«Era il 2006. Tra Russia e Ucraina c’erano i primi screzi, e da noi, (in Italia n.d.r.)  era allarme forniture gas. Per rispondere bisognava costruire al più presto 13 rigassificatori, con ogni mezzo necessario. Da allora sono passati 8 anni. Gli screzi tra Russia e Ucraina si sono trasformati in una guerra civile che rischia di incendiare l’intero continente. Di rigassificatori però ne abbiamo costruiti solo un paio: uno lavora a metà e l’altro è completamente fermo. E a pagare saranno le nostre bollette». (https://www.raiplay.it/video/2014/05/Com-andata-a-finire-A-tutto-gas—Anticipazione-83f85483-ffcf-43a1-9524-388cbc6922f5.html).

Questo si legge come anticipazione e presentazione di un servizio di di Giuliano Marrucci su Report del 2014, quando a condurlo c’era ancora Milena Gabanelli.

Allora, e parliamo del 2006, il dato ufficiale era di un 16,2% in meno nella fornitura di gas all’Italia dalla Russia. Antonio Di Pietro, allora, chiedeva un computo di quanto gas avremmo dovuto importare, anche in futuro, per non finir male, e di quanti rigassificatori avremmo avuto bisogno. Anche perché, a suo avviso, più il tempo passava, più l’Italia avrebbe avuto bisogno di gas. Ma non si sa se gli fu risposto e cosa.

Inoltre già nel 2006, Ucraina e Russia stavano ‘rodando i motori’, e, secondo la Gabanelli, è andata a finire che noi abbiamo prorogato contratti lunghissimi e carissimi. Ed era palese a tutti, in quel momento, che avremmo dovuto costruire dei rigassificatori per stoccare gas non proveniente dalla Russia. (Report 29 ottobre 2006). Ma forse all’epoca, e questo lo dico io, non era ben chiaro il costo ambientale di importare gas liquido e dei rigassificatori, ora ben presente.

Però, secondo Federico Pontoni, ricercatore ed attuale direttore  del programma di ricerca sulle tecnologie per la transizione energetica della Fondazione ‘Enrico Mattei’, dei 13 rigassificatori che erano in progetto, ne furono  costruiti solo 2: uno a Rovigo ed uno a Livorno. Ma neppure questi due lavoravano, nel 2014,  a pieno regime: Rovigo era allora a metà della sua capacità massima, Livorno non aveva ancora rigassificato nulla e risultava completamente fermo perché la domanda di gas si era ridotta moltissimo rispetto alle aspettative di crescita previste. E questo sosteneva allora Clara Poletti, autorità italiana per l’energia elettrica ed il gas.

E queste aspettative di crescita della domanda di gas in Italia nel futuro chi le aveva fatte? – chiedeva allora il giornalista di Report. E la signora Clara Poletti rispondeva che le aveva fatte il mercato. E non c’era, allora, alcuno che dicesse che il mercato del gas non sarebbe cresciuto.

Ma come? – mi chiedo io. Già allora in Italia non si sapevano far bene i conti, far interagire alcune variabili, fare alcune previsioni per il futuro? Inoltre già allora la programmazione energetica per uno stato sovrano la facevano i mercati?

Eppure, secondo il giornalista Enzo Mangini, già nel 2006 un rapporto Eni del 2003 (Master Plan Eni 2004 – 2015) prevedeva che, probabilmente, di gas ce ne sarebbe stato sul mercato fin troppo. E si supponeva che si sarebbe creata una bolla di offerta di gas, almeno per noi, cioè ci sarebbe stato più gas sul mercato di quello che l’Italia avrebbe consumato. E questa bolla si sarebbe dovuta manifestare intorno più o meno al 2010, ma sarebbe dipeso dai rigassificatori costruiti. Comunque, sia come sia, nel 2014 in Italia esistevano solo 2 rigassificatori dei 13 previsti: quello di Rovigo che era gestito dalla società che lo aveva costruito e quello di Livorno, di fatto fermo, ma vedremo perchè. Inoltre allora come ora nessuno aveva preso in seria considerazione il prezzo del gas come variabile nella domanda. 

Comunque, già nel 2005, per favorire la costruzione di rigassificatori, l’autorità italiana per l’energia aveva avuto la brillante idea di introdurre il “fattore di garanzia” che consisteva in questo: a chi costruiva un rigassificatore si garantiva, in caso di mancato utilizzo, un risarcimento consistente della somma investita, che avremmo pagato noi, con le nostre bollette.  In cambio, però, il rigassificatore doveva essere accessibile alle tariffe dettate dall’autorità stessa. Ma alla società Olt, che stava costruendo il rigassificatore di Livorno, questi vincoli non piacevano, e così rinunciò agli incentivi statali pur di fare quello che voleva.

Rifiutando il ‘fattore di garanzia’, però,  chi avesse investito 100, avrebbe avuto un ritorno solo dell’8, del 10, del 15% di quanto speso. Questo, secondo Federico Pontoni, era stato concepito perchè allora molti pensavano che non ci sarebbe stato mercato, ed in effetti non ce n’era. A questo punto, visto che il lavoro mancava, la Olt, che aveva costruito il rigassificatore di Livorno, chiese al Ministero di fare il contratto e domandò pure un lauto risarcimento. Secondo Elena Gerebizza, (giornalista esperta in energia e fondatrice, con altri, di la società chiese al Ministero 100 milioni all’anno di risarcimento per un impianto che avrebbe potuto non rigassificare mai.

E si parlava di un risarcimento economico non temporaneo, ma che avrebbe potuto estendersi nel tempo. E questo accadde perché l’autorità italiana non aveva espressamente esplicitato, all’imprenditore che aveva fatto male i calcoli, di fare marcia indietro.

Interrogato dal giornalista di Report, Walter Pallano, amministratore delegato allora di ‘Olt offshore lng Toscana” rispondeva che il rischio dell’imprenditore stava tutto nella costruzione del rigassificatore. Ma di fatto, per quanto riguarda quello di Livorno, esso era entrato in funzione con due anni di ritardo rispetto alle previsioni, e, nel frattempo, i costi di costruzione erano passati dai 400 milioni (di dollari?) iniziali, a quasi 900 milioni. Ed impianti similari, secondo l’ad di ‘Olt’ si trovavano in Nord America, davanti a Boston, e di essi non si sapeva il reale costo, ma eliminando sovraccosti determinati da alcune caratteristiche, si giungeva a spese comparabili.

Però, secondo Marrucci, uno di questi, checché ne dicesse Pallano, era costato 350 milioni di dollari, l’altro 400 milioni di dollari, cioè un terzo di quello di Livorno. Ed anche secondo Jan Morken, Manager di Höeg Lng, società che possiede, gestisce e acquisisce unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione, e che opera nel settore infrastrutturale del GNL, i costi dei rigassificatori dati dal giornalista di Report  erano confermati: circa 300 milioni di dollari per tutto, chiavi in mano, un terzo di quanto speso per il rigassificatore di Livorno. In questo caso, poi, dei 900 milioni complessivi, la metà era andata a finire nelle casse di Saiten, società che si era occupata di convertire la nave gasiera in rigassificatore.

A questo punto Marrucci aveva chiesto all’ad di Olt  se era stata fatta una gara per l’aggiudicazione del lavoro ed un bando, e la risposta era stata negativa. La società aveva valutato diverse offerte, che erano state richieste direttamente, ed una di queste era stata inviata anche alla Höeg, che però, nel 2014, sosteneva, per bocca sempre  di Jan Morken, di non aver ricevuto richiesta iniziale di offerta a partecipare al lavoro del rigassificatore di Livorno, ma di esser stata contattata solo quando era partita la fase più operativa, preferendo, a quel punto, restar fuori.

In sintesi i contribuenti italiani si trovarono così a ripagare un investimento lievitato in maniera enorme, fatto da una società che non aveva neppure partecipato ad una gara, e controllato solo dall’operatore privato che lo aveva fatto. Richiesto di un parere nel merito, Federico Pontoni, sostenitore della collaborazione tra pubblico e privato, diceva, però, che era una commessa privata, e che, quindi il privato, con capitali suoi, poteva fare quello che voleva. Ma, c’è un ma ….  Dato che poi il privato chiedeva allo Stato di pagare quanto fatto, si sarebbe potuto iniziare a vedere e vagliare i costi effettivi dell’opera.

Inoltre fra i costi che gli italiani nello specifico avrebbero dovuto sobbarcarsi c’era anche un altro: per esempio gli oltre 120 milioni che Snam gas aveva speso per collegare il rigassificatore alla rete nazionale, e che ‘Snam’ avrebbe dovuto ripagare in 20 anni. Ma l’autorità di allora aveva deciso di poter prevedere che il contratto di trasporto potesse venir ridotto in 5 anni, invece che nei 20 del regime esente. In sintesi il mutuo di Snam poteva essere pagato in 5 anni, ma se la cosa andava male lo avrebbero pagato i cittadini.

A fine programma, Milena Gabanelli concludeva che qualche rigassificatore si doveva pur avere, ma che, come il solito in Italia, pagavamo tutto noi cittadini, e che era comodo per le imprese dire: «Io privato rinuncio agli incentivi, perché voglio comperare dove voglio io, al prezzo che voglio io, e vendo al prezzo che voglio io. Ma se il mercato crolla, rivediamo gli accordi. Cioè in Italia il rischio di impresa vale solo se sai che ci guadagni? Ma del resto, se viene concesso, perché no?». E questo aspetto, secondo me e magari, sarebbe da valutare pure in altre italiche situazioni.

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Questo articolo riporta la trascrizione della puntata di Report andata in onda il 12 maggio 2014 ed intitolata “Il deposito”. In merito alla stessa, in calce si trova questa “Precisazione dell’ autorità per l’energia, datata 20 maggio 2014.

«In merito alla vicenda descritta nel servizio ‘il Deposito’, si rileva che già due anni fa l’Autorità per l’energia ha reso molto stringenti e selettivi gli incentivi ai rigassificatori, limitandoli ai soli terminali strategici per la sicurezza nazionale e la diversificazione delle forniture. Questo a tutela delle bollette dei consumatori.
La società Olt, ha fatto ricorso contro questa regolazione stringente e selettiva dell’Autorità e il Tar le ha dato ragione. L’Autorità ha presentato appello (ancora pendente) e ha ribadito che gli incentivi verranno dati solo se il terminale sarà dichiarato strategico dal Ministro dello Sviluppo Economico. Anche queste decisioni dell’Autorità, così come quelle sul contratto di trasporto, sono state impugnate da Olt». (https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Il-deposito-b09403e7-2ca4-4941-ae37-a6dd4e8223d4.html).

Preciso, comunque, che ora i rigassificatori sono più di 2.

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Ho riportato questo vecchia puntata di Report solo per far capire ai lettori che la ‘guerra del gas’ non ha avuto inizio ora ma nel 2006 e forse prima, a seguito dei direi ‘eterni’ screzi tra Russia ed Ucraina, e che forse qualcosa di più lo Stato italiano poteva fare per affrontare seriamente il problema energetico e non proponendo, come ora, un drastico taglio dei consumi alla popolazione italica, che sempre tutto paga di tasca propria, e non solo. Inoltre che Russia ed ucraina non andassero a braccetto è cosa nota da anni ed anni. Non solo: se vi è troppo gas sul mercato tutti potrebbero voler vendere il proprio ed, in via ipotetica, potrebbe nascere persino una guerra per prendersi il mercato altrui.

Infine in Italia non si sente neppure parlare di transizione ecologica in campo energetico, e si legge, su una stampa ormai per lo più  ridotta a basso livello e sui social, di tutto e di più, anche proposte estremamente discutibili e potenzialmente pericolose (vedasi quella della stufetta a candele), mentre di fatto tutto è lasciato ai singoli cittadini e nuclei familiari, grazie al nostro governo ed alla UE, che poteva deprecare ma non impicciarsi seguendo gli ‘stelle e striscie’, che pare vogliano annientare economicamente la Russia, senza avere alba o tramonto di dove noi europei andremo a finire.

Intanto, per quanto riguarda l’Italia, nessuno riesce a sostenere in UE, dove, Draghi o non Draghi, siamo sempre stati debolissimi, un tetto al prezzo del gas; Giorgia Meloni viene chiamata di fatto ‘ premier’ senza neppure esser stata nominata ed aver giurato ed ha già promesso la fedeltà dell’Italia a Zelensky prima che a noi, quasi questo servisse alla Nazione che boccheggia;  l’euro perde sul dollaro, trascinandoci in scenari mai visti e tutti favorevoli agli Usa,  e in noi, cittadini, l’angoscia cresce, non solo perchè ci rendiamo sempre più conto che nessuno sa cosa fare e dove andremo a finire, ma anche per il muoversi in ordine sparso degli Stati Europei che stanno sposando chiaramente il “salviamo il salvabile” ognuno per conto proprio, lasciando affondare il vicino, ma anche delle diverse Regioni italiane.

Nel frattempo il clima sta cambiando ancor più velocemente, grazie a 4 (omissis cosa penso di loro)  che hanno fatto saltare il Nord Stream 1 e 2. Preghiamo Dio di preservare noi, i nostri figli e nipoti e gli abitanti di questa penisola da questa guerra Russia – Ucraina – Usa- Nato – Ue e dai suoi infausti esiti in ogni caso per la nostra Nazione. Ed incominciamo noi ad utilizzare le parole ‘PACE’ e NEGOZIATI, quando Zelensky, di fatto le vieta per legge , come ogni ipotesi di trattativa e approccio diplomatico al problema. Andrà dunque avanti sino all’ultimo ucraino, armato sino ai denti dal prossimo, che partecipa così ad una guerra non sua? Ma certamente in questa storia Puntin ha aggredito, ma essa poteva evolversi in modo ben diverso se gli istinti guerreschi degli uomini potenti (Biden Stoltenberg Von der Leyen Putin Zelensky che tutti condiziona con il suoi dictat) non fossero stati così forti e la ragione avesse preso il sopravvento sulla brutalità.  Ma cui prodest l’approccio bellicistico anche a livello economico? Chiediamocelo. Inoltre ora come ora, io credo che l’entrata nella Nato dell’Ucraina (vietata per regolamento essendo stato in guerra) porterebbe non alla vittoria Ucraina ma alla terza guerra mondiale ed alla fine di noi cittadini della Ue. Ed infine permettetemi di dire: salviamo i nostri bimbi dai mass media che narrano solo di odio e guerra.  Senza voler offendere alcuno, e se erro correggetemi magari commentando per cortesia.

Laura Matelda Puppini

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L’ immagine che accompagna l’articolo rappresenta una nave rigassificatrice ed è tratta da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/26/energia-litalia-a-caccia-di-navi-per-la-rigassificazione-per-smarcarsi-da-mosca-ma-il-gnl-sul-mercato-e-poco-e-costa-molto-piu-del-gas-russo/6537397/. L. M. P.

 

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