Sfoglio quasi stancamente ‘La Carnia di Antonelli’, quel frutto di lavoro corale dei 7 membri del gruppo “Gli Ultimi”, che realizzò un sogno ed una proposta culturale di salvezza degli archivi fotografici.

Sarebbero finite in qualche discarica forse abusiva o sul greto di un fiume quelle lastre tanto preziose, scattate dal farmacista fotografo di Enemonzo, se due o tre giovani non le avessero salvate dall’oblio e dalla distruzione: erano Tarcisio Not, Sergio Marini e Dino Zanier, del gruppo “Gli Ultimi”.

Ma il lavoro non era finito: le lastre si dovevano stampare, si voleva giungere ad una mostra, ad una pubblicazione, ed in quei primi anni ’70 era tutto più difficile e complesso di ora, quando scannerizzare fotografie è quasi un gioco da ragazzi. Ma per il libro si trovò, nell’udinese, chi quel lavoro lo faceva, e forse Marco Lepre Tarcisio e Sergio, non senza patemi d’animo per il rischio di rottura del materiale, portarono quelle lastre per i fotoliti necessari. Poi la prima mostra intitolata: “Il lavoro in Carnia nella fotografia di Antonelli”, una chicca inserita nella “Settimana carnica di cultura”, organizzata dal Circolo Universitario Culturale Carnico assieme al Gruppo ‘Gli Ultimi’, tenutasi all’Albergo Roma dal 23 al 29 settembre 1973.

 Non abitavamo tutti a Tolmezzo, ed allora era più difficile, senza cellulari, email e quant’altro coordinarci, e poi mancavano i soldi per un lavoro così importante. Devo dire purtroppo che, nonostante le richieste di contributo, non ci vennero incontro il comune, o la Comunità Montana, la provincia od altri, ma chi credette davvero in quel libro tutto da impostare furono Michela Cadau Cavallo e la Cooperativa Aquileia, Carlo Bressan del Circolo Arci ‘A. Collavini’ di Aiello del Friuli e la Cooperativa Libraria Universitaria Editrice di Trieste, ‘Cluet’.

Non solo. Scegliemmo una chiave di lettura che lasciava in secondo piano le scelte del fotografo per cercare, sugli sfondi, la vita reale della Carnia, la povertà e le donne utilizzate sempre e comunque come portatrici, ma che, al tempo stesso, valorizzava le foto del lavoro industriale ed industrioso, sinonimo del progresso che avanzava (si vedano per esempio le immagini sulla Cooperativa Carnica, quelle scattate alla Solari, quelle dei gessini e della segheria De Antoni, quelle sulla costruzione della cartiera di Ovaro e sulla passerella sulla forra del Lumiei) ed i paesaggi. Inoltre ci tengo a precisare che non era uomo da fotocronaca l’elegante farmacista di Enemonzo, ma aveva sposato la ritrattistica e la pittofotografia, propria del tempo.

Ed infatti una critica al volume verrà dal grande fotografo udinese Riccardo Toffoletti, che sottolineò, con la sua solita pacatezza, che a suo avviso il libro non rendeva esattamente le scelte del fotografo, e che le immagini avrebbero dovuto, a suo avviso, esser pubblicate integre, senza evidenziare particolari, pur sottolineandone il grandissimo valore.  Ma bisogna dire che il pubblico premiò la nostra scelta di parlare di Carnia attraverso Antonelli e non solo di Antonelli attraverso Antonelli.

Il fotografo Umberto Antonelli in famiglia. (Da: http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/antonelli-umberto/).

Così Toffoletti diceva alla presentazione del mio lavoro su Vittorio Molinari nel lontano 2007: «Umberto Antonelli era nato a Padova e, laureatosi in farmacia, si portò ad Enemonzo, svolgendovi anche l’attività di fotografo. Essendo farmacista, si intendeva di problemi chimici, utili per lo sviluppo, ed amava viaggiare per la Carnia, visitandone i paesi, con una valigia in cui teneva la macchina fotografica ed una in cui teneva i vestiti caratteristici per una donna locale. Quando raggiungeva un abitato, cercava la donna più bella, la vestiva in modo perfetto, e la poneva accanto all’arcolaio, accanto alla fontana del paese, accanto ad un edificio caratteristico, e così la fotografava. Era una fotografia costruita, costruita benissimo, ma che però ha mostrato una Carnia che non esisteva, che non è mai esistita, perché la Carnia era altra cosa». (1).

Il pittorialismo, secondo quanto scrivono Françoise Heilbrun e Quentin Bajac, conservatori del Museo d’ Orasay di Parigi (2), nacque in Inghilterra come espressione della società fotografica Linked Ring Brotherhood, che voleva sostenere il valore artistico del mezzo fotografico e che si ispirava alla confraternita dei Preraffaeliti, sorta in età vittoriana ed espressione del decadentismo e del romanticismo ottocentesco, riprendendone gli ‘stilemi’. Quindi il pittorialismo si diffuse in particolare nei paesi dell’Est fino a raggiungere gli Stati Uniti (3), portando con sé il suo modo direi quasi ampolloso ed artificioso di leggere la realtà.

E se guardiamo un quadro di Edward Robert Hughes e alcune immagini fotografiche pittorialistiche, potremo coglierne le somiglianti tecniche interpretative, nonché il simbolismo soggiacente. (4).

Però non possiamo negare che alcune foto di Antonelli siano anche foto di atelier, ove il fondale è rappresentato da una fontana, da un focolare, da una strada, ove la posa imperversa sovrana, con una scelta sapientemente studiata degli elementi in gioco fra primo piano e sfondo, e dove ben poco è lasciato al caso. Ma in questo modo, come ben sottolineava Toffoletti, la fotografia diventava un ‘medium ‘ poco oggettivo di rappresentazione della realtà. Infine non possiamo negare che Umberto Antonelli prediligesse una fotografia ‘etnografica’ ricercata, legata ai costumi delle donne, ben lontana dal realismo di Giuseppe di Sopra, che fotografò negli stessi anni. 

Le giovani donne in posa di Antonelli- scrivevamo nel testo di presentazione al volume intitolato “Ideologia e realtà” – finiscono per rappresentare un mondo idilliaco, fatto di sobrietà semplicità, saggezza ancestrale, cancellando miseria, sporcizia, tribolazioni, calamità, ma anche, dico io, influenze religiose o politiche.

Foto di Umberto Antonelli da:“La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà”, Centro Editoriale Friulano, prima ed., 1980, pagina non numerata.

Riprendo a sfogliare il volume, e mi proietto in quegli anni lontani, dove eravamo pieni di entusiasmo, in quel lavoro collettivo che rappresentò per noi “La Carnia di Antonelli” che giustamente scrive Tarcisio Not, è stato uno dei libri più diffusi sulla Carnia ed in Carnia. (5). E mi ricordo, per esempio, Remo, il ‘dotto’, che curava la parte paesaggistica, Marco Puppini, che intesseva le parti fra un capitolo e l’altro, io e Dino che riempivamo con brani ed interviste le parti accanto alle fotografie, Tarcisio che tirava fuori la lettera di John Bianchini, inviata al cugino da Oakland in California il 20/12/1922, gli altri che curavano la parte fotografica, scelta pure insieme, e che tenevano i contatti con il grafico Calligaro, oltre che occuparsi dell’ introduzione e della burocrazia che ruotava intorno a quest’opera di spessore, che seguiva la Settimana Carnica di Cultura ed il famoso filmato “Ventaglio di Autunno”.

«Carissimo Cugino», scrive John Bianchini, sono ammalato, i miei propositi così si sono spezzati. Inoltre avevo guadagnato grazie ad un negozio di generi alimentari che avevo realizzato e condotto, e tutto sarebbe andato per il meglio se la mia famiglia fosse riuscita a raggiungermi, ma le attuali leggi sull’ emigrazione in Usa lo vietavano. Allora ho lasciato gli affari e mi sono portato in Canada, per vedere se quel paese fosse più magnanimo, ma mi sono ammalato ed ho speso tutto anche per mantenere la famiglia in Italia, dove il fascismo cerca la scalata, grazie alle scissioni ed all’incapacità e tradimento del Partito Socialista.

Sogna ancora John Bianchini la resurrezione del proletariato in Europa, ma vorrebbe pure comperare dei libri per cercare di curarsi da solo quel maledetto ginocchio che gli fa male, e scrive al cugino pure che, dove si trova, le strade sono tutte asfaltate, anche quelle di campagna. (6).

Ho riportato la sintesi della lunga lettera di John che chiude il libro per chiarire che le fotografie, da sole, come del resto i quadri, non possono descrivere sentimenti, storie, codici non scritti. A questo sono dunque servite sia la lettera di John, sia l’intervista a gna’ Emma e le altre interviste riportate a spezzoni: a cercare di ricostruire una vita a tutto tondo, con i suoi problemi, le sue fatiche, le sue regole.

Un paio di anni fa ho scoperto su internet che “La Carnia di Antonelli” era così ricercata che una copia della stessa (che ha raggiunto la quinta edizione, se non erro) era stata posta in vendita non so da chi a 100 euro, e forse anche per non lasciare che qualcuno speculasse, e per permettere che chi non aveva ancora questo volume lo comperasse, il gruppo Gli Ultimi, di cui io non faccio più parte dal dicembre 2007, ha deciso di ristamparlo.

E termino questi miei pensieri riprendendo da John Bianchini il valore dei libri, sottolineato anche da Michael Ende nel suo “La storia infinita”, rammentando che molti emigranti leggevano per esempio “I Miserabili” di Victor Hugo, e che altri operai, come i fratelli Lucchini, si cimentavano ad ascoltare, appuntare e rileggere note sul materialismo storico e sul socialismo, non certo semplici.

Infine i più maliziosi non pensino che ci siamo arricchiti con “La Carnia di Antonelli”, abbiamo pagato i debiti contratti per la pubblicazione e reinvestito nelle successive edizioni oltre che in Nort, il giornale della montagna friulana ed in altre attività culturali, tra cui ricordo i miei “Cooperare per vivere” e “Vittorio Molinari, commerciante Tolmezzino, fotografo”.

E con questo chiudo invitandovi, se lo desiderate e non lo possedete, ad acquistare “La Carnia di Antonelli”, anche se capisco che ora il momento economico è critico. Invito inoltre chi amasse le foto della vecchia Tolmezzo e non solo, ad acquistare, invece, il mio: “Vittorio Molinari, commerciante Tolmezzino, fotografo”, edito nel dicembre 2007, sempre dal gruppo Gli Ultimi assieme a Cjargne Culture. E se ho scritto qualche inesattezza, prego i soci del Gruppo Gli Ultimi di farmelo presente mediante magari un commento.

L’immagine che accompagna l’articolo è di Umberto Antonelli, e rappresenta Elsa Fazzutti, poi la partigiana garibaldina ‘Vera’ di Forni di Sotto alla fontana.

Laura Matelda Puppini

Note.

(1) Riccardo Toffoletti. Sulla fotografia di Vittorio Molinari. Presentazione del volume sul fotografo tolmezzino, in www.nonsolocarnia.info.

(2) Françoise Heilbrun e Quentin Bajac, La photographie, ed. Scala, 2000, pp. 99 – 117.

(3) Ivi, p. 104 e p. 99; https://en.wikipedia.org/wiki/The_Linked_Ring.

(4) https://it.wikipedia.org/wiki/Preraffaelliti.

(5) https://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2021/02/04/news/la-carnia-di-antonelli-il-farmacista-fotografo-che-immortalo-il-friuli-1.39859306.

(6) AA.VV., La Carnia di Antonelli. Ideologia e realtà, Centro Editoriale Friulano, prima ed. 1980, pp. 211- 212. 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/vera-modella-di-Antonelli-053.jpg?fit=580%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/vera-modella-di-Antonelli-053.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniARTE E FOTOGRAFIASfoglio quasi stancamente ‘La Carnia di Antonelli’, quel frutto di lavoro corale dei 7 membri del gruppo “Gli Ultimi”, che realizzò un sogno ed una proposta culturale di salvezza degli archivi fotografici. Sarebbero finite in qualche discarica forse abusiva o sul greto di un fiume quelle lastre tanto preziose, scattate...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI