Avevano già visto le criticità relative alla riforma del servizio sanitario regionale, che ora lentamente si palesano,  i medici dell’ ANAAO – AssoMed, che lavorano sul territorio e che si scontrano ogni giorno con i problemi quotidiani, ed avevano steso, nel poco tempo dato loro per farlo, una serie di rilievi che riporto qui, per la loro importanza, anche in relazione alle affermazioni della dott. avv. Debora Serracchiani, pubblicate oggi Ferragosto 2016, sul Messaggero Veneto, che sono ancora relative a parole, a sogni e non chiariscono fattibilità concreta e spese, come nel caso di questa riforma che vede, a mio avviso, un sommarsi di errori metodologici di approccio, e carenza di analisi. Che manchino medici è ormai sotto gli occhi di tutti,  come il fatto che questa riforma non regge. Il testo che propongo, si intitola: “Osservazioni DDL 59 Approvate il 28 agosto 2014 dal Consiglio Regionale Friuli Venezia Giulia dell’ANAAO AssoMeD”, (http://www.anaao-assomed.fvg.it/anaao/attachments/article/55/) ed è firmato dalla segretaria dell’associazione Laura Stabile, e sono venuta a conoscenza del testo integrale da pochi giorni, dopo aver scritto l’ultimo mio sulla sanità, altrimenti ve lo avrei proposto prima.

Avevano certamente i medici di ANAAO – AssoMed fatto presente le loro perplessità alla Regione ed all’Assessore Regionale incarico esterno dott. Maria Sandra Telesca, che, dal canto suo, aveva, il 13 luglio 2014 precisato, a Gorizia, che la Regione (ammesso che non usi il Noi Maiestatis) non cercava il facile consenso, ma intendeva compiere scelte necessarie a beneficio, innanzitutto dei cittadini, ma anche degli stessi operatori della sanità del Fvg. In quel frangente, secondo l’articolista, l’assessore Telesca appariva «Determinata […]  ad andare avanti sulla strada ormai tracciata della riforma su cui “la giunta è concorde”». (Elena Del Giudice, Telesca: le proteste non fermeranno la riforma sanitaria, in Messaggero Veneto, 13 luglio 2014). In sintesi par di capire, non avrebbe ascoltato critica od osservazione alcuna, in materia così delicata. Mi pare giunto il momento dell’ascolto.

Ma cosa hanno detto i medici che aderiscono ad ANAAO – AssoMed?

«Il ddl 59, pur enunciando un principio del tutto condivisibile, quello di potenziare l’attività dell’assistenza territoriale, in modo da riservare il ricovero ospedaliero ai soli casi realmente acuti che lo necessitano, non definisce azioni idonee a portare a questo risultato: da un lato l’assistenza ospedaliera viene ridotta qualitativamente (vi sono riduzioni delle funzioni degli ospedali e nessun potenziamento) e quantitativamente, con tagli pressoché lineari di posti letto in tutti gli ospedali, dall’altro si prevede una moltiplicazione di servizi territoriali, molti attivi sulle 24 ore, senza che vi sia il minimo accenno a una valutazione dei costi di un sistema di questo tipo, che sembrerebbero assai difficilmente sostenibili, e senza che siano individuate azioni di tipo culturale e organizzativo atte a sostenere un cambiamento che si vorrebbe epocale.

Si delineano per la sanità regionale tagli certi e potenziamenti del tutto incerti: il rischio sarebbe quello di ridurre drasticamente la buona assistenza ospedaliera che attualmente caratterizza la nostra regione, senza che il territorio sia pronto a far fronte ai suoi nuovi compiti, creando quindi un vuoto di assistenza, destinato verosimilmente a perdurare per tempi non brevi, data anche la forte riduzione del finanziamento del Ssr in Friuli Venezia Giulia. Non bisogna dimenticare, infatti, che questo è già stato ridotto di quasi 200 milioni di euro, e che è probabile che alla fine del 2014 molte aziende sanitarie e ospedaliere regionali non saranno in grado di arrivare al pareggio di bilancio. A questo proposito, nel documento regionale si insiste sul fatto che i tagli al finanziamento non sarebbero lineari, perché basati sui costi standard: tali riduzioni appaiono invece ancora lineari perché non basate sulla programmazione e la riorganizzazione delle attività del Ssr, ma semplicemente allineando il finanziamento a “chi spende di meno”, come se si potesse paragonare (ad esempio) l’attività degli ospedali di rilievo nazionale a quella dei piccoli presidi rurali.

Rilevante è la forte centralizzazione regionale di molte funzioni nel nuovo Ente per la gestione accentrata del Ssr: l’autonomia dei direttori generali verrebbe fortemente limitata in molti aspetti gestionali, che sono fondamentali per chi ha la responsabilità dei risultati di un’azienda. Questo modello non sembra logico, e non si comprende perché, se la Regione ritiene di dover accentrare la gestione, non abbia deciso invece di istituire un’azienda unica regionale, o di ridurre fortemente il numero delle aziende. Il mantenimento di un numero così elevato di aziende e di ospedali, e la centralizzazione di molte funzioni gestionali richiama alla mente la recente politica regionale, che ha voluto centralizzare le decisioni sui singoli aspetti anche di ordinaria amministrazione, come ad es. la necessità di autorizzazione regionale per ogni singola assunzione, rinunciando di fatto alle scelte realmente strategiche.

Nell’introduzione al ddl si legge che le esperienze organizzative finora attuate, basate sulla distinzione ospedale/territorio “…non hanno favorito la necessaria integrazione, oramai irrinunciabile vista l’esigenza di percorsi assistenziali sempre più complessi in una popolazione con valori piuttosto elevati di malattie croniche….”. Diventa quindi necessario “… rivedere l’intera rete offerta…” e “… l’organizzazione dei servizi socio-sanitari alla persona dovrà essere fortemente integrata tra ospedale e assistenza primaria..” da cui il nuovo assetto regionale con 5 AAS.
Eppure fino a ieri si sono additate come di alto livello alcune esperienze di welfare (ASS 1 e ASS5) riconosciute come sistemi ben impostati, efficaci nella ricerca del bisogno e con spiccata capacità di contrastare il disagio. Ugualmente i documenti programmatori ed i consuntivi annuali dell’attività regionale hanno reiteratamente sottolineato l’apprezzabile livello di integrazione ospedali/servizi territoriali sviluppato da gran parte delle ASS. Il problema parrebbe quindi riguardare soprattutto gli ospedali hub nella loro dimensione di strutture ad alta connotazione specialistico-professionale. Con tali premesse ci si chiede quale tipo di integrazione debba sviluppare il territorio con queste strutture, considerato che essa (integrazione) riguarderebbe in gran parte aspetti tecnico-specialistici. Aspetti da sempre soddisfatti dal buon rapporto esistente fra ospedali hub ed ospedali di rete, i primi e naturali interlocutori del territorio. Ci si chiede quindi la ragione dell’insistenza a coinvolgere forzatamente gli ospedali hub in un rapporto oggettivamente difficile da svilupparsi, laddove sarebbe preferibile lasciare a questi l’autonomia organizzativogestionale consona alla loro specificità, secondo quanto già riconosciuto ad alcuni Centri regionali di alta specializzazione. Un’opzione davvero così indigesta da attuare?

L’intento per una declinazione dell’assistenza territoriale più adeguata e efficace poggia sulla riedizione di principi annunciati da almeno 10/15 anni, la cui pratica attuazione (dei principi) appare carente di documentati e analitici riscontri nel rapporto costo/beneficio. Non si vorrebbe, in un tale contesto, che l’istituzione di reti integrate con l’ospedale, per garantire la massima efficacia dei servizi, divenisse l’ennesimo auspicio più che un obiettivo a portata di mano. In un difficile momento socio-economico, che impone un contenimento della spesa anche per il sistema sanitario e socio-assistenziale, ci si aspettava una maggiore incisività su definiti modelli gestionali, procedure e percorsi condivisi, lo sviluppo di un sistema aggiornato e indipendente di verifiche su esiti e risultati. La selettività con cui è stato esaminato il settore ospedaliero evidenzia che di dati per analizzare le strutture ce ne sono molti, ma, per l’area territoriale, l’analisi organizzativa e gestionale risulta alquanto timida. Eppure il Distretto risulta essere il centro della riforma! Ai fini della trasparenza, informazione ed equità – che la proposta richiama come metodologia del proprio intervento – ci si attenderebbe lo stesso metro per tutti, a convalida della correttezza e ragionevolezza delle scelte intraprese.

Sussiste palese contraddizione fra il giudizio di un eccesso di spesa ospedaliera e l’assegnazione aprioristica di risorse aggiuntive al territorio senza un’analisi su come “funzionano” i numerosi modelli gestionali delle varie articolazioni territoriali. Evidentemente la constatazione, pur contenuta nella proposta di legge, sui ricoveri per patologie croniche subìti dall’Ospedale, nonché l’evidenza di standard di cura ospedalieri regionali, unanimemente riconosciuti come superiori alla media nazionale, non sono risultati sufficienti per un atteggiamento più equilibrato nei confronti di queste strutture. Si discetta sui setting assistenziali ospedalieri, ma cosa e quanto si conosce su quelli di Distretti, DSM, SERT, ecc?

L’integrazione con i servizi sociali comporta spesso per il sistema sanitario l’assunzione di nuove funzioni. E’ un’innovativa risposta al bisogno o si tratta di inappropriatezza organizzativa e assistenziale? Ci si augura che la raccomandazione agli amministratori del sistema per un uso accurato ed efficiente delle risorse e l’invito ad acquisire “… gli esiti del servizio erogato; dei rendimenti delle equipe e dei professionisti che hanno operato; del livello di soddisfazione dei pazienti…” si realizzi con tempestività e trasparenza anche in questi contesti così da porre effettivamente il cittadino/paziente “…al centro del sistema coinvolgendolo nella gestione della salute…”

Strutturare un’adeguata ed efficace accoglienza a valle (cure primarie territoriali in genere) appare una questione di buon senso e pragmatismo e andrebbe realizzata prima e non dopo il riassetto ospedaliero, la struttura che 24h/24 ogni giorno dell’anno supporta la salute dei cittadini. Si comprenderà che richiedere di risparmiare ad alcuni, come nel caso in esame, laddove altri sono beneficiati a prescindere (vedi precedenti osservazioni), appare una modalità originale ma comunque non condivisibile per intervenire sul comune sistema.
Risultano condivisibili politiche sanitarie basate sul binomio autonomia/responsabilità coinvolgenti tutte le professioni sanitarie, purché inserite in programmi di attività realistici e sostenibili, legati ad obiettivi di ottimizzazione delle risorse e qualità del lavoro e non vincolate a obiettivi di solo risparmio e, talvolta, ideologici.

Desta gravi preoccupazioni il fatto che la Regione preveda che l’attività degli ospedali sia gestita in piena autonomia da infermieri e tecnici sanitari per quanto riguarda l’organizzazione di ambulatori e degenze, nonché per la gestione delle tecnologie. La normativa vigente attribuisce invece ai Direttori, medici o dirigenti sanitari, delle strutture ospedaliere la responsabilità della gestione, quindi tale previsione, oltre a creare pericolose incertezze su chi debba rispondere dei risultati dell’attività delle strutture sanitarie, è palesemente illegittima.

Inoltre, più in generale, il ddl prevede la revisione degli ambiti di competenza dei medici e del personale infermieristico e tecnico: è certamente auspicabile lo sviluppo e la valorizzazione delle professioni sanitarie, ma questo non può e non deve essere un pretesto per sostituire l’attività dei medici e dei dirigenti sanitari con quella di personale a più basso costo, in modo da svilire l’attività di entrambi, perché in questa prospettiva, finalizzata principalmente a ridurre i costi, nemmeno la professionalità di infermieri e tecnici sanitari sarebbe valorizzata. Per conseguire tali intendimenti il legislatore non esita a scardinare l’assetto organizzativo degli ospedali, che è attualmente articolato in Dipartimenti (DAI e DA nel caso delle aziende ospedaliero-universitarie), come tassativamente previsto dalla vigente normativa statuale, sostituendolo con la previsione di non meglio dettagliate “aree assistenziali”, la cui gestione è demandata in via esclusiva a figure infermieristiche e tecniche.

Già da tempo, e progressivamente, la sanità privata sta traendo profitto dalle riduzioni nella sanità pubblica. I cospicui tagli al finanziamento, insieme ai disagi che potrebbero derivare da un’assistenza ospedaliera in difficoltà e da un territorio ancora non in grado di far fronte alle necessità, rischierebbero di aprire la strada all’affermazione dell’attività e degli interessi del privato. Solo l’emergenza e le prestazioni più complesse e costose continuerebbero inevitabilmente ad essere effettuate esclusivamente dal pubblico, perché per il privato non sono remunerative, e anche la sanità, che da più di trent’anni in Italia è stata uno dei pilastri fondamentali del welfare, rischierebbe di allinearsi al principio della socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.

Il progetto di riforma, infine, è stato definito dalla Regione senza alcun reale coinvolgimento dei rappresentanti dei medici e dirigenti sanitari del Ssr: nel documento si continua a dichiarare che il progetto si basa sul coinvolgimento di 80 professionisti in dieci gruppi di lavoro, ma la Regione non ha, finora, accolto le nostre richieste di trasparenza, e non ha mai reso noto quali siano e con quali criteri siano stati scelti questi professionisti.
Pur consapevoli degli alti meriti personali e professionali degli 80 prescelti si ritiene che la somma di esperienze sul campo, conoscenze e competenze di cui sono portatori i membri delle associazioni di categoria, potrebbe portare contributi alla qualità e sostenibilità del sistema di altrettanto ed ancora più stimolante valore. Opportunità del tutto possibile se i legislatori applicassero nei confronti di chi il sistema quotidianamente lo fa (medici e professioni sanitarie) ciò che la proposta di legge di cui si discute raccomanda insistentemente agli operatori sanitari: inclusione ed ascolto e non esclusione.

Anche per esigenze di brevità non ci si è soffermati all’esame dettagliato dei dati statistici prodotti nell’introduzione del ddl, ma non si può non evidenziare che si sono rilevati alcuni dati grossolanamente inesatti, da cui la preoccupazione che questa riforma, o parte di essa, parta da dati statistici non conformi alla realtà.

Oltre a queste considerazioni di carattere più generale, nel testo del piano vi sono svariati e numerosi aspetti critici. Si riportano di seguito le osservazioni sui singoli articoli.

Commenti ai singoli articoli

Enti del Servizio sanitario regionale Aziende
Non appare comprensibile la logica con la quale sono stati definiti gli ambiti territoriali delle nuove aziende, in particolare Bassa Friulana-Isontina, e Alto Friuli-Collinare, che uniscono realtà molto diverse che difficilmente potranno essere complementari. È palese l’illegittimità dell’unificazione delle Aziende ospedaliero universitarie con le Aziende territoriali, infatti per ora, pur prospettata, non è prevista, e nulla si dice dell’assetto di queste aziende, dopo l’anno di commissariamento.
I costi della riorganizzazione della Aziende saranno verosimilmente elevati, ed è probabile che il trasferimento di contratti, appalti, assicurazioni, beni mobili ed immobili, rapporti di lavoro, eccetera comporti un ingente sovraccarico di lavoro per gli uffici e probabili disservizi e disagi per lungo periodo (vedi recente riorganizzazione nel Pordenonese).

Ente per la gestione accentrata dei servizi sanitari
Vi sono dei dubbi sul reale vantaggio dell’accentramento di tutte le funzioni previste (es.formazione, logistica del servizio di magazzino) in un nuovo ente. Per quanto riguarda personale, patrimonio tecnologico e logistica, non sembra sempre opportuna una gestione accentrata regionale, dato che per svolgere al meglio queste funzioni potrebbe essere necessaria una conoscenza diretta e approfondita della reale situazione locale.
Inoltre, i Direttori generali, privati del controllo su queste funzioni, si troverebbero a rispondere di risultati gestionali sui quali, almeno per questi aspetti, che sono assai rilevanti, non potrebbero influire. Ancora, questo tipo di organizzazione allontanerebbe sempre più i professionisti delle singole realtà locali dalle decisioni che riguardano direttamente la loro attività (e responsabilità dei risultati!), come l’acquisizione di tecnologie (non più citate nella seconda versione) e soprattutto i programmi di formazione (NB il comma 5 parla di gestione accentrata, e quindi non più in capo alle Aziende, non solo di attività amministrativa).
I Direttori generali sono tenuti a recepire le decisioni del Comitato di Indirizzo (art. 7 comma 9), che si suppone, in caso di disaccordi, siano prese a maggioranza: anche qui i Direttori generali potrebbero trovarsi nelle condizioni di avere la responsabilità dei risultati senza poter decidere le azioni.

Trasferimento dei rapporti di lavoro
Art. 8: il comma 1 non sembra del tutto comprensibile, infatti si parla di rapporti di lavoro e incarichi del Ssr che potrebbero essere “incompatibili” e quindi, sembrerebbe, cessare anche prima dell’approvazione dei nuovi atti aziendali. Non è chiaro a quali situazioni ci si possa riferire, ma se l’estensore del progetto ha sentito la necessità di scrivere questo comma ci sarà stato un motivo, che non risulta chiaramente esplicitato. In ogni caso gli incarichi saranno tutti rivisti dopo la definizione dei nuovi atti aziendali: è solo un’ovvietà (perché le Aziende sarebbero cambiate), o si prevede un futuro di lacrime e sangue per i professionisti?
Il comma 2 parla di mobilità del personale, verosimilmente soprattutto amministrativo: questo personale dovrà lavorare tutto nella sede di Udine o anche presso le sedi attuali (come era stato dichiarato dall’Assessore in una riunione con la Dirigenza SPTA) ma alle dipendenze dell’ente centrale? Anche questa seconda ipotesi, che per alcuni aspetti apparirebbe più rassicurante, creerebbe certamente difficoltà nella collaborazione fra gli uffici amministrativi delle Aziende e i Direttori, che anche qui potrebbero trovarsi a rispondere senza poter decidere.

Ruolo dell’Università

La normativa vigente (D.Lgs. 517/99) prevede che gli ospedali dove è presente l’Università siano autonome “aziende ospedaliero universitarie”, e non presidi ospedalieri delle ASL. Si aprirebbe oltretutto la strada al fatto che l’Università gestisca strutture al di fuori di quelle che sinora sono state le aziende di riferimento, concedendo ulteriori possibilità di ottenere posti apicali a universitari che non sono riusciti a sviluppare la propria carriera in ambito accademico (come attualmente già avviene, ma solo all’interno delle aziende “miste”), affidando sempre più l’assistenza pubblica a un’istituzione che ha altra mission e altri interessi.
Mentre la formazione nel corso di laurea è di pertinenza esclusiva dell’Università, quella specialistica secondo la normativa vigente coinvolge a pieno titolo i professionisti del Ssr: sarebbe il caso di ricordarlo in questo contesto. La formazione continua successiva non è compito dell’Università, e non spetta a questa programmare e gestire tale funzione.

Organizzazione dell’assistenza primaria

Il potenziamento dei servizi territoriali previsto dalla riforma appare un libro dei sogni, prevedendo, ad esempio, la diffusione capillare di centri di assistenza primaria sul territorio (uno ogni 20 – 30 mila abitanti) che garantiscano l’attività assistenziale nell’arco delle ventiquattr’ore sette giorni la settimana, assicurando assistenza medica e specialistica, diagnostica strumentale, prelievi, prenotazioni e servizi amministrativi, assistenza domiciliare. La proposta di riforma non sembra prendere in considerazione i costi ipotizzabili per un progetto del genere, ma il fatto che nella nostra regione dovrebbero esservi da 40 e 60 centri, dei quali 8 – 12 solo nelle provincia di Trieste, tutti dotati di locali, strumentazioni e personale necessari a garantire l’assistenza nelle 24 ore, desta diverse perplessità sulla possibilità che esistano le risorse necessarie a coprirne i costi.

Non potrebbe in ogni caso trattarsi di una mera moltiplicazione di strutture e sportelli: il funzionamento del sistema richiederebbe una forte programmazione, organizzazione e formazione del personale, volte a cambiare mentalità, cultura e competenze, e la messa a regime del sistema richiederebbe sicuramente diversi anni. La riforma non accenna a questi aspetti, e vi è la seria preoccupazione che la nuova medicina territoriale, istituita solo “per decreto” regionale, non sia in grado di evitare come si vorrebbe il ricorso all’ospedale, e che si produca nella sanità pubblica una carenza di assistenza. Il testo su questo argomento appare molto “ideologico” e poco pratico, enunciando principi che non possono che essere condivisi ma, al di là della moltiplicazione delle strutture, non indica alcun aspetto organizzativo atto a perseguire gli obiettivi enunciati.
Lo stesso si può dire della parte che riguarda il DSM; solo per inciso, fra le enunciazioni ideologiche solo qui compare “la promozione dei programmi di valorizzazione degli operatori e lo sviluppo delle competenze professionali”, che evidentemente è stata dimenticata dagli estensori degli altri elenchi di ovvietà (art. 22, comma 3, punto i). La previsione che la sinergia fra DSM e Ospedale sia assicurata dal Distretto suscita diverse perplessità, soprattutto per chi ha esperienza diretta di questo tipo di collaborazione: sembra che si scoraggi una sinergia fra professionisti, introducendo una sorta di burocratizzazione del sistema, per cui la collaborazione fra Ospedale e Servizi psichiatrici dovrebbe necessariamente svolgersi attraverso un “intermediario”. Questo è peraltro contraddetto, almeno in parte, dal comma 4.

La rete dei presidi ospedalieri
Presidi spoke: in sostanza non si riconverte alcun presidio ospedaliero attualmente operante, mantenendo otto ospedali, ma unendoli formalmente a due a due e dichiarando quindi di aver ridotto gli ospedali a quattro, per cui a regime saranno 4 in teoria, ma 8 in realtà. Gli ospedali riconvertiti sembrerebbero essere Gemona, Cividale, Sacile e Maniago, che però già non svolgevano quasi attività di presidio ospedaliero per acuti (bisognerà capire, dato che vi si prevede la presenza di punti di primo intervento anche h24, attività di chirurgia minore, ulteriori attività ambulatoriali specialistiche e diagnostiche rispetto a quelle previste per i Centri di assistenza primaria, quali reali modifiche vi sarebbero rispetto alle attività attuali di questi presidi) .
La riduzione di circa mille posti letto in regione appare essere un taglio del tutto “lineare”, perché li riduce quasi uniformemente, insistendo in modo rilevante anche sui presidi hub, che andrebbero invece potenziati, in modo da potersi far carico anche della casistica proveniente dai presidi riconvertiti (se ce ne fossero davvero) o per i quali si prevede una riduzione delle funzioni.
Nel modello proposto destano perplessità le AAS in cui alcuni ospedali sono destinati a funzioni ancillari, rispetto ad altri di pari dignità (S. Daniele vs. Tolmezzo; Gorizia/Palmanova vs. Latisana/Monfalcone).
L’unione meno comprensibile appare quella San Daniele-Tolmezzo che, per situazione geografica e di viabilità, non sembra potrebbero assumere ruoli complementari, dato che l’utenza che non troverebbe risposte in loco si rivolgerebbe probabilmente, in entrambi i casi, a Udine.
I flussi di utenza chiariranno a breve la lungimiranza di queste scelte; il ritorno economicogestionale e la congruità delle dotazioni di posti letto assegnati. La previsione di attribuire, per alcune specialità, funzioni di urgenza a uno solo dei due presidi, non sembra opportuna, dato che non sarebbe prudente, per diverse tipologie di pazienti, rimanere degenti presso un presidio privo dell’organizzazione necessaria per affrontare nelle 24 ore l’emergenza/urgenza derivante da possibili aggravamenti o complicanze.
Per i presidi spoke non sembra funzionale né sicuro ridurre le funzioni di laboratorio a un point of care, date il ruolo che rivestono anche per l’emergenza/urgenza. Non sembra che le funzioni di laboratorio di analisi e di microbiologia, del servizio di medicina trasfusionale e di anatomia patologica possano avvalersi efficacemente della telemedicina, data l’attuale impossibilità a trasmettere campioni biologici per via telematica, come sembrerebbe ipotizzare l’art. 29: evidentemente precorrendo i tempi a quando la tecnologia in ambito sanitario potrà forse rendere disponibili sistemi di teletrasporto.

Art. 35 (Modello organizzativo del presidio ospedaliero)
Stupisce che nella campagna mediatica che la Regione ha intrapreso nelle settimane precedenti la diffusione del testo del progetto di riforma, annunciando grandi innovazioni, non si sia fatto cenno, o che sia passato inosservato il contenuto di questo articolo che, se applicato, sovvertirebbe completamente, e con palese illegittimità, l’attuale organizzazione degli ospedali: vi si prevede che l’attività dei medici e dei dirigenti sanitari sia limitata alla sola attività clinica, e i dipartimenti finalizzati esclusivamente allo scopo di condividere competenze cliniche e definire percorsi diagnostico terapeutici, mentre agli infermieri e al personale tecnico è affidata l’organizzazione e la gestione, in competa autonomia, di tutte le risorse, quali le apparecchiature, le tecnologie e i materiali impiegati, o quelle relative all’attività di degenza e a quella ambulatoriale. Sembra quindi che si preveda che siano infermieri e personale tecnico a dirigere le strutture dell’ospedale: ma la normativa vigente pone in capo ai dirigenti, medici e sanitari, Direttori di Dipartimento o di Struttura complessa, la responsabilità della gestione, quindi non si comprende quale distribuzione di responsabilità la Regione abbia previsto: la gestione spetterebbe agli infermieri e ai tecnici, ma il medico o il dirigente sanitario sarebbe paradossalmente responsabile dei risultati, oppure la responsabilità gestionale sarebbe interamente posta in capo, contrariamente a quanto chiaramente previsto dalla normativa vigente, a infermieri e tecnici?
Livelli di intensità di cura: è indispensabile che almeno negli ospedali hub l’organizzazione per livelli di intensità di cure avvenga nell’ambito dei singoli Dipartimenti, e non per l’intero ospedale, in modo da non disperdere un patrimonio organizzativo, culturale e operativo che caratterizza il personale nei presidi che effettuano attività complesse e di elevata specializzazione.

Pianificazione regionale – Reti di patologia
Un sistema basato su strumenti clinico-assistenziali idonei a governare i livelli operativi dei percorsi e delle reti di patologia (tramite indicatori di qualità, di outcomes, di corretto utilizzo delle risorse, di soddisfazione del paziente, ecc.), dovrebbe anticipare la revisione organizzativa piuttosto che configurarsi come aspettativa da realizzarsi in corso di riforma. In un contesto di organizzazioni integrate risultano decisivi per il buon esito delle iniziative processi di interazione ben definiti, rispettati e coordinati ai vari livelli di cura (MMG/cure primarie; cure intermedie distrettuali; ospedali) assecondati da un’efficiente struttura amministrativa di supporto. Altrimenti gli esiti deludenti o comunque non coerenti con le aspettative diventano una prospettiva quanto mai concreta.

Art. 39 (Attività del personale sanitario) Pare complementare a perseguire le finalità di cui all’art. 35. Inoltre, l’articolo potrebbe suggerire che la Regione abbia l’intenzione di attribuire a personale meno costoso attività proprie di medici e dirigenti sanitari.
Autorizzazione delle strutture sanitarie e socio-sanitarie Art. 45, comma 2: “L’autorizzazione alla realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie e l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie non necessitano di preventiva valutazione di compatibilità con il fabbisogno complessivo regionale”. La Regione motiva questo con l’effetto del recente art. 27, comma 2, del D.L 24 giugno 2014, n. 90. Ma, dal sito della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana si apprende che: “LEGGE 11 agosto 2014, n. 114 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari. (14G00129) (GU Serie Generale n.190 del 18-8-2014 – Suppl. Ordinario n. 70). Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90: (…) All’articolo 27: (…) il comma 2 e’ soppresso.” Si dovrà provvedere quindi alla modifica di questo articolo del ddl, che rischierebbe altrimenti di aprire al proliferare indiscriminato di strutture private, indipendentemente dal fabbisogno regionale.

Ci si riserva di produrre ulteriori osservazioni relative all’impatto che la riforma avrebbe sulle varie realtà territoriali della regione in corso di elaborazione da parte delle segreterie aziendali di ANAAO AssoMeD, in quanto non c’è stato tempo sufficiente per uno studio e verifica più capillare delle conseguenze della riforma.

A questo proposito si osserva che il ddl definitivo è stato trasmesso dall’Assessorato alla Salute il 19 agosto 2014, in pieno periodo feriale, con la richiesta di ottenere il commento scritto in pochissimi giorni, su una materia assai complessa che le stesso Assessore aveva dichiarato essere il frutto del lavoro di un anno, senza neppure preoccuparsi che chi avrebbe dovuto redigere tali osservazioni sono professionisti che, se non in ferie, sono massicciamente impegnati nell’attività ospedaliera, anche per coprire i colleghi in ferie ed i vuoti seguiti ai citati tagli lineari.

Il Segretario Regionale
dott.ssa Laura Stabile»

(http://www.anaao-assomed.fvg.it/anaao/attachments/article/55/Osservazioni%20ANAAODDL1.9.14.pdf).

Io credo che queste riflessioni siano importanti, e le ho pubblicate integralmente, come furono proposte allora, perchè vengono da chi opera sul territorio, e dimostrano reali perplessità. Inoltre la politica sa spesso solo produrre strutture organizzativo/ burocratiche e promettere, ma poi uno si chiede umanamente dove si troveranno i medici per fare tutto. E se esistevano già i centri di vallata  dove vi era servizio di specialisti in contatto con i medici di base: perchè voler rivoluzionare tutto, con prevedibile maggior spesa e peggior servizio?

Io credo che la Regione possa ora solo lasciare inalterato il sistema sanitario di base che funzionava con medici di base e condotte mediche paesane, non agire in fretta, ma fermarsi a riflettere insieme con le parti sociali in causa ammettendo che vi sono delle criticità, e facendo una verifica e ciò che non si è fatto allora: raccogliere dati, fare piani di fattibilità, valorizzare le professionalità ma senza sconvolgere i ruoli, recepire le critiche, che possono essere  costruttive,  e cercare di affrontare i problemi che già allora erano stati posti sul tappeto anche da ANAAO AssoMeD, studiandoli secondo un approccio sistemico. Un solo limite: la logica e politica attuale hanno fatto approvare testi normativi prima di pensare ai possibili risvolti nella loro applicazione e se fossero stati applicabili. Ma si può chiedere pure una riflessione nel merito anche alla giunta ed al consiglio ed alcune variazioni al testo.

Senza voler offendere alcuno, ma per impostare un discorso anche costruttivo, se ancora possibile. Laura Matelda Puppini 

 

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