Gigi Bettoli ha pubblicato sul sito storiastoriepn.it il numero unico di “Lotta partigiana a Maniago” uscito il 1° maggio 1946, ad un anno dalla Liberazione, quella Liberazione, da quanto ho letto, che Ignazio La Russa, che all’Italia democratica deve la sua attuale posizione di Presidente del Senato, non festeggierà il 25 aprile (1), benché a mio avviso, lo dovrebbe fare anche per legge dello Stato e perché le destre nazionaliste non possono dimenticare che è la festa che ricorda la liberazione della Nazione Italia dal giogo dell’occupazione nazista. Il motivo? È festa di sinistra (che forse nell’immaginario di La Russa vuol dire di quei rossi sporchi comunisti che ancora ammorbano l’aria, ma può darsi sia solo una impressione mia, e mi scuso subito per averlo pensato). Ma sa Ignazio La Russa che furono i partigiani a mandare a casa, assieme agli alleati (americani, inglesi e russi), i tedeschi occupanti issando nuovamente il tricolore? Non lo so chiediamocelo. Insomma, La Russa vuole pure cambiare la festa del 25 aprile (2) e farla diventare di destra e non più di ricordo anche della lotta partigiana, trasformandola nell’ennesima festa delle FF.AA. senza contenuti e senza distinzioni fra chi stette per i nazisti e chi no, anche essendo delle disciolte FF.AA.? Non lo so, ma chi gli ha domandato del 25 aprile, dato che c’era, poteva chiederglielo.

Ed ancora: sanno i parlamentari quanti ufficiali, sottoufficiali, soldati di diversi corpi delle allora disciolte FF.AA., quanti finanzieri, carabinieri etc. persero la vita e furono torturati per cacciare l’invasore, o sanno solo una vulgata politica e partitica della destra relativamente ai fatti, che ha il nulla a supporto?

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Ma ritorniamo alla X Mas, guidata dal principe Junio Valerio Borghese, filonazista, ed ai suoi reparti di terra utilizzati in una ferocissima attività antipartigiana. Cosa ci narra sulla X Mas questo articolo, scritto ad un anno dalla fine della guerra, con un linguaggio aulico a cui ora siamo poco abituati, ma proprio del momento storico? Vediamolo insieme. Il racconto mostra l’arrivo e quanto fatto dalla X Mas, sconosciuta sino allora, dal punto di vista della popolazione: militi giungono, nell’ autunno 1944, con una bandiera italiana e vestiti in grigio- verde, da qui la speranza che fossero amici, non però palesata perché allora non ci si fidava più di nessuno, poi la presa di coscienza di chi fossero davvero quelli della X Mas, e del terrore ed orrore che seminarono anche nelle case, giungendo di notte, arrestando, portando via, uccidendo. Aggiungo ancora che il testo pubblicato è privo di note esplicative, che ho aggiunto io per voi, lettori. Non solo: per sottolineare che questo articolo non è fazioso ma realistico, ho ripreso qui alcuni stralci dal processo di Vincenza ad alcuni della X Mas, quelli di Maniago, quelli di Conegliano, quelli che operarono in terra veneta e repubblichina. E nel corso dei processi a torturatori nazifascisti nel dopoguerra, molti non vollero parlare pieni di paura di vendette e ritorsioni. Ma fino a che non accetteremo la chiarezza dei fatti e di chi fu la Decima Mas, l’anima dei torturati, delle vittime di quegli orrori da lei, formata da italiani ma al soldo del verbo nazista, perpetrati, aleggerà nell’aria chiedendo giustizia agli increduli ed agli esaltatori dei loro carnefici.

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«X MAS.

(Da: Lotta partigiana a Maniago – numero unico- Nel primo anniversario della Liberazione- a cura dell’Anpi, 1° maggio 1946, p. 23, http://www.storiastoriepn.it/lotta-partigiana-numero-unico-a-cura-dellanpi-di-maniago-1-maggio-1946-primo-anniversario-della-liberazione/).

