Spesso si sente affermare: “le cose vanno fatte presto e bene!” E fin qui è difficile trovare chi non sia d’accordo. Se dalle vicende piccole e semplici della vita quotidiana o dalle mansioni in cui questo concetto, grazie alle abilità individuali, è tutto sommato facilmente applicabile, si passa a casi più complessi, in cui agiscono vari soggetti e intervengono diversi fattori, la situazione però cambia e tutto diventa più complicato. Se poi si pensa che basti dare priorità solo ad uno dei due obiettivi, questo modo di agire “ottimale” è destinato a rimanere solo un vano auspicio. Ultimamente, ad esempio, si dà particolare importanza al “fare presto”, pensando che, automaticamente, esso si tradurrà anche in “fare bene”, ma così ci si dimentica che se le cose non sono fatte nel modo giusto, prima o poi, anche la rapidità nelle decisioni o nell’esecuzione sono destinati a venire vanificati e contraddetti nei fatti.

Per chi decide o autorizza la realizzazione di opere pubbliche, il “fare bene” dovrebbe essere rappresentato, prima ancora della verifica degli aspetti tecnici, dal seguire precisi criteri di utilità; dalla valutazione di un ventaglio di possibili alternative, sia di investimento che di progetto; e dall’adozione di una attenta analisi dei costi e dei benefici legati ad ogni intervento. Questa regola è ancora più vera in un periodo come l’attuale, in cui le risorse finanziarie sono più scarse ed è necessario operare delle scelte di priorità, mentre capita  di leggere con cadenza quasi quotidiana che un ente o un’amministrazione (Comune, Regione o Governo nazionale che sia) protesta nei confronti di chi gli sta al di sopra (Regione, Stato o Unione Europea) per il mancato sostegno economico ai propri “fondamentali” programmi.

Più di tante lamentazioni, sarebbe necessaria forse una serietà e correttezza nel modo di operare, cominciando con l’evitare gli sprechi. Dopo tutto è questo l’unico sistema per meritare, insieme, la fiducia dei cittadini e quella delle istituzioni sovraordinate. Cosa dire, allora, degli interventi che l’Amministrazione Regionale sta realizzando in un territorio da sempre trascurato e bisognoso di aiuti, come la nostra montagna?

Legambiente, attraverso la sua campagna che assegna “bandiere verdi” e “bandiere nere”, non è certo stata tenera in passato con le varie Giunte, indipendentemente dal loro colore politico. Negli ultimi tempi, però, le cose sembrano particolarmente peggiorate e ricche di contraddizioni. Prendiamo, ad esempio, il caso delle nuove strade forestali da poco approvate o in corso di esame.

Indubbiamente esse costituiscono un’infrastruttura indispensabile per poter assicurare un moderno utilizzo del patrimonio boschivo. Le immagini girate da Dante Spinotti alla fine degli anni Settanta, in occasione della realizzazione del filmato La Carnia Tace, sono oggi solo un documento struggente e restano una testimonianza di quella che era la dura vita dei boscaioli in passato. La vicinanza ad una viabilità adeguata non è però una condizione sufficiente per poter operare, come dovrebbero capire anche coloro che non perdono occasione per lamentarsi che il bosco “sta ormai chiudendo i paesi”.

Come ci hanno insegnato i professori Gortani e Poldini, il versante meridionale delle Alpi Carniche, con il suo clima particolare, la sua morfologia e per le caratteristiche dei suoli, è molto diverso da quello delle valli della Drava e del Gail e i suoi boschi, ai quali si assegna anche una indispensabile funzione di difesa idrogeologica e naturalistica, richiedono tecniche più complesse e hanno conseguentemente costi di utilizzo più elevati.

Per questi motivi chi decide o autorizza la realizzazione di strade forestali con l’impiego di considerevoli risorse pubbliche dovrebbe essere particolarmente attento all’analisi dei costi e dei benefici. La costruzione di queste opere non deve infatti compromettere la stabilità dei versanti; può comportare notevoli e continue spese per la manutenzione, delle quali si deve tenere conto; può essere al servizio di ambiti da cui si possono estrarre poche quantità di legname o essenze di scarso valore; può, infine, sovrapporsi o interferire con una rete di mulattiere e sentieri esistenti e rischia così di banalizzare l’ambiente naturale ed il paesaggio di luoghi che in futuro acquisteranno sempre di più un grande interesse dal punto di vista turistico. Le decisioni che vengono prese anche in questo settore, dunque, dovrebbero essere equilibrate e non sottostare alle pressioni particolari di chi può ricavarne un vantaggio diretto.

Negli ultimi tempi, forse a causa della necessità di utilizzare risorse già stanziate (con il rischio di doverle restituire) o del ritardo accumulato nella predisposizione e nell’analisi dei progetti, sembra che agli organismi regionali sia venuto a mancare questo necessario “equilibrio”.

Citiamo alcuni casi che riguardano opere già approvate, o addirittura appaltate, o ancora in corso di esame, del costo di vari milioni di euro.

La strada forestale che dovrebbe collegare il rifugio Chiampizzulon (in Comune di Rigolato) con Malga Tuglia, per innestarsi con un tracciato proveniente da Cima Sappada, attraversando boschi di larice ed ambiti di rara bellezza.

Il “raccordo” tra il rifugio Marinelli (il più alto della regione) e la strada proveniente da Casera Plotta. L’opera – finora ripetutamente e motivatamente bocciata dagli uffici regionali – si sovrapporrebbe all’esistente mulattiera (segnavia CAI n. 148), aprendo la strada, temiamo, al “carosello” di moto, quad e fuoristrada.

Sempre in questa zona sono state proposte: una “variante” alla strada che sale verso Casera Val di Collina (per la quale è già stata finanziata la sistemazione di alcuni tratti danneggiati) che creerebbe un vero e proprio costosissimo “doppione” a poche decine di metri di distanza dall’esistente; un tracciato di scarsissima utilità, lungo circa 2 km che collegherebbe le Casere Val di Collina e Collina Grande; l’allargamento della carreggiata esistente nei pressi di Casera Collina Grande e un nuovo tratto di 1 km sui pascoli per Casera Plotta.

Questi itinerari interferiscono con aree di canto e riproduzione dei tetraonidi e andrebbero anche a ridurre la superficie boschiva. Ancora, sul versante settentrionale del Monte Amariana, dove è stato registrato il passaggio dell’orso è prevista una strada forestale fortemente voluta dal Comune di Amaro. Per finire fa rabbrividire il fatto che qualcuno abbia solo pensato di mandare le ruspe a “sistemare” la storica mulattiera che sale al Passo Volaia.

Si tratta, in tutti questi casi, di opere inutili o dannose, che sarebbe decisamente meglio evitare di realizzare.

Tolmezzo, 16 luglio 2020.

Sandro Cargneluttipresidente Legambiente FVG. Marco Lepre circolo Legambiente della Carnia, Val Canale, Canal del Ferro.

L’immagine che accompagna l’articolo è stata scattata da Laura Matelda Puppini nel corso di una gita sul monte Tullia, negli anni ’80 o ’90. Il paesetto che si nota nell’immagine è presumibilmente Frassenetto.

NON VIOLIAMO ANCORA, INUTILMENTE LE MONTAGNE!

Laura Matelda Puppini.

 

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