, vota estrema destra, grazie a partiti che si dicono democratici, e operano come i conservatori d’antan.  Non possiamo negare che la destra ed in particolare casa Pound parla alla gente di acqua, lavoro servizi, dei loro bisogni, mentre governo e Pd tacciono e limitano.

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Ho visto sulla stampa gli esiti delle amministrative, ed ho letto pure, su Left, su di un articolo dedicato alle elezioni inglesi, che ciò che è accaduto là, anche dal punto di vista della visibilità dello scrutinio, non accadrà mai qui perché la sinistra è divisa. Per me ciò non è vero perché, semplicemente, la sinistra in Italia di fatto non esiste come proponente di un progetto politico (tralasciando alcune persone ed un paio di piccolissimi partiti con scarsa visibilità). La gente votava una progettualità e progetti di sinistra, alternativi a quelli della destra, che puntassero al rafforzamento dei servizi sociali e della sanità, alla sicurezza del lavoro, allo sviluppo della cooperazione, non certo per fare delle cooperative – industrie che guardano al mercato invece che ai soci, e per avere una partecipazione attiva al lavoro ed all’impiego e sicurezza nella vita, guardando al futuro, insomma quello che un tempo proponevano i bravi socialisti ed anche alcuni cattolici, il che non ha nulla a che fare con l’attuale politica italiana, sia che sia retta dalla destra che dalla fu sinistra. Insomma la gente votava un progetto alternativo, di vita e di crescita comune, e sperava di scegliere con il voto delle persone che rappresentassero le esigenze comuni vitali, non quelle degli industriali e dei potenti, e che dimostrassero capacità, serietà, onestà, rigore, operando a favore dei diritti di tutti i cittadini come costituzione vuole, salvaguardando i beni comuni, l’acqua e la vita. Ma dove siamo andati a finire in Italia? A due destre, conservatrici, egocentriche, con ben poche idee se non quelle per salvare se stesse e quadrare i cerchi. Almeno così a me pare e se erro correggetemi. Non siamo alla vittoria della destra anche estrema, siamo alla fine del progetto fallito di centrosinistra, così come pensato dal centro e da una destra camuffata da sinistra. Inoltre il sistema elettorale pare più pro forma che reale, ed infatti ben pochi ormai vanno a votare. E vorrei sapere quali cittadini con un po’ di senno, se non quelli direttamente interessati, avrebbero impegnato, come si legge, miliardi e miliardi di soldi pubblici, con lo stato in bancarotta, per le banche venete, dopo il caso Etruria, e via dicendo. Se questa è sinistra, o centrosinistra … beh chiamatelo come volete, sta facendo la politica sociale ed economica che sotto il regno d’Italia ai primi Novecento facevano i conservatori più retrogradi e legati al grande capitale, che non andava bene neppure ad un Einaudi, e non veniva considerata liberale, anche se sostenuta da deputati del partito liberale. Siamo tornati indietro a fine Ottocento, senza avere però neppure un pensiero socialista e sociale cattolico? Chiediamocelo. Non leggerò commenti politici su queste elezioni. Non c’è nulla da leggere, c’è molto da pensare e rimboccarsi le maniche per voltare pagina, prima che sia la fine. Senza offesa per alcuno, solo per parlare di temi generali ed esporre le mie idee, che possono essere anche discutibili, e se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

 L’immagine che correda l’articolo è una scannerizzazione della copertina del volume di Franco Catalano “Potere economico e fascismo”. Laura Matelda Puppini

 

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