Apro la cartella blog sanità, per vedere cosa riprendere in questo articolo, che dovrebbe parlare di sanità, cioè di sanitas, che significa lo star bene delle persone e della popolazione, e come raggiungerla, ma che ora pare ridotta a assetti e bilanci, a tagli ed altre alchimie per un sistema sanitario che pare a due passi da un punto di non ritorno.  Ma invano più voci hanno fatto presente questo problema ed invano si è detto che regionalizzare la sanità creerà solo ulteriori problemi e produrrà una miriade di sistemi diversi con regole diverse con il risultato di ingenerare un caos senza fine e di complicare la vita a chi risiede in una regione e lavora in un’altra. E poi mica tutto si può regionalizzare, in sanità. Ma soprattutto, non avendo le aziende sanitarie l’obiettivo di altre aziende, si rischia che i tagli in sanità provochino solo situazioni di lavoro critico e maggior numero di morti. Eh ma, erano vecchi, eh ma, ognuno ha la sua ora … eh ma… Ma nello specifico nessuna scusa regge, se siamo ancora umani e non solo prodotti anche noi del sistema economico -finanziario.   

Pare che il nuovo sistema sanitario produca più morti.

Ed allora, con una visione non certo positiva di ciò che sta accadendo, rileggo un articolo del 2017, pubblicato dal solerte Avvenire, il 7 dicembre 2017, che si intitola: “Analisi. Picco di decessi nel 2017, sfida per il welfare e la società”, firmato da Gian Carlo Blangiardo.
In esso si legge che «A fine 2015 si è attirata l’attenzione, proprio da queste colonne (Avvenire 11 dicembre 2015), sul sorprendente incremento del numero di morti che andava concretizzandosi nel corso dell’anno, fornendo anticipazioni su una realtà allarmante che avrebbe poi trovato conferma ufficiale nel bilancio demografico diffuso dall’Istat all’inizio del 2016.
‘Attenti ai morti’, titolava il pezzo di allora, e chiudeva invitando sia la comunità scientifica che il mondo della politica, sia la pubblica amministrazione che il mondo del welfare, a una riflessione sulle cause dell’inatteso picco di mortalità. “Diamo ascolto a questo rialzo, accogliendolo come evento straordinario” – si scriveva allora – “perché vorremmo tanto che restasse tale”.

A distanza di due anni, ed alla luce dei nuovi dati che vanno emergendo, non ci sembra tuttavia di poter affermare che quel nostro auspicio abbia avuto realmente seguito. Dopo aver assistito a un 2016 caratterizzato da un confortante ribasso del numero dei decessi, ma semplicemente per via di quello che gli esperti definiscono un ‘rimbalzo tecnico’ – dopo una stagione in cui cadono in abbondanza le foglie più secche, l’albero ne ha meno da perdere nella stagione successiva – ecco che il rialzo della mortalità si ripresenta puntualmente. Dalle statistiche dei morti nei primi sette mesi del 2017 (secondo quanto già disponibile da fonte Istat) prende corpo la convinzione che l’anno che sta per concludersi ci chiederà ragione del non aver sufficientemente affrontato quei segnali di debolezza, già evidenti due anni fa, relativi a un sistema sanitario che tende sempre più a far pagare il prezzo della sfida sulla sostenibilità dei costi soprattutto a chi è più fragile, economicamente e sul fronte delle reti sociali e familiari.

Tra gennaio e luglio del corrente anno le statistiche segnalano 389.133 decessi, un valore che supera di 28.174 unità quanto registrato nei primi sette mesi del 2016. Su base annua, qualora l’aumento sin qui osservato (+8%) dovesse trovare conferma nel bilancio demografico finale, in tutto il 2017 si conterebbero 663.284 morti, con un incremento di ben 48 mila casi rispetto allo scorso anno e circa 16 mila in più rispetto al dato del 2015, a suo tempo indicato come il valore più alto mai riscontrato dal secondo dopoguerra. È ben vero che nel determinare la crescita dei decessi gioca un ruolo importante il continuo invecchiamento demografico, tuttavia valutando nel 2017 l’ipotetico aumento del numero di morti dovuto al solo cambiamento nella struttura per sesso ed età della popolazione si arriva a spiegarne poco meno della metà (circa 21 mila casi). Che dire degli altri 27 mila in più?». Ed infatti tra vecchi in aumento e tagli vari, nonché l’inquinamento (non possiamo dimenticare che siamo il paese della terra dei fuochi e via dicendo) ormai i decessi sono quasi 650 mila, la cifra più alta dal 1945». (https://www.agi.it/breakingnews/istat_cala_ancora_la_popolazione_italiana_mai_tanti_decessi_dal_1945-4024145/news/2018-06-13/). Ed in sanità non si può attuare la politica delle tre carte.

Ma vediamo cosa riporta il report ISTAT sugli indicatori di mortalità della popolazione residente in Italia, pubblicato il 24 ottobre 2017, che mostra i dati su mortalità e aspettativa di vita nel nostro Paese.

Nel 2016 sono stati registrati oltre 615mila decessi tra i cittadini residenti, 32mila in meno rispetto al 2015 (-5%). In rapporto al numero di residenti, nel 2016 sono deceduti 10,1 individui ogni mille abitanti, contro i 10,7 del 2015. I primi dati sul 2017 evidenziano un picco di mortalità a gennaio, con oltre 75mila decessi, che insieme ai dati relativi alla fine del 2016, sono da ricollegare all’arrivo dell’influenza, mentre i successivi dati mensili lasciano presupporre un ritorno alla tendenza registrata negli anni passati. (https://www.i-com.it/2017/10/26/istat-gli-indicatori-di-mortalita-della-popolazione-residente-in-italia/).

Sanità Fvg in Carnia.

Mentre l’assessorato alla sanità regionale, da anni, indipendentemente da chi è l’assessore, ci parla insistentemente del ruolo prioritario del medico di base, come fosse, in una società complessa come l’attuale, la panacea per tutti i mali, poi si ripiomba nella realtà raccontata con semplicità da un anziano di Zovello: «Noi abbiamo il medico di base 2 ore sole a settimana a Zovello, e talvolta vengono anche da Cercivento, ove è qualche altra giornata. Io, signora, per ora sto bene e finchè sto bene …», dove il finale è più eloquente di ogni parola. E ci sono paesi di questa nostra montagna più o meno fortunati: alcuni hanno un medico di base per il comune, cioè che copre la vecchia condotta medica, altri hanno la condotta medica coperta da due medici, di cui uno magari presente solo 2 ore alla settimana, con diversi pazienti, e non si sa se uno in capo ad un medico possa andare dall’altro senza magari causare un casus belli, dato che i pazienti non sono più del comune ma attribuiti allo specialista. E ci sono medici di base che esercitano un po’ di ore in un luogo un po’ in un altro, fino a coprire il loro orario di ambulatorio. E di grazia che ci sono, ma non si sa come la Regione possa pensare che essi in queste situazioni possano fornire un servizio efficiente. Inoltre mancano le solite chiarezze contrattuali ed applicative del contratto medici di base, e chi un paio di giorni riceve solo su appuntamento, chi no, chi infine viene anche a visitarti a casa, chi dice che non serve nel tuo caso, chi ti risponde magari al telefono di attendere, e tutti hanno la giornata libera oltre la domenica, praticamente lavorano per 5 giorni alla settimana, ed alcuni non sempre rispondono al di fuori dall’orario ambulatoriale. E questo scrivo per evidenziare reali problemi della nostra terra martoriata ed agonizzante, non certo per offendere alcuno. Ma dire che un sistema così organizzato è un sistema di medicina di base che risponde alle esigenze del cittadino, questo proprio no. (http://www.aas3.sanita.fvg.it/it/servizi_al_cittadino/ricerca_medico/risultato-ricerca.htm).

Semmai, poi, c’è per la Carnia il pronto soccorso tolmezzino, ove però dovresti sapere da solo se sei abbastanza grave per recarti o no, e che risulta spesso riempito da sciatori e amanti della montagna infortunati, e che è di riferimento anche per il gemonese; ci sono i reparti ospedalieri ove ci sono ambulatori che funzionano cinque giorni a settimana con personale all’osso, senza che il sito della praticamente defunta Aas 3 ci informi quali siano e che professionisti siano negli spessi operativi e forniscano pure la libera professione, e neppure quali prestazioni vengano erogate.

Veniamo poi a sapere, dall’informatissimo Alfio Englaro, che la tanto sospirata risonanza magnetica che molti vedevano come la panacea di tutti i mali del nosocomio, pare funzioni solo per mezza giornata. E così Englaro descrive la situazione del nosocomio Tolmezzino nel febbraio 2019: «La situazione del Pronto Soccorso di H Tolmezzo si fa sempre più ingestibile e insopportabile non solo per il personale sanitario ma soprattutto per gli utenti-pazienti i quali stanno perdendo la proverbiale pazienza e spesso incattiviscono di brutto, prendendosela con gli unici incolpevoli (e loro stessi vittime) di questa tragicommedia: medici e infermieri, che a fatica riescono poi a mantenere il necessario sangue freddo e la dovuta calma. (…). Non è successo nulla di straordinario rispetto ai mesi passati, banale quotidianità: semplicemente mercoledi 6 febbraio 2019 in Pronto Soccorso stazionavano 36 pazienti (con altrettanti accompagnatori) 15 dei quali, valigia al piede, erano in attesa di un posto-letto in Medicina, dove ovviamente non vi era più posto. Nelle more, qualcuno è stato sistemato in Ortopedia, qualcun altro in Chirurgia, qualcuno è rimasto in PS, in attesa che la Medicina metabolizzasse la situazione, che fu risolta solo in tarda notte o nel mattino seguente. (…). A fine febbraio 2019 è stata dismessa la piccola, utile e funzionale RM che in questi anni aveva egregiamente servito per lo studio di spalla e ginocchio (le due articolazioni con le più frequenti rilevanti patologie che colpiscono giovani e vecchi). Ora il carico di questi esami articolari verrà messo in capo alla nuova RM (…) che dovrà contemporaneamente eseguire anche tutti gli altri esami che le competono (encefalo, colonna, particolari organi addominali, grandi articolazioni…) con un sovraccarico di ulteriore lavoro.

Inoltre parrebbe che questa nuova RM sia funzionate solamente al mattino o fino al primo pomeriggio […] mentre nel pomeriggio e nelle prime ore della notte resterebbe inutilizzata o forse adibita in parte alla libera professione intra moenia di alcuni radiologi. Pare infine che i tempi di esecuzione di un esame RM non siano poi così ridotti come si vaticinava […].
Ed infine va segnalata la utenza (sempre in crescendo) proveniente anche da altri territori regionali». (http://www.cjargne.it/libri/Controriforma.htm punto 14).
Pare che quindi anche per la presenza di utenza da fuori e carenza di professionisti, i tempi di attesa per una visita od un esame siano sempre lunghi. Ma questi problemi mi pare di averli più volte sottolineati.

Inoltre, leggendo sempre Alfio Englaro, si scopre che se «provate a farvi ricoverare in Medicina o a passare in PS per un ricovero […]; i medici H hanno avuto l’obbligo tassativo di ricoverare il meno possibile e di respingere il più possibile i malcapitati a domicilio (altro che la dogana francese di Ventimigilia), […]. Conosco moltissime persone le quali, prima di poter essere ricoverate, sono passate due ed anche tre volte in PS!». (http://www.cjargne.it/pols.htm, Punto 75). Englaro riferiva detta situazione all’era Benetollo, ma non mi pare che la situazione sia migliorata. E ricordo che mia madre ha fatto 4 accessi in pronto soccorso prima di essere ricoverata per una polmonite diagnosticata al primo accesso!

Interrogazione al Ministro della Salute sulla sanità nelle aree disagiate e periferiche.

Intanto non siamo i soli a percepire che vi sono delle criticità nelle aree interne ma sarebbe preferibile dire disagiate e quasi allo sbando del paese. Infatti mi è giunto questo avviso accompagnato da una email da Emanuela Cioni – presidente del CISADeP – Coordinamento Italiano Sanità Aree Disagiate e Periferiche. Ella così scrive: «Vista la discrezionalità regionale che ha creato macroscopiche diversità di organizzazione e di offerta dei servizi sanitari di emergenza urgenza, punti nascita, servizi territoriali, pronto soccorso, punti di primo intervento, servizi ospedalieri in aree periferiche e disagiate anche di stesse regioni, determinando di fatto disparità di trattamento che fanno venire meno l’uguaglianza sancita dall’articolo 32 della Costituzione, il Deputato Chiara Gagnarli ha presentato lo scorso 4 Aprile una Interrogazione Parlamentare a risposta scritta al Ministero della Salute N° 4/02662.

Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-02662 presentato da GAGNARLI Chiara giovedì 4 aprile 2019, seduta n. 156.

GAGNARLI e CILLIS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che: parte prevalente del territorio italiano (circa il sessanta per cento del territorio nazionale) è contraddistinta dalla presenza di piccoli Comuni, lontani dai servizi essenziali, quali scuola, sanità e mobilità, e la marginalizzazione di tali aree assume quindi rilevanza nazionale;

per tale motivo dal mese di settembre 2012 è stata avviata, dall’allora Ministro per la coesione, la costruzione di una strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne con il supporto di un comitato tecnico aree allo scopo costituito ed è stato redatto il documento relativo alla strategia nazionale delle aree interne, confluito nell’accordo di partenariato;

la strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne ha dunque il duplice obiettivo di adeguare la quantità e qualità dei servizi di istruzione, salute, mobilità e di promuovere progetti di sviluppo che valorizzino il patrimonio naturale e culturale di queste aree, puntando anche su filiere produttive locali;

dal punto di vista sanitario, le aree particolarmente disagiate dovrebbero essere tutelate attraverso il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, che, all’allegato 1 punto 9.2.2, riferisce in merito alla rete dell’emergenza-urgenza ed, in particolare, dei presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate;

il Cisadep – Coordinamento italiano sanità aree disagiate e periferiche, che raggruppa i comitati che si battono per il diritto alla salute in queste aree della penisola, ha sollevato delle perplessità sul punto 9.2.2 in questione, sostenendo che affronta in maniera lacunosa e generica la questione dei presidi ospedalieri, lasciando ampia possibilità di libera interpretazione alle singole regioni in merito agli standard qualitativi, strutturali e tecnologici degli ospedali in tali aree;

la discrezionalità regionale ha creato macroscopiche diversità di organizzazione e di offerta dei servizi sanitari di emergenza urgenza, punti nascita, servizi territoriali, pronto soccorso, punti di primo intervento, servizi ospedalieri in aree periferiche e disagiate anche di stesse regioni, determinando di fatto disparità di trattamento che fanno venire meno l’uguaglianza sancita dall’articolo 32 della Costituzione –:

se e quali siano le iniziative in atto nell’ambito della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne, in merito al riequilibrio dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali nelle aree periferiche, ultra-periferiche, particolarmente disagiate ed insulari del Paese;

se non ritenga opportuno promuovere un confronto in sede di Conferenza Stato-regioni allo scopo di correggere la situazione di disuguaglianza dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali in tali aree, anche attraverso una revisione del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, che definisca puntualmente gli standard nazionali qualitativi, strutturali e tecnologici dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali in queste aree.
(4-02662)

Chiara Gagnarli e Luciano Cillis – Movimento 5 stelle».

(Ricevuto il 30 aprile 2019 da Emanuela CIONI – Presidente del CISADeP – Coordinamento Italiano Sanità Aree Disagiate e Periferiche).

E per finire, in Friuli ancora tagli al Santa Maria della Misericordia …

Infine destano preoccupazione anche gli ulteriori tagli di servizi e posti letto all’ospedale di Udine, che doveva essere di riferimento, per alcune patologie, anche per la montagna, e che rischia di non poter far fronte neppure alla sua utenza cittadina. E l’andarsene del primario di ortopedia del Santa Maria della Misericordia, sbattendo la porta, perchè non si riesce più a lavorare è più esplicativo della situazione di ogni analisi. Così Serracchiani e Telesca, in cambio di tagli locali, ci hanno promesso l’efficentismo udinese, che ora si allontana sempre più, grazie ad una azione sinergica di sinistra e destra abbracciate.

E per ora chiudo qui, per non dilungarmi oltre, in attesa delle prossime notizie sul fronte del sistema sanitario che non si può dire certamente sia al servizio del paziente, in Fvg, e credo anche in molte altre regioni, ma pare affidato, come prima, più all’improvvisazione ed al mantenimento di uno status quo, che permette di spendere meno, erogando servizi a metà, presumibilmente molto meno efficienti ed efficaci anche per le difficoltà dell’ utenza a reperirli, per i tempi ridotti di visita, e che potrebbero salvare meno vite e non far star meglio le persone. Infine la migrazione sanitaria da un paese all’altro, da pubblico a privato ed ancora a pubblico, con perdita di riferimenti e rapporto medico paziente pare sempre più, in Carnia e non solo, una realtà, quasi che la medicina si riducesse ad una mera erogazione tecnica di prestazioni ora qui ora là. E comunque ricordati, cittadino, se stai peggio, se non guarisci, se muori è sempre colpa tua, o forse Saturno ti era contro!

PS. Ci avevano promesso che il bilancio consuntivo Aas3 del 2018 sarebbe stato adottato (sic!), che francamente non so cosa significhi, il 30 aprile 2019, e sarà anche stato fatto, ma non è stato pubblicato, e temo non vedremo più bilanci nostri. Sento nostalgia di Benetollo, amici della destra! E i minatori di Cave del Predil ci hanno insegnato che, quando la tua azienda inizia a far parte di un gruppo più vasto, i tuoi bilanci si perdono nell’ insieme, e non riesci a capire più nulla della tua situazione. Sarebbe interessante che il bilanco della fu Aas3 continuasse ad essere separato dal calderone della Ass4, almeno per cercare di capire qualcosa, per esempio quanto si è speso per la montagna ed in che modo. 

Senza offesa per alcuno, per dare degli elementi per discutere in questa Carnia che langue anche sotto elezioni, ed alla prossima. E per cortesia, se ho errato qualcosa correggetemi e chi si sentisse offeso mi scusi, perchè non è mia intenzione offendere.

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://cjalcor.blogspot.com/2017/11/incontro-sulla-sanita-nellalto-friuli.html

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

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