Talvolta leggo ‘Le monde diplomatique’ un periodico davvero interessante, la cui edizione italiana è curata da ‘Il Manifesto’. Sul numero dell’aprile 2017 compare un illuminante articolo sulla sanità francese, intitolato: “La copertura sanitaria universale messa in discussione”, a firma di Martine Bulard. Sotto il titolo si può leggere: «Il sistema sanitario francese, fra i migliori a livello mondiale, non riesce comunque a coprire le diseguaglianze. L’assistenza sanitaria pubblica è stata penalizzata a beneficio delle assicurazioni integrative, che hanno costi di gestione e pubblicità esplosivi. E se si tornasse alla copertura sanitaria universale?» Beh, anche in Italia non stiamo benissimo, ma neppure bene, penso fra me e me, per quanto riguarda il ssn, che annaspa, boccheggia, che c’è e non c’è al tempo stesso, e che, in ogni caso, si è parcellizzato in una serie di ‘aziende’ con scarso collante.

Ora io vi garantisco di avere una idea fissa: quella che il servizio sanitario nazionale e quello regionale non possono esser gestiti come fossero un’azienda di gorgonzola, che bada al profitto. Infatti, secondo me, è proprio quando si è aziendalizzata la sanità che sono iniziati guai seri, che non mancavano però prima. Un servizio sanitario nazionale può essere anche in perdita, e le tasse dei cittadini servono proprio a coprire il costo dei servizi per gli stessi, che per loro natura non possono essere in attivo o far guadagnare, ma ormai si gioca anche sui termini.  Infatti le aziende hanno a che fare con la finanza e con il guadagno, e esistono all’ interno di un sistema economico capitalistico e neo capitalistico, finalizzato a far dollari sonanti e cassa.  

Ora il sistema francese comprende, per la copertura delle spese sanitarie, due attori principali- continua Bulard: la Sécuritè sociale cioè il ssn, e le assicurazioni integrative. Ma in Italia le assicurazioni non accettano tutte le categorie di pazienti, e non coprono tutte le spese (Cfr. “Ancora su: salute e sanità nazionale e regionale”, in: nonsolocarnia.info), e costano circa 1000 euro all’anno, che si usino o non si usino, il che è tantissimo per la povertà che ormai raggiunge anche i ceti medi della penisola.

La destra francese, con François Fillon, ha suggerito che la Sicurité sociale si limiti a rimborsare i grossi rischi e a farsi carico dei francesi più poveri. Ma forse là si può sapere chi sono, mentre qui, con l’evasione fiscale imperante, c’è sempre stata un po’ di confusione fra chi sia realmente povero e chi compaia come tale. Ma non vorrei che qualcuno dei nostri governanti, sia regionali che nazionali, strizzasse l’occhio a soluzioni di questo genere.

Inoltre non si può pensare a quali farmaci rimborsare e quali no- continua Martin Bulard- perché «o i farmaci sono utili, e allora occorre rimborsarli integralmente, o non lo sono, ed allora non devono essere rimborsati». (Martin Bulard, La copertura sanitaria, op. cit.).

Per quanto riguarda i farmaci più costosi, in Francia alcuni politici propongono di negoziare il prezzo con i laboratori di produzione, a livello nazionale ed internazionale. Ma «bisogna avere la forza di far pressione – precisa Ambrourousi – e dunque occorre un polo pubblico del farmaco che comprenda attività di ricerca e produzione. Si devono poter ottenere licenze obbligatorie [così da evitare di pagare i diritti sui brevetti] per produrre farmaci». (Ibid.).  Però pare che in Italia siamo più propensi a seguire le idee neoliberiste di Emmanuel Macron, che temeva che una soluzione di ricerca e produzione nazionale francese, per farmaci costosi, potesse sacrificare l’industria farmaceutica privata che avrebbe potuto soffrirne. Ecco, penso fra me e me, questo è il tipico modo di pensare di uno dei nuovi economisti, che sacrificano il popolo nazionale per non disturbare l’industria privata, che già guadagna più che a sufficienza. E credo che anche in Italia più di un politico pensi così. 

