Sono stata ieri, 16 marzo nella mattinata, ad ascoltare, presso l’Università degli Studi di Udine, grazie all’invito giuntomi dal circolo Nediža di San Pietro al Natisone, che sentitamente ringrazio, il convegno “Fototeche. Archivi per la storia dell’arte”.

Non nascondo che sentendo parlare di archivi fotografici, fondi fotografici, fototeche, mille pensieri ed immagini sono comparsi alla mia mente, e mi sono rivista, quando il digitale non esisteva ancora, a guardare e riguardare le immagini del fondo Vittorio Molinari con l’ausilio di una grossa lente, per enucleare un particolare, qualcosa che mi aiutasse a comprendere la fotografia ed a schedarla, od a percorrere, con mio marito, la strada che dalla località “sieo”, in Rigolato, raggiunge la pausa dai muarts per giungere a Givigliana, alla caccia di un nome da dare ad un volto ritratto da Giuseppe Di Sopra, detto Bepo di Marc, di Stalis di Rigolato, od a cercarne l’abitazione (1).

Correva il lontano 1980 quando un manipolo di carnici, uniti nel Gruppo Gli Ultimi, sorto in forma più allargata e quindi ridottosi a 7 persone (2), decise di pubblicare La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà, grazie al Centro Editoriale Friulano che ci credette, cercando di carpire, dalle immagini in sottofondo, la tragica realtà della Carnia nel periodo fascista, e corredando le fotografie con testi di riferimento. Umberto Antonelli era infatti un pittorialista, e amava i bei paesaggi e le belle ragazze, vestite con gli abiti tradizionali della festa, come ci ha narrato, pure, il mai dimenticato Riccardo Toffoletti (Cfr. Riccardo Toffoletti. Sulla fotografia di Vittorio Molinari. Presentazione del volume sul fotografo tolmezzino, in: www.nonsolocarnia.info e Laura Matelda Puppini, Due o tre cose che so di lei: Il fotografo, un mestiere accreditato, in: www.nonsolocarnia.info). La Carnia di Antonelli ebbe un incredibile successo, più di una ristampa, ed è ancora considerato un libro “cult”.  

Correva l’anno 2007 quando lo stesso gruppo, fra mille problemi, liti, fraintendimenti, intromissioni, decise di pubblicare l’archivio di Vittorio Molinari, da me curato, e già oggetto, nei primi anni ’90, di una mostra in Tolmezzo e di un mio libretto divulgativo: Laura Matelda Puppini, L’immagine e lo specchio. 

Come era difficile allora, senza strumentazione digitale, e lo è comunque anche ora, cercare di catalogare le immagini, di riportarle a date e contesti, sperando di non sbagliare, per stanchezza, per particolari poco chiari, per mancanza allora di riferimenti ora facilmente rintracciabili in rete, come per esempio l’evoluzione delle divise dei militari!

Come era difficile allora, per il compianto Sergio Marini, che teneva custodite le lastre a casa sua, dire no a tizio e caio che gli chiedevano di avere una immagine in prestito, quanta fatica fece anch’ egli, con il primo suo costosissimo computer, a battere testi, e quanto mi adirai perché quelle immagini, sia di Molinari che di Antonelli, furono adocchiate da altri, copiate senza formale permesso, utilizzate a destra e a manca, senza neppure riportarne la proprietà artistica. Quanto fummo uniti da quelle immagini, e quanto divisi!

Ma non solo ricordi di lavoro singolo e comune, di fatica, di incontri e scontri, di soddisfazioni ed arrabbiature affollano il mio pensiero.
Se mi fossi fermata sino alla fine del convegno, francamente troppo lungo per me, avrei voluto porre dei quesiti, chiedere delle precisazioni, che qui di seguito illustro.

Una delle domande/riflessioni che avrei posto tra le prime, sarebbe stata quella relativa alle scelte della politica Ministeriale. Infatti sono venuta a sapere, da uno dei relatori, che il Ministro Dario Franceschini ha deciso di sponsorizzare l’archiviazione digitale di immagini fotografiche, da parte delle Soprintendenze Archeologia-Belle Arti- Paesaggio, nate dalla fusione (DM 44 23/01/2016) dei due precedenti enti, già oberati, spesso, da cronica mancanza di fondi e di personale.

Piangono importantissimi Musei Nazionali la possibilità di sopravvivere, dopo i tagli del Governo, i mancati turn over, la precarizzazione dei lavoratori, in un’ottica di mera riduzione immediata della  spesa, ed in una logica, odierna, che non vede al di là del proprio naso, tanto da far parlare di “Emergenza Cultura” e di “caos” nella rete di tutela delle opere artistiche nel nostro paese. (Vittorio Emiliani, Franceschini: come ti disfo la Cultura in cinque mosse, il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2016, in: http://www.eddyburg.it/2016/04/franceschini-come-ti-disfo-la-cultura.html).

