Ho promesso ad Emanuele Facchin, nuovo presidente della Pro Loco di Tolmezzo, queste due righe che molto volentieri pubblico, facendogli i migliori auguri per questo nuovo impegno culturale e sociale.

IL LUOGO DELLA FESTA.

La festa del Borgàt a Tolmezzo si svolge, tradizionalmente, in occasione della Madonna del Carmelo detta anche del Carmine, che cade il 16 luglio di ogni anno.

Non so da cosa derivi il nome ‘Borgàt’ dato alla zona sud della terra di Tolmezzo, quella che circonda la chiesa di Santa Caterina, da cui esce la statua della Vergine per la processione, ma ha sicuramente a che fare con il termine ‘borgo’, e con un suffisso ‘at’ che pare non nobiliti proprio la piazza e quelle vie. Invece sappiamo, da Claudio Puppini, che la zona a meridione della sopraccitata chiesa era chiamato, ai primi del 1400, “borgo vecchio” o “del mercà”, e che pare sia stato il primo nucleo del paese, il più antico, se non altro «perché sorgeva in prossimità dell’unica sorgente che sgorgava in Cascina, ai piedi di Pra’ Castello». (1). Io credo però che questa sia stata anche la zona più povera della terra Tolmezzina, con il Foràn, via contadina, di stalle, case, poche stanze e promiscuità (2). E vi è un motivo se, nell’incontro tra ricchi e poveri’, di cui parlerò poi, il Borgàt viene rappresentato dai meno abbienti, da una serie di figure talvolta caricaturali piuttosto ‘scalcinate’, mal vestite, dal parlare colorito e magari con il fiasco in mano.

La pubblicazione del quaderno dei Camerari di San Martino (3), ha portato nuove acquisizioni sulla toponomastica antica tolmezzina. Innanzitutto sappiamo che a Tolmezzo venne concesso il mercato, prima presente solo a Gemona, intorno al 1255, perché in un documento così datato si fa menzione dello stesso. Quindi esistevano, ad un certo punto, due luoghi: uno detto “mercato vecchio” citato in un testamento del 1350, che verosimilmente è l’attuale piazza Mazzini (4), ed uno detto “mercato nuovo” (5).

Infine veniamo a sapere, dalla stessa fonte, che in Tolmezzo esisteva una piazza nuova superiore (presumibilmente quella della chiesa di San Martino) (6) forse prima detta ‘mercato nuovo’, ed una zona detta “mercato inferiore” (7), che si ritiene fosse sempre piazza Santa Caterina.

E Claudio Puppini precisa che inizialmente Tolmezzo era formato, a suo avviso, da «un borgo edilizio già per buona parte aggregato lungo la strada principale e condensato, originariamente, forse già prima dell’ istituzione del mercato, attorno a due nuclei più antichi: quello inferiore con l’insula tra il Forame e l’attuale via Giovanni da Tolmezzo e gravitante attorno alla chiesa di Santa Caterina, e quello superiore a ridosso della piazza maggiore dominata dalla chiesa di San Marino e caratterizzato dall’insula del Borgo della Muffa e del Borgo nuovo» (8), posto fra le attuali via Quintiliano Ermacora  e via Cavour.

Per inciso ricordo che, quando ero piccola, se non erro, lo spazio immediatamente esterno a porta di sotto, ora piazza Domenico da Tolmezzo, veniva chiamato “piazza delle capre”, per il mercato di animali che vi si teneva periodicamente, e l’attuale piazza Garibaldi veniva detta “piazza dei porcelli” per lo stesso motivo.

LA CHIESA DI SANTA CATERINA.

Per quanto riguarda la chiesa di Santa Caterina, essa venne eretta dopo la chiesa dedicata a San Martino, di cui si ha notizia fin dall’ XII° secolo. (9).

Da quanto si viene a sapere da un documento, nel 1371 esisteva, in zona mercato vecchio e quindi nell’attuale piazza Mazzini, una casa di proprietà di Bilisia di Venzone, vedova di Bertolo Desideri di Tolmezzo, che, avendo perso il figlio Antonio, era entrata in possesso dei beni familiari. Ella aveva dato in affitto ‘in perpetuo’ detta casa a Michele di Domenico Naculini con l’obbligo però di pagare 22 denari alla Pieve di Santa Maria (oltre But) ed altrettanti alla Pieve di San Martino. (10).

Non sappiamo poi cosa accadde a detto edificio, se sia andato in rovina o sia stato demolito, o sia crollato con un terremoto o sia stato lasciato alla chiesa o a una confraternita, ma siamo a conoscenza che al suo posto fu edificata la chiesa di Santa Caterina, che quindi potremmo definire Quattrocentesca (11), anche se Silvia Marcolini dice che esiste un documento del 1333 che parla della stessa. (12).

All’ interno della chiesa, che ha perso negli anni la sua configurazione originaria, si trovano sia lo stendardo della Madonna sia la statua che viene portata in processione da abitanti del luogo dotati di scapolare blu su veste bianca. (13).

LA BEATA VERGINE DEL CARMELO.

Il monte Carmelo, letteralmente Kerem-El, cioè «Vigna di Dio» non è un luogo che si trova vicino a noi, ma nell’Alta Galilea, ora Israele, dove si ritiene si fosse ritirato il profeta Elia.

Nel corso del medioevo, si stabilirono sul monte Carmelo alcuni monaci di rito maronita, che incominciarono una vita di contemplazione e preghiera, seguendo poi le indicazioni poste da San Basilio, e che vivevano in piccole celle singole.  Essi dedicarono la chiesetta della loro comunità alla Beata Vergine Maria per distinguersi dai religiosi greci del vicino monastero di Santa Margherita. Così andò a finire che detti monaci eremiti furono chiamati “frati della Beata Vergine Maria del Carmelo”, gli odierni Carmelitani. Quindi il patriarca latino di Gerusalemme, Alberto di Vercelli, scrisse i primi statuti destinati agli eremiti del Monte Carmelo, tenendo conto del loro modo di vivere. Ma, per l’avanzare degli Ottomani, nel 1235 i frati carmelitani dovettero abbandonare l’Oriente, e fondarono un primo convento a Messina, diffondendosi poi sia in Italia che in Francia ed Inghilterra.

Alla Madonna del Carmelo sono legate, secondo il pensiero cattolico, le due promesse fatte dalla Madonna, apparsa a 2 monaci. La prima apparizione viene datata 16 luglio 1251. La Beata Vergine comparì a Simone Stock, che aveva ormai superato gli 80 anni, circondata dagli angeli e con Gesù Bambino in braccio, e porse al frate uno scapolare, una sopravveste diremmo oggi, quasi un grembiule, dicendo «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno» (14). Per questo la Beata Vergine del Carmelo viene ricordata il 16 luglio di ogni anno.

La Madonna comparve poi, una seconda volta, però non ad un carmelitano ma a Monsignor Jaques Duèze, futuro Papa Giovanni XXII, dicendogli: «Coloro che sono stati vestiti con questo santo abito saranno tolti dal purgatorio il primo sabato dopo la loro morte». Per usufruire di questo privilegio, però, la Madonna chiese che «oltre a portare l’Abitino si facessero anche preghiere e sacrifici in Suo onore». (15). E queste indicazioni Mariane furono confermate a Fatima.

Attualmente i cattolici si rivolgono alla Beata Vergine del Carmelo per vari motivi ed anche perché venga abbreviata la pena delle anime in Purgatorio. (16).

IL CULTO E LA FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE A TOLMEZZO.

Secondo Priscilla De Agostini, il culto della Madonna del Carmine o Carmelo a Tolmezzo è presente sin dal 1600, dato che si sono reperite note attestanti l’attività della Confraternita del Monte Carmelo presso la Chiesa di Santa Caterina, sin dal 1627. (17). E, da quello che si sa, detta festa è stata collegata, nel calendario tradizionale agropastorale, alla prima fienagione. «In questo modo tradizione religiosa e contadina hanno avuto modo – scrive sempre la De Agostini, di rafforzarsi a vicenda» (18).

Ma, se la festa religiosa si è tramandata con analoghe caratteristiche e schema tradizionale: funzione religiosa e processione, la festa popolare si è recentemente evoluta, in particolare dopo la prima guerra mondiale. (19). 

Fino a tale periodo, il giorno della festa veniva caratterizzato dalla sveglia data dal suono del ‘campanòn’ alle cinque del mattino, a cui seguivano la Santa Messa e la processione con la statua della Vergine attraverso le vie principali di Tolmezzo. Il percorso processionale «veniva inoltre aperto dal cospargersi di erbe aromatiche ed odorose», fra le quali spiccava il timo selvatico. (20).

Oltre le solenni celebrazioni religiose, la festa del Borgàt si animava pure di giochi, gare, musiche e fuochi d’artificio, che spesso avevano il loro apice in un virtuosismo pirotecnico che simulava l’apparizione della Madonna in cielo, come si ricordava fosse accaduto a Simone Stock, partendo da una nube. (21).

E, sino alla prima guerra mondiale, la festa extra – liturgica si risolveva in «grandi illuminazioni, scampanii, un concerto bandistico e i fuochi di azzardino (“scorvavi” – piccole bombe di carta confezionate in famiglia- e i “surisins” steli secchi di frumento riempiti di polvere nera che, una volta accesi, saettavano come topi). (22).

Le cose cambiarono negli anni ’20, quando la festa divenne appannaggio dell’Organizzazione Nazionale Dopolavoro, espressione del fascismo allora al potere. Dopo la seconda guerra mondiale, dal 1947 in poi, essa fu organizzata da un Comitato spontaneo, che ebbe il suo fulcro nelle figure di Agide Paschini, Beput becjar, e Neto Sclopetìn, (23). Infine, dal 1972, la sua preparazione è appannaggio della Pro Loco.

La festa, ai tempi del Comitato, fu caratterizzata dalla partecipazione corale del Borgàt alla sua realizzazione, con questue spontanee in denaro sia per la chiesa che per la parte popolare, ma in particolare con la produzione di poesie che portavano all’attenzione di tutti i convenuti i problemi del Borgo ed altri aspetti, come in uso in altre parti del Friuli. (24).

L’INCONTRO FRA I ‘SCIÔRS ED I PÔRS, NEL CONTESTO DELLA FESTA DEL BORGÀT.

Infine venne introdotto nel contesto della festa, dopo una storica lite fra i giovani di Chiavris o Cjavrìis, (a nord della piazza XX settembre e fuori le mura) e quelli del Borgàt, l’incontro tra i ricchi che abitavano a nord di Tolmezzo ed i poveri di piazza Santa Caterina e dintorni, come segno di rappacificazione, di cui si ha attestazione scritta dal 1952. Detta lite, causata pure dalla persistente rivalità tra le due zone di Tolmezzo, avvenne forse anche per la dicotomia presente fra la sagra della Madonna del Carmine e quella dedicata al sacro nome di Maria, ricordato il 12 settembre, prerogativa delle famiglie più agiate (25) di cui io però non ho mai sentito parlare, ma anche a causa della divisione logistica fra abbienti e poveracci presente nel paese presumo da secoli, quasi si trattasse di due caste diverse. E, da quello che si sa, furono quelli del Borgàt ad andare ad invitare i ricchi alla loro festa, non viceversa. (26). È interessante sapere che detto incontro, inizialmente, avveniva prima della Santa Messa, perché si doveva entrare in chiesa in pace, non in guerra. Poi venne spostato, per comodità, al pomeriggio.  

E vi è chi pensa che «l’incontro sia stato introdotto nel secondo dopoguerra proprio perché i tempi erano favorevoli: i fatti bellici avevano azzerato le differenze sociali ed economiche all’interno della comunità» (27), anche se io non sono d’accordo con questa visione delle cose, perché differenze di censo persistettero nella cittadina, ed erano presenti anche quando io ero piccola e sono presenti tuttora.

E non è vero che nel Borgàt , negli anni ’50 e ’60 del Novecento, abitassero solo persone poverissime: infatti da anni piazza Mazzini era chiusa dalla casa ove abitavano i Cattaino, ed alla fine di via Roma c’era la casa Valle, con il famoso busto di un Cristo in pietra a cui ho dedicato un articolo (28); e fra la piazza e l’inizio di via Giovanni da Tolmezzo si trova un portone con lo stemma di un leone, che potrebbe sia esser stato aggiunto alla volta, sia indicare la casa dell’acquaiolo, sia forse una casa Janesi, cui ho dedicato un altro articolo. (29). In via della porta di sotto, ora via Giovanni da Tolmezzo abitavano pure le maestre Copetti, Rina Pia e Maria coniugata poi Zarabara, che non erano affatto povere, come non credo proprio che fossero poveri gli altri da me citati in queste righe. Non solo: da quello che so la via Porta di sotto, poi Domenico da Tolmezzo, aveva pure la prima latteria, e la zona si configurava come quella degli artigiani, presente in ogni antico abitato.

Comunque, se volete sapere i personaggi storici di varie edizioni dell’incontro tra i ‘sciôrs’ ed i ‘pôrs’, potete leggere l’articolo della De Agostini che ho citato, prendendo in prestito il volume, che è pure ricco di fotografie, in biblioteca.

Io invece termino qui, ringraziando Emanuele per il suo tentativo di riportare all’antico la festa del Borgàt al Borgàt, come voluto dagli abitanti del borgo e del vecchio mercato, lasciando perdere concerti in Pra’Castello ed altre diavolerie che non ci appartengono.

Se volete aggiungere informazioni, precisare, dire la vostra sulla Festa, fatelo pure, ne sarei ben contenta.

Laura Matelda Puppini.

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Note.

(1) Claudio Puppini, Tolmezzo. Storia e cronache di una città murata della Contrada di Cargna, ed. CO.EL, 1996, p. 54.

(2) Cfr. Laura Matelda Puppini, Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne Culture, 2007, p. 80.

(3) “Tolmezzo medioevale. Il quaderno dei Camerari di S. Martino” a cura di Gilberto Dell’Oste, ed. biblioteca civica di Tolmezzo, 2011.

(4) “Tolmezzo medioevale, op. cit., testamento di Silla da Tolmezzo”, p. 327. Qui si cita un luogo detto: merchato veteri”.  Cfr. pure: testamento di Nicolò del fu Guercello Ganbuzan, p. 290.

(5) Ivi, documento per saldare un debito da parte di Maddalena vedova di Simone Zeza, p. 328. Qui viene citata una casa sita in: “marchado novo”.

(6) Ivi, variazione al testamento di Venuto Machasio di Tolmezzo, 1371, p. 353.

(7) Ivi, disposizione di Menia (Domenica? ndr) vedova di Martino Vidiano, p. 289. Qui si parla di abitazioni che possedeva nella zona detta mercato inferiore.

(8) Claudio Puppini, op. cit., p. 178.

(9) La storia della Chiesa di San Martino è legata alla concessione che papa Innocenzo III° nel 1199 fece ai potenti Monaci dell’Abbazia di San Gallo di Moggio, ai quali fu concesso di edificare una cappella dedicata al culto di San Martino, proprio entro il perimetro murario di Tolmezzo. Successivamente la cappella venne dotata di cimitero e fonte battesimale venendo così a svolgere, a pieno titolo, la funzione di chiesa parrocchiale, per gli abitanti della cittadina carnica, in sostituzione della Pieve di Santa Maria Oltre But. (Silvia Marcolini, Tolmezzo dalle sette chiese, in Tumieç, atti del 75° congresso della Società Filologica Friulana, tenutosi il 4 ottobre 1998, ed. Società Filologica Friulana, 1998, p. 640.

(10) “Tolmezzo medioevale, op. cit. Disposizioni di Bilisia di Venzone”, p. 187.

(11) Ibidem.

(12) Silvia Marcolini, op. cit., p. 646.

(13) Cfr. il video sulla processione in: https://www.youtube.com/watch?v=rxwK5XdXTz4.

(14) https://it.wikipedia.org/wiki/Nostra_Signora_del_Monte_Carmelo.

(15) Ibidem.

(16) Ibidem.

(17) Priscilla De Agostini, Reinventare la tradizione: l’incontro tra ricchi e poveri alla sagra del Borgàt, in: Tumieç, op. cit., p. 495.

(18) Ibidem.

(19) Ivi, pp. 495- 496.

(20) Ivi, p. 496. Sarebbe da chiarire, dato che dal testo della De Agostini non si capisce bene, se i partecipanti alla processione si cospargessero di erbe aromatiche o cospargessero il terreno con le stesse, come con petali di rosa al tempo del Corpus Domini.

(21). Ibidem.

(22) Ibidem.

(23) Ibidem. Dalla nota 8 allo scritto, a p. 506, veniamo a sapere che Bepo becjar era Giuseppe Flamia, macellaio, mentre resta ignoto il nome di Neto Sclopetìn, che vi invito a comunicarmi se lo conoscete.

(24) Ivi. p. 496.

(25) Ivi, p. 495 e p. 498.

(26) Ivi, p 499.

(27) Ibidem.   

(28) Laura Matelda Puppini, “Preziosismi in Carnia: il redentôr in piazza (S. omesso senza sapere da me autrice ndr) Caterina a Tolmezzo”, in: In Carnia, numero agosto 2014.

(29) Laura Matelda Puppini, “Tracce del passato a Tolmezzo: Quella testa leonina … in: In Carnia, numero giugno 2014.

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L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle che correda il testo di Priscilla De Agostini, op. cit., in Tumieç, op. cit., e si trova a p. 498. Essa ritrae l’incontro del 1972 tra un rappresentante dei ricchi, Francesco Tosoni,  ed uno dei poveri, ‘Selar’, di cui non è riportato il nome, nel contesto della Festa del Borgàt. L.M.P.

 

 

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