Alcune notizie, una foto, alcuni articoli pubblicati oggi da ‘Il Fatto Quotidiano’, mi hanno portato a fare amare considerazioni sulla società presente, piena di ‘sovranismo’ ed ignoranza.

Ed inizio dalla foto, che non è un selfie, perchè è quella che mi ha ispirato il titolo. Essa è pubblicata a p. 15 di Il Fatto Quotidiano del 27 gennaio 2019, correda l’articolo di Stefano Feltri: «Senza i sopravvissuti nessuno vorrà più capire lo sterminio», e rappresenta tre donne o ragazze ad Auschwitz, con il braccio teso,ma forse solo per scherzo, ma forse solo per … Per inciso l’articolo parla di un libro, di Yishai Sarid, che pare interessante, intitolato: «Il mostro della memoria». Abbiamo perso il senso degli avvenimenti, penso fra me e me, in questa società che volge a destra un po’ per gioco un po’ per convinzione, e che, nel volere ‘riscrivere la storia’ a proprio uso e consumo, finisce per cancellare la realtà, i numeri, i simboli, i fatti ed i pensieri.

Ma, pur non esistendo nell’antichità e nel Medioevo una ‘ars historica’, era già presente, sia nella narrazione di storie prevalentemente in forma orale ma non solo, sia nella compilazione degli Annales, l’importanza di non barare, di non alterare i fatti. Scrive Cicerone che le leggi della storia sono tre: non osare mentire; dire tutta la verità per intero; evitare ogni sospetto di indulgenza. (Federico Chabod, Lezioni di metodo storico, Laterza ed., dodicesima edizione, 2012, nota 15, pp. 14-15). Quindi, nel rinascimento, si iniziò a scindere la storia dalla poetica (Ivi, nota 2, p. 18), togliendo alla prima la connotazione letteraria, e cercando di darle una propria dignità al di fuori dell’oratoria e della filosofia (Ivi, pp. 20-24), mentre il concetto di ‘fonte’ storica andava delinandosi. Ora, la preliminare valutazione ed analisi delle fonti è l’elemento portante su cui si regge qualsiasi approccio ad argomento storico. Ed attualmente risultano relegate al  passato la storia intesa unicamente come ‘fabula’ letteraria, come maestra di vita, come mera portatrice di un messaggio moralistico- utilitaristico. (Ivi, p. 11). Non per questo, però, memoriali, fonti letterarie e fonti orali non devono esser prese in considerazione dallo storico, ma dopo vaglio attento. (Cfr. L. M. Puppini. Lu ha dit lui, lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti, in: nonsolocarnia.info).

Ma ritorniamo all’articolo di Stefano Feltri ed al volume che egli recensisce. Esso pone temi di riflessione non di poco conto. Il protagonista del racconto è un giovane israeliano, che è assunto dal direttore del museo Yad Vashem, che coltiva la memoria dell’Olocausto e promuove studi nel merito. Il giovane non è particolarmente interessato all’argomento, ma esso è collegato ad una borsa di studio che gli permetterà di mantenere la moglie. Così, dopo esser stato assunto, si porta anche in Germania, ove analizza in modo minuzioso le tecniche di sterminio, dimenticando di dedicare del tempo anche alle vittime, ai drammi, all’ideologia nazista e razzista che aveva creato la Shoah. «”Il linguaggio burocratico è la mia unica lingua”»- diceva Adolf Eichmann. (Stefano Feltri, op. cit.), e il linguaggio burocratico diventa anche quello preferito dal giovane ricercatore quando guida nei campi di sterminio gli studenti in gita scolastica. Così va a finire che egli narra l’efficienza assoluta dell’apparato nazista di sterminio, invece che la shoah, piena di vissuti, drammi, tragedie. (Ivi).

Ma pensiamo ai nostri studenti delle superiori in gita scolastica a Mauthausen. Cosa potranno capire? Cosa abbiamo trasmesso loro? Visiteranno quel luogo solo perchè obbligati, facendosi magari un selfie, o comprenderanno qualcosa di più? O vivranno quanto loro narrato da un insegnante di lettere o storia solo come uno dei tanti ‘racconti horror’? Perchè è inutile portare ragazzi e ragazze a visitare un lager senza che abbiano studiato la nascita e lo sviluppo del razzismo, del pensiero nazionalsocialista e dell’antisemitismo. Ma ben più tragica è la considerazione del volume analizzato da Feltri: pare infatti che quanto narrato dal giovane già citato, che fa da guida ad un gruppo di visitatori, possa interessare solo a uno degli startrupper che devono ideare un nuovo videogame molto realistico. (Ivi).

Il secondo articolo presente su: ‘Il Fatto Quotidiano’ del 27 gennaio 2019 si sofferma su alcune storie di amore tra «Lui ebreo e lei nazista e viceversa», (Camilla Tagliabue, Stella, Goebbels, Leo & C: l’amore ai tempi dell’ orrore, in Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2019), argomento già trattato con grande spessore ed ottica diversa dalla regista Liliana Cavani nel suo “Il portiere di notte”, ambientato però nel 1957, che tratta dell’incontro fra una vittima ebrea ed il suo carnefice nazista, che li fa precipitare in una relazione sadomasochista, che ripropone i rapporti interni al campo di sterminio.
Qui invece si tratta di storie di amore in tempi in cui l’amore fra due persone non era sempre permesso a causa della razza, ed un ariano non poteva unirsi ad una ebrea e viceversa. Storie letterarie così narrate, che siano vere o meno, possono però, se non adeguatamente contestualizzate, far perdere le dimensioni della shoah ed il pensiero soggiacente, trasformando l’olocausto e le leggi razziali in un lontano sfondo alla storia personale e d’amore che diventa l’aspetto principale, e devono quindi esser accompagnate da una analisi seria e storica dei contesti. Altrimenti succede, come accaduto in Carnia per la storia romanzata di Mirko e Katia, che vada a finire che la resistenza carnica, che ha coinvolto migliaia di montanari e montanare, si chiuda nella tragica vicenda di due che si amano, e quindi amanti, lui slavo e malato di tisi, lei carnica, togliendo loro anche il valore della lotta che li aveva uniti, e che li aveva portati sui monti. Ma una bella storia di amore romanzata e dal finale tragico, si vende certamente più di un libro di storia, e non richiede per scriverla una grossa fatica di ricerca delle fonti e di analisi.

Quindi altre due notizie. In Italia ormai, in fatto di giornate della memoria e del ricordo accade di tutto e di più, in barba alle leggi nazionali. Così il sindaco di Siena, pare motu proprio, ha deciso di rinviare la memoria dell ‘Olocausto non a data da destinarsi, ma il 10 febbraio 2019, giornata del ricordo, facendo, dico io, di tutte le erbe un fascio. Ma cosa volete che sia … Ed a chi lo criticava, il sindaco ha risposto che le giornate sono così vicine, che si possono unificare il 10 febbraio, tanto si parla sempre di morti. (Giacomo Salvini, Il sindaco di centrodestra ricorderà la Shoah nel giorno delle Foibe: proteste Anpi e Cgil, in Il Fatto Quotidiano, 27 gennaio 2019). Ma ditemi un po’ voi … Ed  è un laureato in legge … Ma uno doveva pur incominciare, in Italia, a far di testa propria … Fra l’altro la legge istitutiva della giornata del ricordo dice che «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale», e che in detta giornata «È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende». E le iniziative per quella giornata, sono anche «volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero». (http://www.camera.it/parlam/leggi/04092l.htm). Cosa c’entri questo con la Shoah, vorrei saperlo dal sindaco di Siena, che non voglio assolutamente offendere, ma la cui scelta mi pare un po’ oscura. Inoltre il 27 gennaio non è giornata della memoria della shoah solo italiana, ma internazionale.

Infine in Polonia, stato che pare non voglia più ricordare che Auschwitz è stata liberata dall’esercito sovietico, e che ci ha rispedito indietro il monumento memoriale  che un gruppo di artisti italiani di valore aveva costruito, lavorando gratuitamente e con passione, per non dimenticare, e finito attualmente non so dove (Cfr. Storia del Memoriale Italiano ad Auschwitz: dal sito Unesco all’Ipercoop di Firenze?, in: nonsolocarnia.info), un gruppo di neonazisti, guidati dal leader dell’estrema destra polacca Piotr Rybak, ha provato ad entrare nel campo di concentramento di Auschwitz dove era in corso la celebrazione della giornata della memoria per protesta contro il governo locale, accusato di ricordare solo gli ebrei e non le vittime polacche.  (https://www.fanpage.it/polonia-protesta-dellestrema-destra-ad-auschwitz-ricordano-solo-gli-ebrei/http://www.fanpage.it/). Ma potevano dirlo anche prima alle autorità, senza disturbare la cerimonia. E per ora mi fermo qui, sottolineando che il titolo è una provocazione, come alcune considerazioni, e nulla di più, ma certi articoli e romanzi fanno riflettere, perchè alcuni scenari e situazioni si potrebbero presentare in futuro o sono già presenti.

Laura Matelda Puppini

Questo testo è una riflessione che ha alla base articoli pubblicati il 27 gennaio 2019 su Il Fatto Quotidiano. L’immagine che accompagna l’articolo:  ‘Auschwitz_I_entrance_snow.jpg. è tratta, solo per questo uso, da: https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Auschwitz, e la proprietà attribuita è la seguente: Di Logaritmo – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3231093. Laura Matelda Puppini

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