Scrive Stefano Bartolini del Dipartimento di Economia Politica e Statistica dell’Università di Siena nel suo: Sanità malata. Diagnosi e terapie,in: www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1871779.pdf, che condizioni di vita e relazionali non buone creano malattia ed incidono sul ssn, il che mi pare ovvio. Peccato che Poletti e Renzi, il governo che fu e che è, con Madia, Boschi, Lorenzin ed altri, pare non siano della stessa opinione, come Telesca e c., perché sembra che per loro la malattia non abbia cause sociali ed ambientali, ma sia imputabile al solo soggetto ed ai suoi stili di vita.

Magari si sono dimenticati o non hanno mai capito che il precariato è ansiogeno, che lavorare all’ Ilva di Taranto come il viverci nei paraggi ha provocato tumori, che respirare gas da combustibili naturali ha esiti cancerogeni sulla salute, con varianti verso l’asma ed altre forme allergiche e via dicendo. E sorridendo e mostrandoci la loro sicurezza dall’alto del loro benessere, dato dal fatto di essere tra chi in Italia tutto può, ci riempiono ora di cosa si deve fare, senza sapere le nostre reali condizioni di vita. Sono talmente stanca di processi di colpevolizzazione del singolo perché non fa quello che i nuovi condottieri, per non dire duci che è la stessa cosa, dicono si debba fare dall’olimpo degli Dei ove vivono, che ritengo potrei abbandonare la sala al prossimo convegno od incontro in cui uno pontifica su “Dovete fare così o colà”, o predica che si deve essere tutti contenti e saltellanti, quando le condizioni di vita sono scadute vertiginosamente. Ma cosa volete che sia … E se erro correggetemi.

Ma preciso subito che non mi sto riferendo ai vaccini, perché quelli che servono davvero si devono fare e far fare, indipendentemente da proclami degli Usa, non si sa su che dati, che paiono nuovamente ingerenze, quasi che senza di loro non si sappia fare nulla, neppure due conti in casa propria. Ma guardate come viene trattato il caso vaccinazione morbillo qui in Friuli: a livello scandalistico- emotivo. My God! Inchieste interne dell’ordine dei medici sono sulla bocca di tutti, vi sono rimpalli di responsabilità senza che alcuno sia mai finito davanti ad un giudice, pare che se tutti si vaccinano per il morbillo, anche quelli che la malattia l’hanno già avuta, non servirà null’altro e la salute sarà assicurata. Perchè in questo approccio una cosa si sono dimenticati coloro che reggono la sanità locale: che chi ha avuto il morbillo non deve vaccinarsi. Inoltre chi va in viaggio in alcuni paesi, è preferibile magari sia meno ossessionato dal vaccino per il morbillo e ne faccia qualcun altro obbligatoriamente, ed esegua le profilassi previste e consigliate, prima di riempire di malaria e affini il reparto di malattie infettive di Udine.

Inoltre sarebbe magari consigliabile, sui vaccini, una corretta informazione ai genitori ed alle persone, dati alla mano,  insieme all’obbligatorietà di alcuni di essi come credo già sia, ma pare che rivolgersi gentilmente ed in modo informato e preciso ai già angosciati dalla vita, come sono ormai quasi tutti gli italiani,  sia peccato mortale, come perdere un po’ di tempo per ascoltare le loro perplessità e magari confutarle. Uno dei problemi però è che spesso, attualmente, il metodo scientifico, la statistica seria e non arraffazzonata, assieme al dialogo costruttivo sono finiti in cantina. E se erro correggetemi.

Insomma non mi sembra invero quello letto sui quotidiani locali il modo di trattare la questione dei vaccini. Inoltre qui pare quasi che il problema della vaccinazione per il morbillo, che non è la panacea di ogni male come appare dall’infuriare della polemica, sia alla fine una guerra personale fra una pediatra ed un dirigente medico, di cui si poteva evitare la diffusione dei nomi. Per fortuna che Stefano Bartolini, nel suo studio già citato, di cui non condivido tutto il contenuto ma alcuni concetti, ritorna a problemi fondamentali scrivendo che la prevenzione sanitaria «dovrebbe svolgersi principalmente fuori dai sistemi sanitari, attraverso politiche mirate a migliorare il benessere e la qualità delle relazioni sociali nelle città, nella scuola, nel lavoro e attraverso i media. Tali politiche costituiscono la prospettiva più concreta di cui disponiamo per migliorare la salute e ridurre la domanda di sanità». (Ivi, p. 1). Beh, mi pare che qualche ragione ce l’abbia, e sottolineo come egli dica “principalmente” al di fuori dei sistemi sanitari, non “totalmente”.  Ma se l’ambiente è inquinato, l’acqua ammorbata e magari carente, che salute possiamo avere?