«Abituati ad incontrare lungo le strade l’odiata divisa tedesca, usi a sentire, prima nell’anima che nei timpani, prima nello spirito che nella carne, la staffilata di canzoni ritmiche e gutturali, salutammo in cuor nostro quasi con gioia l’arrivo dei primi autocarri che portavano un reparto in grigio-verde: perché in essi garriva, baciato dal pallido sole del tardo autunno, garriva al vento il tricolore nostro (3), perché avremmo forse riuditi i canti della nostra giovinezza e del nostro riscatto, perché osavamo sperare che al momento buono i fratelli ci avrebbero tesa una mano e prestata un’arma, avrebbero fatto causa comune con noi, si sarebbero come noi e con noi apertamente ribellati al giogo pesante ed umiliante che ci fiaccava, ci abbruttiva, ci uccideva. Ma non si manifestò questo saluto, non venne espresso: lo tenemmo in noi, lo carezzammo, […].

E nell’attesa, nella trepida attesa di un segno, di un sintomo, di un indizio atto ad orientarci, ecco il primo fatto che ci lascia perplessi, che ci fa dubitare, che offusca la nostra speranza, anche se non la cambia ancora in disperazione: l’arresto del Commissario prefettizio, che non si era affrettato a far affiggere manifesti di saluto alla ‘X Mas’,  e che non aveva imposto quello che la popolazione avrebbe fatto spontaneamente se la sua infallibile sensibilità non le avesse fatto comprendere che non si trattava punto di amici, di fratelli, di italiani. (…).  Ma altri fatti dovevano accadere subito dopo il cui significato purtroppo era inequivocabile e preciso: partenze di armati verso la valle del Colvera e la valle Meduna che è quanto dire contro le formazioni di giovani volontari che, spinti da un’ideale di libertà, si erano rifugiati sui monti a tener accesa la fiaccola dell’amor patrio.

La nostra speranza, divenuta subito dopo perplessità, s’era ormai tramutata in dolore lancinante, in spasimo atroce: dolore e spasimo tanto più acuti quanto più carezzata era stata la speranza, quanto più viva l’aspettativa. E fu con la morte nel cuore che ci ritirammo nelle nostre case quelle sere, con la morte nel cuore e la disperazione nell’ anima, che cercammo conforto nella pace della famiglia […].

Ma neppure nelle case fummo al riparo da tante atrocità, ché l’eco delle cannonate della guerra fratricida si ripercuoteva fino a noi trascolorando il viso alle donne, interrompendo il sonno dei bimbi che- nei nostri sguardi addolorati ed abbattuti, sfiduciati e stanchi – non potevano più trovare la necessaria quiete per il sonno ristoratore. E nell’agitazione della notte insonne, ecco di tanto in tanto, fra l’uno e l’altro colpo di cannone, un rumore d’auto in corsa ripetersi regolarmente, tanto da imporsi quasi con la forza di un incubo. Che sarà? Che vorrà dire?

La risposta non tarda a farsi conoscere ché tutti, pur chiusi nelle proprie case, che il coprifuoco vieta di lasciare durante le ore notturne, hanno modo di intenderla: o direttamente o dal trambusto nelle case vicine. È una pattuglia che, comandata personalmente dall’eminenza nera della divisione, il famigerato comandante dell’Ufficio I (4), va di casa in casa ad operare arresti e perquisizioni.

“Decima” si sente rispondere burbanzosamente chi, prima di aprire, domanda chi abbia suonato o bussato. “Decima” e significa sopraffazioni e maltrattamenti, arresti e ricatti, violenze e torture.

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Implorano le spose che si vedono portar via il marito, piangono i bimbi che la partenza del babbo piomba come in un inconscio senso di abbandono, si disperano le mamme sulle quali si abbatte improvvisa la catastrofe che avevano tanto paventata. In un attimo crollano loro d’intorno tutte le speranze sulle quali avevano costrutta la loro vita; tutte le illusioni di salvare il figlio dall’ artiglio grifagno del feroce invasore si infrangono rivelando l’inutilità di tutti i loro sacrifici, e gridano, gridano forte questo loro strazio, questa rovina della loro esistenza… Ma inutilmente ché hanno orecchi, non cuore, non anima i vili prezzolati i quali, pur in mezzo a tante lacrime e fra tanto cordoglio, non esitano a saccheggiare, a rubare, a distruggere finanche, con la sola voluttà, sadica forse, di lasciar traccia del loro passaggio.

Ed al pianto rispondono con un riso di scherno, con una sghignazzata rispondono all’implorazione, con oscene e volgari ingiurie alla prorompente disperazione di chi è strappato a forza dal figlio, dal marito, dal padre …

Ad ogni viaggio, l’automobile il cui rumore grava ancora come un incubo pauroso sull’animo di molti, rovescia nelle carceri giovani e vecchi, uomini e donne, colpevoli solo, molto spesso, di aver dato asilo a chi, per non lavorare coll’invasore o combattere al fianco di esso, si era dato alla macchia.

E spose e madri incarceravano gli aguzzini, onde costituirsene prezioso ostaggio in vece del marito, giovani spose che un bambino ancora lattante avrebbe dovuto additare come sacre ed inviolabili ed alle quali, invece, la creatura veniva strappata dal petto.

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Oh, la sofferenza, la spasimante sofferenza di quei giorni tormentati! Tutti sembravamo invecchiati, fiaccati nell’anima e nel corpo, preda di un terrore tanto più giustificato quanto più impotente.

Ed ogni giorno credevamo di aver toccato il fondo della sofferenza, ogni giorno speravamo di essere ormai alla fine, ed invece assistevamo ogni giorno ad altre nefandezze, ad altri crimini.

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Chi, chi potrà dimenticare le sevizie e le percosse inferte ai nostri giovani?

Come dimenticare che a certuni, denudati fino alla cintola e bagnati di alcool, venne poi appiccicato il fuoco? Chi non ricorda che qualche giovane è morto sbranato dai cani aizzatigli contro dopo di averlo frustato a sangue? Ed altri ed altri episodi ancora di feroce barbarie si potrebbero citare, tutti compiuti in nome di un idolo ormai infranto, di un ideale prima tradito che raggiunto, di una giustizia sempre pronunciata ma mai veramente perseguita.

Ma per tutti valga il ricordo della lunga teoria di carcerati il giorno in cui, da Meduno, l’Ufficio I si trasferì in Maniago. No erano tutti uomini quelli che scesero quel giorno dall’autocarro che trasportava i prigionieri: erano masse di carne ed ossa piagate e sanguinanti, erano misere creature che per trascinarsi avevano bisogno di essere sorretti da due compagni di pena.

Allora anche gli uomini piansero di rabbia impotente e di collera incontenibile: piansero maledicendo la vita ed invocando la morte, mentre le donne come sempre nei momenti dell’esistenza in cui sembra incombere su tutti un fato tragico, si riunirono in Chiesa per una supplice ardente preghiera.

Vani riuscirono tutti i tentativi per indurre gli aguzzini ad avere pietà, vane tutte le esortazioni di personalità anche eminenti. Furono inesorabili, e molti giovani presero la via della Germania di dove ancora le loro madri, con cuore volta a volta spezzato dall’angoscioso timore od esaltato dalla più acceda speranza, ne spiano invano il ritorno.

Non nominiamo alcuno, specialmente perché non potremmo qui segnalare anche tutti coloro che, per lo stesso ideale, se non nelle stesse circostanze, subirono la prigionia, dove la morte li colse un po’ per giorno, in un’agonia lenta ma inesorabile, in una presa che ne fiaccò il corpo senza però prostrarne lo spirito. Questo non è morto, non può essere morto e noi lo sentiamo ora attorno a noi, vorrei dire in noi, per esortarci sulla via che Essi hanno seguita: la via del sacrificio, sia pure, ma anzitutto e soprattutto la via del dovere.

Tiva».

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L’articolo è corredato da un riquadro dove si legge: «Mentre salutiamo con cordiale affetto e profonda riconoscenza chi ha sofferto per la nostra gloriosa idea, non possiamo tacere il nostro sdegno verso coloro che direttamente o indirettamente sono i responsabili dei feroci rastrellamenti tedeschi e più della famigerata X Mas. Le responsabilità delle sevizie e della morte di elementi che, anche estranei al movimento partigiano, innocentemente sono stati colpiti, dovrà gravare eternamente sulla coscienza di coloro che con il fascismo volevano salvare le loro posizioni privilegiate».

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Questo articolo veniva scritto ad un anno dalla liberazione, e riporta, sulla Decima Mas, quello che altri riportarono nei processi.

Dal processo di Vicenza alla X Mas.

«Il Randi Alietto (verb. dibat. f. 223) fu arrestato a Maniago sempre da elementi della Mas comandati dal Bertozzi: il Randi, che aveva militato già in Albania alle dipendenze del Bertozzi, glielo rammentò, e allora il Bertozzi si risentì perché il Randi non entrava nella Xª, e lo fece bastonare da un sergente mantovano, dandogli del traditore. Però, non
essendovi prove della sua appartenenza al movimento partigiano, fu per il momento lasciato stare. Ma, a sua volta, il Banchieri lo schiaffeggiò, percuotendolo poi con un nervo di bue (18 nerbate) e poi gli fece dare altre 18 nerbate dal sergente Anichini». (5).

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«Crozzoli Domenico di Tramonti di Sotto (verb. dibat. f. 289) appartenente al locale C.L.N., il
giorno 3 dicembre 1944, in occasione del rastrellamento operato in quella zona dai militi dell’ufficio I della X Mas, fu costretto a presentarsi in Municipio, ove trovò il Banchieri, che aveva in mano l’elenco dei componenti il comitato. Furono poi condotti avanti il Banchieri anche gli altri membri del Comitato Avon Vincenzo (lett. depos. vol. 4 f. 10) e Beacco Angelo, ufficiale postale (lett. depos. vol. 4 f. 48).

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Il Crozzoli fu schiaffeggiato: gli altri due furono torturati dal Banchieri e suoi accoliti. Furono fustigati anche sotto i piedi nudi. Il Banchieri si dilettava a incidere con la punta del pugnale una Xª sul cuore, e sulle carni ammaccate, “per farlo guarire più presto” diceva. Il Beacco fu costretto a togliersi la scarpa destra, e lo percossero al piede nudo, con un rigo, finché il rigo si spezzò. poi il Banchieri fece spogliare il Beacco fino alla cintola, lo fece stendere a terra e lo percosse per forse mezz’ora con un legno robusto. Ebbe il Beacco la schiena tumefatta per 70 giorni e dolora al piede per 20 giorni. Nuovamente interrogato, fu poi torturato nuovamente nello stesso modo». (6).

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«Il 28 novembre 1944 ebbe luogo un rastrellamento in Chievolis di Tramonti di Sopra, e il Bertozzi arrestò il partigiano Chegozzi Sante, il quale fu trasportato a Meduno, e quivi interrogato a bastonate dal Bertozzi, con conseguenza di malattia per 12 giorni. Il boscaiolo Mongiat Mario (verb. dib. f. 291) fu arrestato il 1.12.44 e bastonato dal Bertozzi e nelle carceri di Meduno trovò il dott. Boranga e altre 50 persone. Nel corso dell’attività antipartigiana del reparto comandato dal Bertozzi in quel di Conegliano rimase ucciso il 20 novembre 1944 in S. Fior di Sotto (Conegliano) il contadino Collot Domenico in circostanza di tale gravità di
persuadere la pubblica accusa a elevare contro il Bertozzi stesso, come diretto responsabile, l’imputazione di omicidio volontario, consumato con sevizie e crudeltà. (…). La vedova dell’ucciso, Grava Ines, che è venuta all’udienza portando seco un bambino che non era ancora nato quando fu ucciso il padre, (verb. dib. f. 279) ha narrato che il mattino del 19.11.44 vennero 30 soldati della Xª al comando del Bertozzi a cercare un  prigioniero inglese: il Collot Domenico, che non era nemmeno partigiano, li  accompagnò nel campo (dove esistevano i nascondigli) di proprietà di Zanatte Nicola (verb. dib. f. 281). Furono subito rintracciati il proprietario Zanatte e il suo fittavolo Casagrande, e , mentre in quel momento nulla fu fatto contro il Collot, un milite immobilizzò lo Zanatte, mentre il maresciallo Banchieri, per ordine del Bertozzi, lo bastonò, e il Bertozzi poi si divertiva a scottarlo con la sigaretta accesa. Di poi lo Zanatte fu condotto in caserma, e scottato con ferri roventi al basso ventre. Del pari, fu bastonato il Casagrande; allo Zanatte furono anche rubati 42 metri di corda nuova. Gli esecutori furono il Banchieri e un altro. La vedova la mattina seguente vide comparire nuovamente il Bertozzi con la squadra, e il marito fu subito malmenato, e anch’essa fu bruciacchiata con la sigaretta. Contro il Collot poi Bertozzi e compagni inferocirono: egli fu condotto dentro in casa denudato e percosso e gli fu spezzata una gamba. Quindi la casa fu devastata, e furono portati via tutti i generi alimentari, biancheria, biciclette. Infine il Bertozzi percosse nuovamente il Collot, disse che sarebbe stato fucilato, e mandò a chiamare il sacerdote. Poco dopo il Collot fu condotto fuori e fucilato nel cortile.». (7).

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«Si è giunti ora all’ultima fase dell’attività delittuosa dell’ufficio I della X Mas, che si è chiusa in questa provincia, e precisamente in zona di Thiene e di Bassano del Grappa, onde la competenza per concessione di questa Autorità Giudiziaria – che ha disposto il Supremo Collegio – per la cognizione tutti i delitti commessi dai pervenuti dall’ 8 settembre 1943 al giorno della liberazione. Nella zona suddetta il Bertozzi, che risiedeva a Thiene con l’ufficio I, eseguì tra il febbraio e il marzo 1945 varie operazioni contro i partigiani e loro favoreggiatori, coi soliti arresti e interrogatori con mezzi coercitivi. Bassale Ernesto (verb. dib. f. 202) Lorenzini Antonio e Fabris Pietro (verb. dib. f. 203) la sera del 22.2.45, reduci dal lavoro presso l’organizzazione Todt, sostarono in una trattoria a Lugo di Vicenza.
Poco dopo entrarono nell’esercizio tre militari della X Mas, e il Lorenzini uscì subito per non essere perquisito, essendo armato. Quelli della Mas gli andarono dietro e gli intimarono il “fermo” sparandogli contemporaneamente contro. Il Lorenzini sparò a sua volta, e rimase ucciso un militare. Di conseguenza i tre operai furono arrestati e tradotti alle scuole, e vi
rimasero tre giorni, del comune di Lugo V., ove furono violentemente percossi. Condotti poi alle carceri di Thiene, subirono le solite violenze del Banchieri. Il Bazzale afferma di ben conoscere il Banchieri, perché questi lo interrogò più volte. Il Bertozzi comandava, ma non usò loro violenze». (8).

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«La staffetta partigiana Meneghini Pacifica Zaira di Marostica fu arrestata in casa dal Banchieri la sera del 28 febbraio 1945. Tradotta alle carceri di Thiene, vi trovò il parroco di Nove di Bassano don Panarotto, il capitano partigiano Bressan, e altri detenuti. Essa fu interrogata dal Bertozzi, con l’aiuto del Banchieri, che la seviziò applicandole la corrente elettrica alle orecchie e agli occhi e bastonandola a sangue. Gli ordini relativi partivano dal Bertozzi. Poté notare che don Panarotto e certo Stevan erano in brutte condizioni per le percosse ricevute: il Banchieri, spacciandosi per medico, e ripetendo il tentativo osceno fatto in precedenza alla teste Perin Angela (v. verb. dibat. f. 275) e ad altre donne, fra cui una signora di Milano, voleva eseguire un esame ginecologico sulla paziente, e infine le fece delle proposte oscene, respinte con indignazione. La teste comprese che ciò era nel sistema del Banchieri, tanto che, quando questi uscì dalla stanza, i soldati di guardia le chiesero se egli le avesse fatto proposte vergognose». (9).

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«Il parroco di Nove di Bassano, don Luigi Panarotto (verb. dibat. f. 215) teneva nascosto in canonica il capitano partigiano dott. Lino Bressan. la notte del 1°marzo 1945 si presentarono elementi della X Mas e chiesero del parroco. Questi, comprendendo il motivo della visita, non rispose e incaricò il cappellano don Mario Molinari (verb. dibat. f. 215) di rispondere che il parroco (che intanto si era nascosto) era assente.
Entrarono Bertozzi, Banchieri e un altro sergente, ai quali il cappellano disse che il parroco non c’era. I tre gli si scagliarono contro e lo tempestarono di pugni e calci, malgrado le rimostranze del prete, che protestava per l’offesa recata alla veste sacerdotale. Furono maltrattati anche i vecchi genitori del Parroco e un loro nipote. Per quattro ore di seguito il don Molinari, sempre sotto le percosse, fu costretto a seguire dappertutto i militari nelle loro perlustrazioni. Finalmente fu scoperto il nascondiglio del parroco e quello del Bressan. A quest’ultimo non fu fatto nulla, perché disse subito che era un ufficiale e che esigeva il trattamento spettante agli ufficiali prigionieri. Il don Panarotto invece, fu trattato malamente dal Bertozzi, che lo colpì con una staffilata al viso, presenti i genitori. Ammise di possedere armi, perché aveva capito che il Bertozzi ne era informato. Fu tradotto alle carceri di Thiene, ove fu denudato e percosso a sangue per l’intera giornata: la camicia era tanto impregnata di sangue che aderiva alla carne. Gli fu applicata la corrente elettrica alle orecchie, e poi nuovamente bastonato, per punizione di aver falsamente giurato che il Bressan non era in casa. Da notare che il Bertozzi, escludendo – malgrado le prove che il sacerdote fosse stato seviziato – ammise di averlo schiaffeggiato, appunto perché il don Panarotto gli aveva giurato di non avere in casa il Bressan, come se il sacerdote fosse tenuto a un giuramento estortogli e, in ogni caso, pronunciato al solo scopo di salvare l’ospite! Da Thiene il don Panarotto fu tradotto a Padova, a disposizione del maggiore Carità, a Palazzo Giusti, ove fu selvaggiamente seviziato dal Banchieri, tanto che intervenne perfino il Carità a far desistere il Banchieri. Ebbe persino degli strappi ai testicoli. Fu liberato dai partigiani il 27.4.45.

Molte cose sottrasse il Bertozzi, parte di proprietà personale del Parroco, parte di proprietà del beneficio parrocchiale, o affidategli da privati – come risulta fagli elenchi in atti. L’oro della parrocchia, al momento della liberazione, fu consegnato al parroco di Thiene, che lo fece restituire al don Panarotto. Molte altre cose non furono restituite, onde si giustifica la costituzione di P.C. del don Panarotto». (10).

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«L’insegnante Sartori Lino, di Pozzoleone (verb. dibat. f. 204) partigiano, fu arrestato dal Banchieri il 2.3.45 e condotto in carcere a Thiene, ove fu interrogato dal Bertozzi, che dirigeva le torture, eseguite dal Banchieri, e talvolta anche dal Bertozzi medesimo. ordinò il Bertozzi che lo bastonassero per 3/4 d’ora: invece il trattamento seguì per un’ora e mezza. Il Banchieri
a un certo punto si arrabbiò, perché gli si era rotto il frustino, e allora continuò ad adoperarlo dalla parte del manico. Durante la sua carcerazione, la sua casa fu saccheggiata dalla X Mas. Il teste ricorda di una ausiliaria della Xª. Voleva che egli si leccasse il sangue che sgorgava dalle sue ferite, e al suo rifiuto, gli diede due ceffoni». (11).

«Farina Ermenegildo, capo partigiano, colpito da una grossa taglia (verb. dibat. f. 221) fu arrestato la notte del 10 marzo 1945 dalla G.N.R. di Thiene e consegnato al Bertozzi.
Fu sottoposto dal Bertozzi a interrogatorio, e poiché si rifiutava di dare le proprie generalità, fu, per ordine del Bertozzi fatto bastonare dal Banchieri e sottoposto a scosse elettriche – e ne ebbe le mani rattrappite, e anche la frattura di una costola. Il Bertozzi gli disse di aver seviziato anche il Sartori. Il Bertozzi dirigeva gli interrogatori: dava gli ordini (di alternazione della corrente) e il Banchieri eseguiva […]». (12).

