Vorrei riprendere qui il discorso sul 1942- 1943, dedicando questo testo a quelli che continuano a citare il 1943 facendolo iniziare l’8 settembre invece che il 1° gennaio, dimenticandosi molte cose, e magari non ben descrivendo altre. E va beh’ revisionismo, ma …. E vedremo come il ’43 fu preceduto dalla fine del ’42, quando apparati industriali e statali incominciarono ad isolare Mussolini.

Questa volta mi servirò per narrare alcuni fatti del volume di Roberto Battaglia “Storia della Resistenza italiana, 8 settembre 1943- 25 aprile 1945”, Einaudi 1964.  

La guerra aveva ancora una volta mostrato i limiti di armamento e preparazione del R.E. I. ed aveva fatto salire i prezzi del 112%, rispetto al periodo precedente l’inizio del conflitto, mentre i salari erano rimasti bloccati all’anteguerra, ed avevano perso parte del loro valore reale. (Roberto Battaglia, op. cit., pp. 17-19). Inoltre, anno dopo anno, si era venuto a creare un pauroso deficit nel bilancio statale mentre «i gruppi monopolistici italiani […] prosperavano fra la generale miseria». (Ivi, p. 19). Tanto per fare alcuni esempi: prima della guerra d’ Etiopia il capitale della Montecatini ammontava a 300 milioni, nel 1942 aveva raggiunto i due miliardi e 500 milioni, quello della ‘Terni’ era passato da 645 milioni ad un miliardo e 500 milioni, e via dicendo. (Ibid).

Nel maggio 1942, il Consiglio dei Ministri fascista affermava, demagogicamente, di voler incamerare, sotto forma di Buoni del Tesoro, i maggiori utili derivati dalla guerra, ma prevedeva subito di non farlo per il 20% dei proventi ricavati dalle grandi società sorte per fusione, dando un’ulteriore decisiva spinta alla concentrazione del capitale finanziario, che fu uno degli scopi che il fascismo seguì nel ventennio. (Ivi, pp. 19-20).

Ma, fin dagli ultimi mesi del 1942, si iniziarono ad intravedere nuovi scenari, ed il tentativo, da parte della vecchia classe dirigente italiana di separare le responsabilità, cercando di far ricadere unicamente su Mussolini ogni causa della situazione venutasi a creare. «Per la prima volta – scrive Battaglia – la vecchia classe dirigente, responsabile e complice del fascismo, dà cenno, in questo periodo, di meditare lo sganciamento del regime, tentando di separare le proprie responsabilità da quelle di Mussolini». (Ivi, p. 23).

E così si poteva leggere sulla rivista americana “Life” il 14 dicembre 1942: «La netta tendenza in seno al regime fascista è di liberarsi di Mussolini e dei filo-tedeschi, ma di conservare il sistema. Oggi questa è l’idea dei grandi industriali italiani condotti, a quanto viene riferito, da Ciano, dal conte Volpi, dal sen. Pirelli. In altre parole, un cambiamento dal fascismo pro- tedesco in un fascismo pro- alleati. I gerarchi fascisti sono molto impressionati dal fortunato voltafaccia di Darlan (1) da Vichy verso gli Alleati» (Ivi, pp. 23-24).

E vi era chi, all’epoca, riteneva che il primo suggerimento a sposare la nuova politica del “passaggio graduale” avesse avuto origine in Vaticano, ove pare si fosse pure parlato dei nomi dei candidati per il nuovo governo. (Ivi, p. 24). E correvano molte voci pure dopo il colloquio fra il portavoce di Roosvelt, Miron Taylor, e il Papa avente come oggetto la sistemazione da dare all’ Europa dopo la vittoria, ma anche all’ Italia, per cui pare si fosse proposto un governo a guida Federzoni o De Stefani. (Ivi, p. 24).

E quindi si può dire che il Vaticano stesso non avesse atteso l’acutizzarsi della crisi per iniziare la cauta manovra di sganciamento dal regime. (Ibid.).

Ma anche gli Inglesi sposavano la nuova tendenza di addossare la responsabilità della politica filo-tedesca unicamente al Duce. Lo stesso Churchill, nel suo discorso pronunciato alla radio il 30 novembre 1942, aveva ammonito l’Italia sulle gravi conseguenze se avesse perseverato nella guerra a fianco di Hitler, ed aveva ribadito uno dei suoi slogan preferiti: «Un uomo, un uomo soltanto ha portato l’Italia fino a questo punto», ed il riferimento a Mussolini era chiaro. (Ivi, p. 23). Non si deve credere però, per questo, che Churchill fosse un antifascista, ma l’Inghilterra voleva riabilitare la Monarchia e togliere palesi responsabilità al fascismo, o meglio a uomini compromessi con il fascismo che si adoperavano a voltare pagina. (Ivi, pp. 23-24). Non solo: iniziava, alla fine del ’42, anche il tentativo di sganciamento dalla politica che aveva creato l’asse Roma- Berlino, dell’apparato statale, delle istituzioni asservite al regime, ma ormai ben orientate a distinguersi da esso ed a cercare di riacquistare una nuova autonomia o meglio, una nuova verginità. (Ivi, 25). Ma non bisogna dimenticare che alcuni ufficiali dell’Esercito Italiano non avevano mai amato molto il fascismo, in particolare dopo la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e dopo le dimissioni di Badoglio, e che i soldati mandati a morire in guerra lo aborrivano, anche se esistevano militari fascistissimi che picchiavano, depredavano uccidevano, torturavano, per esempio in Grecia, pastori, donne, bimbi, vecchi. (Ivi, p. 41, e “Propongo la visione di: “Fascist legacy» da History Channel”, in: www.nonsolocarnia.info).

E poi come dimenticare Stalingrado, l’eroica?

Soldati sovietici esultano a Stalingrado.

A fine 1942- inizi 1943, quindi, con la sconfitta in Russia e quella tragica ritirata che in Italia si voleva nascondere, si era giunti ad un punto di rottura con il passato, anche all’ interno del fascismo, mentre nel marzo ’43, gli operai scendevano in sciopero, un lungo e grandioso sciopero che portava venti di novità, facendo impensierire la chiesa, timorosa di sovvertimenti sociali ed ansiosa di riprendere, con il fascismo sulla difensiva, la teoria del ventilato “pericolo rosso”. Non per nulla, in fondo, i camerati cantavano “All’arme siam fascisti, a morte i comunisti!”, non per nulla il fascismo era sorto come il braccio armato di industriali ed agrari, contro il pericolo rosso.

Ma nonostante tutto, il comunismo e l’antifascismo anche non comunista (si pensi ad Aldo Capitini, per esempio, che, religiosissimo, non volle giurare fedeltà al fascismo) non erano mai morti, mentre si veniva creando un movimento antifascista “di guerra”, che andava in crescendo, formato da soldati che non avevano mai vissuto la guerra come propria, che si poneva al fianco di quello politico, mentre la popolazione incominciava a passare dalla rassegnazione al rancore, alla ribellione latente. (vi, p. 37).  La spinta ad unirsi delle forze antifasciste diventava via via sempre più forte, mentre gruppi sia comunisti che cattolici e di diversa matrice si andavano formando in Umbria come a Milano, ed intorno ai confinati del “governo di Ventotene”.  (Ivi, p. 35).

Ma già nell’ottobre 1941, Silvio Trentin si era fatto promotore, insieme ai comunisti ed ai socialisti, del patto di unità di azione antifascista, conosciuto come “Manifesto di Tolosa”. (http://www.dircost.unito.it/altriDocumenti/docs/NI__progettoCostituzioneTrentin.pdf).   

Per quanto riguarda i militari, sentivano sempre più un senso di «disfacimento organico», in quella assurda guerra, la mancanza di ideali profondi, e andavano cogliendo gli amari frutti della patria fascista. (Ivi, p. 39).  

Anche questo fu il 1943, posto fra il 1942, ed il 1944. Infine, non si possono scrivere testi sul movimento resistenziale che prese forma decisa e militare dopo l’8 settembre 1943, dimenticando il contesto di una guerra mondiale, il prima ed il poi. 

Laura Matelda Puppini

(1) Francois Darlan è stato un ammiraglio e uomo politico francese nato nel 1881 morto nel 1942. Partecipò alla prima guerra mondiale e nel 1929 fu nominato contrammiraglio. Capo di gabinetto del ministro della marina G. Leygues, collaborò alla riorganizzazione delle forze navali francesi. Comandante della squadra dell’Atlantico (1934-1936), poi capo di SM generale della marina nel 1939-1940, fu comandante in capo della marina mercantile e militare nel governo Pétain, e dopo il licenziamento di Laval, assunse anche la carica di vicepresidente del consiglio e di ministro degli esteri. Fautore di una politica di collaborazione con la Germania, ebbe due incontri con Hitler, il 25 dicembre 1940 a Beauvais e il 10 maggio 1941 a Berchtesgaden; in seguito a quest’ultimo firmò a Parigi (28 maggio 1941) il protocollo Darlan-Warlimont, poi respinto dal governo di Vichy, che metteva a disposizione dei Tedeschi alcuni porti francesi in Africa. Il 10 dicembre 1941 si incontrò con Ciano a Torino. Al ritorno di Laval al governo (aprile 1942) si dimise da tutti gli incarichi governativi, ma rimase comandante in capo delle forze armate. Trovatosi ad Algeri al momento dello sbarco alleato dell’8 novembre 1942, con brusco voltafaccia il 10 concluse un armistizio col comando americano e il 13 ordinò alle truppe francesi di battersi contro le forze dell’Asse, ma poi fu sconfessato da Pètain. Poco dopo venne ucciso ad Algeri (24 dicembre) da un giovane francese, Bonnier de La Chapelle. (http://web.tiscali.it/alexanderbauer/darlan.htm).

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L’immagine inserita nell’articolo è tratta da: http://www.artspecialday.com/9art/2018/02/02/battaglia-di-stalingrado-resistenza/, quella che lo accompagna ha come didascalia: Di Bundesarchiv, Bild 183-R76619 / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5368542. Laura Matelda Puppini. 

 

 

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