Ho posto qui quanto detto nel corso dell’ incontro per i cento anni di Confcooperative, arricchito, in alcuni casi, da alcune fonti o mie considerazioni, per l’importanza dei temi trattati in una società ove chi imbroglia gli altri, il cosiddetto “furbetto” pare il più bravo, il più intelligente. Cosa ci possono insegnare i cooperatori di allora, ed ha ancora un futuro il cooperativismo?

Pubblico questo testo in più articoli, perché è davvero lungo. 

INTRODUZIONE DEL RAPPRESENTANTE DI CONFCOOPERATIVE UDINE.

Il rappresentante di Confcooperative ha portato il saluto delle cooperative aderenti all’Associazione, che risultano essere 280 solo in provincia di Udine, ai relatori ed agli ospiti presenti, e quindi ha introdotto la serata ricordando che l’evento è stato organizzato da Confcooperative di Udine per ricordare i 100 anni dalla fondazione di Confcooperative a Padova nel 1919.

E il Fvg ha avuto sempre un’attenzione particolare per la cooperazione: basti ricordare che la prima latteria sociale della Carnia è nata a Collina di Forni Avoltri 140 anni fa. Ed alla fine Ottocento nascevano anche le prime banche di credito cooperativo e casse rurali, basti ricordare quella voluta dal vescovo don Fortunato De Santa per il suo paese, Forni di Sopra, per rispondere alle esigenze delle famiglie in difficoltà e lottare contro l’usura.

Allora i nostri avi avevano capito che cooperare, mettersi assieme, unire le forze, fare gruppo ed aggregazione avrebbe portato sicuramente ad ottimi risultati, in particolare nei tempi in cui vissero. Ed ancor oggi le cooperative sono parte della società, del tessuto sociale, ed hanno sempre contribuito, con il loro operato, con i loro statuti, non solo al progresso nella vita degli associati, ma anche delle comunità di riferimento.  Ora il mondo è cambiato, ma la cooperazione ha ancora un senso.

I SALUTI DELLA SOCIETÀ FILOLOGICA FRIULANA, OSPITANTE.

Quindi ha preso la parola il vicepresidente della società Filologica Friulana, che ha ricordato, tra l’altro, che, nel 1919, veniva creata, a Gorizia, detta Società, di cui pure ricorre il centenario dalla fondazione, e che l’incontro si sta tenendo nella sede storica della Società Filologica Friulana, recentemente restaurata. Quindi ha sottolineato che se la cooperazione riesce a mettere insieme le migliori energie di un territorio, verso una difesa del tessuto economico e sociale, la Società Filologica Friulana ed altre Associazioni similari compiono una azione simile per difendere la lingua, la storia, la cultura, l’arte di un territorio. E non bisogna dimenticare che solo il riconoscersi come appartenenti ad una comunità permette la cooperazione.

PIERO MAURO ZANIN, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE. LE COOPERATIVE COME ELEMENTO PRIMARIO PER RIMETTERE IN MOTO LA SPERANZA E L’ASCENSORE SOCIALE, E RIPORTARE AD UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA.

Dopo l’intervento del rappresentante della Società Filologica Friulana, ha preso la parola il presidente del Consiglio Regionale dott. arch. Piero Mauro Zanin. Egli ha sottolineato l’importanza della presenza del rappresentante del consiglio regionale con funzione legislativa in un contesto ove si parla di etica e di storia e si fa una riflessione sul mondo della cooperazione. Ma partecipando ad attività promosse da cooperative, si notano due livelli di dibattito ed analisi: uno rivolto al passato, a ciò che il mondo cooperativistico ha rappresentato non solo per questi territori ma per l’intero nostro paese, in termini di possibilità di progresso umano e sociale, e di agevolatore della crescita dell’auto- responsabilizzazione; ed uno relativo a quale futuro possa esserci per il mondo cooperativistico, in un momento in cui il valore si sta accentrando in poche organizzazioni, nelle mani di poche multinazionali, che fanno tutto e di tutto.

Questo processo di centralizzazione pare antitetico rispetto alla produzione di lavoro attraverso la collaborazione, che è  la finalità della cooperazione. Tanti che fanno qualcosa insieme: ha ancora un senso oggi? Secondo Zanin il sistema economico e sociale, e di conseguenza quello politico, si scontrano oggi con un problema: quello dell’aumento dell’odio e del rancore che c’è nel nostro paese. E l’odio ed il rancore si alimentano nell’ingiustizia e nella diseguaglianza, che sono frutto pure della perdita di alcuni aspetti sociali che il progresso, non solo visto come economico, doveva garantire: il valore e la dignità della persona e del lavoratore, la conferma dei valori umani e la realizzazione dei diritti umani.

Ed ancora: la diseguaglianza è anche frutto del fatto che si è persa la finalità della produzione in cooperazione, in un mondo in cui il potere politico ed economico sono accentrati nelle mani di poche multinazionali, e vi è stato lo spostamento della produzione di beni e servizi alla leva finanziaria. Infatti la cooperazione produceva beni e servizi dal punto di vista economico, e questa produzione era strettamente legata alla vita dell’uomo, alla sua capacità di creare qualcosa, di fare per sé e per gli altri, verso un miglioramento delle condizioni globali di vita, concetto che non ha nulla a che fare con la mera produzione finanziaria. E la finanza è collegata a ricchezze presenti sulla carta, a ricchezze basate sulla speculazione. Ma allora cosa si è interrotto ed ha creato odio e rancore?

Si è interrotto l’ascensore sociale, si è interrotto quello che la cooperazione ed alcuni ideali garantivano: la possibilità di immaginare, da parte dei genitori, una vita migliore della loro per i figli, una possibilità per loro di crescere a livello sociale, di avere un livello superiore di studio, un ruolo più importante all’ interno dei gruppi di rappresentanza, maggiore dignità.

E questo faceva sì che la società crescesse in maniera lineare, non discontinua. Invece la speculazione finanziaria ha fermato questo processo, ed ora pochi diventano sempre più ricchi e molti diventano sempre più poveri. Ed a questo fenomeno si può ricondurre la crisi della classe media, che era quella su cui si basava l’ascensore sociale che ha garantito il progresso nel secondo dopoguerra. Così la speranza verso un futuro migliore è morta e quando non vi è più speranza nella possibilità di un progresso umano, culturale ed anche economico, nella società si creano odio e rancore. Ed a questo fenomeno la politica come risponde? O cercando di riallacciare le fila dell’ascensore sociale o cavalcando l’odio per creare consenso.

Ma se questa è la situazione che stiamo vivendo, il movimento cooperativistico può essere visto come un elemento che, con vari aiuti, può cercare di recuperare un progresso economico umano e sociale attraverso la produzione di beni e servizi, e quindi dando valore all’economia prima della finanza, e può cercare, pure, di recuperare un percorso di ascensione sociale che permetta un progresso non spinto ma guidato. Chi dovrebbe guidarlo è la politica ma questo è altro discorso.

È chiaro, comunque, che questo tipo di prospettiva, di nuovo ruolo che le cooperative potrebbero avere, (quando si ricordano di essere cooperative, perché non possiamo neppure dimenticare che il sistema cooperativistico ha avuto i suoi fallimenti cercando di inseguire il modello capitalistico della leva finanziaria, della remunerazione, della speculazione), cercando di ricalibrare la loro mission e lasciando perdere la possibilità di fare la brutta copia delle multinazionali, potrebbe dare alle cooperative una connotazione di portatrici di speranza per i singoli, per la comunità regionale, per i nostri figli, di elemento fondante di una società più giusta e più equa.

Come cercare di costruire questo futuro? Non attraverso convegni, ha terminato Zanin, ma attraverso un grosso processo culturale che riporti, in questo nostro, paese a parlare di competenza e di preparazione, mentre ora pare che, per giungere ai vertici del governo e dell’amministrazione della cosa pubblica, la competenza sia un optional, e tutti possano far tutto. Ma per riparlare di competenza ci vuole una grande spinta ideale, come qui avvenne nel secondo dopoguerra ed ai tempi del post terremoto, e bisogna che i sindacati e forse anche i partiti riprendano il loro ruolo, perché per questa via passa il futuro delle nuove generazioni ed anche la possibilità di una comunità di crescere e di essere qualcosa all’interno del territorio in cui vive. In questa ipotesi di cammino, il sistema cooperativistico potrebbe avere un suo ruolo riprendendo la sua ‘vecchia missione”.

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Relativamente all’intervento del Presidente del Consiglio Regionale, confesso che questa è stata una delle poche volte in cui ho ascoltato, da un politico, parole che fanno riflettere, pertinenti al tema, e non di contrasto e non solo formali. Per ora mi fermo qui, dicendo che il prossimo articolo riguarderà quanto detto da Paolo Braida, da me riportato con alcuni approfondimenti.

Questo testo e gli altri relativi all’incontro del 18 novembre 2019 ad Udine, per ricordare i 100 anni di Confcooperative, sono frutto pure dell’ascolto e trascrizione della registrazione da me fatta nel corso dell’incontro pubblico. Preciso che non ho posto in rilettura quanto attribuito loro ai relatori, per motivi di tempo, perché non conosco tutte le email, perché vi è registrazione, e perché in alcuni casi ho completato con approfondimenti. Pertanto io firmo questo articolo e firmerò i seguenti. Se poi avessi compreso male, gli intervenuti sono pregati vivamente di farmelo presente e provvederò a porre i chiarimenti che mi suggeriranno.

Ricordo, come già scritto nell’invito all’evento di Udine,  che il gruppo Gli Ultimi ed io abbiamo concesso il titolo del mio volume “Cooperare per vivere”, edito nel 1988 a Confcooperative per il filmato e l’evento nel segno di una continuità di idealità e pensiero, di valori cooperativi e di lotta all’abbrutimento sociale che accomunava socialisti e cattolici e su cui più che mai ora dovremmo riflettere.

Buona lettura a tutti.

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da:  http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/cella-vittorio/ , è stata scattata da Umberto Candoni, e ritrae un incontro tra i cooperatori a Tolmezzo il 26 aprile 1921, e proviene dal Gruppo Gli Ultimi, archivio Umberto Candoni.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

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