Inoltre, a seguito del sopraccitato Decreto Legge, il Governo ha regalato a venti musei, da lui scelti, l’autonomia, il che significa che dovranno cercarsi i fondi da soli, ha accentrato poteri in super-enti, ha mandato a casa direttori già in carica e li ha sostituiti con un altri seguendo concorsi internazionali che, alla fine, hanno promosso un solo funzionario fra quelli già nominati. «Bocciati tutti i direttori in carriera, inclusi quanti, per esempio Antonio Natali agli Uffizi, hanno lavorato bene in condizioni impervie – scrive Vittorio Emiliani nell’articolo citato – Al suo posto, il tedesco Schmidt fin lì direttore del Museo di arti applicate e tessili del Minnesota. A Paestum, un giovane svizzero che non ha mai gestito nulla. A Napoli, mirabile museo greco-romano, un etruscologo dalla bibliografia minima. A Taranto, capitale della Magna Grecia, un’archeologa medioevale. Alla Reggia di Caserta, un laureato in marketing che esibisce due libroni sui cimiteri… […]. Per essi stipendi da 145.000 euro lordi in su l’anno, contro i 35.000 lordi dei loro predecessori». (Ivi).
Con quali risultati? Lo svizzero Gabriel Zulchfriegel a Paestum vuole aprire a pagamento l’area sacra a matrimoni, festini, rinfreschi di nozze, Mauro Felicori vuol far nuotare Federica Pellegrini nella piscina della Reggia di Caserta, per farla diventare popolare, e l’austriaco Peter Aufreiter si sta interessando al Giardino d’Inverno di Urbino. (Ivi). Infine i Soprintendenti finiranno, pare, sotto i Prefetti, per la legge Madia.

Ed ora il Ministro vuol investire e scommettere sulle immagini. E sarebbe certamente da plaudere, ma umanamente uno si chiede: con quale progettualità? Con quali finanziamenti? Con quale personale? Ah, mah, questo è altro discorso.

Non ho poi capito cosa significasse il titolo del convegno, che dovrebbe sintetizzarne l’oggetto: “Fototeche, archivi per la storia dell’Arte”, forse di ispirazione Ministeriale, per avere qualche finanziamento, visto che ora non si fa altro che parlare di “Bellezza”, come ai tempi del neoclassicismo ma anche più recenti. L’utilizzo delle immagini fotografiche che riproducono un’opera d’arte a fini conoscitivi per il restauro e la conservazione della stessa e per qualche amatore, è stato ben descritto da una relatrice del convegno, ma è uso per pochi. Se poi nei Musei non si ha garanzia della salvaguardia delle opere originali, che ce ne facciamo delle immagini? Dovremo forse diventare come quell’innamorata che sogna, guardandone la foto, l’amante perduto?

Ed in ogni caso, cosa significa “Fotografia per la storia dell’arte”? La fotografia di un’opera d’arte? Una immagine scattata a fini artistici, indipendentemente dal risultato, o una fotografia definita “artistica” da qualcuno? Le immagini del pittorialismo erano caratterizzate dall’essere foto con finalità artistiche (Cfr. per il pittorialismo, sua nascita ed evoluzione, l’interessantissimo, Françoise Heilbrun, Quentin Bajac, La photographie, Musée d’Orsay, editions Scala, 2000) e per questo venivano corrette con il ritocco e studiate nei particolari, insomma erano più fittizie di quanto potesse apparire. Non dimentichiamo che Umberto Antonelli portava con sé modella ed abiti, per fare una bella fotografia, o vestiva la bella del paese, non dimentichiamo che la fotografia “bella e di montagna”, come quella dei “nativi in costume tradizionale”, caratterizzò  il periodo fascista ed una ideologia, e sottostava a canoni precisi per la sua realizzazione, essendo, quindi, quasi sempre ben poco originale.

Inoltre come non ricordare che l’immagine scattata è prima inquadrata e poi elaborata? Ed ecco abili fotografi nascondere bruttezze, limare contesti, elaborare, ritagliare, correggere, ora come allora, le immagini, trasformandole nelle icone della presunta “beltà”. Inoltre ci sono fotografie belle ed orride, anche di un bravo fotografo, giunteci in buono stato di conservazione ma anche in pessimo, e, per quanto riguarda il soggetto, spesso la politica ha censurato, distrutto, fatto eliminare magari attraverso solerti parenti che non volevano aver grane o la distruzione dei negativi, ed impedito la produzione di immagini che non dovevano venir scattate.

E come dimenticare i canoni imposti per le fotografie nella prima guerra mondiale e la censura, ed i canoni estetici provenienti anche dall’alto, in diversi momenti storici?

E come non ricordare, quando si parla di “fotografia artistica” o finalizzata alla storia dell’arte, la peculiarità anche tecnica, che connota l’immagine fotografica e la distingue dal quadro? Agli albori della fotografia si cercava di utilizzare il nuovo strumento al posto della pittura, nella ritrattistica e nella paesaggistica, ma poi ci si accorse che era altra cosa. Quindi finché non si riflette sul ruolo delle arti visive e della fotografia come mezzo specifico, molto più versatile, duttile, diversificato dalla pittura anche nei fini, temo che siamo di fronte ad una forte ambiguità.

Ed ancora: una bella foto turistica od una foto ad uso cartolina, possono venir scattate ed elaborate a fini propagandistici, ma non è detto assolutamente che siano opere d’arte. Anche un tempo si vendeva territorio, nascondendone qualche pezzo non proprio edificante, tramite cartoline. Con questo non voglio certamente dire che non siano belle le fotografie di Ulderica Da Pozzo, tanto per fare un esempio, ma ella ha fatto, secondo me, una scelta pittorialistica e molto “studiata” per le sue immagini, mentre altri ne hanno fatte altre. Con l’andazzo del privilegiare la foto artistica rispetto a quella di cronaca, o a quella di denuncia sociale, o alla foto commerciale, potrebbe andare a finire, si fa per dire, che anche Robert Capa potrebbe essere relegato in cantina, mentre le immagini raccolte nei volumi Alinari potrebbero essere considerate unico esempio di buona fotografia. Si veda, per credere, le fotografie, bellissime e datate, e non credo più realizzabili, riprodotte nel volume: Paolo Costantini, Italo Zannier, Luci ed Ombre, gli annuari della fotografia artistica italiana, 1923- 1934 Alinari, Arti Grafiche Friulane, 24 novembre 1987.

Inoltre la scelta delle fotografie sulla base dell’originalità e del loro valore estetico, come sentivo ieri, criteri non si sa da chi determinati, implicano l’enucleazione, da parte di ignoti, di solo pochi scatti per fotografo, favorendo le politiche delle grandi mostre d’arte, che pare permettano di fare cassa, anche in ambito fotografico. Inoltre ogni fotografo ha scattato, in genere, molte immagini, con magari fini e scopi diversi, anche sulla base di una possibile committenza, e, paradossalmente, potrebbe essere globalmente più interessante una immagine pessima ma con valore a livello di cronaca, che una che fa godere l’occhio, ma magari stucchevole o di gusto decadente. E faccio un esempio.

L’immagine della celebrazione del milite ignoto a Tolmezzo nel 1921 è stata fissata da Vittorio Molinari in una immagine un po’ sbilenca e di ben scarso valore artistico, ma essa rappresenta un momento celebrativo che non ha, da che io sappia, altri riscontri fotografici, ed è importante come esempio, con i mezzi dell’epoca e di detto fotografo, del suo grosso impegno nell’ambito della foto- cronaca. Certamente risultano esteticamente migliori le sue foto di famiglia ed amicali in posa, con luci naturali radenti e studiate, ma lo stesso Vittorio Molinari le riteneva per uso personale, non certo da esposizione, e immagini di questo tipo potrebbero pure rappresentare, a livello tecnico, un mero esercizio formale. Inoltre, genericamente, le immagini in posa sono spesso ripetitive e noiose, anche se gradevoli, e se io dovessi scegliere delle foto artistiche, non sceglierei quelle che da anni, con funzione pubblicitaria, riempiono gli allegati di alcuni quotidiani, belle ma non vive, ma sceglierei la freddezza dell’estetismo puro e quasi maniacale dell’ultimo Edward Weston, rintracciabile anche in parte di Tina Modotti.  Infatti, durante il periodo messicano egli aveva spostato il suo interesse «dal soggetto alla tecnica, ai meccanismi intrinsechi dell’apparecchio fotografico», ed affermava: “Se non riesco ad ottenere un negativo tecnicamente perfetto, il valore emotivo o intellettuale della fotografia per me è quasi nullo». (Laura Matelda Puppini, Sobre Tina. Due considerazioni personali al margine di un convegno su Tina Modotti, in: www.nonsolocarnia.info, e http://www.fondazionefotografia.org/artista/edward-weston/).

Ma ora tale possibilità, di agire scientificamente sul negativo, è praticamente scemata, mentre si può operare ampiamente sul positivo, in sintesi vi sono molti modi di ritoccare l’immagine prodotta.

Ed infine esistono archivi di fotografie che assemblano immagini scattate in diversi periodi storici, con fini diversi, e diversa valenza.

Infatti una cosa sono le immagini dei pittorialisti Umberto Antonelli e Silvio Maria Buiatti, una cosa sono le immagini scattate alle famigliole in posa, od a gruppi e singoli da uno dei fotografi di paese o da quelli itineranti, muniti di fondale fatto da un lenzuolo e via dicendo, (che potrebbero essere però anche belle fotografie). Ed in Carnia ci fu anche chi, negli anni ’80,  promosse la mostra “La Carnia della gente” che recensii, che comprendeva fotografie di famigliole, prime comunioni, uomini e donne al lavoro, che potevano anche non avere particolari intenti estetici, come non sempre li avevano quelle dei cataloghi industriali, ma avevano valenza affettiva, accontentavano un pubblico vasto, e ci hanno fatto conoscere qualche nostro avo che altrimenti sarebbe rimasto senza abito e volto, e risultano di indiscusso valore per la storia sociale, materiale e del costume.

Non da ultimo, anche le immagini fotografiche, al di là del loro possibile valore artistico, devono venir contestualizzate, e ogni schedatura prevede certamente l’ipotesi del perché la fotografia sia stata scattata. Infine, in questa era dell’immagine, del pressapochismo e dell’improvvisazione, non vorrei che la nuova moda fosse quella di estrapolare situazioni ed altri aspetti solo guardando una immagine fotografica, senza contestualizzarla anche nella produzione complessiva del suo autore, quasi si trattasse della Primavera di Botticelli. Infatti spesso le immagini fotografiche non hanno ora fini artistici, a differenza dei dipinti, e dico questo perché un tempo i dipinti, prima della fotografia, svolgevano anche altre funzioni, di rappresentazione del reale e di famiglie di re, principi duchi e conti, ricchi borghesi, condottieri, di esaltazione di gesta, casati e singoli personaggi, e via dicendo, poi passati alla fotografia come scopi principali.

Esiste una grossa produzione di fotografie, direi quasi un mare, e si devono adottare dei criteri per la catalogazione, anche solo per autore o tema, seguendo quindi fili conduttori diversi. Ma non credo proprio essi appartengano solo all’estetica ed all’estetismo.

E chiudo questo mio scritto di riflessioni, ringraziando i relatori e l’Università di Udine per l’interessante incontro e per gli spunti di riflessione a me dati, che sono nati dall’ascolto. Ho pure registrato una parte dell’incontro, ma non so se potrò trascriverlo, perchè è lavoro che richiede tempo, come tempo, personale, denaro e precisa progettualità richiedono le fototeche e gli archivi fotografici, non solo exploit ministeriali o possibili fuochi fatui. E scrivo questo senza voler offendere alcuno, e per esprimere il mio pensiero ai margini di un convegno.

Inoltre, per quanto mi riguarda, rimando ai miei: Sobre Tina. Due considerazioni personali al margine di un convegno su Tina Modotti; Due o tre cose che so di lei: brevi cenni sulla storia della fotografia ed i suoi protagonisti; Due o tre cose che so di lei: Il fotografo, un mestiere accreditato; Fotografia e Grande Guerra; su: www.nonsolocarnia.info, a: Riccardo Toffoletti. Sulla fotografia di Vittorio Molinari. Presentazione del volume sul fotografo tolmezzino, in: www.nonsolocarnia.info, ed alle note metodologiche nel mio: Laura Matelda Puppini, Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne Culture, 2007.

Relativamente al dibattito sulla foto artistica, e sul ruolo della fotografia nei primi Novecento, rimando a: Paolo Costantini, Italo Zannier, Luci ed Ombre, gli annuari della fotografia artistica italiana, 1923- 1934 Alinari, Arti Grafiche Friulane, 24 novembre 1987, ed a: Françoise Heilbrun, Quentin Bajac, La photographie, Musée d’Orsay, editions Scala, 2000 che ritengo molto interessanti. 

Laura Matelda Puppini

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(1) L’archivio di Giuseppe di Sopra, per quanto giuntoci, ma pare fosse davvero più ampio, è composto da lastre, (forse 120- 130) ed è stato riprodotto attraverso stampe a contatto, ma detti materiali sono in giacenza, da che so, presso il proprietario dell’archivio. Per poter schedare ho utilizzato copie “da sporco”, che comunque ho fatto scannerizzare a mie spese.

(2) Gli autori di La Carnia di Antonelli e componenti il gruppo gli Ultimi erano allora e lo furono per anni ed anni: Remo Cacitti, Marco Lepre, Sergio Marini, Tarcisio Not, Laura (Matelda) e Marco Puppini, Dino Zanier.

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L’immagine che correda l’articolo è mia, ed è stata scattata sul Carso. Laura Matelda Puppini 

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