E le scelte politiche non vanno nel senso di porre attenzione ai contesti sia territoriali che sociali. Per quanto riguarda le condizioni ambientali di vita, tutti sanno che il trasporto su ferrovia inquina meno del trasporto su gomma, evita l’alto tasso di incidenti stradali e fa risparmiare suolo, ma si favorisce quello su tir e ruota, fino a petrolio finito, alterando madre terra per succhiarne le ultime gocce, portandola verso la fine, togliendo suolo per inutili e costosissime terze corsie ed altre opere faraoniche, e si cavalca la via del trarre combustibile dall’olio di palma la cui produzione intacca il polmone del pianeta, e via dicendo, senza pensare che quando gli equilibri naturali sono rotti, non ci si salva più. Vedi già il mutare delle stagioni. Ma intanto, in Italia, ci si occupa dei renziani o meno alle primarie Pd, che a me non interessa per nulla, come a tantissimi altri.

Inoltre Stefano Bartolini punta il dito sul mercato che ruota intorno alla salute, osservando che: «Anche l’offerta genera pressioni per un aumento della spesa sanitaria. Il problema più grosso è che negli ultimi decenni si è affermata la tendenza della industria farmaceutica – di concerto con molti altri operatori del settore – a manipolare la ricerca e l’informazione medica per aumentare la domanda di sanità. (…).  La medicalizzazione di ogni disagio, la sopravvalutazione dei benefici dei trattamenti o della prevenzione, la sottovalutazione o la totale rimozione dei loro rischi, la sopravvalutazione delle minacce di malattia, sono divenuti un motore della crescita del settore. Il motivo di questa deriva è l’eccessiva dose di meccanismi di mercato su cui è basato il settore sanitario.». (Ivi, pp.4-5).

Confesso che, da anziana signora quale sono, più volte mi sono domandata, tanto per fare un esempio, a cosa servano le mille creme di vario genere da mettere in vagina per togliere odori sgradevoli. Quali? L’urina può avere odore, ma non la vagina. Se una donna ha secreto vaginale maleodorante, credo sia opportuno che si rechi di corsa da un ginecologo.
Inoltre la panacea per ogni male, l’elisir di lunga vita, non esiste, come a mio avviso non esistono sani stili di vita omologati per tutti e codificati in norme di comportamento da universalmente seguire, tranne il non drogarsi, il non bere eccessivamente, il non fumare, e poche altre, già definite, che per molti, però, sono difficili da attuare in situazioni di forte difficoltà di vita, con presenza di contrappesi all’insoddisfazione esistenziale nichilistici come la movida. Ma se questi soggetti trovassero altre forme di realizzazione personale individuale, forse eviterebbero situazioni difficili e di “sballo”.

Inoltre scrive sempre Bartolini, la qualità delle relazioni medico-paziente (fiducia, empatia) è importantissima per l’efficacia terapeutica ma il sistema tende a sottoinvestire nella formazione relazionale dei medici e nella ricerca sulla relazione medico paziente. (Ivi, p. 17).
«La relazione medico – paziente è cruciale in medicina perché il personale medico interagisce con i pazienti quando sono più vulnerabili. (…). La qualità relazionale ha speciale importanza nel caso di malattie gravi o addirittura incurabili, in cui il medico ha a che fare con pazienti impauriti, depressi e angosciati, e per questo fortemente sensibili al clima relazionale che li circonda. L’aspetto relazionale è invece del tutto assente nella formazione dei medici, che sono istruiti ad avere a che fare con malattie e non con malati» (Ivi, p. 16).

Ed alla luce di queste considerazioni, due righe si dovrebbero davvero spendere sulla diffusa incomunicabilità medico/paziente, mancando anche tempi e modi adeguati per il suo svolgersi, e sulla fissità del tutto scritto e subito, anche in situazioni non caratterizzate da emergenza/urgenza, che è altra cosa. Così per una fretta diagnostica, che impedisce adeguati tempi di valutazione, o per l’avvicendarsi del personale medico, un paziente potrebbe finire in una sequela di problemi da cui sarebbe poi per lui difficile uscire, pure per mancanza di capacità di ristrutturazione funzionale situazionale e per presenza di fissità percettiva sia propria che altrui. Inoltre, in alcuni casi, come fa un medico a curare se non sa chi ha di fronte? E come fa un soggetto a ruotare fra medici ed ambienti sconosciuti, sapendo di essere non una persona ma una patologia? Forse aveva ragione Gerolamo Sirchia, quando parlava di indifferenza in sanità?  (Francesco Dal Mas, Sirchia: nuovo imbarbarimento, in: La Vita Cattolica, 27 aprile 2002, fonte ripresa anche in: Laura Matelda Puppini, «Ghe pensi mi» No grazie. Sui problemi etici della sanità, sulla sua politicizzazione, sul laboratorio analisi tolmezzino, in: www.nonsolocarnia.info). Inoltre il medico non dovrebbe viversi solo come un dispensatore di pillole e di cure, come magari la nuova politica dei protocolli curativi ed il mercato ora esigono da lui, ma dovrebbe veramente riprendere la sua funzione di diagnostico in primo luogo, che contempla poi la funzione di curante. Inoltre per questo suo ruolo dovrebbe anche soppesare, nelle cure, il beneficio rischio delle stesse, parlandone con il paziente, senza interferenze. Infine i medici di base non tengono scheda alcuna relativa al paziente, da che io sappia, e non si sa come possano ricordarsi 1300 casi a memoria.

Ed anche Cittadinanzattiva, nel suo rapporto : Malattie rare e cronicità. Diagnosi tardive e costi insostenibili, sottolinea la difficile comunicazione medico- paziente come elemento da valutare per il malato cronico. «La propria patologia non è l’unica cosa con cui dovrà fare i conti, tutta la vita, un malato cronico. Dovrà imparare a sopportare le attese. Si attendono anni per una diagnosi, mesi per una visita. E nonostante questo continuo aspettare, quando arriva il proprio turno molti pazienti hanno l’impressione che il tempo dedicatogli sia troppo poco. Forse non è solo un’impressione. Quasi 8 persone su 10, infatti, nel rapporto con il medico, sentono di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto». (Malattie rare e cronicità. Diagnosi tardive e costi insostenibili. Il Rapporto di Cittadinanzattiva, in: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/).
Ed ancora: «I tempi per ottenere una diagnosi si allungano, a discapito di quelli dedicati al rapporto medico-paziente. I costi sono insostenibili e la burocrazia finisce per frantumare i diritti più elementari». (Ivi). Ma la burocrazia in sanità, o meglio l’iperburocratizzazione del sistema sanitario nazionale italiano, meriterebbe un articolo a parte. Inoltre poco meno della metà dei pazienti cronici presi come campione, lamentano, da parte dei medici,  “sottovalutazione dei sintomi”, “scarsa reperibilità”, “scarsa empatia”. (Ivi).

Ulteriori problemi poi, derivano dal fatto che i mezzi di informazione di massa ed i social network, non più i medici di fiducia e che conoscono i loro pazienti, “parlano” alle persone di patologie e di cure, di problemi con le cure, ecc. non sempre in modo informato, ma pure in modo controllato dal mercato ed a fini propagandistici, ed in questa comunicazione “liquida” si rischia di non capire più nulla e di spendere di più. E si rischia la sanitarizzazione, l’angoscia perenne relativamente al proprio stato di salute e la perdita della percezione di quando si è realmente ammalati, scambiando, confondendo, ma confondere e scambiare potrebbe accadere anche ai medici, in particolare se superspecialisti in un settore, in fase diagnostica. Inoltre la salute rischia di diventare un’ossessione, invogliando a spendere. Ma si è visto che una spesa farmacologica alta non implica una migliore qualità della vita. (Stefano Bartolini, op. cit., p. 5). E questi problemi non si risolvono certo definanziando il sistema sanitario, sottolinea Bartolini, come si sta facendo e questo lo aggiungo io, ma migliorando, secondo me, quel rapporto medico paziente che è carente, e l’emergenza/urgenza, oltre che le condizioni di vita.

Ma poi … Guardiamo cosa sta accadendo in Fvg all’emergenza/urgenza, settore vitale per la sanità, con la centrale unica 112 unita al taglio di Pronto Soccorso. Infatti i due aspetti interagiscono fra loro. In Normandia avevano 10 anni fa, (non mi sono recata ivi di recente) tanti piccoli punti di pronto soccorso in territorio vasto, con l’indispensabile per intervenire … Qui invece si sono tagliati quelli periferici, trasformandoli in punti di primo intervento, che non si sa cosa siano e cosa possano fare in concreto, se non inviare ai colleghi dotati di aree di emergenza/ urgenza. Inoltre la politica tratta l’accesso di pazienti al pronto soccorso come se gli stessi vi si recassero per ogni nonnulla o, non avendo altro da fare, per riempire la giornata. A ciò si aggiunga la crisi di medici ed infermieri, il 112 con black out sul 118, la centralizzazione delle chiamate, con ripetizione del motivo di chiamata a doppio operatore, che fa perdere tempo prezioso, le mancate prove per testare il nuovo ssn e la centrale unificata call center, la fretta politica di metter mano a tutto, sconvolgendo ma senza saper ricostruire: e la frittata è fatta. Si poteva lasciare tutto come prima, dico io, tagliando il superfluo, come già evidenziato da Cittadinanzattiva, e si sarebbe speso di meno e si avrebbe avuto un sistema più efficiente del caos attuale, in cui il paziente rischia di esser disincentivato persino all’uso del pronto soccorso, se non altro dall’introduzione del ticket sui codici verdi, ultima ipotesi, che non scrivo come definirei, del Ministero che a questo punto non so perché si chiami della Salute.

Infine Bartolini si sofferma sulla “medicalizzazione della salute” (Ivi, p. 5), sulla modifica dei contesti urbani di vita, che limitano gli incontri e la vita sociale, sul lavoro non motivante, come cause di perdita di benessere. Inoltre la pubblicità, entrata a forza nella sanità, non aiuta, come la competitività aziendale. La sanità non può essere organizzata ed erogata da aziende piene di direttori, amministrativi e burocrati, dico io, non può reggersi come un sistema produttivo aziendale. Ed a me pare che i politici si siano lasciati prendere un po’ troppo la mano dalla voglia di rottamare l’esistente … in sanità. Inoltre la povertà di milioni italiani non aiuta a far star bene una fetta di popolazione non esigua, e così  la possibile incapacità a pagare le sempre più onerose bollette per servizi essenziali privatizzati e fuori controllo. Uscimmo dalla crisi della seconda guerra mondiale anche perchè il costo dei servizi e dei generi di prima necessità vennero calmierati.

 Altri problemi sono dovuti alla mancata risposta individuale positiva alla cura (Ivi, p. 17), variabile presente in alcuni casi, alla carenza di personale medico ed infermieristico, che comporta un numero troppo alto di pazienti ospedalizzati da seguire pro- capite, la marginalizzazione, forse, nella fase di formazione, del discorso etico che deve venir rinforzato. Inoltre, vista la possibilità di scandali con al centro medici nell’esercizio della loro professione, peraltro già visti, e di benefit da parte di società farmaceutiche a laureati in medicina (Ivi, pp. 21-22), sarebbe opportuno che l’ordine dei medici, secondo me, senza tanta propaganda a mezzo stampa, si dotasse di dei metodi per la valutazione e la vigilanza sull’operato dei suoi iscritti, e adottasse pure delle forme di punizione di chi scredita o ha screditato la categoria. Bartolini non crede in questa possibilità, io sì.

Ma i problemi di base sono tutti politici: quello di aver fatto della tutela della salute e della cura della malattia un oggetto di marketing, quello di aver creato meccanismi di mercato nel Ssn (Ivi, p. 35), quello di avere compromesso i contesti naturali di vita e di tutela del corpo e della mente. Ma lo chiamano agire in base alla logica di mercato. E per riflettere su quanto sta accadendo in sanità, basta visionare l’articolo: “Marketing sanitario: 10 tecniche indispensabili per battere la concorrenza nel settore medico-sanitario e promuovere la tua attività”, che ha come finalità: “Batti la concorrenza, acquisisci visibilità, migliora la tua immagine, fatti conoscere” (http://www.umanastudio.com/marketing-sanitario-10-tecniche-indispensabili-per-battere-la-concorrenza-nel-settore-medico-sanitario-e-promuovere-la-tua-attivita/). E a questo punto si resta senza parole.

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Laura Matelda Puppini

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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