NOTE INTRODUTTIVE.

Vorrei riproporre queste riflessioni in parte scritte quando il dott. Igino Piutti venne a presentare a Tolmezzo la sua quinta edizione di “L’assedio della Carnia 1943- 45/ Riflessioni, Aviani&Aviani editore, 2014”, e cioè il 10 ottobre 2014, data scelta dall’autore in ricordo del settantesimo anniversario dell’Operazione Waldläufer, che sancì la fine della Zona Libera di Carnia dello Spilimberghese e del Maniaghese, in parte dopo aver letto il pessimo “Il ritorno del cosacco”, dello stesso autore, dato alle stampe sempre dallo stesso editore nel 2020. Non che “L’assedio della Carnia’ sia un granché, anzi, ma almeno non si rischia il capogiro a forza di vero e falso, di personaggi dalla vita inventata, come Foi che è Alessandro, ma che non è l’Alessandro di cui scrive Piutti, e che fu solo da febbraio in Carnia ed era noto come Paolo, di Tiziano Dalla Marta, architetto tolmezzino, che poi non si capisce se sia il Tiziano che è a Cludinico ma pare di sì, di Otto, Rinaldo Fabbro, di cui ho scritto la vita, a p. 393 di Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico dalla Reistenza a Savona, una vita i viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml – Kappa Vu 2013, in una saga del vero, falso, inventato mai chiarito, che rende questo volume, che prende spunto dalla strage di Ovaro rivisitata sulla base di una veduta personalissima dei fatti, pessimo, senza nessuna fonte dichiarata, scritto senza metodologia. Ed è al tempo stesso un romanzo ma non lo è, perché nomi di persone ed accadimenti sono reali, ma sugli stessi si innestano alcune insinuazioni e ricostruzioni fantastiche dell’autore.

E su quanto ho riflettuto anche dopo aver letto, sul retro copertina sempre di “Il ritorno del cosacco”, una interessantissima teoria sul relativismo del reale, sortita non si sa da chi, ma da una mente certamente fervida, infatti ivi si legge che nel libro: «I dati storici si intrecciano e confondono con elementi di fantasia al punto da rendere incerto il confine tra storia e finzione letteraria. Anche la ricostruzione, volutamente sfumata e imprecisa di dati ed ambienti, favorisce la considerazione che non sia possibile risalire alla verità». (Igino Piutti, Il ritorno del Cosacco, Aviani Aviani, 2020, retrocopertina). Ma uno potrebbe anche ritenere giustamente che, se si confonde la realtà dei fatti, romanzandoli a piacimento, gli stessi non possono venir conosciuti nella loro realtà storica.

Comunque, dopo aver acquistato e perso tempo a leggere faticosamente “Il ritorno del cosacco”, ho pensato sia che: “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, sia che il dott. Igino Piutti è davvero fortunato a poter pubblicare un libro dietro l’altro, che riprendono le ‘solite storie’ immaginifiche con qualche variante. Per esempio, in questo suo ultimo scritto, Mirko è diventato, senza fonte: «un aggregato avamposto di forze internazionaliste di base marxista di una organizzazione voluta dal PCUS e approvata dalla NKDV, che agiva mediante infiltrati in Italia» (Igino Piutti, Il ritorno del cosacco, p. 149, che egli dice sia di Carnier ma non cita per esteso la fonte). Ma alcune informazioni su Mirko esistono ed io ho utilizzato quelle che ho trovato allora per comporre la scheda a lui dedicata. (Cfr. Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, a cura di Laura Matelda Puppini, Ifsml- Kappa- Vu, 2013, pp. 377-379). Inoltre Mirko non lasciò la sua base a Livio, quasi fossero due compari, perché da che so, Mirko non stava a Salvins, come narratomi da Primo Blarzino, e quindi non si sa come Piutti possa scrivere sul casolare di Salvins: «Sapevo già dalla storia di Mirko, che era la sede da lui ceduta agli osovani. (Il ritorno del cosacco, op. cit., p. 114). E per inciso, Italo Mestre, ‘Diego’, afferma che Mirko si era mosso da Padova, dopo esser stato liberato dal campo di concentramento dove si trovava, verso Nord est per tornare a casa. (Testimonianza di Italo Mestre, c/o Ifsml, busta X fasc. 6).

E ho già scritto che non so che peccati debba espiare per dover leggere Pier Arrigo Carnier, e penso la stessa cosa dei ‘romanzi’ e delle ‘riflessioni’ di Igino Piutti, che da uomo laureato in lettere dovrebbe sapere che non si può far passare per romanzi versioni personalissime di fatti realmente accaduti, evitando studio, ricerca, ed analisi comparata delle fonti, e raccontando elucubrazioni personali utilizzando tecniche note di coinvolgimento emotivo, con una certa arguzia. E non so come un editore si presti a pubblicare, fra l’altro, e lo chiedo ad Aviani, testi di questo tipo, che possono risultare lesivi dell’immagine di persone e del movimento resistenziale. Ma forse edita perché Piutti, mi si dice, vende i suoi continui testi, anche per mancanza di alternative, simili, nel contenuto, ad una soap – opera, (purtroppo però con nomi e cognomi reali) della ‘saga’ carnica, iniziata da Carnier e Conedera.

I MOTIVI CHE HANNO SPINTO IL DOTT. PIUTTI A SCRIVERE DI RESISTENZA COME DA LUI PRESENTATI. 

Il dott. Igino Piutti, in: “L’assedio della Carnia”, op. cit., p. 10, propone questa strana teoria politica, come base della sua scrittura in ambito storico, con ben poche letture alle spalle: «La caduta del muro di Berlino, travolgendo definitivamente il mito del comunismo, ha in qualche modo ridato la libertà di parlare a persone che trent’anni fa non lo avrebbero fatto, condizionate dall’imperativo per il quale la versione ufficiale doveva essere l’unica versione: i ricordi personali, quando difformi dalla versione ufficiale, non erano altro che errori della memoria indotti da condizionamenti provocati dai nemici della Resistenza, frutto di bieco revisionismo». Ma in Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale, non si era in un governo comunista, ma sotto la Dc dal 1948, o sotto governi di centro sinistra sempre con la presenza dei democristiani, e poi sotto Berlusconi, ecc. ecc… E di testi antipartigiani, come ha sottolineato Andrea Zannini nel corso dell’incontro del 10 ottobre 2014, di cui ho registrazione, e come scrive Marco Puppini nella sua critica a “L’assedio della Carnia”, sul mio sito, (https://www.nonsolocarnia.info/marco-puppini-partigiani-come-causa-di-tutti-i-guai-lassedio-della-carnia-di-igino-piutti/) ne uscirono nel dopoguerra. Inoltre qui sembra che il Piutti ritenga espressione di libertà dire ciò che si vuole su tutto e tutti, senza fonti, anche ingiurie gratuite, e questo per lui è stato permesso dalla caduta del muro di Belino. Beh, vi confesso che questa strana teoria non l’avevo mai letta né sentita.  

Inoltre il Piutti ha sottolineato sia nel volume “L’assedio della Carnia” sia nell’incontro tenutosi il 10 ottobre 2014 a Tolmezzo che egli ha voluto scrivere il volume perché «in questi anni di cui andiamo a ricordare il 70esimo anniversario, si sono poste le radici del futuro, cioè del nostro presente e di quello che sarà il nostro futuro, e non possiamo non esaminare queste radici per capire il presente, per immaginare il futuro». (Intervento di Igino Piutti il 10 ottobre 2014 alla presentazione del suo volume L’assedio della Carnia. Registrazione di Laura Matelda Puppini con il consenso dei relatori). E gli stessi concetti sono riportati dal Piutti nel suo: ‘L’assedio della Carnia’, p.5. Ed egli ritiene che la pianta della Carnia di oggi, dicendo di rifarsi a Zannini, abbia trovato sia il suo humus che le proprie radici in quanto accadde nel corso della resistenza, e pertanto giudica indispensabile, per i bravi carnici, «conoscere i fatti di quei giorni per capire l’oggi, per sapere immaginare e costruire una prospettiva per il futuro». (Ibid.). Ma per conoscere i fatti si devono leggere studi seri, documenti, ed anche leggere memorie, non una “revisione” degli stessi «basata su supposizioni, illazioni, chiacchiere ed una buona dose di “veleno”», per dirla con Marco Puppini – che «se poi si va a scoprire le carte, crolla il palco». (https://www.nonsolocarnia.info/marco-puppini-partigiani-come-causa-di-tutti-i-guai-lassedio-della-carnia-di-igino-piutti/).

E, per inciso, nel 2014, la realtà della Carnia era già segnata e siglata da una storia ben più recente, per esempio dalle scelte della Dc, del Psdi, del Psi, dei governi, della regione Fvg, e dall’esser stata trattata come circondario udinese.

E per giustificare i suoi personalissimi punti di vista, Piutti sostiene, ponendolo come dato di fatto mentre non lo è, che: «Tutti voi, credo come me, conoscete due storie della resistenza. In Carnia c’è la storia che ci tramandiamo in famiglia, e la storia che abbiamo vissuto, visto, sentito nei convegni. Io vorrei tentare di iniziare un discorso nel quale queste due storie si mettono assieme, se vogliamo parlare di storia condivisa, ed è importante che sia condivisa» (Intervento di Igino Piutti il 10 ottobre 2014, cit.), cioè dice, in sintesi e se ho ben compreso, che una cosa sono le opinioni ed i vissuti personali, altra è la storia generale fatta su documenti ed altre fonti, ma mentre l’una è compito dello storico, il narrare i ‘petéz’ è compito suo come poi unirli in un unico disegno fatto da ‘petéz’ e ‘riflessioni’ in ricostruzioni personali. Ma a parte il fatto che non so in quante famiglie carniche si parlasse, nel dopoguerra, di guerra e resistenza, mi pare che il prof. Piutti si dimentichi in proposito di chiarire che la ricerca storica non può esser fondata su pettegolezzi, (Cfr. L. M. Puppini. Lu ha dit lui, lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti), e che ogni fatto definito storicamente deve essere contestualizzato ed avere delle fonti a riprova. Inoltre non si può dare il patentino o meglio la presunzione di veridicità a qualsiasi cosa venga detta, da uno o dall’altro, sulla resistenza o su persone che ne hanno preso parte, perché anche in Carnia vi erano stati fascisti, fascistissimi, filo-nazisti, spie, collaborazionisti, partigiani, resistenti sul terreno, opportunisti, doppiogiochisti, ecc. ecc., e quindi come potrebbero versioni personali essere ricondotte a verità assolute? Bene dice Paolo Pezzino quando sottolinea che le memorie individuali non possono esser condivise, mentre i fatti storici non possono esser travisati. (Cfr. Paolo Pezzino, Considerazioni su Memoria e Storia, Fosrdinovo, 2/8/19, in: https://www.youtube.com/watch?v=Jne-XCvtCq0).

Ed ancora: come non essere d’accordo con il Presidente del Parri quando afferma che: «la libertà di ricerca va fondata sull’onestà intellettuale, sulla contestualizzazione ampia degli eventi, sull’utilizzo critico di fonti verificabili?» (https://www.nonsolocarnia.info/paolo-pezzino-presidente-dellistituto-nazionale-ferruccio-parri-ex-insmli-attacchi-alla-ricerca-storica-su-foibe-e-confine-orientale/).

COSA SCRIVE PIUTTI DEI PARTIGANI CARNICI.

Vediamo ora cosa scrive il prof. Piutti dei partigiani. Nel suo “L’assedio della Carnia”, egli dice che, dopo aver sfrondato dalle sovrapposizioni, (che non si sa quali siano), la lotta partigiana in Carnia, egli si è trovato davanti solo la realtà di «due migliaia di giovani che, essendo sotto la leva militare, avevano preferito darsi alla macchia per evitare l ‘obbligo del servizio» (Ivi, p. 11) che è un modo più lungo per dire che i partigiani in Carnia erano degli imboscati che non volevano fare il loro dovere, dimenticandosi  che l’esercito non c’era più dopo l’8 settembre, e che la leva obbligatoria in Ozak fu nazista; scrive che alcuni di loro furono, a suo avviso, dei voltagabbana con la finalità di ricrearsi una verginità perduta, perché prima dell’ 8 settembre si erano magari arruolati come volontari nell’esercito fascista (Ivi, p. 24), confondendo il R.E.I. con la M.V.S.N.; scrive che la Resistenza fu occasione per saldare conti personali (p. 33); e che a fine guerra molti furono i civili passati per le armi dopo sommari processi o spesso dopo processi farsa, con l’accusa di collaborazionismo con il nemico, (Ibid.), rigorosamente senza fonti; che i partigiani erano degli inclini a fare spacconate più che azioni di guerriglia, in ogni caso condotte con eccessiva spavalderia. (p. 29). Tutte idee personali senza uno straccio di prova a supporto.

Inoltre a p. 44 sostiene che, morto Aulo Magrini, «i partigiani rinunciano a qualsiasi strategia di tipo militare da opporre ai tedeschi, e si ritirarono nella Val Tagliamento indisturbati a elucubrare attorno all’utopia dell’autonomismo carnico», non si sa con quali fonti di appoggio, perché azioni sia osovane che garibaldine continuarono, ed aggiunge pure, non pago, che «i tedeschi li avrebbero probabilmente lasciati fantasticare sino alla fine della guerra, se non fosse emersa l’idea di trasformare la Carnia in Kosakenland». (Ibid).  E sostiene pure, parlando dell’eccidio a Lanza e Cordin, che in Carnia «la lotta partigiana si muoveva su diversi livelli. C’era il livello locale caratterizzato da ritorsioni, soprusi, vendette, e su questo livello non si può escludere che ci siano state delle ritorsioni ingiustificate sui pastori delle due malghe, e che i ragazzi di malga Cordin siano stati eliminati, quelli sì, per eliminare testimoni» (p. 63).  E non migliora in ‘Il ritorno del cosacco’. Qui, a p. 117 parla del periodo della zona libera in Carnia come di un periodo caratterizzato dal caos creato «da bande disordinate che i capi non riuscivano a controllare», dove, «Non essendoci più nessuno a far rispettare la legge, vigeva la legge del fucile», e dove «chi lo possedeva poteva imporsi, per ottenere qualsiasi cosa, per portare a termine le sue vendette o anche semplicemente per affermare il proprio prestigio, che si misurava sul metro della crudeltà», (Ibid.) quasi stesse parlando del copione di un nuovo film sul far west, a cui manca solo la musichetta di Ennio Morricone.

E questi sarebbero stati, per lui, coloro che soffrirono e patirono fame, freddo, paura, rischiando la morte e torture, ed anche vessazioni alle famiglie, perché il vessillo italiano tornasse a sventolare sulla nostra e loro Patria? Ma per cortesia …  

Comunque non c’è che dire: Igino Piutti pare utilizzi, sui suoi libri di materia storica, quanto avviene sempre più sui social: ognuno può dire ciò che vuole di un altro, nello specifico preferibilmente magari già morto e vissuto in Carnia ai tempi della resistenza, sposando la scomparsa dei fatti per far largo alle opinioni, parafrasando Marco Travaglio.  Ma come far capire, anche al dott. Igino Piutti, che l’analisi storica si fonda su basi scientifiche, su di un metodo rigoroso, e che la storia sia essa antica, medievale o moderna, del cristianesimo o della resistenza italiana, ha come metodologia la ricerca e l’analisi delle fonti, l’incrociarle e la contestualizzazione dei fatti?  Come far capire anche al dott. Igino Piutti, che alcune sue opinioni si configurano come offese belle e buone, sia a partigiani che alla guerra di liberazione tutta? Come far capire al dott. Piutti che fra pensieri e riflessioni personalissimi e ricerca seria e metodologicamente impostata, vi è un mare di differenza? Come fargli capire che non può essere il sentire, come si legge sulla retrocopertina di “Il ritorno del cosacco” la base della ricerca storica? «Come fare?» – mi chiedo sconsolata.

COME ESCE BARBA LIVIO DALLA PENNA DI PIUTTI.

Ma vediamo come egli procede, parlando, per esempio, di una persona vissuta realmente, Romano Zoffo di Amaro, detto ‘Barba Livio’ o ‘Livio Ferro’ ma in generale nome di battaglia ‘Livio’, sotto-tenente e poi capitano (https://www.irsml.eu/archivio-bis/i-fondi/102-zoffo-romano) del R.E.I., medaglia d’argento al valor militare, dilaniato  a fine guerra a Tarcento dal nemico, quel ‘Livio’ che «era della Carnia ed aveva in Carnia guidato, per primo la sorte dei verdi» (Laura Matelda Puppini, “Barba Livio, il battaglione Carnia” e la crisi di Pielungo”, in: Romano Marchetti “op. cit., p. 368, citazione da ‘Carnia’, n.7, 30 giugno 1945), e vediamo cosa dice di lui Igino Piutti, perché a me pare proprio che Zoffo sia una specie di vittima  sacrificata sull’altare della sua visione storica della Resistenza, peraltro in buona compagnia.

Infatti così il Piutti, scrive di Romano Zoffo, nel suo ‘L’assedio della Carnia’, alle pp. 34-35: «L’esecuzione di Teresina e del Bellina viene comunicata dal comandante del Btg Romano Zoffo “Barba Livio” al Comando di Brigata in questi termini: “Sono state passate per le armi due note spie… è ora di finirla con i pietismi, mi risulta che presso questo comando si trovino altri prigionieri tedeschi catturati recentemente… chiedo di mandarmeli affinché proceda nei loro riguardi …”» (Igino Piutti,L ’assedio della Carnia, cit., pp. 34-35). Allora, a parte il fatto che all’epoca nessuno registrava cosa diceva tizio o caio, e quindi non so come pensi il Piutti di scrivere una frase detta, con sicurezza, l’interessante è che io non trovo questa parte neppure in: Gianni Conedera, L’ultima verità. Da Mirko al dopoguerra, Andrea Moro ed. 2005, alle pagine 15-19, dedicate a Teresa Santellani, anche erroneamente Scrocco ed a Guido Bellina, peraltro scritte in forma romanzata.  Eppure, all’inizio di p. 34 di L’assedio della Carnia, pareva a me che Piutti avesse trovato questa citazione lì, ma non c’è.

Da questo, e quindi sul nulla, Piutti deduce, in un grande volo pindarico, che «Pare di capire che a Vinaio si fosse attivato un centro specializzato in esecuzioni sommarie». (Igino Piutti, L’assedio della Carnia, cit., p. 35). Ma tranquilli: poi il professore e politico tolmezzino scrive in nota che: «Da quel che sentivo da ragazzo, nella malga Cjas di Sotto, che si raggiunge da Salvins, si era instaurato una sorta di campo di concentramento, di gente in attesa di essere fucilata. Ma forse anche questo è un elemento della leggenda sui partigiani, che, almeno al mio paese, a me ragazzo, faceva vedere i protagonisti non certo come patrioti. E le leggende vanno prese come tali! … ». (Ivi, nota 23 p. 35). Oddio!!! La verità sul btg. Carnia e su Romano Zoffo sarebbe quindi celata a Cazzaso di Fusea di Tolmezzo, ma senza che ci sia il nome di alcuno come testimone, solo quello di Piutti, ragazzo, quindi verso la metà degli anni ’50, che ricorda, ma non sa se ricorda bene, ma forse è leggenda ma … Intanto però lo ha scritto.

Inoltre il Piutti, senza saper nulla di Zoffo e della sua storia, da me pubblicata nel 2013, quindi prima del 2014, in appendice alle memorie di Romano Marchetti, (Laura Matelda Puppini, Barba Livio, op. cit, pp. 355-371) così scrive nel suo: ‘L’assedio della Carnia’, a p. 35 senza citare fonte alcuna: «Per dare a Cesare quel che è di Cesare, va aggiunto che, dopo i danni commessi e dei quali si tramanda memoria nei racconti di paese, il Comando Brigata della Divisione Osoppo ha tolto il comando del distaccamento di Salvins a Barba Livio e ha dirottato il personaggio nella zona di Tarcento con una nota che lo giudicava inidoneo al ruolo di comandante», il che è falso, perché egli rimase sempre un comandante, è più che mai lesivo della onorabilità del grande comandante osovano, ed indica pure che il Piutti non sa nulla sulla crisi di Pielungo, e ha letto ben poco anche sulla Divisione Osoppo.

Ma non pago, ritiene pure la morte per mano nazifascista di Marcello Coradazzi, partigiano del btg. Carnia, che si sa essere avvenuta nel corso di una azione di guerriglia, causata invece dal fatto che il Coradazzi era stato «coinvolto nella trama concepita da ‘Barba Livio’». (Igino Piutti, L’assedio della Carnia, p. 79), che nessuno sa quale sia, dimenticandosi del povero Valeriano Cosmo, Alfa, caduto con lui.  E non solo: definisce il grande comandante carnico, medaglia d’argento al valor militare: alle pp. 71- 72 del volume Il ritorno del cosacco: uno che passava per uno dei più crudeli trai capi partigiani, che aveva fame di sanguinario (p.71), e che puntava la pistola contro una donna inerme. (Ivi), e che aveva un cimitero segreto. e che «Se pure non era pentito di ciò che aveva fatto, non era più sicuro però di aver agito secondo giustizia». E come non bastasse, senza fonte scrive: «Inoltre dice che Barba Livio, a suo dire, era il criminale per eccellenza  (Ivi, p. 72). Fonte per questi giudizi pubblicati a mezzo stampa? Nessuna.

Ma dato che non gli basta, in: “Il ritorno del cosacco”, dove tutto si confonde nella nebbia del vero non vero, Piutti persevera. Infatti così scrive come racconto di Alessandro che è pure il nome di Foi, che è forse uno sdoppiamento di Foi il cattolico, perchè quella narrata non è la vita partigiana di Foi, sul quale si hanno delle informazioni  (e questo lo dico io che ne ho curato la scheda pubblicata a p. 394 di Romano Marchetti, op. cit.): «Prima di finire nella canonica di Cludinico, era passato per quella di Vinaio e stava raccontando di un prete esaltato che diceva Messa con la pistola nascosta sull’altare. Una sorta di cappellano militare del comando partigiano della Osoppo, di stanza nei vicini Casolari di Salvins. Franzak nome di battaglia, per ellissi da Francesco Zaccomer, il nome all’ anagrafe. (…). A sentirlo sembrava di capire che a Salvins c’era stato una sorta di campo di concentramento dove venivano portati quelli che venivano accusati di fare la spia. C’era una sorta di tribunale che andava per le spicce, secondo il principio che è preferibile ci sia un individuo giustiziato per errore, che una spia rimessa in libertà per sbaglio. (…). Raccontava di come aveva dovuto eseguire l’ordine di ammazzare una giovane donna, una sua coetanea». (Igino Piutti, il ritorno del cosacco, op. cit., p. 114). E via a raccontare una versione ancora diversa della storia della Santellani, sempre quella, trita e ritrita, che per inciso nessuno sa in forma decisiva e documentata da chi sia stata uccisa o se sia stata giustiziata come spia dai partigiani, e non lo sapeva neppure chi ha curato, per la Provincia di Udine, i volumi AA.VV. Caduti, Dispersi e Vittime civili dei Comuni della Regione Friuli-Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale, Udine, IFSML, 1987-1992. Vol. 1° (2 tomi) Provincia di Udine, 1987-1988, che riporta, a p. 1239 del secondo tomo: «uccisa da ff. sconosciute sotto il Ponte della Vinadia».

E poi: chi sarebbero gli altri 30 o 40 casi citati a p. 117 di “Il ritorno del cosacco”, il cui mero numero è ripreso da Fabio Marson, “I signori della notte”, Biblioceca dell’Immagine 2018? Mistero tombale. Ora Fabio Marson, che ama le casere, è anche lui uno che scrive di resistenza osovana precisando di non essere uno storico, ma mosso dalla «voglia di scoperta» che «andava da sola verso le storie nascoste, verso monti bassi e riservati, verso quelli che erano ricoveri di fortuna». (ttps://bora.la/2018/04/17/signori-della-notte-piedi-nei-luoghi-della-resistenza-friulana/). Peccato che certe ricerche di “storie nascoste” corrano il rischio di avvalorare solo sentito dire, pettegolezzi. E mi chiedo anche: se Fabio Marson, che Piutti chiama come fonte per dire che a Salvins: «Barba Livio ordinava, Prospero eseguiva e Franzak confessava» (Ivi, p. 117), avesse magari (ma solo in ipotesi), letto “L’assedio della Carnia” o i volumi del Conedera, o avesse ascoltato un lettore degli stessi, e ne avesse liberamente tratto un pensiero suo, una sua riflessione? E scrivo questo ponendomi una domanda.

Ma anche la storiella del prete con la pistola, che pare posta per affascinare, senza preoccuparsi del don Camillo di Guareschi che ha tranquillamente un fucile, come armati erano allora e lo sono ancora i cappellani militari, è trita e ritrita ed è sempre quella. Infatti parte da Conedera, per quello che ho letto, ma, strano a dirsi, Conedera non parla male di don Francesco Zaccomer, anzi lo ricorda con una certa comprensione. (Gianni Conedera, cit., pp. 147-148). E, per inciso, se un prete avesse tenuto un fucile od anche una pistola sull’altare o in canonica mentre celebrava, per legittima difesa, credo non avrebbe fatto, in quei tempi, nulla di male.
Ma poi il Piutti riprende questa di don Zaccomer con la pistola, per dedurne che «anche lui era quindi agli ordini di Barba Livio», (Igino Piutti, L’assedio della Carnia, cit., p. 35), non si sa da che fonte. E afferma pure che Zaccomer, aveva scritto, ma non si sa dove, che ‘Livio’ «era bravo, ma con le spie era troppo severo» (Ibid). E la fonte, in questo caso, non è Gianni Conedera, che scrive solo, senza fonte, che il prete taceva su «quei morti fucilati ad opera dei suoi ‘compagni’ all’ interno delle valli, dove egli si dice li confessasse prima dell’esecuzione» (Gianni Conedera, op. cit., p. 147).

Ed ancora: come fa Piutti a descrivere Marco Raber solo come uno che muore urlando contro i cosacchi in fuga, senza sapere neppure la storia di questo giovane dottore in scienze forestali? (Igino Piutti, Il ritorno del cosacco, p. 103. Cfr. invece Marco Raber, in Romano Marchetti, op. cit, p. 407).
Come fa a dire che «a Ovaro quella notte era presente addirittura il Capo di Stato Maggiore della Garibaldi» (Igino Piutti, Il ritorno del cosacco, p. 121), che invece era nell’ampezzano? (Cfr. Romano Marchetti, op. cit., nota 17, p. 173). Come fa a dire, a p.121 sempre di ‘Il ritorno del cosacco’, che a Cioni, antifascista, presidente del Cln Val di Gorto, che dava copertura a partigiani, che era elemento di contatto fra i finanziatori della resistenza e la Garibaldi Carnia, l’arresto da parte dei tedeschi avrebbe salvato la vita? Ma queste non sono le uniche ‘perle’ dell’ultimo libro di Piutti.

Insomma questi volumi del Piutti e prima quello del Conedera, sembrano la summa dei “si dice”, condita da uno spirito antipartigiano non di poco conto e secondo me gratuito, ed ha fatto benissimo la giustizia a condannare Conedera, denunciato da Giulio Magrini. (Cfr le motivazioni in: https://www.nonsolocarnia.info/limportanza-delle-fonti-nella-storia-anche-per-i-giudici-perche-gianni-conedera-ha-perso-contro-giulio-magrini/).

Ma non vi è solo questo limite in questi due volumi. Infatti a p. 58 di: L’assedio della Carnia, cit., scrive che Rodolfo Di Centa, nel suo “Testimone oculare”, ed. Chei di Somavile, leggibile anche online, narra che tre persone erano state portate via dai partigiani, e poi aggiunge “e uccisi”. Ma Rodolfo Di Centa, a p.12, non ha mai scritto “uccisi”, ma «portati via dai partigiani verso Cercivento».

ALTRE ‘PERLE’ DAI DUE TESTI.

Inoltre non si capisce come mai, in “Il ritorno del cosacco” a p.119, il dott. Piutti abbia tanti dubbi su dove fosse Cioni la notte fra l’1 ed il 2 maggio 1945, fino ad ipotizzare che fosse stato sequestrato  da Alessandro Foi (Paolo) ma forse da Gian Carlo Chiussi, anche lui ‘Paolo’ anche lui presente ad Ovaro, e portato alla segheria di Applis, dove invece c’era, non rapito, Romano Marchetti. (Cfr. Romano Marchetti, op. cit., p. 168). Dove pensate che fosse?  Magari era, presumibilmente, a presiedere la seduta permanente del Cln Val di Gorto. Inoltre come fa a supporre (Ivi, p. 138) che Cioni avesse buoni rapporti con i tedeschi di Ovaro, ammesso ci fosse ivi una caserma tedesca, che però io non ho mai sentito citare, come fa, in modo sprezzante, a mio avviso, a dire che Rinaldo Cioni si era messo a “vaticaneggiare”, come fa a dire di Cioni che metteva «a disposizione persino il suo stipendio, tutto preso dall’ impegno umano di alleviare le sofferenze e le preoccupazioni della gente di Ovaro?» (Ivi, p. 137). Perché che alcune riflessioni si facciano dire ad Erica a tizio o caio, sono sempre scritte da una sola penna, senza fonti. E le ricostruzioni da documenti (https://www.nonsolocarnia.info/storia-quel-maledetto-2-maggio-1945-ad-ovaro-ricostruzione-dei-fatti-dai-documenti-originali/, Laura Matelda Puppini, Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo … in: Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014, pp. 213-248; Giannino Angeli, Tarcisio Venuti, Pastor Kaputt, Chindetti , 1980) credo siano ben più serie della testimonianza di Nunzia D’Agaro, con tutto il rispetto per lei. (Ivi, p. 138).

Ed a me pare oltremodo insultante quello che si legge a p. 94 di “L’assedio della Carnia”: «Eppure non potevano non sapere i sognatori riuniti nella Turris Eburnea del Municipio di Ampezzo», che è il modo con cui definisce la Giunta della Zona libera di Carnia, e non si può leggere proprio ivi a p. 79 il suo giustificare l’agire cosacco e tedesco contro la popolazione. Infatti scrive: «Gortani parla di sadico vandalismo, ma cosa ci si poteva aspettare dopo l’attacco del primo settembre?».

Inoltre Piutti compie lo stesso errore di Matteo Ermacora: parla di una popolazione che doveva subire i partigiani, da cui era avulsa. Ma questa popolazione presente anche nell’immaginario scientifico del Piutti, anch’essa più simile ad una idea ‘platonica’ che ad altro, era la stessa che aveva figli e figlie, mariti, fratelli e sorelle, zii e zie, cugini e cugine partigiani, che aiutò finché poté, era quella a cui i fascisti avevano chiesto di rinunciare alla fede nuziale, era quella che aveva dato tanti inutili morti per il sogno di un impero, che era ridotta alla fame dai continui ammassi praticati dal nemico e dall’occupante, quando non si  era trovata pure il paese bruciato, come a Forni di Sotto ma non solo, in Ozak.

Egli infine sostiene di avere personale capacità di proporre in “una prospettiva nuova” (L’aasedio della Carnia, op. cit., pp. 6 e 7) la storia resistenziale, che però si riduce ad un’ottica anti- partigiana, (erano imboscati, ecc.) trita e ritrita, con scarsissime fonti citate nel testo, ma anche mal citate, in un’ottica che vede la resistenza carnica avulsa da altri contesti, quasi fosse una realtà a sé stante. Inoltre Piutti pare proprio  ritenga tutti coloro che hanno studiato sin qui la resistenza degli inetti oppure degli agiografi, od anche degli interessati, come parrebbe di capire dalla frase che ne indica la sua intenzione: «Da un lato cercare di capire come sono andate effettivamente le cose», (Igino Piutti, L’assedio della Carnia, p. 6), quasi gli altri non lo avessero mai fatto, dall’altro, «provare a comprendere perché in tutti questi anni, ed ancora ai giorni nostri, si voglia continuare a riproporre un’ interpretazione che non ha molto a che vedere con la verità storica» (Ibid.) il che è insultante per storici e studiosi. Infine a p. 8 dello stesso volume, egli scrive che in questi pochi decenni che ci separano dai fatti «si sono stratificati a coprire la verità cumuli di retorica, strumentalizzazioni di parte, interessi personali a nascondere, falsificazioni a scopo politico» ed insiste, a p. 9 sul desiderio di porsi, nella ricerca della verità, con maggiore onestà intellettuale di quella che sin qui si è usata.  Pare quindi che la storia abbia atteso proprio lui per sondare la verità oggettiva, e che altri abbiano solo scritto fesserie o abbiano piegato la storia a interessi di parte.

CONCLUSIONI.

E mi fermo qui, anche se potrei andare avanti ancora, ricordando il testo di mio fratello sempre su L’assedio della Carnia” leggibile in: https://www.nonsolocarnia.info/marco-puppini-partigiani-come-causa-di-tutti-i-guai-lassedio-della-carnia-di-igino-piutti/ e sottolineando che non intendo esprimere parere alcuno sulla persona di Piutti, ma solo sulle sue opere. E questo ‘Il ritorno del cosacco,’ mi pare raccolga una serie di congetture buttate là, talune proprio ‘senza capo né coda’. E mi chiedo, per terminare, se il cosacco che scrive il diario non sia Piutti stesso, visto come scrive in modo forbito, in un continuum con il resto del testo, e dato che non esistono riferimenti oggettivi all’ originale. Ma può essere così, ma può non essere così … Senza voler offendere alcuno, senza voler mancare di rispetto al dott. Piutti o voler ledere la sua onorabilità, ma per esercitare il diritto di critica su due libri a mio avviso pessimi, ed invitando il dott. Piutti a continuare a scrivere ma non su temi resistenziali, termino questo mio.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

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