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«E così basti ricordare che in molti e molti casi si sottoponevano i pazienti a trattamenti con la corrente elettrica: si introducevano spilli sotto le unghie delle dita delle mani e dei piedi, si penetravano con verghette d’acciaio le piante dei piedi, si punzecchiavano al petto e alla schiena gli interrogati, in modo da tatuare la lettera X: si colpivano (sistema più frequente) con bastonate e nerbate – fino a 200 – con uso di verghe e nervo di bue, o scudisci o cinghie.
L’efferatezza in molti casi consisteva nel moltiplicarsi e nel prolungarsi delle sofferenze, con gli interrogatori alternati a sevizie per molte ore di seguito. Spesso si stringeva con un cappio al collo il paziente, fin quasi a soffocarlo, e quando questi era svenuto, lo si faceva rinvenire con secchi d’acqua gelata (il Banchieri aveva inventato un tipo speciale di nodo scorsoio) e il paziente era poi mandato a godere il fresco di dicembre sull’alto della torre del castello di Conegliano, senza alcun riparo». (13).

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Ragazzi, poco più che bambini, venivano torturati ed esposti a mille disagi. Si ricorse anche a qualche novità, forse per porgere qualche svago agli esecutori: una coppia di inquisiti, che dovevano battersi l’un l’altro, come i lottatori del circo, aizzati dagli aguzzini, e percossi da costoro, sol che diminuisse l’ardore della lotta. Più volte i cani poliziotti furono aizzati e azzannarono i pazienti, e taluno giunse persino a una sessantina di morsi. Qualcuno, battuto sulla schiena a dorso nudo, con la pelle ridotta tutta a una piaga, fu costretto a rivestirsi e a dover soffrire le torture dei panni che si attaccavano alle piaghe. A vari patrioti, persino a un sacerdote, furono legati i testicoli, e dati strappi e strattoni dolorosissimi. Ad altro veniva legata attorno alla fronte una cordicella, la quale veniva gradatamente stretta col mezzo di un pezzo di legno, girato a guisa di vite. Va notato che molte tra siffatte sevizie lasciarono tracce che furono accertate a mezzo di perito, e che, persino, per i fatti di Maniago e Conegliano, la cosa destò tanto scalpore e indignazione, che dovettero occuparsene persino le autorità repubblicane, e fu preso fin d’allora qualche provvedimento.  (14).

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In un certo senso vanno considerati alla stessa stregua delle gravi sevizie materiali, anche quelle morali, come, si dice, lo sputare ripetutamente in faccia a un invalido di guerra, l’inscenare la macabra commedia della finta fucilazione, per spaventare gli arrestati e i loro congiunti, l’offendere deliberatamente il pudore delle donne arrestate denudandole, e percuotendole in presenza di molte persone, o , col pretesto di una visita medica del genere di quelle che si passano alle prostitute, costringendo le donne a esibire le parti genitali, […]. (15).

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Queste testimonianze sono riportate nella 7a parte del testo sul processo di Vicenza, ma vi sono anche le altre sei di cui troverete la seconda e la quarta rispettivamente in: “Processo di Vicenza a membri della decima mas 2° parte”, in:  (https://it.politica.internazionale.narkive.com/pSGl1lqN/processo-di-vicenza-a-membri-della-decima-mas-2-puntata) e la quarta: “Processo di Vicenza a membri della decima mas 4° parte” in: https://it.politica.internazionale.narkive.com/gAEB5Qn9/processo-di-vicenza-a-membri-della-decima-mas-4-parte.

Inoltre finirono sotto processo anche Junio Valerio Borghese, protetto, pare, dal Vaticano, comandante della Xa Mas ed altri, ma nessuno pagò realmente per tutto quello che la Decima filonazista fece, compresi i feroci rastrellamenti, la strage di Forno di Massa e l’uccisione del carabiniere/eroe Ciro Siciliano, che corse a difendere la popolazione inerme, e via dicendo.

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Vorrei che leggessero questo articolo tutti quelli che esaltano la X Mas e che portano nello spazio repubblicano del comune di Gorizia le sue bandiere, vorrei che leggessero questo articolo coloro che, avendo acquistato la stampa o la ristampa di Antonio Toppan “Fatti e misfatti in Carnia durante l’occupazione tedesca – narrazione obiettiva, Val Degano, 25 luglio 1943 – 5 maggio 1945”, Tip. V.I.T.A., 15 novembre 1948” hanno pensato che quelli della Decima erano dei benemeriti.

Invito chi lo desiderasse e non lo avesse già fatto, a leggere pure su www.nonsolocarnia.info:

Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori.

No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici.

Sole De Felice, La Decima Flottiglia Mas e la Venezia Giulia, 1943-45, un libro davvero brutto e fuorviante.

Laura e Marco Puppini. Su quel dissacrare la Resistenza che ha radici lontane: Antonio Toppan ed il suo: Fatti e misfatti … .

Pace e Pacificazione: dell’ambiguità dei termini, dei concetti e dei contesti, nella lettura di fatti storici.

Ed ancora cfr. le schede:

Salsa Vittorio Veneto 6-2-1945.pdf; Santa Caterina Lusiana 23-02-1945. pdf; SESTO CALENDE 18-19.06.1944.pdf; Stragi decima mas Silvella Cordigliano 14-2-1945.pdf, ed altro materiale presente in rete, ed il bellissimo volume di Ricciotti Lazzero “La Decima Mas, Rizzoli ed. 

Laura Matelda Puppini

(1) https://www.adnkronos.com/ignazio-la-russa-non-celebro-questo-25-aprile_11sZgYEo8qR9XygEfdNtA2.

(2) Per il 25 aprile cfr. Laura Matelda Puppini. “25 aprile: festa della Liberazione d’Italia. Da che cosa?” – Tarcento 27 aprile 2019.

(3) La X MAS, che era sotto diretto comando dei tedeschi (Cfr. il mio: Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori, in: www.nonsolocarnia.info), aveva chiesto di tenere il tricolore, aspetto che i nazisti avevano concesso, il che faceva incorrere in errore, tra l’altro, le popolazioni che non li conoscevano.

(4) Trattasi di Umberto Bertozzi, sul quale così ho scritto nel mio: “Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori, in www.nonsolocarnia.info”: «[…] dopo l’8 settembre 1943, aderì alla X Mas anche Umberto Bertozzi, ingegnere, amico di Junio Valerio Borghese, e figlio di un imprenditore dell’industria conserviera, che guidò l’Ufficio I, famoso per le torture, e la famigerata la Compagnia O, formatasi nel maggio – giugno 1944, autocarrata, composta da 120 uomini, e strutturata su tre plotoni fucilieri ed un plotone comando, e destinata, in un primo tempo, ad operare esclusivamente nell’entroterra spezzino. (Ivi, pp. 29-30, e https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi). Ma nonostante questo, Umberto Bertozzi, giudicato colpevole «di oltre cento ‘omicidi volontari’, fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e di numerose sevizie particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945», (Cfr. Pena capitale per il braccio Dx di Borghese, la sentenza della Corte di Assise di Vicenza, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/) verrà condannato a Vicenza, il 4 giugno 1947,  con Franco Banchieri, alla pena di morte, ma la condanna venne poi commutata in ergastolo, che negli anni, grazie anche alla concessione di condoni, divennero prima 30 anni e poi 19, fino ad estinzione della pena nel 1963. (https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).

(5) Processo di Vicenza a membri della decima mas 7° parte, in: https://groups.google.com/forum/#!topic/it.cultura.storia/MnpeugPt1So.

(6) Ivi.

(7) Ivi.

(8) Ivi.

(9) Ivi.

(10) Ivi.

(11) Ivi.

(12) Ivi.

(13) Ivi.

(14) Ivi. – Ricordo che il Veneto faceva parte dell’ Rs.i., non dell’ Ozak.

(15) Ivi.

L’ immagine che accompagna l’articolo rappresenta la copertina del volume di Ricciotti Lazzero citato. L. M. P.

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2022/11/Lazzero-Ricciotti-LA-DECIMA-MAS-Rizzoli-Febbraio-1984.jpg?fit=247%2C400&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2022/11/Lazzero-Ricciotti-LA-DECIMA-MAS-Rizzoli-Febbraio-1984.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIAGigi Bettoli ha pubblicato sul sito storiastoriepn.it il numero unico di “Lotta partigiana a Maniago” uscito il 1° maggio 1946, ad un anno dalla Liberazione, quella Liberazione, da quanto ho letto, che Ignazio La Russa, che all’Italia democratica deve la sua attuale posizione di Presidente del Senato, non festeggierà...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI