Essendo vicini alla Pasqua, ho deciso di pubblicare la terza parte della mia piccola rassegna sui riti nella settimana santa, questa volta con particolare riferimento alla Val Canale e Canal del Ferro. Pongo, in premessa, una parte, da me tradotta dal friulano, presa da un eccellente lavoro di Renzo Balzan (Edelweiss): Tradizion e usancis tal timp di Pasche Maiòr, Andrea Moro ed., 2014, che pubblico con il permesso dell’autore.

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La grande festa, in casa di Zuan, era la Pasqua. Per i bambini scoppiava la mattina della domenica quando uno o l’altro di loro, dopo lunga attesa, indossava i pantaloni nuovi o quello più grandicello metteva le scarpe, le prime grandi e con la punta “americana” che non facevano male ai piedi, tanto grandi che dovevano durare sempre e che Tita le aveva usate anche il giorno delle nozze.
Le donne e le ragazze, invece, cominciavano Pasqua il venerdì Santo, quando toglievano pentole e ciotole, e staccavano i secchi e portavano fuori la rastrelliera della cucina sul selciato. Poi incominciavano a fregare il rame con un misto di farina e aceto e ponevano i bricchi ed i coperchi, lucenti, sui balconi.
Per Zuan, invece, prima della Resurrezione veniva la “Passione”, che iniziava il mercoledì santo, quando le campane della pieve suonavano l’inizio delle funzioni della Settimana Santa. Zuan, allora, abbandonava i suoi strumenti di lavoro, si lavava viso e mani, poi mandava a prendere la giacchetta di velluto per i giorni della festa, si pettinava i baffi, e tirava fuori dal cassetto il libro nero degli”Uffici”, vecchio, con i punti di cucitura grossi ed i fiocco rosso a tenere il segno sulla prima lamentazione del profeta Geremia. (Balzan Renzo, Tradizione ed usanze nel tempo di Pasqua, Andrea Moro ed., 2014, p.3).

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Nella settimana Santa i bambini si recavano presso le ricche famiglie del paese a prendere le catene del focolare che poi, con gran fracasso ed allegria, trascinavano lungo le strade e gli acciottolati. Le portavano indietro pulite dalla fuliggine e lucenti, ed in cambio ricevevano qualche soldino. Durante le giornate in cui le campane tacevano, le funzioni in chiesa erano accompagnate dal suono di “scraçulis e batacui” , raganelle e pendagli, di diversa forma e grandezza.

Il venerdì santo nessuno lavorava, si pregava, e le preghiere di quella giornata avevano una virtù particolare, che veniva così descritta: «Tante stelle sono nel cielo, tante gocce sono nel mare, tanti peccati Dio ci può perdonare». Si credeva, pure, che il vino bevuto in quella giornata, si tramutasse tutto in sangue.
La sera del venerdì santo si svolgeva la tradizionale processione, accompagnata dal rumore di “scraçulis e batacui”, raganelle e pendagli. Le vie erano illuminate da stoppini imbevuti di petrolio, a cui si dava fuoco quando la processione si avvicinava. (Ivi, p. 13).

Il venerdì Santo è il giorno in cui le campane tacciono, il giorno del rumore delle raganelle, il giorno della processione della via Crucis. Durante la settimana santa si svolgevano, pure, sacre rappresentazioni e rituali di penitenza, come le flagellazioni, ora vietate.

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In alcuni paesi vengono allestiti i Sacri Sepolcri, di origine medievale. Nei Sepolcri del goriziano, e non solo, ad esser rappresentati erano soprattutto i soldati romani posti a guardiare la tomba del Signore, mentre Gesù veniva collocato disteso, coperto da un velo. La sua grandezza era sempre minore di quella delle guardie, ed intorno al Sepolcro venivano poste piante, lumini, fiori. L’usanza di costruire il Sepolcro monumentale, con assi leggere di legno, è presente anche in Carinzia ed in Slovenia (Ivi, p.62). Le famiglie, a turno, si avvicendavano nella preghiera, e nella veglia. (Ivi, p.62)»

Nel Tirolo austriaco, invece, sono gli gli altari ad esser addobbati a festa durante il Venerdì Santo della Settimana Santa, in preparazione della Pasqua, ed ad esser allestiti come Sepolcri  – ci ricorda Alessio Varisco. (Alessio Varisco, I Santi sepolcri nella settimana di Passione in Austria, in: http://www.antropologiaartesacra.it/). Infatti come precisa Bartolo Salone, «Il termine “sepolcro” viene utilizzato ancor oggi nel linguaggio popolare di alcune regioni del Sud Italia per indicare quello che più propriamente andrebbe definito come “altare” o “cappella” della reposizione. L’altare della reposizione, per intenderci, è quello “spazio” della chiesa allestito al termine della “missa in cena Domini” del Giovedì Santo destinato ad accogliere le specie eucaristiche consacrate e a conservarle fino al pomeriggio del Venerdì Santo, quando, al termine della liturgia penitenziale, verranno distribuite ai fedeli per la comunione sacramentale». (Bartolo Salone, I Sepolcri del giovedì Santo fra fede e tradizione, in: http://www.laperfettaletizia.com/2012/04/)

«Quest’opera di ingegno, talune volte una vera e propria merlettatura di fiori profumati che aumentano oltremodo la suggestione, si svolge […] in molti piccoli centri. Meticoloso e grande il lavoro che gravita intorno agli altari che consentono di ricostruire in maniera plastica -delle volte estremamente fantasiosa, ma comunque bella ed espressiva- il Santo Sepolcro. Il prototipo è il sepolcro di Gesù Cristo in Gerusalemme. (…). Tutti questi gesti -siano essi fiori intrecciati in corone o architetture riproducenti a livello mensurale o in proporzione l’edicola della Sepoltura nella Chiesa della Risurrezione gerosolimitana- esprimono non solo degli ornamenti votivi, bensì in essi è possibile scorgere la grande devozione del popolo e la grande venerazione per il Redentore, […]. Quest’usanza collezionò un ampio consenso nei tempi trascorsi ove davanti alle chiese ed alle cappelle si dava spesso seguito ad una veglia. Tale prassi con l’alternanza di guardia organizzata è ciò che accade in Austria ancora oggi presso alcune località tirolesi in cui si celebrano veglie per presidiare il Sepolcro» (Ivi.). Tale usanza, sempre secondo Varisco ebbe il suo apice «nell’età barocca, seppure sul finire del Settecento e gli inizi dell’Ottocento si giunse a bollarla come “forma di venerazione infantile” per poi -in seguito- addirittura proibirla. Fu così che andarono smarrite molte preziose opere artistiche di quell’epoca così fervida di pietà popolare, significativi esempi di devozione. La tradizione riprese nuovamente piede solamente dopo la seconda metà del XX secolo quando furono ricostruiti ed agghindati con passione nuovi altari». (Ivi). I più prestigiosi Santi Sepolcri del Tirolo sono nella chiesa: di St. Andrä a Lienz, di Patscch, di S. Valentin presso Nauders e di Laurentius a Wattens, risalenti ad un periodo fra metà 1700 e metà 1800, ed ognuno ha sue caratteristiche peculiari, descritte da Varisco. (Alessio Varisco, op cit.. Cfr. anche: Pasqua. I Santi sepolcri pasquali in: http://www.tirolo.com/eventi-primaverili).

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Per quanto riguarda l’alta Val Canale, in diverse chiese, per esempio in quelle di Pontebba, San Leopoldo, Ugovizza, Valbruna, Cjampros di Tarvisio, veniva allestito il Santo Sepolcro, (Renzo Balzan, op. cit., p.56) mentre il Canal del Ferro viene ricordato maggiormente per le Processioni del Venerdì Santo.

Ad Ovedasso, frazione di Moggio Udinese, la processione si svolgeva nelle vie del paese in orario tale da non interferire con quella che avveniva a Resiutta. Infatti il Venerdì Santo gli abitanti di Resiutta, cioè i resiuttani, salivano in processione al monte Calvario, ed erano ben visibili da Ovedasso. A chiusura della processione vi erano qui come là, dei giovani che scandivano il ritmo delle preghiere con la batule (attrezzo composto da una tavoletta percossa da un martello). Anche a Resiutta si ricordano dei ragazzi che accompagnavano con forte rumore la processione. (Antonino Danelutto, La religiosità nel Canal del Ferro: i percorsi del sacro, in: L’incerto confine, quaderno n.7 dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’arte, 2000, p. 113). Per quanto riguarda la chiesetta costruita sul monte Calvario, si narra che vi fosse, ai tempi dei turchi, una casetta dove la ragazze andavano a ballare ed a divertirsi con gli ufficiali di quell’esercito. Alla fine della guerra, per riparare allo scandalo, la casa fu demolita ed al suo posto fu costruito l’edificio sacro. (Ivi, p. 112).

Particolare -scrive Antonino Danelutto- è tuttora la processione del Venerdì Santo che da alcuni anni prende avvio da Raccolana, mentre prima si svolgeva solo per le vie di Chiusaforte. Lungo il percorso si può ammirare una grande croce luminosa costruita sopra l’abitato di Raccolana, sul ripido pendio del monte Jame. La croce viene illuminata con 129 candele infisse nel prato sfalciato, ma originariamente venivano utilizzate le conchiglie delle chiocciole riempite di olio raccolto fra la popolazione del borgo, mentre lo stoppino era fatto di cotone per i calzetti, e resta accesa per tutta la durata della processione. Fino agli anni ’50 le processioni venivano disturbate dalle incontenibili raganelle (crâçulis) che si facevano sentire rumorosamente anche in chiesa, sovrastando quella più grande (crâçulon) in dotazione del nonzolo. Poteva poi accadere che il sacerdote avesse difficoltà in chiesa a portare a termine l’officiatura. Da note dell’ archivio parrocchiale si viene a sapere che «Una volta si inginocchiò davanti al popolo, supplicandolo di avere miglior contegno, un’altra volta il chiasso, fatto anche da donne e ragazze munite di raganelle, era così assordante che «i cantori non si capivano fra loro e il sacerdote, dopo aver interrotto più volte la predica, sospese la funzione e se ne tornò in canonica». (Antonino Danelutto, op. cit., pp. 113-114). Infine, dal 1923, si decise di far intervenire alla officiatura anche la forza pubblica, e tutto si svolse più regolarmente.
Inoltre il giorno del venerdì santo a Raccolana, i paesani, invece di salutarsi con “bondì e mandi” come sempre, si scambiavano come saluto: «Sia lodato Gesù Cristo» a cui si rispondeva: «Sempre sia lodato». (Ivi, p. 114).

Anche a Saletto, attualmente frazione di Chiusaforte, si svolgeva la tradizionale processione del Venerdì Santo., che veniva talvolta abbellita da croci luminose distese sui prati della località Cju Câli. (Ivi, p. 114).

A Dogna la processione del Venerdì Santo avveniva solo nel capoluogo. In fondo alla processione e nelle viuzze laterali, venivano posizionate grandi raganelle che disturbavano i canti e le preghiere, mentre in chiesa era ammessa una piccola raganella che aveva il compito di sostituire il campanello.
Alcuni giovani, poi, seguivano il corteo con gabbie di uccelli da richiamo, il cui canto simulava il pianto per la morte di Gesù.
Le case erano illuminate con candele e globi veneziani, dalle finestre pendevano tappeti, drappi e copriletti ricamati e venivano esposte immagini sacre.
Ai lati del percorso della processione veniva sparsa della segatura che, impregnata di petrolio, veniva accesa durante il passaggio del corteo.
«C’è ancora- scrive Danelutto – chi ricorda un vecchio falegname che abitava in paese: al passaggio della processione esponeva sulla soglia di casa una bara aperta che conteneva un crocefisso di legno». (Ivi, p. 115).
Per tutta la giornata di Venerdì Santo e fino alle 10 di Sabato, i paesani si salutavano con “Diu nus salvi”. (Ivi, p. 115).
Il Sabato Santo, dopo il suono del Gloria, gli anziani uscivano dalla chiesa ed andavano a bere alla fontana pubblica l’ “acqua nuova”. (Ivi, p. 115).

A Pontebba, invece, la Domenica delle Palme giungevano e giungono ancora in processione alla parrocchiale i fedeli di Pontafel con rametti di ulivo in mano.

E sempre a Pontebba, la processione del Venerdì Santo, fino a qualche anno fa, veniva allietata dalla banda musicale. Essa sfilava per le vie del paese tra luminarie, fuochi di artificio, palloncini alla veneziana, e veniva preceduta da un anziano che portava una pesante croce di legno, che veniva percossa con dei bastoni da due giovani vestiti con una tunica bianca. (Ivi, p. 115).

Per quanto riguarda la Val Canale, A San Leopoldo, come ad Ugovizza, si teneva una processione il Sabato Santo, detta “Processione della Resurrezione”. Durante la benedizione, a San Leopoldo, venivano sparati mortaretti a spese della chiesa. (Ivi, pp. 132-133).

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Santi sepolcri vengono costruiti anche in altre Regioni d’Italia, per esempio in Sicilia, ma da che mi narrava l’architetto Valerio Risadelli anche in Calabria, a Catanzaro, ove si fa a gara, fra più chiese, ad allestire il sepolcro più bello.
Ed infatti questo ho trovato su: catanzaroinforma del 2014. «È entrata nel vivo la celebrazione del Triduo Pasquale. Da ieri sera tantissimi catanzaresi si sono riversati nelle chiese della città per fare visita ai Santi Sepolcri esposti dopo la Messa in Cena Domini […]. Corso Mazzini è stato attraversato da migliaia di fedeli che anche quest’anno hanno voluto fare visita agli altari della reposizione – rigorosamente in numero dispari – raccogliendosi nella preghiera e nella riflessione più intima ringraziando Gesù […]. Un trionfo di colori ha caratterizzato gli addobbi allestiti dalle diverse parrocchie con tanti fiori a fare da ornamento e vasi germogliati di semi di grano come simbolo di vita». (Si rinnova il rito dei Sepolcri nelle chiese di tutta la città, 18 aprile 2014, in: http://www.catanzaroinforma.it/).

Come si presentano in Tirolo attualmente, i Santi Sepolcri lo si può evincere dall’articolo di Silvia Spada Pintarelli: I Santi Sepolcri in Tirolo, in: http://www.emscuola.org/labdocstoria/storiae/storiaeRD/StoriaE-2010-123/dossier18/pdf/Chiese3_04.pdf.

«Si tratta di costruzioni effimmere, spesso realizzate in legno sagomato e dipinto, che all’interno di un impianto architettonico che può assumere fogge diverse, rappresentano scene della Passione di Cristo, Cristo stesso deposto nel sepolcro e, dopo Pasqua, Cristo risorto. Attorniati da bocce di vetro contenenti liquidi di vari colori illuminate dal retro dalle fiamme delle candele, alle volte decorati con piante, creano un’atmosfera di grande suggestione che induce nello spettatore un forte impatto emotivo e lo coinvolge direttamente nel compianto per il Cristo morto.
L’esistenza di Santi Sepolcri è documentata già dal tardo medioevo. I più antichi erano costituiti da una cassa sopra la quale veniva deposta la statua di Cristo morto. Nella notte di Pasqua la statua veniva nascosta all’interno della cassa e sostituita con l’immagine di Cristo risorto che veniva quindi ‘assunta’ in cielo tramite una corda fissata ad un anello posto sulla sommità della testa dell’immagine stessa, e fatto sparire entro il soffitto della chiesa.
A partire dal Cinquecento, in clima controriformistico e soprattutto per impulso dei Gesuiti, il Santo Sepolcro conosce sempre maggiore diffusione, raggiungendo nel Sei e Settecento, forme molto complesse, espressione tipica del gusto barocco per la rappresentazione illusionistica e teatrale. All’interno delle cappelle laterali delle chiese, ma anche nel presbiterio, vengono allestite grandi “macchine” con architetture prospettiche, colonne utilizzate come quinte, archi, scalinate e balaustre entro le quali si inseriscono le figure della rappresentazione.
Un fondamentale modello per questo Santi Sepolcri è costituito dai disegni e progetti di Andrea Pozzo (Trento 1642 – Vienna 1709), grande architetto, pittore, decoratore e teorico dell’arte».

Certamente in moltissime regioni d’ Italia si possono reperire tradizioni simili, ma non posso certo contenerle in un articolo. Invito pertanto i lettori che volessero approfondire l’argomento, a cercare da soli qualche articolo nel merito.

Nel concludere rimando ai miei due precedenti sempre su questo sito/blog e relativi alla Carnia: Laura Matelda Puppini, Usanze della Settimana Santa in Carnia. (Ultimo aggiornamento lunedì di Pasqua 2015), Laura Matelda Puppini, Usanze della Settimana Santa in Carnia, parte seconda, in particolare a Treppo Carnico. Da Manuela Quaglia, ambedue in: www.nonsolocarnia.info.

Laura Matelda Puppini

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