Cittadine e cittadini della Carnia, Familiari delle vittime, Partigiani, Sindaci di Paluzza, di Sutrio, di Cercivento, di Arta, di Zuglio, di Treppo Carnico, di Socchieve, Assessore di Tolmezzo e di Ampezzo, Consigliere di Cavazzo Carnico, Autorità civili e militari,

È un onore per me essere qui con voi, da rappresentante di questa terra, per ricordare e rendere omaggio a chi, settantuno anni fa, è caduto sotto la violenza inumana delle stragi nazi-fasciste.
In quei giorni del luglio 1944, in queste terre meravigliose, si manifestò la furia distruttrice di un esercito occupante, ormai prossimo alla fine, ma più che mai pronto ad azioni sempre più disumane e atroci.
Erano terre di partigiani, queste. Ma quello che stupisce leggendo le storie delle stragi è come la furia sanguinaria dei nazifascisti si sia rivolta indistintamente sia verso chi era partigiano – o chi era semplicemente sospettato di esserlo – sia verso qualsiasi inerme civile.

L’inebriamento accecante di una ideologia sanguinaria e razzista, portarono ad episodi di ingiustificata repressione e di vergognosa crudeltà.
Uomini, donne, ragazzi, anziani furono tragicamente seviziati e uccisi senza pietà.
Vittime civili cui la vita fu tolta senza ragione, senza umanità, distruggendo ogni senso di pietà.

Rastrellamenti, violenze sessuali, torture, famiglie sterminate.
Nessun rispetto per la vita e la dignità umana.
A quelle persone uccise dobbiamo la nostra riconoscenza e per loro dobbiamo recuperare e restituire a tutta l’umanità, il rispetto, la dignità che furono – e sono – sconosciuti alle dittature.

È il senso della memoria.
Celebrare la memoria significa riscoprire chi siamo, preservare le radici comuni, ricordare i drammi collettivi. Per poter essere migliori e per evitare nuove barbarie.

Ricordiamo oggi chi è morto 71 anni fa, assassinato dalla violenza del regime fascista e dell’occupazione nazista.
Ricordiamo anche, e abbracciamo con affetto, chi è sopravvissuto, chi ha portato per tutti questi anni il fardello di tanto dolore, conservando il lutto, la ferita di tanta violenza lungo le esperienze della vita.
Ricordiamo anche chi ha combattuto per restituire all’Italia la dignità, la libertà e la democrazia, le donne e gli uomini che decisero di opporsi al regime dittatoriale e all’occupazione straniera, che scelsero di essere partigiani e contribuire alla Resistenza.

Dobbiamo a loro quello che siamo noi oggi.

Dall’esperienza dolorosa e tremenda vissuta in questa valle, come dall’esperienza gloriosa della Resistenza, nascono i valori fondativi della nostra Repubblica, quelli che sono scritti nella nostra Costituzione.

Oggi siamo qui a ricordare la memoria di chi ci ha permesso di essere liberi, di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita nell’eccidio della Valle del Bût consumatosi tra il 21 e il 22 luglio del 1944.
Quarantotto terribili ore di violenza e feroce barbarie che causarono 52 vittime.
Per la maggior parte civili inermi: ragazzi e ragazze, giovani, donne (una incinta), uomini, anziani, che caddero barbaramente uccisi, molti dopo atroci torture e umilianti sevizie, ad opera di bande di SS tedesche e fasciste repubblichine.

Il 21 luglio una banda di fascisti e nazisti, travestiti da partigiani garibaldini, dopo essere giunti nella malga di passo Promosio, aver chiesto cibo ed ospitalità, dopo essere stati ben accolti, hanno violentemente trucidato tutti i civili presenti: casari, pastori e le loro famiglie.

Verrei ricordare qui i loro nomi:
Aldo Maieron di 14 anni, Silvio Puntel di 16, Giovanni Mentil di 16, Vincenzo Matiz di 17, Carlo Mentil di 17, Lidia Maier di 30, Romeo Englaro di 33, Giobatta Zannier di 34, Olinto Del Bon di 39, Alessio Quaglia di 45, Andrea Brunetti di 50, Adele Tassotti di 55, Guerrino Vanino di 55, Giacomo Mentil di 58, Nicolò Unfer di 59, Cesare Zannier di 66.

Un pensiero speciale, da donna a donna, verso Massima delli Zotti di 53 anni e Paolina Tassotti di 45, che dopo aver cercato di nascondersi nel bosco, furono ferocemente violentate prima di venire massacrate.

Il ruolo delle donne nella Resistenza ai nazifascisti è spesso poco visibile. In una storia, raccontata quasi solo al maschile, le donne hanno avuto un ruolo decisivo: sia di quelle impegnate nell’antifascismo militante sia di quelle che diedero sostegno al contrasto al regime con atteggiamenti di opposizione passiva.

Ma l’orda sanguinaria nazista non si è fermata è scesa a valle seviziando ed uccidendo tutte le persone che incontravano come i due boscaioli: Oreste Pagavino di 39 anni e Benvenuto Primus di 50, orrendamente sfigurati prima di venire sgozzati in località Frate.
Più avanti, a Cercivento, furono uccisi Mosè Straulino di 29 anni, Mario De Reggi di 46 e Enrico Nodale di 47.

Il giorno dopo, il 22 luglio, sul ponte di Sutrio, dove siamo appena stati per deporre la corona, e qui a Paluzza, con altri 200 nazifascisti venuti da Tolmezzo, vengono radunati e uccisi altri civili.
La prima vittima del 22 luglio fu Gino Miss di 23 anni e poi, presso il bivio al ponte di Sutrio, furono trucidati Albino Cicutti di 19 anni, Giovanni De Reggi di 26, Rino Dorotea di 32, Gelindo Moro di 23, Enrico Selenati di 31.
Altri cittadini furono presi ostaggio dalle SS, picchiati selvaggiamente e poi incolonnati, molti irriconoscibili per il viso tumefatto dalle percosse e assassinati uno a uno, in una lunga scia di sangue, lungo la strada verso Arta: Ernesto Englaro di 44 anni, Osvaldo Del Bon di 32, Costanzo Lazzara, Giovanni Gressani, il barbiere, di 32 anni, Adamo Pittino di 45, e ancora, in località “Aghevive”, viene assassinato Toni di Lesci e, mentre era al pascolo, Luigi da Rose. Desidero nominarli tutti perché la memoria di ognuno di loro resti impressa nei nostri cuori e venga trasmessa di generazione in generazione perché non accada mai più.

Ma non possiamo dimenticare le numerose deportazioni, quanti non lo sapremo mai perché alcuni non hanno mai fatto ritorno dopo essere stati prelevati e purtroppo la mancanza di una precisa descrizione del loro numero esatto non ci permette di ricordarli uno ad uno.
Dal giugno all’ottobre del 1944, in Friuli, si assiste ad una vera e propria escalation della violenza nei confronti della popolazione italiana e le stragi, come quella della valle del Bût, ne sono una tragica conferma.

Da una repressione di fatti occasionali e isolati si passa ad una concreta offensiva pianificata sul territorio che ha comportato in poco tempo il superamento di ogni distinzione, nella repressione anti partigiana, tra civili e resistenti.
L’avversario è la popolazione: le rappresaglie sui civili, l’incendio di villaggi, l’arresto di massa, l’avvio alla deportazione diventano pratiche sempre più diffuse.
I Nazisti e i repubblichini praticarono una vera e propria “guerra ai civili”, una sistematica politica di saccheggio, uccisioni e terrore, pianificata per punire e terrorizzare la popolazione civile e privare così la Resistenza armata dell’humus in cui svilupparsi e rafforzarsi.

I massacri dei civili non vanno più letti come rappresaglie in corrispondenza di fatti precisi, ma come azioni di una guerra preventiva condotta esplicitamente contri i civili.
E’ del 17 giugno del 1944 l’ordine del feldmaresciallo Kesserling, cito testualmente: ”La lotta contro le bande deve essere condotta perciò con tutti i mezzi a disposizione e con la massima asprezza. Io coprirò ogni comandante che nella scelta ed asprezza del mezzo vada oltre la misura a noi di solito riservata”.

Per comprendere cosa ha significato la Resistenza dei patrioti italiani in Carnia ed in Friuli e la particolare violenza con cui fu trattata la popolazione italiana e lo spirito vendicativo che ispirò la condotta dei tedeschi e dei repubblichini bisogna tenere presente che dal 10 settembre del 1943 queste terre diventano in tutto e per tutto Operazionszone Adriatishes Kustenland; vengono cioè sottratte alla sovranità italiana e diventano nei fatti territorio tedesco tanto che il Gauleiter della Carinzia, Friedrich Rainer, assume poteri assoluti su tutti i campi della vita politica, sociale, economica e della giustizia.
Nel febbraio del 1944 il generale Kubler, comandante della Wehrmacht nel Litorale Adriatico, ordina ai suoi uomini la massima durezza nella repressione anche contro i civili che appoggiano il movimento partigiano, assicurando la propria personale copertura per ogni misura attuata in tal senso.
In seguito a queste disposizioni anche in Friuli si abbattono sulla popolazione civile violenze, eccidi e rappresaglie: uno stillicidio di episodi di brutalità, di agghiacciante ferocia, di stragi, di rastrellamenti, di deportazioni.

Ma nonostante le stragi, come quella della valle del Bût, le fasi successive della Lotta Partigiana, invece di indebolirsi portarono di lì a qualche mese, proprio in queste terre, a quell’esperienza straordinaria che fu la Repubblica Partigiana della Zona Libera della Carnia.

Nell’estate del 1944 il movimento resistenziale friulano ha un’espansione notevole. Fra i mesi di luglio e di agosto le formazioni partigiane eliminano decine di presidi nemici sia sui monti della Slavia friulana che su quelli della Carnia, delle Prealpi Carniche e della Val Cellina, liberando il territorio di decine di comuni.
Alla fine di luglio la Carnia e le tre Valli del Friuli occidentale furono interamente liberate. Questo territorio, con un’estensione di 2.580 kmq. ed una popolazione residente di circa 90.000 persone, costituisce la Zona Libera più ampia fra quelle che si formarono in Italia.
I Comuni interamente liberati sono 38, solo 7 quelli liberati parzialmente. Nel periodo della massima espansione fanno parte del territorio liberato anche Lorenzago e Sappada, in provincia di Belluno.

La Zona libera in questo modo si trasforma con orgoglio in Repubblica partigiana.

Anche se di breve durata – dal 26 settembre al di 10 ottobre – l’esperienza del Governo della Zona Libera è di grande significato per l’intensa azione di riorganizzazione civile che riesce a promuovere. Vengono affrontate questioni importanti e vengono deliberati importanti provvedimenti riguardanti la scuola, i viveri, la riforma tributaria, la giustizia, rimasti unici in tutto il complesso delle repubbliche partigiane italiane.
La Repubblica Partigiana della Carnia fu la prima a dare il voto alle donne, fu repubblica quando ancora l’Italia era un regno, curò la ripresa dell’anno scolastico con una revisione dei contenuti fascisti dei libri di testo, deliberò in materia fiscale istituendo una sola tassa progressiva sul reddito, rifondò il sistema giudiziario prevedendo l’abolizione della pena di morte, introdusse misure di solidarietà e tutela dell’ambiente e del patrimonio comune boschivo e dell’acqua, varò misure in difesa dei lavoratori.
Solo l’inizio del grande rastrellamento, l’8 ottobre 1944, metterà fine alla Zona libera della Carnia e del Friuli, e impedirà la prosecuzione di questa esperienza di democrazia diretta: una vera esperienza civile e non militare, autentica anticipatrice della nostra Costituzione repubblicana. Oserei dire, ancora unica, a 70 anni dalla sua formazione.

Grazie al coraggio e alla determinazione delle partigiane e dei partigiani, al sangue innocente versato anche in questa valle abbiamo ritrovato la libertà e abbiamo iniziato a ritrovarci italiani.

Come ha scritto Pietro Calamandrei:
“dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione.”
Chiunque sia morto colpito dagli aggressori della democrazia e della libertà deve restare nei nostri cuori e nella nostra memoria.

E la storia, quella che per tanti è ancora una storia vissuta sulla propria pelle, deve essere di insegnamento ai più giovani, perché sappiano che la democrazia di oggi è frutto di lotte, sofferenze e vittime innocenti, e perché imparino ad usare l’insegnamento della storia per tenere sempre viva la trama della libertà, che purtroppo trova sempre nuovi avversari insidiosi.

L’oppressione del regime fascista e dell’occupante nazista, il peso della guerra, l’aspirazione alla libertà, la riscoperta di un barlume di quella speranza dimenticata per troppi anni, diedero a donne e uomini il coraggio di unirsi in un’unica forza per liberare il nostro Paese.
La Resistenza è la nostra esperienza di fondazione e formazione ed insieme è stata l’esperienza di crescita personale decisiva per tante italiane e per tanti italiani.
Che fossero cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, anarchici, monarchici tutti si battevano per un orizzonte comune: l’Italia libera.

La Resistenza ha restituito agli italiani il senso pieno, positivo, partecipato di essere un solo paese, una sola comunità.
Oggi dobbiamo saper imitare il coraggio di chi, estenuato da oppressione e violenza, scelse di lottare per un’ideale, credette alla possibilità di migliorare le cose, si trovò parte di una comunità che stava rinascendo.
Io sento questa responsabilità: come donna, come cittadina, come rappresentante delle Istituzioni.
Una responsabilità che deve accompagnarsi al momento del ricordo e della celebrazione e deve orientarci anche nelle sfide di oggi.

Dobbiamo ritrovare la forza, il coraggio, la lucidità per reagire. Per ricostruire le infrastrutture etiche e di uguaglianza nel Paese, in modo da poter sconfiggere la rabbia e la delusione di tante cittadine e tanti cittadini.
Per restituire giustizia e diritti. Per ritrovare fiducia.
Dobbiamo agire per i tempi che abbiamo immediatamente di fronte e, anche, per un cambiamento più profondo.
Agire sulla cultura del paese, per cambiare i valori, le abitudini, i modi di stare insieme.

Noi, che apparteniamo a generazioni nate dopo gli eventi che oggi celebriamo, abbiamo un dovere nei confronti di chi, tanti anni fa, a costo di estremi sacrifici, ci ha fatto il dono della libertà.
Ed è il dovere non soltanto di ricordare, ma di fare in modo che quelle speranze non vengano deluse, che quelle conquiste non vengano compromesse.
La democrazia non è un regalo che si ottiene una volta per tutte. Sappiamo, e ce lo dice l’esperienza di questi settant’anni dal 25 aprile 1945, che viene continuamente minacciata e messa in discussione.

Oggi sono, ad esempio, anche le conseguenze sociali della crisi economica a rappresentare una minaccia per la tenuta dei valori e dei diritti che i Padri costituenti hanno posto a fondamento della nostra Costituzione.
Per essere solido un sistema democratico deve saper dare risposte alle sofferenze della popolazione e questo significa, nell’Italia di oggi, dare lavoro ai giovani, aiutare i pensionati, sostenere gli artigiani e i piccoli imprenditori piegati dalla crisi.
Significa, in poche parole, come ci invita a fare l’articolo 3 della Costituzione, ridurre le diseguaglianze e rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione della persona.

Oggi è importante ricordare, celebrare le vittime, coinvolgere in questi momenti anche i più giovani, per agire anche sulla formazione e sulla scuola.
Sapendo coniugare speranza, risultati concreti e prospettive credibili.
Sapendo unire la passione e il coraggio di donne e uomini che devono ritrovare forza dalla storia comune e tornare a condividere un orizzonte positivo per cui battersi, nel nome degli stessi valori – libertà e democrazia – per cui caddero le vittime innocenti di 71 anni fa.

Permettetemi un pensiero a Vincenti e Rapotez: testimoni costanti della memoria partigiana e della resistenza antifascista.
Possano camminare da oggi, forti sulle nostre gambe.
Vivano per sempre nella nostra memoria le vittime delle stragi del 21 e 22 luglio 1944 nella valle del Bût !

Viva la Resistenza !
Viva la Costituzione !
Viva la Carnia Libera!
Viva la Repubblica Italiana !
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     On. Serena Pellegrino

Serena Pellegrino è nata a Lecce l’11 novembre 1966. È laureata in architettura, specializzata in bioarchitettura e soluzioni per il risparmio energetico in edilizia, ed è stata eletta in Parlamento con S.E.L. nella circoscrizione del F.V.G, nel 2013.  È vice- presidente dell’VIIIa  commissione: ambiente, territorio, lavori pubblici, da luglio 2015. Laura Matelda Puppini

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