Correva l’anno 2016, quando Avvenire, spesso meritorio per le sue informazioni, articoli, approfondimenti, pubblicava un pezzo di Fulvio Fulvi, intitolato: “La salute, un’impresa mondiale. Primo impegno: ridurre morti e malattie di bambini e mamme”, ove si poteva leggere che, nell’agenda globale per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite, vi era, già allora, l’obiettivo di «assicurare la salute ed il benessere per tutti e per tutte le età», definito ambizioso, uno dei più difficili da conseguire, ma preso in considerazione. E continuava dicendo che la via per il suo raggiungimento necessitava dell’impegno congiunto di «governi locali, comunità internazionale e industria farmaceutica». (Ivi). E l’autore sottolineava come si morisse ancora sul pianeta per malattie non del tutto debellate, come aids, tubercolosi, malaria, epatiti, per l’acqua inquinata, per scarsa igiene e profilassi, ma anche per droga, alcool, tabacco, mentre «nuove pandemie minacciano la salute pubblica anche nei paesi ricchi» (Ivi), citando come esempi l’obesità infantile, il diabete, lo scompenso cardiaco, le patologie causate dallo smog e dal surriscaldamento del pianeta.

E in Italia e Fvg, come si sta in fatto di sanità e salute, con un ssn tagliato, declassato, rapinato, farraginoso, forse al limite del non ritorno?
Un dato, sempre pubblicato da ‘Avvenire’, sconcerta: alla fine del 2016, 11 milioni di persone rinunciavano a curarsi. (Fulvio Fulvi, In Italia si vive di più. Ma 11 milioni rinunciano a curarsi, in: Avvenire 26 novembre 2016). Ed erano già 9 milioni, secondo il rapporto Censis, nel 2012. (“Sanità negata a 9 milioni”, in: Messaggero Veneto 6 giugno 2012).

Secondo il rapporto Censis, su questo dato giocavano sia l’età anziana della popolazione, sia la disaffezione, sia la convinzione che «i servizi sanitari della propria regione siano inadeguati». (Fulvio Fulvi, In Italia si vive di più, op. cit.). Ma nel merito riprendo pure, dal Rapporto Gimbe 2018, che invito tutti a leggere integralmente, le seguenti considerazioni: «in questo contesto si è progressivamente fatta largo una raffinata strategia di marketing basata su un assioma correlato a criticità solo in apparenza correlate (riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out – of – pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari e rinuncia alle cure) alimentate dai risultati di studi  discutibili finanziati proprio da compagnie assicurative». (http://www.rapportogimbe.i/3_Rapporto_GIMBE.pdf).
Infatti, vi sono anche aspetti psicologici collettivi che giocano su certe situazioni, ma i politici non hanno tempo per queste quisquiglie, e pare guardino solo ai bilanci, come se la salute fosse un affare finanziario, tanto che soffocare il ssn. Ma bisogna anche dire che i debiti dello stato sono retaggio anche dei tempi andati.

Ma passiamo al Fvg. Non mi dilungo su quanto già scritto su www.nonsolocarnia.info anche sulla ormai scarsa attrattività di un sistema e sui tagli a mio avviso demenziali al ssn, a meno che non si voglia trovare una scusa per abolirlo. Si vedevano, nella nostra regione, già dal 2011, quando vi era la giunta Tondo, le linee di tendenza per il contenimento della spesa sanitaria, continuate pedissequamente da Serracchiani – Telesca ed ora da Fedriga -Riccardi, tutte amministrazioni regionali che si sono ben guardate da fare una analisi puntuale dei costi, degli sprechi, dei possibili accorpamenti, delle positività di un ssr (per esempio non servono unità per trapianti in ogni dove, mentre servono reparti ospedalieri di medicina nei piccoli semi soppressi ospedali), con il risultato che è sotto gli occhi di tutti.

«Maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse. Blocco del turnover del personale. Più assistenza sul territorio rispetto a quella ospedaliera. Sono alcuni dei capisaldi delle linee di gestione 2012 per la sanità» del Fvg. (“Sanità. Assunzioni bloccate nel 2012”, in: Messaggero Veneto, 1 dicembre 2012).

Allora era presidente della giunta regionale Renzo Tondo, di destra, poi gli è subentrata Serracchiani, che ha avuto come assessore alla salute Maria Sandra Telesca, prima direttore amministrativo presso l’ospedale di Udine ed attualmente a capo della gestione amministrativa dei presidi ospedalieri Aas4; ora è alla guida della regione la Lega con Massimiliano Fedriga, ed assessore per sanità e salute è Riccardo Riccardi, Forza Italia, ma il disegno per il ssr è sempre lo stesso, quello di smantellare per far cassa e parlare, parlare, ma io, che sono vecchia, non capisco più molto di tutte queste dichiarazioni, e mi scuso subito per questo. Inoltre, mi pare proprio che fosse stato Riccardo Riccardi ad aver parlato, forse un paio di anni fa di welfare … e ne parla ancora. Ma che welfare vi può essere se si taglia ulteriormente il ssr?

«Diversi sono i fattori che oggi minano la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: il progressivo invecchiamento delle popolazioni, il costo crescente delle innovazioni, in particolare quelle farmacologiche e il costante aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte dei cittadini. Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate nei paesi industrializzati: l’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie; gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione; le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato ‘value’; l’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione; gli sprechi, che si annidano a tutti i livelli.

In tal senso, il dibattito sulla sostenibilità del SSN continua ad essere affrontato in maniera distorta dalle varie categorie di stakeholder che, guardando a un orizzonte a breve termine, rimangono arenati su come reperire le risorse per mantenere lo status quo, allontanando la discussione dalle modalità con cui riorganizzare il sistema sanitario per garantirne la sopravvivenza». – si legge nella presentazione del dettagliatissimo ‘Rapporto GIMBE” sulla sostenibilità del ssn italiano, 2017. (https://www.gimbe.org/pagine/1171/it/rapporto-gimbe-2017). E il rapporto continua evidenziando le quattro criticità che condizionano la sostenibilità del ssn: «definanziamento pubblico, nuovi LEA, sprechi e inefficienze e ipotrofia della spesa privata intermediata», (Ivi), proponendo pure alcune soluzioni, ma in una ottica precisa: la rivalutazione del ssn al 2025, la conferma dell’esplicita volontà di rimettere al centro dell’agenda politica la sanità pubblica e, più in generale, il sistema di welfare, «sintonizzando programmazione finanziaria e sanitaria sull’obiettivo prioritario di salvaguardare la più grande conquista sociale dei cittadini italiani: un servizio sanitario pubblico equo e universalistico da garantire alle future generazioni». (Ivi).

E così conclude: «Escludendo a priori un disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, la Fondazione GIMBE suggerisce un “piano di salvataggio” del SSN attraverso sei azioni fondamentali:

  • offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate al SSN, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico;
  • rimodulare i LEA sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l’erogazione di prestazioni dal value negativo;
  • ridefinire i criteri della compartecipazione alla spesa sanitaria e le detrazioni per spese sanitarie a fini IRPEF, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie;
  • attuare al più presto un riordino legislativo della sanità integrativa;
  • avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi;
  • mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies), in particolare di quelle che coinvolgono lo sviluppo economico del Paese, per evitare che domani la sanità paghi “con gli interessi” quello che oggi appare una grande conquista.

In assenza di un piano politico di tale portata, la graduale trasformazione verso un sistema sanitario misto sarà inesorabile e consegnerà definitivamente alla storia il nostro tanto decantato e invidiato sistema di welfare». (Ivi).

Ma invece che pensa di fare la politica Fvg e non solo? Di mettere in crisi la sanità in montagna e nelle zone periferiche, lasciate al ‘fai da te’ ed al ‘salviamo il salvabile’, con sindaci che approvano, con leggerezza inusitata e senza pare discussione alcuna, la cancellazione dell’aas3, senza prevederne la ricaduta sulla popolazione e sul territorio. Ma salta solo Benetollo … Non è vero scrivo a chi pare guardasse, da quello che potevo leggere, un po’ troppo alle cariche e molto meno ai servizi erogati ed alla complessità dei problemi e delle ricadute. E se è vero che Riccardi ha detto di voler mantenere i distretti, mi chiedo però con che compiti e funzioni, non certo di programmazione generale e specifica.

Si spende troppo per farmaci innovativi, si diceva allora e si dice ora, che sono spesso salvavita e per il personale. Ma questo si sapeva da un pezzo. I farmaci si possono comperare, come proposto anche per la Francia, a livello nazionale o attraverso un circuito Alta Italia – Centro Italia – Italia del sud ed insulare- cercando di abbassarne il costo sulla base del quantitativo acquistato, ricordando però che, poi, il mantenimento dei farmaci ed sistemi di distribuzione locale devono essere improntati alla massima sicurezza, e possiamo spendere in ricerca e produzione, oltre che vedere se vi siano generici equivalenti e meno costosi.

Inoltre, attaccare il personale in prevalenza ospedaliero, sfibrato e che lavora al limite, dicendo che si abbasserà loro lo stipendio, non è politica oculata, ed è sbagliare bersaglio. (Michela Zanutto, Scure sul personale della sanità. Imposti oltre nove milioni di risparmi, in Messaggero Veneto, 9 gennaio 2019). «[…] stiamo parlando di personale che potrebbe fare di più, se messo nelle condizioni di lavorare» – afferma Riccardi, portando però un esempio relativo solo alle carte da compilare per il consenso al trattamento dati. Quindi parla, pare per il personale, di funzioni sovrapposte, senza che si possa capire a che cosa si riferisca, (Ivi), mentre è certo che in Fvg molti del personale della sanità, in particolare molti medici ospedalieri, fanno di tutto e di più e ben oltre il loro orario di lavoro.

E la sanità non si può organizzare come la Mirafiori, con i tempi calcolati a cronometro. Per inciso, secondo me, neppure il lavoro alla Mirafiori andrebbe programmato così. Senza personale o con personale demotivato, stanco, angosciato da continui cambiamenti anche nelle prassi burocratiche e dalle incertezze del presente e del futuro, non si ottiene una sanità efficiente, ed a lungo termine una politica di questo tipo non ‘paga’ come si suol dire, perché il fattore umano conta non poco, e perchè così si distrugge il ssn.

Comunque, come prevedibile, la ‘levata di scudi’ di sindacati di categoria e del personale contro la decisione di tagliare 9 milioni e mezzo di spese per il personale sanitario in Fvg non si è fatta attendere. E tutti hanno snocciolato le criticità già note: ferie cancellate, straordinari, personale già ridotto all’ osso, mancata informazione su quanto si andava decidendo … (Michela Zanutto, Risparmi sulla sanità: sindacati e Pd critici “Caleranno i servizi”, in: Messaggero Veneto, 10 gennaio 2019). Si era tolto il blocco del turnover, ma queste decisioni azzerano il beneficio, e peggiorano la situazione.

E lo stesso rapporto Gimbe 2018 dice che non si può sotto-finanziare per fare cassa nell’immediato, e che il Paese si trova davanti ad un bivio: «se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, come da ogni parte dichiarato a parole, accanto a tutti gli interventi necessari per aumentare il ‘value for money’ del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico. In alternativa, occorrerà governare adeguatamente la transizione a un sistema misto, al fine di evitare una lenta involuzione del SSN che finirebbe per creare una sanità a doppio binario, sgretolando i princìpi di universalismo ed equità che ne costituiscono il Dna».  (www.rapportogimbe.it/3_Rapporto_GIMBE.pdf). Ma in Italia le assicurazioni private non garantiscono tutti. (Ancora su: salute e sanità nazionale e regionale, in: www.nonsolocarnia.info).

E non si può credere che i medici di base facciano tutto quello che si vorrebbe facessero, con 1300 pazienti ed il contratto nazionale in vigore. Inoltre, nella quasi ex aas3, ora né carne né pesce, (mentre servirebbero, come minimo, ordinaria e straordinaria manutenzione nei nosocomi gemonese e tolmezzino), la politica locale anni fa, in altro contesto, scelse di puntare tutto sulla risonanza magnetica. Ma successivamente gli esami con detto macchinario, che ha anche dei limiti, caddero sotto le forche caudine di Beatrice Lorenzin, che ne vincolò l’uso ad un protocollo preciso, facendo la gioia delle radiologie private.

E che il personale non sia molto, in questa che fu aas3, lo diceva anche Cristiana Gallizia, dirigente medico in aas4 e candidata alle regionali 2018 con Massimiliano Fedriga, che così sosteneva nell’aprile 2018: «Sulla sanità in Alto Friuli servono assunzioni, servizi fatti funzionare anche di sera per abbattere le liste d’attesa, sistemi di prenotazione che favoriscano prestazioni nella sede più vicina al domicilio, rete informatica che raggiunga sia i cittadini che i medici di famiglia. […]. I nostri ospedali di Tolmezzo e Gemona […] devono continuare a restare attrattivi, ma negli ultimi quattro anni hanno perso funzioni, servizi, certificazioni di qualità, di eccellenza, molti medici di valore nonché posti letto che il grande ospedale di Udine non riesce a compensare. […]. Non posso pensare – continua – che nel prossimo quinquennio si debba chiedere l’elemosina per una montagna che, considerata solo per il numero di abitanti, sarà sempre più perdente ed umiliata […].». (“Servono assunzioni per la sanità” in: Messaggero Veneto, 17 aprile 2018).

Come non essere d’accordo, questa volta con Gallizia? Ma ora perché non si è fatta viva con Fedriga e Riccardi per dire queste cose?  Inoltre, ho letto che alla presidenza della conferenza dei sindaci della quasi defunta aas3 è stato mantenuto Gianni Borghi che però mi ha stupito quando ha dichiarato alla stampa che i sindaci sono pronti a «lavorare per applicare le future direttive regionali», (Piero Cargnelutti, Ex Aas3, la sede resta fino al prossimo anno, in: Messaggero Veneto, 9 gennaio 2019), non a contestarle se del caso, o a dare un loro apporto anche critico nel merito. E questo mi pare molto da sotàns, ma mi scuso subito con gli interessati per averlo pensato. Insomma, questi nostri sindaci a me paiono un po’ mosci, per non usare altro frasario, un po’ silenti, un po’ nocchieri per una montagna sulla via del tramonto. (Piero Cargnelutti, Ex Aas3, la sede resta fino al prossimo anno, in: Messaggero Veneto, 9 gennaio 2019).

Non da ultimo, se qualcuno ha detto che l’ospedale di Tolmezzo è una priorità, siamo contenti ma noi, pazienti della Carnia e del Gemonese, non siamo interessati ad un ospedale che non sia più nostro, che diventi una entità regionale non più di riferimento territoriale, come pare quasi già sia, e vorremmo che fosse presa in considerazione anche una rivalutazione dell’ospedale di Gemona e del suo pronto soccorso, perché l’integrazione fra i due poli era molto positiva e tagliava liste di attesa. Infine, ricordo a Riccardo Riccardi che, il 6 novembre 2019, aveva puntualizzato come la realtà dell’Aas n.3 avesse dinamiche articolate e complesse, ed implicasse scelte «che non si possono basare esclusivamente sul numero di abitanti del territorio ma sulle criticità che esso presenta». (http://www.regione.fvg.it/rafvg/comunicati/comunicato.act?dir=/rafvg/cms/RAFVG/notiziedallagiunta/&nm=20181106103117001).

Pensava forse che le criticità territoriali si sarebbero potute risolvere, tagliando la stessa Aas3?  E chiedendomi ancora una volta che sarà di noi, montanari, dopo la confluenza ad Udine della nostra azienda, che potremmo vivere, psicologicamente, come una privazione, un lutto, un lungo lutto, chiudo questo mio articolo. Senza voler offendere alcuno, scusandomi subito con chi potesse sentirsi magari offeso, senza mia intenzione, ma per dare uno spunto per discutere, e se erro correggetemi.

Laura Matelda Puppini

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/AAS3-bigName_LI.jpg?fit=1024%2C725&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/AAS3-bigName_LI.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniECONOMIA, SERVIZI, SANITÀTalvolta leggo ‘Le monde diplomatique’ un periodico davvero interessante, la cui edizione italiana è curata da ‘Il Manifesto’. Sul numero dell’aprile 2017 compare un illuminante articolo sulla sanità francese, intitolato: “La copertura sanitaria universale messa in discussione', a firma di Martine Bulard. Sotto il titolo si può leggere: «Il...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI