Ho ascoltato oggi, 27 marzo 2019,  un interessante incontro presso l’isis F. Solari di Tolmezzo, promosso da Cramars nel contesto di Innovalp. Esso si intitolava: “La montagna nelle traiettorie del futuro”.

Vorrei proporre in questo mio articolo alcune considerazioni  sull‘intervento di Roberto Siagri, che ci ha mostrato scenari inimmaginabili anche negli anni ottanta del secolo scorso: robotica, tecnologia, stampanti 3 D, intelligenza artificiale hanno cambiato il mondo, portando a quella che viene definita la quarta rivoluzione industriale, e quindi ancora centrata sulla produzione e sul prodotto.

Le rette non bastano più a rappresentare su di un piano cartesiano il progredire di alcune funzioni, e le curve tendenti all’infinito hanno preso il posto delle prime, troppo limitate e limitanti. Ora per una sola ricerca su google si utilizza lo stesso numero di calcoli che servirono per il programma Apollo, che portò l’uomo sulla luna, mentre cellulari e computer hanno riempito le nostre case e quello al silicio rappresenta la sfida del domani, assieme ai calcolatori quantistici. L’economia ormai viaggia sull’immateriale, su dati e calcoli ‘senza peso’, così come la finanza, che ebbe inizio con gli studi fatti dal monaco francescano fra Luca Bartolomeo de Pacioli, padre della ragioneria, che voleva salvare anime, e viaggiava fra pratico e speculativo. (https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Pacioli).

A questo punto, di fronte a queste meraviglie, uno potrebbe chiedersi se il senso del limite, nel mondo della tecnologia, della digitalizzazione, del calcolatore, abbia un senso. Eppure lo ha, se si considerano più variabili interagenti nel sistema virtuale collegato alla realtà. Un giorno lessi da qualche parte che anche la combinazione delle note per creare armonie non era infinita. Ed ancora: il mondo virtuale potrebbe condizionare quello politico e la democrazia stessa; potrebbe cambiare le regole del gioco e portare a scenari autoritari alla Orwell, ed i giovani potrebbero iniziare a confondere mondo virtuale e reale pensando di poter fare nella realtà tutto ciò che è virtualmente possibile.
E poi quelle immagini di bimbi e adulti che muoiono, oggi, per fame e guerre ci porta ad una triste realtà di sopraffazione e possesso di beni comuni, di accentramento di ricchezze che, per un motivo o per l’altro, si è sviluppata negli ultimi tempi a livello vertiginoso, ma presente anche prima solo non evidenziata ed in sottofondo. E se mancherà l’acqua moriremo tutti, perché temo che nessuno sia riuscito ancora a produrla, non si sa a che costi, con una stampante 3 D, ed a farla circolare come Dio volle sul pianeta. Può darsi che un giorno qualche laboratorio ci riuscirà ma forse sarò troppo tardi per l’umanità.

Il tempo delle ‘cose’ e dei ‘processi’, il lento adeguamento della società a nuovi schemi di vita, (che potrebbe essere anche un bene), e l’inquinamento possono essere i limiti del sogno del progresso in funzione dell’uomo e dell’umanità in cui crede Siagri. Scrivevano Marx ed Engels, che il mutare della struttura produttiva e dei rapporti produttivi è molto più veloce della modificazione della sovrastruttura sociale, cioè del modo di pensare, del diritto, della politica, dell’etica, della religione, dei rapporti sociali che tendono ad adeguarvisi. E per loro la sovrastruttura dipende direttamente dalla struttura, cioè la vita sociale ed il pensiero dipendono strettamente dall’economia e dal sistema produttivo. Quanto marxisti sono i nuovi capitalisti! Ed un nuovo modo di vivere e pensare, plasmato sul mondo economico, si forma per passaggi successivi e progredenti. In sintesi struttura e sovrastruttura sono in continuo rapporto dialettico, nella concezione materialistica della storia, (cfr. https://www.lacittafutura.it/cultura/struttura-e-sovrastrutture), e, per Marx ed Engels, è  il modo di produzione della vita materiale a condizionare il processo sociale, politico e spirituale, non viceversa. (http://www.treccani.it/enciclopedia/struttura-sovrastruttura_(Dizionario-di-filosofia)/

Corrono a due velocità diverse struttura e sovrastruttura, mentre, in un discorso meramente materialistico, le idealità paiono escluse. Insomma prima mutano i sistemi economici e di produzione poi la società e l’uomo li recepiscono.

Le finalità della vita paiono non dipendere dai sistemi produttivi ma non è così. Può il capitalismo conciliarsi con il pane ed il benessere per tutti? Può conciliarsi con la pace nel mondo? Perché vi è anche chi, non credendo in tutto quello che ci narrano sulle possibilità della robotica e della scienza e sui risparmi possibili in un futuro non lontano, si accaparra intanto tutto, e poi si vedrà.

La parola ‘progresso’ ora si è riempita di significati diversissimi dai primi Novecento, quando era il treno a vapore che correva sulle nuove rotaie a rappresentarlo. Ora si vola, ora milioni di informazioni vengono scambiate in un attimo, ora, però, la comunicazione non ha più la salvaguardia del sigillo del re.

Prima il mulino era mosso da forza animale ed umana, e si viaggiava a piedi o a cavallo, i tempi di percorrenza dei tragitti erano lunghissimi, la vita trascorreva in un battito d’ali. E questi mondi e società, improntati su tribù in cammino, in opposizione, in relazione, in interscambio fra loro, in convivenza anche pacifica senza mille confini, rappresentano per noi una sfida nel cercare di immedesimarsi per capire, per comprendere, per non confondere ciò che per noi è immaginario e per loro fu realtà. Perché le popolazioni antiche credevano davvero che un dio potesse avere la forma del cane, o che Zeus fosse l’artefice del lancio dei fulmini.  Poi, attraverso il Rinascimento, nuove conoscenze anche meccaniche presero piede in una Europa che si avviava verso l’industrializzazione, dopo aver creato il razzismo. E l’energia prodotta dal carbone ne fu l’artefice.
Ma mentre la vaporiera ed i battelli a vapore cambiavano l’universo del possibile, uomini che avevano vissuto in simbiosi produttiva con la natura venivano spazzati via assieme ad equilibri ancestrali, senza che ne si vedessero dei nuovi e dei possibili, anche perché il sistema produttivo industriale, sinora, non si è retto sull’eguaglianza fra gli uomini, ma sulla diseguaglianza, fra pochi ricchi e molti poveri.

Quindi la terza rivoluzione industriale con l’energia elettrica, che ha però prosciugato fiumi e corsi d’acqua e violato paesaggi anche con gli elettrodotti, ed infine la quarta rivoluzione che si regge su computer, stampanti 3 D, economia globalizzata come la finanza, ma che si è distaccata sempre più dai valori etici, che alcuni ritengono prioritari, come riferimento, anche in un processo di progresso tecnologico avanzato, ma purtroppo altri no. Con la tecnologia moderna presto daremo da mangiare a tutti, diceva Siagri, consumeremo meno energia, e sostituiremo il concetto di proprietà con quello d’uso in condivisione, perchè non possiamo più utilizzare tante materie prime, ma intanto il soggettivismo e l’individualismo diventano sempre più esasperati, senza lasciar spazio a cooperazione e condivisione alcuna. Ed il ‘coworking’ e tante altre forme di collaborazione restano spesso solo sulla carta.

Pare quasi che i neoliberisti siano più materialisti e marxisti di quei quattro poveri comunisti che lottarono per un pane per tutti, concetto molto cristiano, e che invece furono avversati dalla chiesa stessa.

Negli anni sessanta produrre un iPad sarebbe costato milioni di dollari, ora molti ce l’hanno. Ma a cosa gli serve se non hanno la libertà? Ed una società dei consumi ne produce anche di fittizi, come sottolineato pure da Siagri. Ma in questa era simbiotica fra uomo e macchina, tra mondo della tecnologia e della vita reale, che ha delle sue regole, dei suoi confini, dei suoi limiti, che ruolo possono avere la spiritualità, il sogno, la religione, le grandi finalità dell’esistenza umana sulla terra? Perché quello che ci ha descritto Siagri  è un mondo sempre contenuto in una visione materialistica dell’essere e della storia, che tende ad imporsi cancellando il resto.

Roberto Siagri ha anche sottolineato la valenza della creatività per una società futura, ma paradossalmente sempre di più le persone tendono all’appiattimento del pensiero, ad essere uomini – robot, medici robot, e via dicendo, il che non comporta il pensare. Perché pensare implica cogliere le differenze, sviluppare con disciplina e intelligenza le proprie conoscenze, unendole in modo strutturato, saper applicare il metodo scientifico, saper usare il ‘pensiero divergente’, cioè esser capaci di trovare soluzioni diverse ad un problema modificandone la percezione, il che è difficilissimo, utilizzare il ‘problem solving’. E finchè Copernico non superò la concezione antica del moto degli astri e dell’etere nei cieli, e riportò il sole al centro, non ci si avvicinò mai ad una visione più corretta del sistema che ora chiamiamo solare.  Non per nulla si dice che si andò dal sistema tolemaico alla rivoluzione copernicana. Invece la sovrastruttura sociale basata sui consumi non trova nello sviluppo dello studio e delle capacità intellettuali grossi sostenitori, ed è costretta ad ammassare tutti entro confini di emotività soggettiva, di vincenti e perdenti, di sopravalutazione della prestanza fisica, per forza di cose circoscritta nel tempo, rispetto ad altre possibilità, e si è sempre più convinti che basta sapere quattro cose ed avere un pizzico di infarinatura insieme ad un pizzico di sballo, per essere felici.
Inoltre la capacità di pensare e ragionare va coltivata, mentre a conoscenza si aggiunge conoscenza, ad elaborazione elaborazione, in un sistema sempre più strutturato ma anche volto al diverso dal noto. E ci vogliono curiosità intellettuale e scambio reciproco per poter coltivare questo giardino. Non per nulla ora si parla di progettazione in team.

E mentre il denaro sta diventando il parametro su cui si discriminano vincenti e perdenti, come fossimo ritornati ai tempi degli antichi romani, paradossalmente la gran massa dei viventi sul pianeta ne ha sempre di meno, ed il lavoro, che lo permette, tende a sparire, senza che si capisca come si risolverà questa antinomia.  Possiamo immaginare il futuro del 2040 o 2060? Forse no, forse la tecnologia, come diceva Siagri, viaggia a velocità tale da non permetterlo, ma è anche vero che non sappiamo cosa inquinamento, nuove malattie, nuovi rapporti di vita ci riservano. E neppure la tecnologia lo sa o forse lo sa e non vuole dircelo.

Ancora una considerazione sul ‘gap’ tra sviluppo esponenziale tecnologico e la realtà del mondo presente. Un giorno sentivo, ad Udine, su di un autobus, due signori non giovanissimi parlare dello sviluppo delle tecnologie mediche. «Ora, diceva uno, se hai un problema hanno macchinari talmente sofisticati che ti salvano sicuramente», sposando così un concetto di potenzialità della tecnica superlativo, quasi avesse vinto la morte. Ma la morte non si può vincere. E poi la realtà è ben diversa ed ogni persona è unica, anche se il mondo medico tecnologico tende alla massificazione ed ai protocolli diagnostico- curativi, che rappresentano secondo me e dalla mia personale esperienza, una aberrazione, rischiando fra l’altro di seguire mode e mercati. Inoltre mentre macchinari sempre più sofisticati vengono prodotti, ben poche aziende sanitarie riescono a comperarli per i noti limiti di bilancio, ed ad avere personale specializzato per utilizzarli al meglio. Inoltre l’ultimo alluvione ci ha dimostrato che se gli sbarramenti dei fiumi possono essere controllati da computer, proprio quando vi è una situazione di emergenza essi possono andare in tilt per mancanza di corrente elettrica. E vi fu un caso sicuramente, forse in Veneto, in cui lo sbarramento rimase chiuso provocando il mancato deflusso regolare delle acque e più danni. Inoltre se vi è stato un errore da parte della tecnologia, qualora esso venisse rilevato, si potrebbe prendere in considerazione come correggerlo, ma nella società odierna, per motivi assicurativi , di prestigio, di responsabilità civili e penali spesso informazioni su errori anche da parte di macchinari possono venir occultate, impedendo di volgere ad ulteriori miglioramenti. Inoltre l’uomo ha bisogno di comunicare con l’uomo, non di vivere in uno spazio virtuale che rischia di trasformarsi nel meraviglioso mondo di Amely con ben pochi contatti con la realtà, con cui tutti dobbiamo fare i conti. Non da ultimo Siagri ha detto che la sostenibilità del futuro non appartiene più ai grandi agglomerati ma alle periferie, non appartiene alla concentrazione ma al decentramento, ma intanto la realtà sta andando in senso opposto. E le sei D che egli vede nel futuro (Digitalization, Deceptive, Disruption, Demateralization, Demonetization, Democratization) non si sa che impatto avranno sul contesto reale e sociale, o almeno io non l’ho capito. Per esempio vi è chi, anni fa, ha sottolineato il rischio di non avere moneta reale, che comporta di non valutare bene la spesa. E poi che senso ha togliere realtà alla vita? E cosa significa democratizzazione in questo contesto fortemente globalizzato e tecnocratico?

In sintesi ed in chiusura a me pare che la realtà non segua l’andamento dei sogni di chi crede che tecnica e scienza modificheranno in positivo il mondo reale, e che sempre più un modo di vedere le cose appartenga anch’ esso al mondo virtuale, mentre a livello sociale alla perdita dei valori tradizionali si è sostituito un nulla, pericoloso e tendente al soggettivismo esasperato. E non è tutto ingegneristicamente definito nella vita umana e funzionale ai commerci: ci vogliono anche i sogni, le idealità, l’etica, la filosofia per realizzare un mondo nuovo.

E per ora mi fermo qui, rimandando, se ne avrò il tempo e le forze, alcune considerazioni sugli altri due interventi al prossimo articolo.

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L’immagine che correda l’articolo rappresenta gente in affari nel mondo virtuale, è libera da diritti ed è tratta da: https://it.dreamstime.com/illustrazione-di-stock-gente-di-affari-di-internet-mondo-virtuale-image80244740

Laura Matelda Puppini

 

 

 

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