SSN E SSR FVG. IN CORTO CIRCUITO?

In premessa riporto qui un pensiero molto chiaro e lucido e del tutto condivisibile di Niki Vendola, ai tempi in cui era presidente della Regione Puglia: «i piani di rientro sono una follia. […]  perché in nome della razionalizzazione della spesa, producono l’immediato taglio dei servizi e il razionamento dei diritti dei cittadini senza alcuna possibilità contestuale di riqualificazione».  (Vendola: Questo federalismo è una schifezza, in: Ma cos’è questo federalismo?, in: http://www.fimmg.org/index.php?action=pages&m=view&p=29&lang=it, avvenire medico febbraio 2011). 

Inoltre, sempre secondo Niki Vendola, ragionando sui tempi medio lunghi, paradossalmente gli stessi piani di rientro potrebbero divenire la causa di una duplicazione della spesa sanitaria. Ed egli fa l’esempio del Molise. «Dopo il piano di rientro, nel giro di un solo anno, questa Regione ha visto diventare una voragine il suo debito consolidato a causa della moltiplicazione della sua mobilità passiva, con l’implosione dell’emigrazione sanitaria dei suoi cittadini verso altre regioni» con il sistema sanitario entrato in corto circuito. (Ibid.). Ed attualmente la sanità molisana è allo sfacelo ed è prevista la chiusura anche del reparto di oncologia di Isernia (Nuovi tagli per il ‘Veneziale’ di Isernia: prevista anche la chiusura del reparto di Oncologia, in: http://www.primopianomolise.it/politica/sanita/82303/). E nessun medico vuole più andare in Molise tanto che per un pelo è stato evitato ivi l’utilizzo di medici militari, fermato dal Ministro Giulia Grillo. (http://www.quotidianosanita.it/molise/articolo.php?articolo_id=75266).

Allora non ha forse ragione Vendola? Ma io temo che anche in Friuli Venezia Giulia stiamo seguendo il Molise ed abbiamo toccato il punto di non ritorno, siamo andati in corto circuito, tentiamo di allungare una coperta lisa che non fa che aumentare i suoi buchi, mentre i pazienti paganti lasciano la nave e volgono al privato, oppure seguono la via dell’emigrazione verso lidi più certi e sicuri. La sanità non è un lusso, è la possibilità di sopravvivere e vivere, e nessuno vuole accettare, giustamente, un sistema ora a singhiozzo, dove prima un servizio c’è poi non c’è, prima un ospedale esiste poi non più, dove improvvisamente la centrale unica sores, che ormai mostra tutte le sue criticità prevedibili,  collassa anche perché gli operatori, dopo un paio di anni, la abbandonano.   

SANITÀ E POLITICA.

Leggo distrattamente su un profilo facebook, l’anteprima della risposta dell’Assessore a sanità e salute Riccardo Riccardi alle critiche della minoranza in consiglio regionale, espresse attraverso un tweet, un “cip- cip”, in risposta a dichiarazioni espresse, pare, attraverso la stampa o comunicati stampa, il tutto al di fuori del luogo politico naturale di discussione e cioè l’aula consiliare.
Dico subito che non concordo con quanto espresso da Andrea Ussai il primo novembre 2019, e che non credo che la volontà dell’Assessore sia quella di privatizzare la sanità per far piacere ai privati, ma di far cassa tagliando ancora al ssr, che ha già raggiunto quel punto di non ritorno, secondo me, per cui ormai si ricorre, in particolare se paganti, al privato.  E non credo che detta riforma sia priva di contenuti, ma ne sia zeppa, solo che essi vanno ancora nel senso di uno smantellamento, non di un miglioramento.
In compenso, a fronte di uno smantellamento graduale del ssr, cioè di un graduale andare a regime del disegno politico definito riforma della sanità Fvg., che data 2014, con le poche lire invece che ambulanze dovremo pagare tre saggi, scelti direttamente dalla Regione che, uniti in commissione, operino per la formazione di una rosa di candidati idonei alla nomina a direttore generale delle Aziende ed enti del Servizio sanitario regionale. Ora è vero che esiste il decreto Balduzzi e che tale commissione è prevista per legge, (http://www.altalex.com/documents/news/2012/09/14/decreto-balduzzi-sulla-sanita-in-14-punti), ma esso, come ho scritto sul mio: “Divagando su alcuni aspetti della sanità e sul rapporto medico paziente”, in: nonsolocarnia.info, a cui rimando, è stato successivamente modificato dal dsgl per il riordino della dirigenza sanitaria, che prevede l’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un elenco dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. (http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3781307.pdf, allegato a “Nomine Direttori generali Asl. Arriva l’elenco nazionale. Via libera definitivo dal Governo. Lorenzin: “Per gestire la sanità selezioneremo i migliori manager sul mercato”, in: http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=42121). E l’elenco dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del servizio sanitario nazionale è stato pubblicato, il 9 luglio 2018, in formato pdf, su: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_4627_listaFile_itemName_17_file.pdf. E non mi consta esista una legge che smantella il ssn.

Inoltre lo stesso Ministro Giulia Grillo aveva sottolineato, ai tempi in cui rivestiva la carica di Ministro della Salute, che «Vi è un problema che particolarmente temiamo, ed è quello delle nomine cosiddette politiche nella sanità. Il Ministro Lorenzin aveva modificato, come aveva fatto prima anche Balduzzi, la legge sulle nomine, ma rimane ancora […] un grande potere della politica sulla sanità, e questo è un tema che i cittadini devono sapere». (Grillo: “Albo nazionale Dg Asl non sufficiente. Esiste problema di informazione su farmaci generici”, https://www.youtube.com/watch?v=Qezdim0KVFo, in: Quotidiano sanità, 20 giugno 2018).
Ma nel merito delle nomine e non solo appare interessante anche quanto detto da Niki Vendola nell’ intervista già citata relativa al Sud ma secondo me anche al Nord.  (Vendola: Questo federalismo è una schifezza, op. cit.).  Egli evidenzia alcune criticità in sanità date da: razionamento delle risorse, scarsa infrastrutturazione sociale, e sostiene, secondo me giustamente, che ora non è l’anziano a costare di più ma costano povertà e disagio sociale. Inoltre, relativamente alle nomine politiche dei manager delle Ass, ha detto che non solo lui ha sostenuto l’esigenza di metter mano a questo aspetto per condividere criteri di trasparenza, ma che ciò era auspicato anche da Gianfranco Fini. (Ibid.).
Non da ultimo, un articolo ci ricorda che: corruzione e frodi, in sanità, bruciano, in Italia  6 mld di euro l’anno, (https://www.socialismoitaliano1892.it/2018/09/19/il-diritto-alla-salute-se-non-ora-quando/, dati riferiti al 2016) mentre alla sanità pubblica sono stanziati sempre meno soldi da anni a questa parte, e la spesa sanitaria delle famglie lievita. (Ibid.).    

LO SCORAMENTO DEI PAZIENTI ITALIANI IN POCHE SIGNIFICATIVE CIFRE.

Fulvio Fulvi inizia il suo: Sanità. Viaggio tra i malati lasciati soli. È l’Italia che non si cura più, pubblicato su Avvenire il 27 ottobre 2019 così: «Liste d’attesa lunghe mesi, costi proibitivi non coperti dal Sistema sanitario nazionale, difficoltà a trovare presìdi ospedalieri: ecco le storie di chi è rimasto ai margini». E continua non solo raccontando alcuni esempi, ma anche dando cifre agghiaccianti relative a coloro che rinunciano alle cure.

Sono 6 milioni gli italiani che non si curano più a causa dei costi delle prestazioni sanitarie o delle liste d’attesa troppo lunghe per esami e interventi chirurgici (dati Istat); sono  2,3 milioni i cittadini che, tra i 6 milioni che rifiutano le cure, hanno deciso di non prendere più i farmaci loro prescritti (si tratta del 4,4% della popolazione); sono  3,5 milioni i cittadini italiani con più di 65 anni che hanno dichiarato di rinunciare alla cure mediche. (Fulvio Fulvi, op. cit.).
E: «C’è chi non va dallo specialista perché è troppo lontano da casa e non ha nessuno che lo accompagni, e chi non assume i farmaci prescritti […] perché costano troppo o perché, vivendo da solo, nessuno gli ricorda quando deve prenderli. Sono soprattutto anziani, da 65 anni in su: circa 3,5 milioni, secondo i dati, più del 60% del totale dei “rinunciatari”. Tra le cause che portano a trascurare la propria salute ci sono solitudine, mancanza di comunicazioni, carenza o disorganizzazione di servizi sanitari sul territorio. (Ibid.).

Inoltre e come se non bastasse, «Mancano i medici (oltre 10mila tra chirurghi, anestesisti e pediatri) e gli infermieri (53mila in meno rispetto alle necessità) e questo allunga i tempi complicando le modalità della cura. «Il Sistema sanitario nazionale sta andando verso l’abbattimento delle competenze: non si assumono tanti medici quanti ne servirebbero e anche quelli di famiglia sono insufficienti – commenta Roberto Messina, presidente di Federanziani – con la conseguenza che quasi tutti diventano “massimalisti”, raggiungono cioè la quota massima dei 1.500 pazienti: troppi, così il tempo e la dedizione per ognuno di loro diminuisce notevolmente… i sintomi si ascoltano al volo, insomma, e si rimanda allo specialista anche quando non ce ne sarebbe bisogno ». (Ibid.).

Ma scoraggiano pure le liste di attesa, l’esser rimandati indietro per un motivo o l’altro da una visita prenotata, in alcuni casi i costi. E «le difficoltà di accesso alle terapie spingono a lasciarsi andare, soprattutto se uno è anziano e, per esempio, dipende dai figli o dai nipoti per i trasporti e l’assistenza – spiega Roberto Messina – ma è proprio così che ci si abitua a convivere con la malattia o con piccoli dolori cronici che però possono essere dei campanelli d’allarme che annunciano, in alcuni casi, lesioni precancerose». (Ibid.).

«Mario, 73 anni, che vive da solo in un borgo del rodigino: ha un sospetto enfisema polmonare e il medico di base gli ha detto di andare dallo pneumologo per approfondire il quadro diagnostico e stabilire la terapia. Ma in provincia di Rovigo gli pneumologi negli ospedali pubblici scarseggiano e non è facile prendere un appuntamento. “Mi hanno detto che devo aspettare mesi, e poi io come ci arrivo a Rovigo? E se devo andare da un’altra parte? Non guido e non ho parenti: chi mi accompagna? Finché ho soltanto la tosse posso andare avanti, quando arriveranno disturbi più fastidiosi, si vedrà”». (Ibid.). Ma quanti Mario ci sono in Carnia, nelle valli del Natisone, nel Canal del Ferro e Val Canale, con altre patologie ma situazione similare? 

Tutto già visto, tutto già ipotizzato, penso fra me e me, e davanti a me scorrono, in breve flash, tutti gli articoli che ho scritto sulla riforma/distruzione della sanità dal 2014 in poi, tutte le problematiche che ho evidenziato a cui nessuno ha dato risposta.
Già perché se è vero che in Italia siamo anziani è anche vero che siamo pazienti che ci stanchiamo di più, che rinunciamo più facilmente, che ci dimentichiamo di prendere i farmaci prescritti che possono darci una serie di effetti collaterali maggiori che ai giovani. Inoltre pensano sempre che siamo dementi se diciamo di star male e se uno ricorre alla guardia medica che coprirà il servizio di medicina di base per 4 giorni, come in questo ponte dal 31 ottobre (prefestivo) al 3 novembre compreso, deve sapere che la stessa non potrà far fare esame di laboratorio e radiografico alcuno senza invitare il paziente a rivolgersi al pronto soccorso, perché in situazioni come questa la sanità, come del resto dal venerdì pomeriggio al lunedì mattina, entra in una specie di limbo, dove ognuno è costretto ad arrangiarsi alla meno peggio e di fatto funziona solo il pronto soccorso. E amaramente penso al compianto Mauro Saro ed alla sua battuta: «Io il venerdì indosso il camice bianco per toglierlo il lunedì», ma anche a quale legge balorda, ammesso esista, abbia stabilito che la sanità funziona di fatto con settimana corta.

CI SONO ALCUNE COSE CHE VORREI SAPERE IN FVG E NON SOLO …

Quando ho proposto un ambulatorio medico annesso al pronto soccorso per i codici bianchi, qualcuno si è offeso, come quando ho sostenuto che ci vogliono medici che sappiano fare diagnosi; quando ho preso posizione contro la centralizzazione udinese perché la sanità non può essere centralizzata, qualcuno ha ipotizzato che fossi tout court contro l’ospedale Udine, mentre qualcun altro si arrabattava a chiedere a destra e manca se fossi di destra di sinistra o chi rappresentassi, chi stesse dietro di me, per poi scoprire che non vi era nessuno, che non vi era niente, tranne la mia orrida storia sanitaria e le tante ascoltate, e gli insegnamenti di mio padre socialista, di mia madre e dei miei nonni Emidio ed Anna cattolici. E a casa mia si parlava di diritti e doveri, mentre i primi vanno via via sparendo.
A me questa situazione della sanità anche regionale pare ingiusta, ma forse giusto ed ingiusto, termini etici, sono usciti dal vocabolario di questa nuova società basata solo sull’utile personale e la sopraffazione.

Ho posto tante domande a Serracchiani – Telesca, che hanno proposto verso il cittadino, secondo me, solo la politica del Valium, come la chiamo io, cioè dello “state tranquilli, Xe pensi mi”, ed ora vorrei chiedere concretamente, progettualità, numeri e criticità alla mano, al nuovo assessore alla sanità Riccardo Riccardi, in un’ottica di welfare: (1) come pensa di organizzare la sanità in montagna e nella pedemontana friulane, togliendo l’ospedale di Gemona poi presidio ospedaliero, e ridimensionando quello di Tolmezzo, trasformandolo primieramente in sede di uno o più reparti settoriali iper-specialistici senza intasare Udine, tenendo conto del fatto che San Daniele, decentrato rispetto a  Gemona e Tolmezzo, è di fatto ben poco collegato con Carnia e Tarvisiano;  (2) come intende sia organizzata la medicina di base, tenendo conto che in montagna e pedemontana non vi è nei paesi un servizio trasporto taxi 24/24; (3) come pensa di risolvere a livello regionale la carenza di medici di base e la loro dislocazione variabile in montagna e le criticità date dal loro contratto; (4) come pensa di togliere ospedali e personale e nel contempo diminuire le liste di attesa; (5) se ritiene soluzione davvero esaustiva, per i vecchi dei nostri paesi, non il riferimento di un ospedale territoriale ma la sanità on the road, e se non crede che distanze e difficoltà a trovare in loco o viciniore servizi medici non possa spingere anziani e meno anziani ad abbandonarsi al fatalismo e desistere dalle cure; (6) se non abbia preso in considerazione che l’accentramento udinese possa far rischiare l’utente/paziente di non ricevere cure adeguate in tempi adeguati. D’altro canto mi piacerebbe conoscere che servizi intende erogare in uscita dagli ospedali agli anziani e cosa pensa di fare per gli acuti, il cui iter diagnostico curativo presuppone l’urgenza, non un distretto colf che può seguire solo i cronici in fase routine se non si arrangiano da soli ad andare dal medico di base periodicamente. Inoltre non sappiamo come, in Italia ed in regione, si pensi di affrontare  il problema della carenza di anestesisti, come si pensa si possa risolvere il problema delle guardie mediche che lavorano nei festivi e pre-festivi che non possono prescrivere e far eseguire esami di laboratorio e radiologici senza intasare i pronto soccorso, a causa dei servizi ospedalieri e di analisi funzionanti per la medicina di base su settimana corta. Ed infine chiedo a Tonutti, commissario Aas3, come mai a Tolmezzo è richiesto l’accesso tramite pronto soccorso anche per pediatria, quando un bimbo può avere le convulsioni da febbre alta e ogni secondo può essere utile per salvargli il cervello. E mi piacerebbe che l’Assessore ci rispondesse od almeno ci facesse fornire, dal Commissario Tonutti, il manuale fai da te. E vorrei sapere anche che buco ha lasciato la dott. Maria Sandra Telesca.

CONSIDERAZIONI FINALI.

Riporto qui, in chiusura,  due considerazioni da https://www.socialismoitaliano1892.it/2018/09/19/il-diritto-alla-salute-se-non-ora-quando/, alal cui lettura integrale rimando, che ci aiutano a riflettere e capire.

Sulla politica verso i piccoli ospedali ivi si legge: «La politica fin qui seguita è quella del “taglio dei rami secchi” intesi come strutture sanitarie periferiche poco utilizzate. Un esempio è venuto a fine dicembre 2015 con la chiusura di 72 mini-ospedali per 3000 posti letto. Ma il significato e il messaggio vanno ben al di là delle strutture cassate. La tendenza è quella di accorpamento nelle Aziende Ospedaliere, nate del riordino ospedaliero D.Lgs 502/1992, con successive modificazioni della Legge Bindi-Zecchino (DPR 217 del 31.12.99). Si dà il colpo di grazia alla Medicina Territoriale, ossia alla distribuzione dell’offerta diagnostica e sanitaria nelle periferie e nei centri non serviti e soprattutto distanti dal capoluogo. Ne consegue una maggiore difficoltà per i pazienti, specie anziani di recarsi in un centro diagnostico di base e/o terapeutico di base, rapidamente e senza spostamenti sul territorio». (Ivi). Detta politica non fa altro che creare ulteriori sperequazioni regionali, e vengono penalizzati i territori meno dotati di infrastrutture sanitarie e con maggior peso tributario, creando in alcuni luoghi condizioni difficili per l’accesso ai servizi sanitari. Inoltre questo modus operandi contempla l’aumento della richiesta-fabbisogno dell’Azienda al Centro e conseguente incremento della sua “potenzialità” e del suo potere in ambito sanitario. (Ivi).

Infine sulle lunghe liste di attesa, si trovano alcune considerazioni chiare: «L‘agenda politica ritiene che la lunghezza delle liste per ricoveri e diagnostica sia una delle principali cause di insoddisfazione. In realtà questo nodo è la conseguenza e non la causa dei problemi. Discende dalla rarefazione della Medicina Territoriale per i tagli ai piccoli centri, come i punti nascite, e lo spostamento dell’offerta sanitaria nelle Aziende Ospedaliere, poste di solito nelle aree urbane o metropolitane. Mentre i centri periferici potrebbero essere convertiti in Punti di Prima diagnostica per le piccole e medie patologie». (https://www.socialismoitaliano1892.it/2018/09/19/il-diritto-alla-salute-se-non-ora-quando/).
Invece la linea corretta per garantire a tutti il diritto alla salute, non alla ricetta va in altro senso, va in quello di «Instaurare una politica del riassetto ospedaliero con micro-aree territoriali di offerta sanitaria di base e macro-aree regionali per le patologie più gravi o invalidanti». (Ivi). E per ora mi fermo qui.

Senza voler offendere alcuno, solo per porre alcune domande e criticità alla politica, che però dovrebbe discutere certi argomenti, in Fvg, in consiglio regionale: dati progettualità, criticità, spesa ecc. ecc. non il favore o meno all’ipotesi Riccardi, come fatto conTelesca, senza lasciare tutto in mano ad una sola persona, e se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://www.messinaora.it/notizia/2016/04/25/tagli-alla-sanita-il-m5s-chiede-spiegazioni-chiare-allassessore-gucciardi/74658, già utilizzata per latro articolo ed eleborata in nero e giallo.  Laura M. Puppini

 

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